L'IMPEGNO - SOCCORSO CIVILE NOVARESE

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NOVARA DI SICILIA  (ME) ITALY

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COME SI ARRIVA A NOVARA DI SICILIA

    Adagiata su un dirupo calcareo da cui domina la vallata che giunge sino al Tirreno, Novara S. è un pittoresco centro montano di oltre 2.000 ab., a 675 mt s.l.m.

    Per raggiungerlo, provenendo da Catania, si può utilizzare lo svincolo di Giardini N. sulla A 18 CT-ME e puntare su Francavilla di S. verso Novara S.

Da Messina, invece, si può utilizzare lo svincolo di Barcellona P.G. dalla A20 ME-PA, attraversare gli abitati di Terme e di San Biagio a mezzo dello SS 113 (ME-PA) e, imboccata la SS 185 al bivio Salicà, proseguire per Mazzarrà S. Andrea per Novara S. Provenendo da Palermo va utilizzato, invece, l'accesso dalla A 20 PA-ME svincolo di Falcone sulla SS 113 (PA-ME) da cui, dopo aver sfiorato la cittadina di Furnari, passando il nuovo ponte sul Torrente Mazzarrà S.A., si perviene a Novara a mezzo della SS 185. 

   Noa, vocabolo di origine sicana, significa maggese ad indicare la cospicua produzione di frumento che caratterizzò la colonizzazione greca e che, in seguito, con i Romani fece di Noa una città censoria e poi stipendiaria.

Nel periodo arabo-normanno, da Noa si passò a Nouah e il sito di Novara centro da Casalini fu spostato al Castello, posto a presidio della zona.

    Tuttavia, vista l'inadeguatezza del sito è facile pensare che vi fosse una duplice zona: quella bizantina civile di agricoltori del Cittadella che continuava il processo evolutivo dell'antica Noa insieme alla parte bizantina religiosa e la Nouah degli Arabi del Castello. La zona araba subì, più tardi, gli influssi delle dominazioni dei Lombardi, mentre quella greca di S. Giacomo e S. Nicola con S. Basilio vide l’insediamento dei Cistercensi.

    La dominazione lombarda contribuì o creare una civiltà unitaria fra il 1061 e il 1072, da cui si sviluppò la Novara moderna e, soprattutto, la nuovo lingua: il dialetto gallo-italico parlato ancora oggi. 

    A fine '800 Il gallo-italico si sarebbe conservato soprattutto nei villaggi. Col processo evolutivo storico-sociale e politico-economico, di epoca in epoca si ebbero le varianti al nome anche per la Nouah degli Arabi. Così dal Medioevo, per Janauscek, di documento in documento, ritroviamo: Nucaria, La Nuara, la Nucharia, Nugaria, Nutaria, Nutharia, Nacarai, Noara fino alla definitiva trasformazione in Novara. Ma non fu solo la nuova lingua a nascere e l'antico nome di Noa a trasformarsi, bensì vennero gettate le basi per la libertà economica e civile.

si, bensì vennero gettate le basi per la libertà economica e civile.

NOVARA ED I SUOI FIGLI

    Novara, nel tempo ha evidenziato sempre la genialità artistica dei suoi figli, perfino attraverso l'esercizio di attività non propriamente definite nobili ma che, comunque, lo sono diventate grazie all'abilità degli artigiani esecutori. Fra costoro, in particolare modo, si annoverano gli Scalpellini, artisti del taglio e della lavorazione della pietra, le cui origini affondano nel passato. Essi, non solo diedero vita ad una delle più riverite maestranze, apprezzata in tutta la Sicilia, al Nord Italia e persino all'estero, ma contribuirono, soprattutto, a dare un notevole impulso allo sviluppo artistico del paese, sì da farlo distinguere principalmente come il Paese di Pietra. Gli Scalpellini, provetti nell'intaglio della pietra, con l'800 e i primi del '900, raggiunsero una perfetta espressione d'arte, grazie anche all'apporto dato dalla scuola dei Buemi, entrambi scultori novaresi, conosciuti in campo internazionale.

    Si ebbe, infatti,in questo periodo un rinnovamento della società novarese. Sorgeva la Società operaia già fandata il 29/6/881 e ricostituita l’8/5/903, sulla cui scia giungono le correnti nuove con l’Amministrazione dell'Ing. Scandurra. Lo sviluppo edilizio del centro s'incrementò notevolmente, soprattutto per le rimesse degli emigranti.

