Yves KLEIN


nato a Nizza nel 1928, deceduto a Parigi il 6 giugno 1962.

1944-46. Studia alla Scuola Nazionale della Marina Mercantile ed alla Scuola di Lingue Orientali di Nizza. E’ successivamente libraio a Nizza. Suona nell’orchestra Jazz di Claude Luther a Parigi.

1947. A Nizza pratica il judo in un corso dove incontra Claude Pascal e Armand Fernandez; E’ influenzato dalla teosofia cosmologica di Max Heindel dove lo Spirito (o Vita) si identifica con lo Spazio, e si rappresenta a mezzo del colore puro. Klein vede nella monocromia la possibilità di coinvolgere e trasportare lo spettatore in uno stato, benché momentaneo, di libertà mentale e fisica totale. Compie studi cosmogonici rosacrociani, divenendo in seguito membro della Società dei Rosacroce. Prime esperienze pittoriche dove pone le basi della teoria monocroma.

1948. Viaggio in Italia. comicia a scrivere il suo journal intime (fino al 1957).

1949. Prima versione della Symphonie Monoton. La sinfonia consiste in una sola nota ripetuta.

1950. Soggiorna a Londra lavorando presso un corniciaio dove resta affascinato dalle possibilità espressive dei pigmenti di colore in polvere. Espone in alcune sale private le sue prime pitture monocrome sotto il nome di Yves sia a Londra che in seguito a Tokyo. Intraprende anche un viaggio in Irlanda.

1951-52. Viaggia in Spagna e attraverso l’Europa. Si imbarca nell’autunno 1952 per il Giappone.

1953. All’Istituto KÛ dÛ kan di Tokyo, ottiene il 4° dan di judo.

1954. Rientro in Europa. E’ nominato direttore della Federazione spagnola di Judo; espone a Madrid e pubblica una raccolta di riproduzioni di opere monocrome: dieci pagine a colori con prefazione di Claude Pascal (tiratura di 150 esemplari). Le Edizioni Grasset a Parigi pubblicano il suo libro Les Fondements du Judo.

1955. A Parigi, comincia ad insegnare il judo all’American Center, poi apre una sua scuola e nella sala, appende tre grandi monocromi (blu, bianco e rosa). Incontra Jean Tinguely e Bernadette Allain. Prima esposizione alla Galerie des Solitaires a Parigi, vi espone monocromi di differenti colori. A dicembre incontra Pierre Restany cui chiede di curare la prefazione della sua prossima mostra.

1956. Dal 21 febbraio al 7 marzo: personale alla Gaierie Colette Allendy Yves, proposition monochromes con prefazione di Pierre Restany dal titolo La minute de verité. In agosto partecipa ai primo Festival d’Art d’Avant-Garde organizzato da Michel Ragon nell’Unité d’habitation di Le Corbusier a Marsiglia.

1957. In gennaio espone a Milano alla Galleria Apollinaire.Yves Klein, proposizioni monocrome, epoca blu: undici monocromi blu dello stesso formato dipinti con blu I.K.B. (International Klein Blu). Due esposizioni hanno luogo simultaneamente a Parigi: Yves le Monochrome dal 10 al 25 maggio da Iris Clert e Pigment pur, dal 14 al 23 maggio, alla galleria Colette Allendy: prima "peinture-feu": Feux de Bengale (16 bengalas fissati su un monocromo blu e accesi da Klein durante il vernissage. Prime sculture aereostatiche libere dal piedistallo. Premier Immatériel (una sala della galleria è lasciata totalmente vuota). L’esposizione Yves, proposition monochromes inaugura la galleria Schmela di Düsseldorf; a Londra esposizione Monochrome, Proposition of Yves Klein alla Gallery One, sempre a Londra, conferenza dibattito all’ I.C.A.(Institute of Contemporary Arts) sulla monocromia. Partecipa ad Arte Nucleare 1957, Galleria San Fedele di Milano. Nello stesso anno Pierre Meury registra la Symphonie Monoton Silence. Audizione presso la galleria Iris Clert a Parigi.

