César

Ricominciare non è rifare


Io non sono un intellettuale. Provengo da un ambiente popolare. Le prime sculture che ho visto, le ho trovate nei cimiteri. Sono di una famiglia d’origine toscana e se vi fossi rimasto, tra Carrara e Montecatini, penso che sarei diventato uno sbozzatore: l’aiuto di uno scultore. Avrei lavorato con Henri Moore forse. Oggi sono diventato scultore, non sbozzatore per altri, ma sono quand’anche un artigiano manuale. Il mio approccio all’arte avviene ad un livello istintivo. Ho fatto molta scuola, ma fondamentalmente sono un autodidatta assoluto.

Con la mia esperienza, la mia età - entro nei miei settanta anni - non voglio farmi illusioni. Quando si viene da dove vengo io, si resta per sempre senza il dubbio. Non posso dire che io detenga la verità. Io comprendo tutti, forse perchè non sono stupido, comprendo gli intellettuali anche se mi danno di volta in volta dei complessi. Ma alla fine se hanno delle teste più grandi della mià è solo di fronte, non di profilo...

Quando si vede il mio lavoro, ci si rende conto che è puramente fisico, istintivo, ma vi è anche un uomo dietro, con un cervello. Poichè il mio cervello comunica con tutto il resto. E’il tatto che mette tutta la meccanica dello scultore in movimento: è la materia che guida lo sviluppo dell’immaginazione. A me, una ragazza non mi eccita se non gli tocco il posteriore, se non tocco, non succede nulla. Ho una formazione accademica: ho appreso la tecnica degli antichi e sono il loro erede. Ma sono anche l’erede dei moderni, dei surrealisti in particolare. Uno scultore non arriva mai da solo.

Vi sono delle continuità artistiche che, generalmente, non sono viste di buon occhio dai responsabili delle grandi esposizioni internazionali, perchè questi sono ossessionati da quello che pensano gli americani. D’altra parte, non a caso, un americana, Margit Rowell è stata commissario dell’esposizione del Beaubourg, Cos’è la scultura moderna. Passo sopra al fatto che César non è stato rappresentato che da una compressione, ma non passo sopra il fatto che degli immensi scultori sono stati scientemente eliminati dalla scultura moderna, come Germaine Richier per esempio. L’esposizione poteva essere interessante per conoscere quel che c’è nella testa dei grandi arbitri dell’arte, ma dallo stretto punto di vista della scultura, è stata una perfetta imbecillità. Amo molto Dan Flavin, ma quel che ha fatto non ha niente a che vedere con la scultura. Adoro un ragazzo come Jean-Pierre Raynaud, che ho d’altra parte personalmente contribuito a far conoscere al suo debutto, ma non ha mai preteso di essere uno scultore: il suo approccio è molto differente.

Quando vedo delle installazioni di Buren, io so che accade qualcosa, e la personalità dell’artista mi colpisce, ma dal punto di vista della scultura, questo mi lascia perplesso. Io non dico quello che si dice spesso negli ambieriti popolari: io saprei fare altrettanto! poichè, far fare delle colonne da delle imprese, puo sembrare facile, ma quel che conta in ogni caso è avere avuto l’idea.

Dopo tutto, anche Garnier aveva delle imprese per realizzare la sua Opéra e così Gaudi per -la sua cattedrale. Dunque, se Buren non fa altro che disegni e schizzi, è In ogni caso lui l’autore delle grandi opere che portano il suo nome... Ma la scultura è un altra cosa. E’ il contatto di un uomo con una materia, e dico questo anche se qualcuno dovesse concludere che io sia un pompier.

Giacometti ha fatto la stessa scultura per tutta la sua vita, se si vuole, ma io dico che ricomincerebbe ogni volta. E ricominciare non è del tutto la stessa cosa che rifare. Giacometti, in tutta la sua vita, ricomincia, ed è nuovo ogni volta.

Quanto a me, saldo il bronzo oggi, e questo mi eccita come quando saldavo il ferro. Vivo con il mio corpo, la mia sensibilità e la mia intelligenza, e tutto questo lo faccio corrispondere ad un bisogno. È veramente uno stile di vita, quello che faccio è concepito in funzione di una necessità.