    Il fenomeno dell'emigrazione novarese è stato del massimo rilievo e i valorosi artigiani novaresi si sparsero nel mondo, ovunque portando la loro perizia e serietà. Con la Novara di pietra sorgono i palazzi privati e le case signorili. Ma l'opera di questi artisti della pietra è testimoniata principalmente dai bellissimi portaIi delle chiese di San Nicolò, S. Antonio, S. Giorgio, della Madre Chiesa, dalle colonne monolitiche e dai sovrastanti capitelli all'interno di molte chiese, nonché dalle cornici dei balconi, e dalle mensole e dai supporti sottostanti chiamati "cagnò" degli antichi palazzi: tutte queste opere di rilievo realizzate dal '500 al '700, ovviamente, precedono l'affinamento dei "Maestri" verificatosi nell'800. L'immagine del Paese di Pietro viene data soprattutto dalle tante strade (un tempo tutte quelle del centro storico e alcune dei villaggi) in basole e acciottolato, tutte pregevoli opere degli Scalpellini. Nell'ultimo trentennio il cemento, l'asfalto e la pietra lavica hanno deturpato molte di quelle strade, ma da alcuni anni l'insipienza si è attenuata e si va riformando la cultura di quest'arte, tant'è che qualche strada è stata recuperata, come la Via S. Francesco, o restaurata come la Via Duomo e la Piazza Crispi.

    Le decine di scalpellini, vanto di Novara, che per oltre 4 secoli avevano costituito una gloriosa corporazione artigiana, tramandandosi il mestiere di padre in figlio, come si fa con un bene prezioso, oggi sono del tutto scomparsi. Molti di essi passarono, agli inizi del secolo, a fare i minatori e gli scavatori di gallerie in ogni parte del mondo. Invero, pero, col riformarsi della cultura della pietra, si nota una ripresa dell'antica attività: l'arte dello scalpellino che il novarese si porta nel sangue è cominciata a riaffiorare in quanti si dedicano al restauro delle strade o alla costruzione di qualche villa stile ‘800.

ESTRAZIONE E LAVORAZIONE DELLA PIETRA

    Gli Scalpellini lavoravano maggiormente la pietra arenaria che prelevavano dal torrente Chiappera e la pietra rossa marmorea "cipollino" che estraevano dalla Rocca "'o Sgricciu". Dopo aver scelto il blocco di pietra a loro occorrente, i tagliatori Io spaccavano in punti precisi con mazze di ferro e "cugni". Il blocco veniva poi poggiata su travi unte con grasso o, in mancanza, con pale di fichi d'india schiacciate, al fine di facilitarne la scorrevolezza. Si arrivava così sino alla strada rotabile ove il blocco veniva trasportato fino al luogo dove si effettuava la lavorazione vera e propria. La pietra, sia grezza che manufatta, veniva esportata ovunque nell'isola e fuori di essa. Negli ultimi decenni l'artigianato ha subito a Novara, come del resto altrove, profonde trasformazioni legate al progressivo scomparire di tutto un mondo culturale, per cui molti antichi mestieri compresa quello degli scalpellini poco saggiamente, si sono perduti insieme quelli che, per il loro contenuto servile, andavano giustamente abbandonati.

    A riprova della perduta grandezza, Novara ha, fra suoi edifici pubblici, il Teatro C.le "R. Casalaina", la cui costruzione risale al 1700 ma che, della sua struttura originaria in legno, ha conservato soltanto la forma classica a ferro di cavallo. L'edificio internamente era costituito da 22 palchetti in legno e dal loggione. Nell'anno '58 la vecchia opera venne demolita e ricostruita in cemento armato. Fu ingrandita la sala, furono realizzate sei "barcacce", 36 palchi su 3 file, i camerini per gli artisti, il bouffet. Soltanto il palcoscenico non fu reso funzionante e idoneo e la struttura manca, tutt'oggi, di accorgimenti tecnici atti a garantire la agibilità. Il Teatro, luogo di incontro di tutte le generazioni, oltre ad avere contribuito a costruire la realtà culturale e artistica del luogo, ha sempre richiamato l'attenzione di tutti gli appassionati. Sulle scene di questa "bomboniera" si sono susseguite nel tempo numerose compagnie: da Rosina Anselmo a Giovanni Grasso, da Lelio e Libassi a Zappalà, per finire con Massimo Mollica, Turi Ferro e Musumeci.