1957-59. Decorazione della Nuova Opera di Gelsenkirchen, costruita dall’architetto Walter Ruhnau dove realizza con l’aiuto di Rotraut Uecker i suoi primi Reliefs-éponges. Nel foyer relizza due dipinti monocromi blu, di 20 metri di lunghezza per 7 di altezza, due grandi rilievi murali con spugne naturali blu stratificate al poliestere di dieci metri di lunghezza per cinque di altezza. Nel vestibolo: due grandi rilievi murali con spugne naturali blu di dieci metri di lunghezza per due e cinquanta di altezza.

1958. A Parigi in aprile, esposizione da Iris Clert Le Vide, ou la sensibilité picturale à l’état de matière première. Svuota completamente la galleria e ridipinge lo spazio interno completamente di bianco. I muri spogli della galleria sono "sensibilizzati" dalla sola presenza di Klein. Due guardie Repubblicane presidiano l’ingresso. Viene servito un cocktail blu ai visitatori, che vengono fatti entrare a piccoli gruppi. Una folla numerosa si accalca di fronte alla galleria per entrare molti escono scandalizzati e delusi dalla visione del "vuoto". Presso il suo amico Robert Godet, teorico di judo, compie le prime esperienze con "pennelli viventi": una modella nuda impregnata di pittura blu. In novembre a Parigi, galleria Iris Clert Vitesse pure et stabilité monochrome esposizione di sculture e dischi blu realizzati in collaborazione con Tinguely. Con Werner Ruhnau elabora la sua teoria di Architecture de l’air con progetti di climatizzazione dell’atmosfera, controllo dei fenomeni e manifestazioni della natura, tetti d’aria, pareti trasparenti, fontane d’acqua e fuoco assieme. Con Ruhnau elabora anche l’idea di una école de la sensibilité, in cui le differenti sezioni vengono ripartite a Tinguely (scultura), Klein, Fontana, Piene (pittura), Ruhnau, Otto Frei (architettura), Claude Pascal, Pierre Henry, Bussotti, Kagel, Polieri (musica e teatro).

1959. Partecipa all’esposizione Vision in Motion all’Hessenhuis di Anversa con Tinguely e Spoerri dove realizza delle cessioni di "zone di sensibilità pittorica immateriale" convenzionalmente vendute ognuna al valore di un kg di polvere d’oro. In marzo da Iris Clert, presentazione della collaborazione internazionale fra artisti ed architetti alla realizzazione della Nuova Opera e Teatro di Gelsenkirchen, Architetto: Ruhnau. Scultori: Tinguely, Kricke, Dierkes, Adams. Pittore: Yves Klein. Il 3 e 5 giugno tiene due conferenze alla Sorbona su L’evolution de l’art vers l’immateriel e L’Architecture de l’air. Esposizione Bas-Reliefs dans une forêt d’éponges alla galleria Iris Clert (dal 15 al 30 giugno). Partecipazione alla Prima Biennale di Parigi, a Dynamo 1 alla galleria Renate Boukes a Wiesbaden, Germania ed a Works in three dimensions, galleria Leo Castelli, New York. In novembre vende il suo primo Chéquier pour zone de sensibilité picturale immatérielle. In Belgio, pubblicazione del suo opuscolo: Dépassement de la problématique de l’art. Le Actualités Gaumont realizzano una sequenza filmata di tre minuti su Klein.

1960. A febbraio, a Parigi partecipa alla mostra Antagonismes al Musée des Arts Décoratifs, vi espone il suo primo Monogold (monocromo oro) e il progetto di Architecture de l’air. Il 9 marzo a Parigi, alla Galerie Internationale d’Art Contemporain, presenta al pubblico Les Anthropométries de l’époque bleue, vera e propria azione concettuale dove realizza una serie di impronte umane su tela e su carta utilizzando modelli viventi: Klein, in elegante abito da gala e guanti bianchi, inizia, a dirigere un orchestra di venti musicisti e cantanti che eseguono per venti minuti la Simphonie Monothon. A musica iniziata entrano in scena tre affascinanti modelle nude che cominciano a dipingersi i corpi a vicenda con vernice blu IKB e, come dirette dallo stesso Klein (che per tutta la durata della performance non tocca ne la vernice ne le modelle), con movimenti eleganti, come in una danza, si adagiano sulle tele e sui fogli di carta appesi alle pareti lasciando impresse le impronte dei loro corpi. A musica terminata, seguono venti minuti di rigoroso silenzio e contemplazione. In aprile alla galleria Apollinaire di Milano, esposizione: Les Nouveaux Réalistes, sempre in aprile inizia le Cosmogonies: realizzazioni pittoriche ottenute grazie all’intervento di manifestazioni atmosferiche (pioggia, vento...). In ottobre esposizione alla galleria Rive Droite: Yves Klein, le Monochrome. Firma la dichiarazione costitutiva del Nouveau Réalisme. Realizzazione delle Anthropometrie des Nouveaux Réalistes: impronte collettive di Arman, Hains, Raysse, Restany e Tinguely. Pubblicazione in occasione del 2° festival d’Avant-Garde del Journal d’un seul jour, Dimanche 27 novembre 1960, giornale che riporta in quattro pagine tutte le sue esperienze e progetti; in prima pagina spettacolare performance di Klein nel suo Saut dans le vide.

