Pierre Restany

Martial Raysse e l’igiene della visione


A trent’anni Martial Raysse (nato nel 1936 a Golfe-Juan) è già il prodigio della pittura francese, l’outsider che batte i veterani sul traguardo. La sua carriera, legata strettamente agli sviluppi della sua opera, è stata folgorante: è iniziata nel 1960 e tutto si è svolto tra Nizza, Los Angeles e New York. Parigi l’ha consacrato in ritardo e tramite una galleria americana operante in Francia, la galleria Jolas. In seguito alla sensazionale retrospettiva organizzata dallo Stedelijk Museum di Amsterdam nell’ottobre del 1965, il Tout-Paris dell’arte gli ha decretato un vero trionfo nel marzo del 1966 durante la prova generale dei balletti di Roland Petit, delle cui scenografie egli era autore con Niki de Saint-Phalle e Jean Tinguely.

La gloria a trent’anni! C’è di che far sognare tutti i falliti di Montparnasse. Martial Raysse ha fatto ampio uso del privilegio che è appannaggio del vero talento, nel bruciare tutte le tappe.

Viene in mente Velasquez, ritrattista di Filippo IV a ventiquattro anni; Raffaello, che a venticinque anni decorava le Stanze di Giulio II, Chardin, che a ventinove anni era accolto nell’Académie.

L’esordio della grande avventura avvenne nel 1960 con la fondazione del gruppo dei Nouveaux Réalistes alla quale partecipò. Può sorprendere l’adesione dell’artista nizzardo ad un programma d’azione collettivo, in evidente contraddizione con l’acceso individualismo del suo carattere. In realtà, a contatto con gli amici Yves Klein e Arman, il Nouveau Réalisme è stato per Raysse una sorta di rivelazione, l’occasione irripetibile per un colpo d’occhio nuovo sul mondo, o, per citare le sue parole, un higiène de la vision. (...) Lo affascina la profusione colorata dell’articolo di serie, la ricchezza delle vetrine, la marea di prodotti nuovi nei grandi magazzini. Desideravo - dichiarerà più tardi - che le mie opere recassero in se la serena evidenza di un frigorifero di serie, nuove, asettiche, inalterabili.

Per cominciare, realizza delle sculture cumulative, componendo materiali eterocliti con pochi punti di fusione precisi ma discreti: l’apparente fantasia del caso era, di fatto, sottomessa ad una stretta e unitaria coerenza nella quale trovava posto anche il particolare stridente o imprevisto. Da un materiale sintetico, leggero, dai colori volgari e chiassosi, egli ha saputo ricavare delle autentiche sculture, dalle forme equilibrate e dai volumi estremamente controllati. L’innato istinto di scultore gli ha consentito di trascendere quel materiale ingrato e deludente, di comunicargli una presenza ed una dignità nuove. Una presenza che all’inizio può sembrare fragile, ma che ben presto s’impone per la sua precisa coerenza, suscitando in noi risonanze insospettate e arricchendo la nostra percezione di un coefficiente di gioia spumeggiante e di calda allegria. Martial Raysse ha la capacità di esaltare il valore espressivo del materiale che ha scelto, e questo ritorno all’affettività sommersa dell’infanzia non è l’attrattiva minore dell’avventura.

Nel corso del festival del Nouveau Réalisme a Nizza, nel 1961, non potè resistere alla tentazione di realizzare il suo pieno nelle sale della galleria Muratore. Ma, rispetto a quella di Arman a Parigi, la sua accumulazione non ambiva affatto al monumentale: era tutta nella vetrina, come una scenografia di vacanze felici, di sole e di mare, un environment all’americana (Kaprow), ma stile Costa Azzurra.

Sempre di più Raysse cede a questa ossessione della facciata, della vetrina, del montaggio pubblicitario. C’è in lui un vero proselitismo del FAR VEDERE.

Egli è il maestro di scuola, l’istruttore militante dell’igiene della visione. Alla seconda Biennale di Parigi (1961), dove avevo durato tutta la fatica del mondo per farlo invitare, presentò sotto questo titolo un mobile da esposizione dedicato all’Ambra Solare sormontato da un’immagine di bagnante, in grandezza naturale, di cartone colorato. Quel ready-made funzionale e complesso portava un irresistibile soffio d’aria pura, di salute e di sole in quel tortuoso dedalo sovraccarico di buona pittura laboriosa e soddisfatta. (...).

Rompendo con il tachisme dominante, ma anche con il sentimentalismo demagogico della junk culture anglo-sassone, il culto del detrito, la visione di Martial Raysse si organizza intorno ad un aspetto particolare della realtà, nell’organico contesto della sua vita quotidiana, su quella riviera nizzarda che è il suo paese natale e che rimane ancora oggi il suo ambiente di lavoro preferito. Infatti, egli sceglie la SUA realtà, scopre la SUA Costa Azzurra. Ossessionato, come tutti i mediterranei, dall’idea della morte, rifiuta di ammetterne l’ossessiva presenza nella sua pittura, rifiuta di speculare sul disfacimento cellulare. La sua opera esalterà la gioia di vivere, la libertà e il sole. La gioia di vivere in tutta la sua modernità e la sua inesauribile efficienza, con tutte le risorse della tecnologia e gli artifici della messa in scena.