    Il Teatro fu intitolato a Riccardo Casalaina, il musicista e compositore novarese, scomparso a soli 26 anni nel terremoto di Messina del 1908. Il giovane Riccardo, nel corso della sua breve, ma intensa e vibrante esistenza, ebbe due grandi amori: la Musica e la Moglie, la milazzese Dora Lucifero, perita con lui nella tragedia di Messina che stroncò brutalmente il cammino di un genio verso la Grande Arte, non impedendogli, tuttavia di lasciare ai posteri una ricca produzione apprezzata da Mascagni e Leoncavallo;

    Antichissima è la tradizione del veglione di carnevale, ospitato nel teatro. Ogni anno, per parecchie sere, una folla euforica si spandeva nella platea, adibita a pista da ballo, ammirava le coloratissime maschere, ricambiando le visite da un palco all'altro. Alla "pausa di mezzanotte" ogni famiglia offriva ai propri ospiti ottimi dolci e delizie d'ogni sorta ("'u schiticchiu"). A pancia piena, poi, i "ballerini" più capaci intrecciavano al suono di melodie locali, la caratteristica "contradanza" diretta in francese.

I MULINI AD ACQUA

    Lungo il corso del Torrente S. Giorgio, che riceve le acque delle fonti del Ladone e Judirussu, un tempo erano collocati numerosi Mulini idraulici, oggi quasi del tutto distrutti, se non per alcuni sparuti esemplari di proprietà privata.

    Le antiche costruzioni, di cui restano i palmenti e i ruderi del fabbricato, erano situate sotto il Castello nella contrada denominata appunto "Mulini".

    Di più recente fattura erano quelle site in C.da Ruzzolina e in C.da Corte Soprana. Il mulino di Corte Sottana, forse il più antico, veniva alimentato dalle acque concesse dal Duca d'Angiò.

    Di come fosse diffusa l'attività dei mulini, connessa ad una notevole produzione di frumentarie, lo attesta Io storico Borghese che indica come il ruscello di Ruzzolino, discendente dal Ladone, consentisse il movimento di ben 14 mulini! L'esistenza di un mulino idraulico, costruito nel territorio di Novara in anni precedenti al 1399, è documentata da un atto di vendita notarile del periodo medievale. Questo concorda con le ricerche degli studiosi che affermano che lo massima diffusione del mulino avvenne proprio nel Medioevo a causa di una notevole diminuzione della forzo-lavoro, motivata dal calo dell'indice demografico.

    Carestie, pestilenze, abbandono delle campagne si sono verificati anche nel territorio novarese poiché Novara, come gli altri feudi siciliani, venne coinvolto nella lotta per l'appropriazione delle terre ora da parte del demanio Regio, ora da parte di quello baronale.

    Gli anziani oggi ricordano il fascino che esercitavano i mulini con le loro colte e le gore, e con i margoni seminascosti tra l'edera verdeggiante e il capelvenere.

    A partire dai primi del Novecento, il sovradimensionamento del numero dei mulini, rispetto alla domanda di macinazione di pochi tumuli, come si legge in un ricorso del 1931 al Prefetto di Messina, i forti oneri fiscali in rapporto alle entrate, costringono all'abbandono graduale dell'attività molitoria.

    Non più considerati, sotto il profilo economico di interesse collettivo, anche per l'istallazione di un mulino elettrico nel Centro (quello di Mattafuri) e di un altro successivamente nella frazione S. Marco bastanti al fabbisogno della domanda, i vecchi mulini negli Anni '60 sono, infine, privati della poca acqua deviata per esigenze idriche dell'abitato. L'ultimo mulino realizzato con sistema idraulico che sospese la sua attività nel 1980 è quello situato in località Rocca Oliva di Badiavecchia ( ora di proprietà dell'avv.Gaetano Mercadante), di recente restaurato, grazie anche ad un finanziamento comunitario " Leader II - G.A.L. Fiume Alcantara" ( progetto e D.L. dello studio tecnico geom. G. Sofia ). Esercente negli ultimi anni è stato iI Sig. Michele Scardino (Mastru Micheri) aiutato dal genero Sig. Salvatore Munafò.