1961. Esposizione Yves Klein: Monochrome und feuer, al Museum Haus Lange di Krefeld, (fontane di fuoco nel parco). Prime grandi serie di Peintures de feu al Centro Sperimentale del Gas di Francia. Pitture di fuoco ed acqua. Impronte antropometriche del fuoco. Viaggio a Cascia per deporre un ex-voto a Santa Rita e negli Stati Uniti ad aprile per la sua prima esposizione personale da Leo Castelli, New York: Yves Klein, le Monochrome, in seguito alla Dwan Gallery di Los Angeles. In maggio-giugno esposizione a Parigi, Galerie J: A 40° au dessus de Dada, in luglio alla Galerie Rive Droite: Le Nouveau Réalisme a Paris et à New York. In luglio mette in scena delle sedute di anthropometrie appositamente realizzate per il film Mondo cane di Gualtiero Jacopetti presentato l’anno seguente nell’ambito del Festival di Cannes ma le immagini della performance verranno inserite, ad insaputa di Klein, nel film, in maniera del tutto arbitraria, in un contesto scandalistico travisandone il significato. In novembre a Milano, alla Galleria Apollinaire esposizione: Yves Klein: il nuovo realismo del colore, dove mostra per la prima volta i suoi Reliefs Planétaires realizzati in agosto impregnando in blu carte in rilievo dell’Istituto Geografico Nazionale.

1962. Sposa il 21 gennaio a Parigi Rotraut Uecker in una solenne cerimonia con la presenza di un ala d’onore composta da cavalieri dell’ordine di San Sebastiano, mentre la Symphonie monoton-Silence è diffusa nella chiesa. Il 26 gennaio vende una zone de sensibilité picturale immatérielle allo scrittore-poeta Dino Buzzati che lo aveva sostenuto al tempo della sua esposizione a Milano nel 1957. Intraprende i calchi individuali dei corpi dei Nouveaux Réalistes con l’idea di realizzare un grande ritratto-rilievo collettivo. Ispirato dai lavori di Krefeld con il fuoco, l’amico André Verdet scrive un poema su Klein e la sua filosofia dell’essere. Questo poema fece Yves così felice che decise di inciderlo a fuoco rosso in una Peinture de feu. Realizza due prove preliminari che spedisce a Verdet il 2 Giugno l962, quattro giorni dopo, per una crisi cardiaca, muore il 6 giugno a Parigi. Due mesi dopo Rotraut dà allla luce un figlio che chiamerà Yves.

Yves Klein riposa nel cimitero di Colle-sur-Loup nelle Alpes-Maritimes.

     Yves Klein e Dino Buzzati procedono al rituale di una cessione di una "zone de sensibilité picturale immatérielle", Parigi, 26 gennaio 1962.

 

Yves Klein

Stabilito che... (manifesto dell’Hotel Chelsea 1961)


Stabilito che per quindici anni ho dipinto monocromi.

Stabilito che ho creato delle situazioni di pittura immateriale.

Stabilito che ho manipolato le forze del vuoto.

Stabilito che ho scolpito il fuoco e l’acqua e dal fuoco e dall’acqua ho tratto dipinti.

Stabilito che ho usato pennelli vivi per dipingere, cioè il corpo nudo di modelle vive spalmato di colore, e con questi pennelli vivi costantemente ai miei ordini tipo - un pò più a destra, ed ora verso sinistra, di nuovo un pò a destra -, ecc. ho risolto così il problema del distacco dall’opera nel mantenere una distanza fissa obbligatoria dalla superficie del dipingere.

