Pierre Restany

Arman. Oggetti di lusso e feticci ragionevoli


Tra il 1960 e il 1962 si è compiuto tutto il destino dell'arte di Arman, cioè la cristallizzazione di un processo con il quale Arman si è appropriato del reale linguaggio quantitativo che si sarebbe immediatamente elevato ad uno stile potente. Dico appunto immediatamente perché prima del 1960 il carattere e lo stile erano ancora allo stadio della trascrizione calligrafica. Con le prime pattumiere del 1959-60, che sono degli ammassamenti di ogni genere, e gli ammucchiamenti di oggetti in serie che seguirono subito dopo, Arman apre gli occhi suoi e nostri sulla natura moderna, industriale e urbana: un nuovo sguardo sul mondo tradotto nel linguaggio semplice e diretto del consumatore.

L'ammucchiamento si impone di colpo come l'enunciazione di un principio fondamentale, di un sistema strutturale della visione. L'artista è talmente consapevole di ciò che a partire dall'ottobre 1960 vuole dare alla sua creazione le forme monumentali di una definizione estremista: Le Plein (Il Pieno) (la galleria Iris Clert a Parigi è piena zeppa delle cose più disparate) è un credo, un atto di fede assunto al livello dell'architettura. Il Plein ci appare oggi nella sua giusta luce, come un monumento eretto da Arman nel suo stile appena nato e già definitivo. E a dieci anni di distanza dobbiamo constatare che non c'è niente da dire; la presunzione apparente era una lucidissima volontà. Le promesse del Plein sono state abbondantemente mantenute e la scommessa vinta. Ad una scommessa di accumulazione corrisponde l'accumulo delle puntate e i rapporti sono conseguenti. Arman ha vinto perché ha fatto un principio del suo trucco e uno stile del suo principio. Tutte le variazioni morfologiche avvenute dopo il 1960 stanno a confermare l'intangibile realtà del principio. Ogni oggetto contiene in sé la morfologia esatta del suo ammassamento o della sua rottura. La forma poetica corrisponde ad un limite minimo preciso.

     Arman allestisce "Le Plein" alla Galerie Iris Clert. Parigi, ottobre 1960.

Il compito dell'artista è di cercarlo, presentarlo, provocarlo. Ogni elemento nuovo ripropone il problema da zero. Questo liberare sistematicamente l'autonomia espressiva dell'oggetto industriale non è privo di pericoli. Ma Arman è maestro nell'uso di casi fortunati. Ha un fiuto particolare, un istinto non comune e ha messo tutto questo bagaglio d'intuizione al servizio di un principio quantitativo semplice.

Questo è lo stile. Gli si può rimproverare la super-abbondanza di produzione e lo si è fatto, io per primo (perché mi sembrava di avere più di chiunque altro il diritto e il dovere di farlo). Ci può dispiacere il fatto, ed io me ne sono dispiaciuto per molto tempo, che l'artista di Nizza non si sia concesso una pausa di riflessione e non mantenga una certa distanza dalla sua opera per potersi aprire ulteriori possibilità. Ma avevo torto e l'ho finalmente capito. Guai se facesse un bilancio e se si distaccasse dalla sua opera! questa vale solo per l'impegno totale del suo autore. Lo stile di Arman è l'uomo stesso tramite il segno del suo linguaggio. Bisogna riconoscere che ha il merito di averlo capito e di non aver ceduto alle tentazioni di rinnovamento e alle illusioni che gli predicavano gli amici meglio intenzionati.