FUNZIONAMENTO DEI MULINI CON SISTEMA IDRAULICO

    L'acqua convogliata, attraverso le gore, nelle colte passava nel profondo bottaccio rettangolare.

    Regolato il flusso con la caterratta di latta, l'acqua, attraverso un foro praticato in un legno di gelso, con forte pressione, metteva in moto la ruota a penna, posata sulla capitagna che era in comunicazione con i due palmenti del mulino, uno fisso e l’altro mobile che, sotto Ia spinta dell'acqua giravano e macinavano il frumento introdotto nella tramoggia. Dalla tramoggia il grano scendeva in un rettangolo di legno bordato mentre la battola, arnese di canna, si alzava e abbassava permettendo al grano di arrivare fra i palmenti che, ruotando, lo trituravano.

    L'acqua attraverso il margone, si avviava alla successiva gora per far funzionare l'altro mulino più a valle.

IL MULINO A MANO

    Anche il mulino a mano "centimulo" ("cintimèu" in gergo) non viene più usato, sebbene ve ne siano diversi esemplari. Esso era costituito da una pietra rotonda posata sopra un'altra pietra a bordi rialzati tutto attorno e con un versante laterale per far cadere la farina. La pietra superiore veniva fatta girare per mezzo di una manovella e triturava il frumento che veniva immesso a mano dentro una specie di imbuto in mezzo alla mola superiore.

    La farina ottenuta veniva utilizzata per la preparazione di un'antica e prelibata pietanza "u ‘cintimmi" dal nome dell'attrezzo utilizzato.

IL MAIORCHINO

    La prima Manifestazione Popolare della "Maiorchina" a Novara di Sicilia, dovette fare la sua comparsa nel primo trentennio del 1600, epoca in cui cominciava ad essere battuta dai pedoni e dagli animali la strada che va dall'inizio della discesa della Matrice a Piano Don Michele. Si ritiene che il gioco della Maiorchina non poteva esistere prima, per la difficoltà di praticarlo nell'angusta via del Passitto, con i suoi vicoli ciechi.

    Il gioco, consiste nel lanciare una ruzzola di cacio (formaggio pecorino stagionato) lungo il citato percorso fra vari contendenti e numerosi scommettitori. Chi raggiunge il traguardo ("salva") con meno lanci è il vincitore

    Il gioco si svolge nel periodo carnevalesco, per cui ai vincitori riesce più gustoso il pasto con i maccheroni di casa su cui viene sparso a grosse manciate il formaggio vinto e grattugiato. Ai margini della strada, teatro e ribalto del gioco, si assiepa tanta folla che, fra l'altro, pronostica pro e contro il possibile vincitore e su il totale dei tiri con la ruzzola fra i vari contendenti. Il tradizionale gioco riserva molti imprevisti e trabocchetti per cui non vi è mai certezza di vittoria da parte delle squadre di giocatori; Molto spesso accade che i meno esperti prevalgono sui veterani. Fatto "il tocco" tra giocatori, alla maiorchina viene attorcigliato un laccio di circa 1.00 - 1.20 mt. ~ srotolandosi le imprime una notevole forza. Tirata con il laccio "lazzata", la forma di cacio rotola, saltella, rimbomba lungo la strada, immettendosi nei vicoli non previsti, tombolando sotto le case, incombenti su profonde cavità dette "catafucchi" da cui difficilmente, anche i più esperti giocatori, riescono a risolllevarla. Così lungo il vallone Falanga e lungo la via che porta al Piano Don Michele.

LA SAGRA

    Durante tutti i pomeriggi della settimana di Carnevale, con il ritmato andirivieni dei contendenti dalla "Cantuéa da chiazza" (inizio via Duomo) alla "Salva" - percorso del Maiorchino – si svolge il gioco popolare con gronde concorso di pubblico. Numerosa è la partecipazione di giocatori anche non locali e di curiosi dei paesi vicini alla vivace manifestazione che, in coincidenza con l’ultimo giorno di Carnevale, culmina nella Sagra con la Maccherronata e la pratica dimostrazione della preparazione della ricotta col metodo tradizionale, usato dai pastori del luogo. Poiché si è riscontrato, specie negli ultimi anni, un grande afflusso di pubblico per la gaiezza e la festosità dello "spettacolo", è subentrato l'uso di riproporre l'intero manifestazione anche in versione estiva e più precisamente, nella settimana precedente il Ferragosto, ciò per consentire ai numerosi turisti di apprezzare la singolare tradizione che si rinnova da secoli, e soprattutto per rivalutare il tipico prodotto caseario novarese.