Dato che ho inventato l’architettura e l’urbanesimo dell’aria - naturalmente questa nuova concezione trascende il tradizionale significato delle parole architettura e urbanistica - essendo mio scopo originario rinnovare la leggenda del paradiso perduto. Questo progetto è stato applicato alla superficie abitabile della Terra con la climatizzazione di grandi distese geografiche, e attraverso un controllo assoluto delle condizioni termiche atmosferiche, nei loro rapporti con la nostra situazione d’esseri morfologici e fisiologici.

Dato che ho proposto una nuova concezione della musica con la mia Sinfonia-Monotono-Silenzio.

Stabilito che fra innumerevoli altre avventure ho raccolto il precipitato di un teatro del vuoto, quindici anni fa, all’epoca delle mie prime ricerche, non avrei mai creduto che un giorno, improvvisamente, avrei provato la necessità di soddisfare il vostro desiderio di sapere ed il perchè ed il per come di ciò che sta accadendo, e che mi preoccupa in particolare, l’influenza della mia arte sulle giovani generazioni d’artisti oggi nel mondo. Sono imbarazzato nel sentire che alcuni di loro pensino che io rappresento un pericolo per l’avvenire dell’arte e che io sia uno di quei prodotti disastrosi e nocivi della nostra epoca, che occorre eliminare e distruggere prima che il progredire del male possa estendersi. Sono desolato di doverli informare che tali non erano le mie intenzioni, e di dover dichiararare con piacere, per coloro che non credono alla molteplicità di nuove possibilità che la mia ricerca lascia intravvedere, che: Attenzione! Nessuna cristallizzazione di questo genere s’è ancora prodotta e non mi è possibile pronunciarmi su quanto avverrà in seguito.

Tutto ciò che posso dire è che oggi non mi sento più spaventato come un tempo, nel trovarmi di fronte a1 pensiero del futuro.

Un artista si sente sempre un po’ imbarazzato quando gli si chiede di spiegare la sua opera. I suoi lavori dovrebbero parlare da sè, particolarmente quando si tratta d’opere valide.

Di conseguenza che devo fare? devo fermarmi?

No! perchè ciò che chiamo indefinibile sensibilità pittorica vieta assolutamente, e precisamente, questa soluzione personale.

Allora…

Allora penso a quelle parole, che un’ispirazione improvvisa mi fece scrivere una sera: L’artista futuro non sarà forse colui che, attraverso il silenzio, ma eternamente, esprimerà un’immensa pittura, cui mancherà ogni concetto di dimensione?.

I visitatori delle gallerie - sempre le stesse persone, e simili a tutti gli altri - porteranno con sé quest’immensa pittura nella loro memoria (una memoria che non deriverà affatto dal passato ma che in se stessa sarà conoscenza di una possibilità di accrescere indefinitamente l’incommensurabile, all’interno della sensibilità umana dell’indefinibile). E’ sempre necessario creare e ricreare in un’incessante fluidità fisica in modo da ricevere questa grazia che permette una reale creatività del vuoto.

Nello stesso modo con cui creai nel 1947 una Sinfonia-Monotono-Silenzio composta di due parti - un enorme suono continuo seguito da un silenzio altrettanto enorme e ampio, cui avevo dato una dimensione illimitata - oggi mi accingo a tentare di far scorrere davanti a voi un quadro scritto su ciò che è la breve storia della mia arte, e anch’esso sarà naturalmente seguito, al termine della mia esposizione, da un puro silenzio affettivo. La mia esposizione si concluderà con la creazione di un irresistibile silenzio a posteriori, la cui esistenza nel nostro spazio comune, che dopo tutto non è altro che lo spazio di un solo essere vivente, è immunizzata contro le qualità distruttrici del rumore fisico. Ciò dipende in gran parte dal successo del mio quadro scritto nella sua fase iniziale tecnica e audibile. E’ allora soltanto che lo straordinario silenzio a posteriori, in mezzo al rumore come nella cellula del silenzio fisico, genererà una nuova ed unica zona di sensibilità pittorica dell’immateriale.

Avendo io oggi raggiunto questo punto dello spazio e della conoscenza, mi propongo di cingermi le reni, poi di arretrare di qualche passo, retrospettivamente, sul trampolino della mia evoluzione. Come un campione olimpionico di tuffi nel più classico stile dello sport, devo apprestarmi a fare un tuffo nel futuro di oggi, indietreggiando prima di tutto con la mia più estrema prudenza, senza mai perdere di vista questo limite oggi coscientemente raggiunto: l’immaterializzazione dell’arte.

