Pierre Restany

La seconda generazione


Gérard Deschamps, già autore d’interessanti esperimenti sulla materia, ispirate alla pittura materica e all’Art Brut nello stesso tempo, si è specializzato nella biancheria femminile. Le sue accumulazioni di reggiseni, corsetti, guaine, culottes e seni finti sono alquanto suggestive e non mancano di sortire il loro effetto. Tra l’altro sono valse a procurargli diverse complicazioni giudiziarie che ne hanno fatto l’artista più proibito dell’Europa occidentale.

     Deschamps. Les Chiffons de La Châtre - Corsets roses, printemps 1960  (1962). Lingerie femminile. 130 x 145 x 10 cm. Collection  Musée d'art Moderne, Centre Georges Pompidou, Paris. PHOTO: André Morain.

In seguito ha messo da parte queste composizioni troppo volute e si è volto ad una deconcettualizzàzione dell’oggetto con i chiffons, assemblages di tessuti stampati, sgualciti, o distesi in piano che giocano liberamente per la tessitura, le forme, i disegni. Infine, influenzato da Hains, ha puntato ad una depurazione del proprio gesto appropriativo, limitandosi a sottolineare il valore plastico intrinseco dell’oggetto. La scoperta effettuata presso un concessionario di vecchi stocks americani di teloni per aerodromi di campagna è stata decisiva: ne ha, infatti, selezionata tutta una serie. Sono dei ready-made informali, creazioni poetiche della muffa e delle rosicchiature del tempo su toni rosso e arancio, una volta fosforescenti. Il risultato è reso estremamente attraente dall’alta capacità selettiva che vi si evidenzia. Nelle sue ultime ricerche, egli ha adoperato delle trame metalliche a reticolato (alla maniera di Lichtenstein), le cui aperture, per un gioco di sovrapposizioni di lastre, producono effetti di vibrazione ottica: le sue gigantesche barrettes di decorazione, presentate alla biennale di Parigi nel 1965, fecero sensazione. Poi più nulla. Deschamps è un artista con un seguito, lontano dall’aver esplicato il massimo delle sue possibilità.

Christo (Christo Javatcheff, nato nel 1935) è un giovane bulgaro approdato in Francia nel 1958. Dopo l’inevitabile tentazione barocca della pittura materica, egli si avvia risolutamente in direzione dell’oggetto. Il gesto appropriativo di Christo è duplice: impacchettamento e allineamento. Egli avvolge oggetti usuali, dalla bottiglia alla motocicletta. Questa maniera di presentare l’oggetto, occultandolo, lo rende curiosamente irreale, col rischio di farne un feticcio e di ritualizzare il gesto appropriativo. L’altra forma è molto più netta e immune da ambiguità: colpito dal valore architettonico dei bidoni di benzina accumulati sulle banchine dei porti, egli ha cercato di ricrearne la presenza plastica, procedendo all’allineamento di diverse file di fusti metallici. Il 27 giugno 1962, alle nove di sera, la rue Visconti, all’altezza della rue de Seine, è barricata, per suo volere, da un MUR DE TONNEAUX. (Una replica fu esposta per quindici giorni alla galleria J).