Sappiamo ormai che l'opera di Arman sarà la manifestazione continua di uno stesso principio, lo svilupparsi variabile all'infinito di uno stesso principio, dalla scatola di vetro al plexiglas, dal poliestere al cemento, dalla combustione all'esplosione. L'avventura dell'oggetto attraverso tutti i casi fortunati e sfortunati della tecnologia moderna: ecco un programma senza limiti. La portata stessa dello stile elimina la dimensione del tempo nella permanenza quantitativa dello spazio interno. Che importanza ha se dodici anni separano i primi ammucchiamenti di rifiuti dalle moderne pattumiere espresso (la scoperta di un poliestere a polimerizzazione ultra rapida ha risolto il problema della fermentazione dei detriti organici durante la "presa"). La permanenza dell'immagine traduce l'immanenza dello stile. In

questa permanenza è il successo dell'"operazione Arman". La ricetta quantitativa non può essere applicata all'infinito indipendentemente dagli elementi di base. Per sostituire il cemento al poliestere sono necessari oggetti particolari e bisogna ricercare una nuova dose quantitativa. Ma il risultato finale darà la coerenza o meglio la coesione stilistica: l'accumulazione in cemento è esattamente Arman come l'accumulazione in poliestere, anch'essa sorella gemella delle prime accumulazioni sotto vetro ecc. Un oggetto d'Arman si presenta sempre come il segno di Arman sull'oggetto, la sua appropriazione quantitativa è una firma che è una presa di possesso assoluta. Arman incarna nella sua purezza elementare il modo di appropriazione del Nuovo Realismo di cui egli è senza meno il grande maestro formale; per questo continua ad affascinarci e a trovarci d'accordo con lui. Al di là della loro bellezza estetica, gli oggetti di Arman, che sono l'oggettivazione armaniana d'oggetti in serie, ognuno disponibile dappertutto e in qualsiasi momento, sono i feticci automatizzati, gli emblemi razionali della nostra civiltà. L'immagine-oggetto, fissata nell'attimo del suo emergere quantitativo, è ricca di tutti i misteri della sua espressività organica: l'immagine è interamente linguaggio a questo stadio e solamente a questo stadio.

Fin quando l'istinto di Arman non lo ingannerà nella intuizione del limite obiettivo a partire dal quale l'oggetto x o gli oggetti x diventano parlanti, egli potrà permettersi tutti i lussi, specialmente quello di farne troppi di oggetti, di accumulare le serie-sorelle. Il pericolo non è ripetere una forma ben fatta ma agire su questa forma tanto da farle perdere il suo significato. Guardiamo ancora una volta gli oggetti di Arman come i feticci della nostra industria di consumo e della nostra civiltà di massa. Arman, ingegnere-mago, ha sottratto i feticci razionali all'universo della 'durata' per darli al piacere eterno ed egoista dei nostri sensi. Questi feticci hanno il pregio di darci una buona coscienza, cosa invero rara in questo mondo di ambiguità contestataria. Un giorno, quando la nostra società avrà proceduto al suo mutamento strutturale, i nuovi saggi vedranno nell'opera di Arman l'espressione perfetta della fine di un mondo. Noi che viviamo ancora in questo mondo di ora, ne assaporiamo la graziosa rappresentazione finale con il masochismo degli

ossessi sotto l'effetto dell'esorcismo. Evidentemente tutto ciò avviene in noi in un attimo. Ma è sufficiente ad esorcizzarci, a renderci piacevoli e familiari gli elementi anonimi che circondano ogni giorno la nostra esistenza, elementi che si rivestono improvvisamente di un fascino e di una presenza inaspettati, frutti dell'ispirazione del loro inventore.

E ringraziamo Arman per questo momento di sosta nella nostra esistenza stancante, Fra tutti i protagonisti dell'avventura dell'oggetto (e, credetemi, li conosco bene), Arman è il solo ad aver saputo dosare con tanta umanità, vorrei dire perfino tanta tenerezza, gli elementi freudiani delle motivazioni del suo linguaggio, che è la chiave della sua possibilità di comunicazione con il prossimo. I suoi oggetti di lusso sono feticci ragionevoli.

Pierre Restany

in "ARMAN" Catalogo mostra Galleria Arte Borgogna, Milano febbraio- aprile 1990.


ARMAN

Arman: Realismo Delle Accumulazioni (1960)

Arman: Réalisme des accumulations (1960)

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