Qual è lo scopo di questo viaggio retrospettivo nel tempo? Semplicemente vorrei evitare che voi ed io cadessimo preda di quel fenomeno di sogno che descrive i sentimenti e i paesaggi che verrebbero provocati da un nostro brusco atterraggio nel passato. Il quale passato è precisamente il passato psicologico, l’anti-spazio, che ho abbandonato dietro a me nel corso degli eventi che ho vissuto in questi quindici anni. Oggi, mi sento particolarmente entusiasmato dal cattivo gusto. Io ho l’intima convinzione che là, nell’essenza stessa del cattivo gusto, esista una forza capace di creare cose che sono situate ben al di là di ciò che tradizionalmente è chiamata opera d’arte. Io voglio giocare con la sentimentalità umana, con la sua morbidezza, freddamente e ferocemente.

Recentemente sono diventato una sorta di affossatore dell’arte (molto curiosamente, in questo momento utilizzo le stesse parole dei miei avversari). Alcune delle mie opere più recenti sono delle bare e delle tombe. E nello stesso tempo io riuscivo a dipingere col fuoco, utilizzando a questo scopo delle fiamme di gas particolarmente potenti ed essiccanti, alcune delle quali raggiungevano tre o quattro metri di altezza. Sfioravo con esse la superficie del dipinto, in. modo tale da registrare la traccia spontanea del fuoco.

Il mio proposito è quindi duplice: in primo luogo registrare l’impronta della sentimentalità dell’uomo della civiltà di oggi; e poi registrare la traccia di ciò che precisamente aveva generato questa medesima civiltà, cioè la traccia del fuoco. E tutto questo perchè il vuoto è sempre stato la mia preoccupazione essenziale; io sono sempre ben sicuro che, nel cuore del vuoto come nel cuore dell’uomo ci sono dei fuochi che bruciano.

Yves Klein durante la realizzazione di Peinture Feu (F 3) Yves Klein. "Mur de feu et Fontane de feu" (1961). Strutture con ugelli da gas accesi. Giardino del Museum Haus Lange, Krefeld, durante l'esposizione "Monochrome und Feuer" 14 gennaio 1961.

          

Tutte le realtà in sè contraddittorie, sono autentici principi di una spiegazione dell’universo. Il fuoco è veramente uno di questi principi autentici che sono essenzialmente contraddittori gli uni agli altri, essendo nello stesso tempo dolcezza e tortura, nel cuore e nell’origine della nostra civiltà. Ma che cosa provoca in me questa ricerca della sentimentalità attraverso la fabbricazione di super-tombe e di super-bare? Che cosa provoca in me questa ricerca dell’impronta del fuoco? Perchè bisogna, che io ne cerchi la traccia stessa? Perchè tutto il lavoro della creazione, senza tener conto della sua posizione cosmica, la rappresentazione di una pura fenomenologia tutto ciò che è fenomeno si rappresenta da se stesso. Questo manifestarsi è sempre distinto dalla forma, ed è l’essenza dell’immediato.

Qualche mese fa, per esempio, io provai la necessità di registrare le impronte del comportamento dell’atmosfera, ricevendo sopra la tela le tracce istantanee degli acquazzoni di primavera, dei venti del sud e dei fulmini (c’è bisogno di precisare che quest’ultimo tentativo si risolse in un disastro?). Per esempio, un viaggio da Parigi a Nizza sarebbe stato una perdita di tempo se io non l’avessi messo a profitto per fare una registrazione del vento. Posai una tela, spalmata di fresco con il colore, sul tetto della mia CitrØen bianca. E mentre divoravo la nazionale 7 a cento chilometri l’ora, il caldo, il freddo, il sole, e la pioggia fecero sì che la mia tela si ritrovò prematuramente vecchia. Trenta o quaranta anni almeno si trovano concentrati in una sola giornata. L’unica cosa noiosa in questo progetto era che per tutto il viaggio non mi potevo separare dal mio dipinto.