In realtà, se Raysse ha tratto dal Nouveau Réalisme il fondamento di un linguaggio e il senso preciso della modernità, ben presto i suoi interessi assumeranno un orientamento ed uno sviluppo perfettamente autonomi. Nel 1962 si ha il culmine del primo periodo dominato dalla espressione quantitativa (accumulazioni di oggetti di plastica, scaffali di grandi magazzini, allestimenti di vetrine, effetti pubblicitari). Alla mostra collettiva organizzata allo Stedelijk Museum di Amsterdam per la partenza di W. Sandberg (Dylaby), presenta la Raysse Beach, una piscina-assemblage, con boe e fotografie di bagnanti in grandezza naturale sul tema della spiaggia, il tutto dominato da una grande insegna al neon. E’ la prima volta che l’artista nizzardo adopera il neon nella scultura e il segno-insegna Raysse Beach è la prima di una serie di opere concepite in funzione delle possibilità plastiche intrinseche a questo materiale luminoso. Raysse si trasforma in mago demiurgo nell’organizzare le metamorfosi elettriche delle sue sculture al neon, realizzate parallelamente alle ricerche pittoriche.

L’environment della spiaggia è ripreso nel novembre del 1962 a New York e di lì Raysse raggiunge la California del Sud (Los Angeles) che vede molto vicina alla Riviera di Nizza.

In quell’occasione si produce in lui l’apertura liberatrice, con l’intuizione dell’esistenza di un indice qualitativo al di là della quantità, ma inseparabile da essa. Come Yves Klein, anch’egli cercherà la sua strada attraverso il colore e la sua impregnazione, un colore visto come realtà tangibile: le sue bagnanti sulla spiaggia sono sature di luce. Ma il colore si inscrive nel quadro di una realtà organizzata, creata dagli uomini per sè e a propria immagine.

Da Nizza a Los Angeles la natura di Raysse spiega le sue ricchezze fastose, le sue perle al neon, il lusso delle sue città, lo splendore del suo sole, il blu addomesticato del suo cielo e del suo mare: una natura estremamente sofisticata, ma il segreto della bellezza Raysse-made è proprio in quell’artificio.

     Raysse. "Souviens-toi de Tahiti, France"  (1963)

Su queste basi naturalistiche Martial Raysse ha maturato, con la folgorante rapidità che è esclusivo appannaggio dei grandi, un’autentica filosofia della visione: un istinto vitale portato in uno sguardo sul mondo. La semplicità dei mezzi adoperati è pari alla loro efficienza: interna strutturazione dell’immagine impiego di un colore vaporizzato e fluorescente, effetti luminosi artificiali (luce elettrica e neon). La pittura, per Raysse, è innanzi tutto ricerca di una nuova struttura spaziale: tutto il resto vi è subordinato. L’ingrandimento fotografico dei visi o dei corpi origina una nuova sensualità e monumentalità nella presenza umana.

Il colore distribuito col vaporizzatore, scelto nei toni più alti e più vivi (arancio, rosso carminio, verde acido, blu oltremare, viola scuro) delimita i contorni e separa la realtà tangibile dallo spazio circostante. L’impiego del neon per dar risalto ad una forma nello spazio, impreziosire taluni effetti tono su tono o determinare una scomposizione locale del colore per il contrasto della fluorescenza, arricchisce la scala cromatica di una gamma supplementare di modulazioni.

La strutturazione dello spazio tangibile è ottenuta con la sovrapposizione di piani giustapposti in profondità o in spessore, oppure ritagliando forme e profili in profondità: alcuni quadri-assemblages del 1964-1965 comportano una decina di piani differenziati a diversi livelli; altri comprendono una zona-schermo adibita alla proiezione incessante di immagini di un film. Infine, per ottenere effetti supplementari di opacità o di lucidità, Raysse si è servito del flocage (tessuto plastico vaporizzato direttamente). In occasione della trentaseiesima Biennale di Venezia (1966), alla quale era invitato per la sezione francese, Raysse realizzava una gigantesca composizione distorta, concepita per arredare una parete della sala a sua disposizione.

(...). Per Martial Raysse, come per chiunque abbia saputo scegliere e consolidare la propria visione del mondo, non esistono differenze tra il sogno e la realtà, tra la realtà e la finzione: tutto è creazione pura. Viene fatto di pensare al grande fauve la cui arte culminò, al tramonto della sua vita, in una festa del colore e nel trionfo dell’arabesco, le carte ritagliate...

E’ chiarissimo: il Nouveau Réalisme ha dato alla Francia e al XX° secolo un nuovo Matisse.

 

Pubblicato in: NUOVO REALISMO di P.Restany, 1973.


Martial RAYSSE

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