La dimostrazione delle possibilità architettoniche del materiale è conseguente: eleganza, articolazioni solide, unità nella diversità (giacchè ogni bidone aveva una sua particolare morfologia plastica, una sua materia ed un colore dati dal grado d’ossidazione del metallo, dall’uso fattone dal fondo...). E’ auspicabile che qualche architetto conceda a Christo la possibilità di usare la sua idea in questo senso. Il muro di bidoni s’inserirebbe perfettamente in un’architettura funzionale tipo station-service, legata alla strada e alla filosofia del carburante. Riportando su tale scala il gesto dell’imballaggio, da tempo Christo pensava di impacchettare dei monumenti pubblici: il suo sogno è stato finalmente esaudito a Minneapolis negli U.S.A., il 29 ottobre 1966 un elicottero ha deposto davanti alla School of arts della città un monumentale empaquetage di 3500 piedi cubici. A New York, dove si è stabilito dal 1964, ha presentato, da Leo Castelli, una mostra sul tema degli stores-fronts, vetrine di negozi in grandezza naturale, VUOTE e ricoperte di un panno fino ai tre quarti dell’altezza. L’idea delle vetrine cieche gli era venuta a Parigi qualche mese prima della sua partenza e in Europa aveva realizzato i primi esemplari. Ora ha approfondito le primitive intuizioni e le sua visione si è consolidata in perfetta coerenza. Gli store-fronts s’inscrivono nella logica architettonica del pensiero creativo di Christo. Per le dimensioni, l’eventuale ripetizione, il gioco di colori tra i fianchi e la fronte, la disposizione della porta in rapporto alla facciata, l’importanza esteriore del sistema d’apertura, ogni store-front è un’architettura-scultura, un environment particolare. Ogni environment crea un condizionamento dello spettatore, stabilendo, per tal via, la comunicazione, lo stretto legame organico tra l’uomo e la realtà d’oggi, tra lo spettatore e il contesto sociologico.

     Christo. "Purple Store Front" (1964)

Per la presenza plastica e la varietà delle soluzioni proposte, Christo consegue la diversità nell’unità stilistica di tutta la sua opera. Il gioco degli strumenti è ridotto al minimo (colori, proporzioni, varianti architettoniche) ma il registro è singolarmente efficiente. Un’inclinazione profonda, deliziosa e affascinante per il feticismo del vuoto, emana da queste vetrine eternamente nuove, inutilizzate, non sistemate: l’autore ne è preso allo stesso modo dello spettatore. Ma il feticismo - è tutto lì - risulta notevolmente compensato, dinamizzato e superato grazie al concatenarsi della presentazione, per la definizione dei termini di comunicazione e con la strutturazione medesima dell’environment.

Quando crediamo di essere stati invitati alla contemplazione di una zona di sensibilità pittorica immateriale, contenuta nella vetrina, scopriamo che le nostre reazioni sono del tutto diverse e che le vere motivazioni si stabiliscono a partire da elementi visuali ripartiti e distribuiti molto attentamente a questo scopo. Siamo, in definitiva, condizionati da uno spazio che è la nostra stessa volizione a rendere dinamico (il desiderio di penetrare nel colore, di aprire la porta, di guardare al di là del panno, di toccare il vetro, di romperlo, ecc.). Questo stesso spazio psico-sensoriale è determinato da un quadro materiale e pluridimensionale: l’environment. La sostanziale realtà dello store-front è in questo spazio colorato e costruito, che stimola le nostre reazioni e suscita la comunicazione attraverso la gamma delle varie attitudini che provoca in noi. Le opere di Christo, esistenti in sè come rilievi d’assemblage, o sculture volumetriche, o ancora come architetture realizzate su scala normale, sono anche e soprattutto dei CATALIZZATORI DEL COMPORTAMENTO.

Per la sempre crescente chiarezza delle proprie scelte, Deschamps e Christo si sono accostati al Nouveau Réalisme, al punto da integrarvisi e di partecipare alle ultime manifestazioni ufficiali del gruppo. Al di là del gesto di appropriazione, che è fondamentale, tutto dipende dal linguaggio dell’oggetto, dal linguaggio che il suo inventore gli fa parlare. Con questo particolare trattamento, con l’ordinamento di un’originale sintassi espressiva, il pensiero creatore riacquista i suoi diritti e scaturisce la poesia. In questo laboratorio mentale il voyeur diventa demiurgo.

Il problema del linguaggio, posto in termini così chiari dai Nouveaux Réalistes, suscita ogni giorno nuove avventure, quelle degli oggettori, come li ha scherzosamente definiti Alain Jouffroy, i quali provengono da tutti i paesi d’Europa, senza parlare del Giappone e dell’America del Sud. Le loro attività comprendono forme più o meno articolate di composizioni, montaggi e strutture. Stiamo assistendo ad un rilancio generale dell’avventura dell’oggetto.

(pubblicato in NUOVO REALISMO di P.Restany 1973).


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DESCHAMPS

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