Le impronte atmosferiche che io registravo erano state precedute qualche mese prima da impronte vegetali. Prima di tutto, il mio scopo è estrarre ed ottenere la traccia dell’immediato negli oggetti naturali, quale che ne sia l’incidenza, quali che ne siano le circostanze, umane, animali, vegetali o atmosferiche. Vorrei ora, con il vostro permesso - e vi chiedo la più estrema attenzione - rivelarvi la fase della mia arte che è forse la più importante, e certo la più segreta. Non so se mi crederete o no, ma è il cannibalismo. Dopotutto essere mangiati non sarebbe preferibile che morire sotto le bombe?

Mi è molto difficile sviluppare quest’idea, che mi ha tormentato per degli anni. Perciò ve la do tale quale, affinchè voi ne traiate conclusioni personali, a proposito di quello che io credo sia l’avvenire dell’arte. Se facciamo di nuovo un passo indietro, seguendo la linea della mia evoluzione, arriviamo nel momento nel quale pensavo di dipingere servendomi di pennelli viventi. Era due anni fa. Lo scopo di quel modo di procedere era di giungere a mantenere una distanza definita e costante tra il dipinto e me, per tutto il tempo della creazione.

Molti critici si sono messi a sbraitare che con questo modo di dipingere non facevo altro che ricreare semplicemente la tecnica di quello che è stato definito action painting. Ma vorrei ora che ci si rendesse ben conto che quest’esperienza si distingueva dall’action painting per il fatto che io, in effetti, sono completamente staccato da ogni lavoro fisico per tutta la durata della creazione.

Per non citare che un solo esempio degli errori antropometrici in proposito che sono alimentati dalle idee deformate diffuse dalla stampa internazionale, parlerò di quel gruppo di pittori giapponesi, che, con il più grande ardore possibile, utilizzarono il mio metodo in un modo davvero strano. Questi pittori, semplicemente, si trasformano essi stessi in pennelli viventi. Tuffandosi nel colore e rotolandosi sulle loro tele, essi diventano così i rappresentanti dell’ultra action painting! Personalmente, io non tenterei mai di impiastricciarmi il corpo, per divenire così un pennello vivente; ma preferirei al contrario vestirmi con lo smoking e infilarmi i guanti bianchi. Non mi sognerei neppure di sporcarmi le mani con della vernice. Distaccato e lontano, è sotto i miei occhi e sotto i miei ordini che deve compiersi il lavoro artistico. Allora, dal momento in cui l’opera inizia la sua fase finale, io mi drizzo là, presente alla cerimonia, immacolato, calmo, disteso, perfettamente cosciente di ciò che sta accadendo e pronto a ricevere l’arte al suo nascere nel mondo tangibile.

Che cosa mi ha condotto all’antropometria? La risposta sta nelle opere che ho eseguito tra il 1956 e il 1957, nel periodo in cui prendevo parte a quella grand’avventura che era la creazione della sensibilità pittorica immateriale.

Avevo appena sbarazzato il mio atelier di tutte le mie opere precedenti. Risultato: un atelier vuoto. Tutto quello che potevo fisicamente fare era restare nel mio atelier vuoto, e la mia attività creatrice di situazioni pittoriche immateriali si manifestava meravigliosamente. Tuttavia, poco a poco, diventavo diffidente; a tu per tu con me stesso, ma mai a tu per tu con l’immateriale. A partire da quel momento, io presi delle modelle a pagamento, come fanno tutti i pittori. Ma al contrario degli altri, io non volevo altro che lavorare in compagnia delle modelle, e non farle posare per me. Avevo passato veramente troppo tempo da solo in quell’atelier vuoto: e non volevo più rimaner solo con quel vuoto meravigliosamente blu che stava per sbocciare.

Per quanto ciò possa sembrare strano, ricordatevi che io ero perfettamente cosciente del fatto che non provavo per nulla quella vertigine sentita da tutti i miei predecessori; quando si sono trovati faccia a faccia con il vuoto assoluto che è ovviamente l’autentico spazio pittorico. Ma nel prendere coscienza di una simile cosa, per quanto tempo sarei ancora stato sicuro?