A partire da questo, si può discutere per sapere che cosa è la scultura? Io non ne so nulla. So semplicemente stabilire delle differenze. Quando ho fatto le mie prime compressioni, non le ho chiamate sculture, le ho chiamate compressioni. E Arman, non ha mai detto delle sue accumulazioni che fossero nient’altro che delle accumulazioni. E Raynaud non ha parlato che di vasi a proposito dei suoi vasi, e lo stesso per Bernar Venet. a proposito delle sue linee.

Ma attenzione! Non dico neppure che la scultura sia unicamente la statuaria. Ho imparato i trucchi della statuaria, ho imparato a disegnare, in breve ho acquisito una padronanza, e dopo, vivendo, siccome sono un uomo curioso, che viaggia e che visita le esposizioni, mi sono posto tutto un mucchio di domande.

Da dove veniamo noi, noi gli scultori contemporanei? Noi veniamo da Dada, da Duchamp, dai surrealisti. Nessuno ha mai inventato niente da solo: noi siamo gli eredi gli uni dagli altri. Ed io, nel mio piccolo dominio, quando mi sono appropriato della mia prima compressione, si aveva giustamente ragione ad assimilarlo ad un gesto dada. D’altra parte sono stato molto legato al movimento. Sono stato amico di Man Ray, di Max Ernst e dei surrealisti. Senza parlare di Giacometti di cui sono stato quasi vicino di pianerottolo. Ho visto spesso Mirò anche. Tutto questo, è la realtà della mia vita e questa ha plasmato la mia maniera di apprendere l’oggetto. Che non si venga a dirmi che gli altri sono vergini. Sono come me: vengono da là in una maniera o l’altra.

Tutto questo per dire che, anche nel momento delle compressioni e delle espansioni che apparivano come un linguaggio quantitativo, sono rimasto uno scultore. Le compressioni di César sono prima d’ogni cosa le compressioni di uno scultore che si chiama César. Sono un classico perchè io intervengo, io dirigo durante il processo della compressione: non è del tutto un atteggiamento d’avanguardia.

     César. "Compression Ricard" (1962). Compressione di rottami d'automobile. 153 x 73 x 65 cm. Musèe National d'Art Moderne - Centre Georges Pompidou, Paris. PHOTO: MNAM Centre Georges Pompidou.

Quelli che pretendono di andare più lontano non fanno in realtà piu nulla. E’ verso il nulla che sono diretti. Io non vado più lontano; io resto in contatto con la materia e la controllo. Questo perchè le compressioni sono vere opere di scultore, e io non vedo perchè avrei dovuto astenermi dal fare delle compressioni. Arrivo ora dall’averne fatta una grande, a NÐ mes, per il museo di Bob Calle, e questa è stata mostrata in pubblico. Il sindaco e la popolazione erano là. Tutti erano contenti ed io anche. Colui che giudica che le sole mie compressioni degli anni 60 sono valide e che io non ho il diritto di farne ora è un imbecille, ecco tutto. Non ha compreso che l’arte è una questione di piacere e che io provo lo stesso piacere a realizzare ognuna delle mie opere. Per esempio, mi sono molto divertito a fare le mie variazioni sul tema del ritratto di Gustave Eiffel.

Nei concettuali e minimalisti, non solo non c’è contatto con la materia, nessun lavoro e nessun’abilità, ma ci si scoccia anche. Non c’è né piacere né mestiere in loro, e questo si vede.

Ho visto lavorare Giacometti e Picasso. Essi accettavano la lotta con la materia, e dunque il rischio di fallire, e questo arrivava, e quando si faceva cilecca gettavano tutto via. I concettuali e i minimalisti, non possono fallire! Non sono che delle idee, eventualmente realizzate da altri. Giacometti e Picasso non avrebbero mai avuto l’idea di far realizzare una loro idea da parte di un altro: era assolutamente inconcepibile.

Una scultura, fallita, tutti vedono che è fallita e che non lascierà traccia nella storia. Nei minimalisti, il problema è risolto, poichè è intrattabile: ma scommetto forte che questi non sopravviveranno al passare del tempo.

Lo scultore ha bisogno di intervenire lui stesso nella materia. Per me, che sia il ferro, il marmo, la plastica o il bronzo - che tratto come il ferro in fonderia - è sempre lo stesso piacere di intervenire. Certamente non mi prendo né per Picasso né per Giacometti, e m’infastiderebbe prendermi per un grande, perchè questo m’impedirebbe di vivere.

 

Conversazione raccolta da Jean-Luc Chalumeau, pubblicata in OPUS n° l20 luglio-agosto 1990, tradotto dal francese.


CÉSAR

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