Anni prima di questi fatti, l’artista andava dritto al suo soggetto, lavorava all’aperto in campagna, e aveva i piedi per terra. Oggi i pittori di cavalletto, diventati pittori d’accademia, sono arrivati al punto di rinchiudersi nei loro ateliers per confrontare gli specchi terrificanti delle loro tele. Allora la ragione che mi spingeva a utilizzare delle modelle diventa praticamente ovvia: era un mezzo per evitare il pericolo di trovarmi rinchiuso nelle sfere non troppo spirituali della creazione, rompendo così con il più elementare buon senso, costantemente riaffermato dalla nostra condizione di persone incarnate. La forma del corpo, la sua linea, i suoi strani colori oscillanti tra la vita e la morte non presentavano alcun interesse per me. Soltanto l’atmosfera affettiva, pura, essenziale della carne ha importanza. Con l’avere respinto il nulla, io avevo scoperto il vuoto. Il significato delle zone pittoriche immateriali, derivate dal profondo del vuoto che in quel momento ero giunto a dominare, era veramente d’ordine materiale. Ritenendo inaccettabile vendere per denaro queste zone pittoriche immateriali, io in cambio della più alta qualità dell’immateriale pretendevo la più alta quantità del compenso materiale: un. Lingotto d’oro puro. Per quanto incredibile possa sembrare, ho già venduto un gran numero di queste situazioni pittoriche immateriali.

Ci sarebbero tante cose da dire sulla mia avventura nell’immateriale e nel vuoto, che ciò approderebbe a una pausa particolarmente lunga, anche se io sono sempre immerso nell’attuale elaborazione di una pittura scritta.

Non mi sembrava più che la pittura dovesse essere funzionalmente legata al vedere, quando, nei corso del mio periodo monocromo blu del 1957, presi coscienza di ciò che ho definito la sensibilità pittorica. Questa sensibilità pittorica esiste al di là di noi, e tuttavia appartiene ancora alla nostra sfera. Noi non deteniamo alcun diritto sul possesso della vita. E’ soltanto con l’intermediario della nostra presa di possesso della sensibilità che possiamo acquistarci la vita. La sensibilità, che ci permette di continuare la vita al livello delle sue manifestazioni materiali di base, negli scambi e nei baratti che sono l’universo dello spazio e la totalità immensa della natura.

L’immaginazione è il veicolo della sensibilità! Trasportati dall’arte, si materializza istantaneamente. Essa fa la sua apparizione nel mondo tangibile, allorchè io rimango in un luogo geometricamente definito, sulle orme di spostamenti volumetrici straordinari, con una velocità statica e vertiginosa.

La spiegazione delle condizioni che mi hanno condotto alla sensibilità pittorica sta, nella forza intrinseca dei monocromi del periodo blu del 1957. Quel periodo dei monocromi blu era il frutto della mia ricercar dell’indefinibile in pittura, che il maestro Delacroix era già in grado di segnalare al suo tempo.

Dal 1946 al 1956, le mie esperienze monocrome effettuate con colori diversi dal blu non mi fecero mai perdere di vista la verità fondamentale del nostro tempo, cioè che la forma non è oramai più un semplice valore lineare, ma un valore di impregnazione. Quando ero ancora un adolescente nel 1946, stavo per scrivere il mio nome sull’altra parte del cielo, durante un fantastico viaggio realistico-immaginario. Quel giorno, mentre ero sdraiato sulla spiaggia di Nizza, io incominciai a provare odio contro gli uccelli che volavano di qua e di là, nel mio bel cielo blu senza nuvole, perchè essi tentavano di fare dei buchi nella più bella e più grande delle mie opere.

Bisogna distruggere gli uccelli, fino all’ultimo.

Allora noi, gli umani, avremo acquistato il diritto di evolvere in piena libertà, senza alcun impedimento fisico o spirituale.

Nè i missili, né i razzi, né gli sputniks faranno dell’uomo il conquistador dello spazio. Questi mezzi ci sollevano dalle fantasmagorie dei sapienti d’oggi, che sono sempre animati dallo spirito romantico e sentimentale che era proprio del XIX secolo. L’uomo non arriverà a prendere possesso dello spazio se non attraverso le forze terribili, sebbene improntate alla pace, della sensibilità. Non potrà conquistare veramente lo spazio - il che è certamente il suo più caro desiderio - se non dopo aver realizzato l’impregnazione dello spazio con la sua propria sensibilità. La sensibilità dell’uomo è onnipotente sulla realtà immateriale. La sua sensibilità può anche leggere nella memoria della natura, che si tratti di passato, di presente o di futuro! Questa è la nostra autentica capacità di azione extra-dimensionale!.

E, ce n’è bisogno, ecco qualche prova di ciò che affermo:

Dante, nella Divina Commedia, ha descritto con precisione assoluta quel che nessun viaggiatore del suo tempo avrebbe ragionevolmente potuto scoprire, la costellazione, invisibile dall’emisfero nord, conosciuta sotto il nome di Croce del Sud; Jonathan Swift, nel suo viaggio a Laputa fornì le distanze e i periodi di rotazione di due satelliti di Marte allora completamente sconosciuti. Quando l’astronomo americano Asaph Hall li scoprì nel 1877, verificò che le sue misure erano uguali a quelle di Swift. Preso dal panico, li chiamò Phobos e Deimos, cioè Paura e Terrore. Io mi ritrovo ora davanti a voi, pronto a tuffarmi nel vuoto. Lunga vita all’immateriale!

E adesso, vi ringrazio della vostra amabile attenzione.

 

Testo pubblicato nel catalogo dell’esposizione alla Iolas Gallery, New York 1962 ripreso in: YVES KLEIN IL MISTERO OSTENTATO di G. Martano.

 

Yves Klein, Werner Ruhnau

Progetto per un’architettura dell’aria (1958)


L’architettura dell’aria, è sempre stata nel nostro spirito come uno stadio transitorio ma oggi noi la presentiamo come un mezzo per condizionare l’aria di spazi geografici privilegiati. L’illustrazione mostra una proposta per proteggere una città per mezzo di un tetto d’aria flottante. Una rapida via centrale che porta all’aeroporto, divide, la città in una zona residenziale e in una zona d’attività industriale e meccanica.

Il tetto d’aria regola la temperatura e nello stesso tempo protegge quest’area privilegiata.

Superficie al terreno in vetro trasparente.

Zona sotterranea di servizio (cucine, bagni, magazzini, servizi vari).

Il principio del segreto, sempre presente nel nostro mondo, scompare in questa città bagnata dalla luce e completamente aperta verso l’esterno.

Una nuova atmosfera d’intimità umana prevale.

Gli abitanti vivono nudi.

La primitiva struttura patriarcale della famiglia non esiste più.

La comunanza è perfetta, libera, individualista, impersonale.

La principale attività degli abitanti: il riposo.

Gli ostacoli dapprima considerati nell’architettura come delle fastidiose necessità diventano un lusso:

Muri ignifughi

Muri d’acqua a tenuta stagna

Forme aeroportanti

Fontane di fuoco

Fontane d’acqua
Piscine

Materassi d’aria, sedie d’aria…
Il vero fine dell’architettura immateriale: condizionare l’aria di vasti spazi geografici residenziali.
Piu che essere compiuto da dei miracoli tecnologici, questo controllo della temperatura diventerà una realtà quando la sensibilità umana si sarà fusa nel cosmo. La teoria dell’immaterializzazione nega lo spirito di fantascienza.
La sensibilità nuovamente evoluta, una nuova dimensione umana, guidata dallo spirito, trasformerà nel futuro le condizioni climatiche e spirituali sulla superficie della nostra terra. Volere significa vedere avanti. E’ legata a quest’augurio la determinazione di sperimentare quello che si vedrà più avanti, e il miracolo si realizza in tutti i domini della natura.

Ben Gurion: Colui che non crede ai miracoli non è un realista.

Yves Klein - Werner Runhau. Progetti di architettura dell'aria Yves Klein - Werner Runhau. Progetti di architettura dell'aria

 

          

 

pubblicato in: 1960 LES NOUVEAUX REALISTES cat. esp. M.A.M. di Parigi - 1986, tradotto dal francese.


 

 

Scritti

Yves Klein

Stabilito che... (manifesto dell’Hotel Chelsea 1961)

 Yves Klein, Werner Ruhnau

Progetto per un’architettura dell’aria (1958) 

Yves Klein, WernerRuhnau

Projet pour une architecture de l’air (1958)

Yves Klein

Ex-voto pour Sainte Rita de Cascia

Yves Klein

Le Vide

Mariëtte van Stralen, Bart Lootsma

'Occupation: Leisure!'

André Verdet

Poem to Yves Klein (may 1962)

Anneliese Knorr

Das Musiktheater Gelsenkirchen

 

  ritorna a: I protagonisti  inizio