PREPARAZIONE E STAGIONATURA DEL MAIORCHINO

    Munto, il latte di pecora si filtra e si versa in un grosso recipiente di rame, "codara" che si pone sul fuoco a legna e si porta alla temperatura di circa 60 °C Raggiunta questa temperatura, si toglie il recipiente dal fuoco e si versa il "caglio", precedentemente sciolto in acqua tiepida e colato, si mesce il tutto e si copre il recipiente con pelle di pecora. Dopo circa un'ora, il tempo necessario per coagulare, si scopre il recipiente e con un arnese di legno dalla forma caratteristica, detto "brocca", si mescola la sostanza coagulata, detta "quagliata", fino a ridurla a finissime particelle. Quindi si rimette sul fuoco e, sempre mescolando, si porta alla temperatura di circa 100 °C.

    Fatto ciò si toglie nuovamente dal fuoco, si poggia il recipiente inclinato leggermente su un lato, e si aspetta per circa 20 minuti, affinché avvenga la decantazione delle particelle e si abbassi un po' la temperatura per poter effettuare le successive fasi della lavorazione. Scesa la temperatura intorno ai 50 °C. si impasta con le mani, la sostanza coagulata la si pone in una forma circolare di legna, detta "garbua", poggiata su un piano orizzontale. detto "mastrello". La forma viene plasmata con le mani, facendo attenzione a non creare crepe o pieghe, contemporaneamente bucherellandola con una sottile asta di legno e premendola in modo da far uscire gran parte del siero, detto "acciado". Il prodotto, così lavorato, è pronto per essere portato nei magazzini per la stagionatura. Dopo ventiquattr'ore dalla preparazione, il formaggio lievitato si cosparge da un lato di sale marino, e ogni tre giorni si ripete l'operazione, cambiando il lato, per un periodo che va dai 20 ai 30 giorni, a seconda delle dimensioni della forma. Superata questa fase, si passa alla pulitura e strofinatura periodica del formaggio per circa due mesi, usando l'accortezza di non poggiarlo sempre dallo stesso lato. Dopo tre mesi si effettua periodicamente l'oliatura, spalmando con le mani piccole quantità d'olio di oliva su tutta la forma. Una buona maiorchina si ottiene dopo circa 8 mesi di stagionatura e il peso classico deve oscillare fra i 10 e i 12 Kg, con uno spessore di 10-12 cm. e un diametro di 35 cm. Al taglio il prodotto si presenta compatto e omogeneo, ma allo stesso tempo morbido, dal caratteristico colore giallo della pasta casearia.

ESCURSIONI CONSIGLIATE:

LA ROCCA SALVATESTA

 Rocca di Novara o Pizzo di Novara, conosciuto anche come Rocca Salvatesta (1340 s.l.m.), e riportata sui testi di geogrofia come "Cervino della Sicilia", la cima più rappresentativa del territorio. Da qui si domina la profonda vallata che, come su accennato, si estende fino al mar Tirreno in un magnifico scenario nel quale spiccano le Isole Eolie.

La Rocca può essere raggiunta a piedi direttamente dall'abitato, per mezzo di un impervio e scosceso viottolo dopo circo 3 ore di cammino.

La vista da lassù è vastissima: dalle Eolie alla costa Calabro, all'Etna.

Caratteristiche di questo luogo sono "le neviere" o "fosse della neve", costituite da grandi buche scavate nel terreno, assai larghe e profonde che durante il periodo invernale venivano riempite di neve da utilizzare nella stagione estiva per Io preparazione dei gelati e per il raffreddamento di cibi e bevande. Queste grandi fosse di raccolta, molte delle quali ancora esistenti, si trovavano ai piedi e della Rocca Salvatesta e della Rocca Leone, quest'ultima insieme alla prima costituisce un unico massiccio di composizione dolomitico, ad un'altezza di oltre 1000 mt. s.I.m.

I "nivaò" erano gli uomini addetti alla conservazione della neve nelle enormi buche che venivano ricoperte da strati di felci e terra per essere poi riaperte nella stagione estiva, quando si provvedeva a trasportarne a valle il candido e prezioso contenuto in speciali sacchi di olona custoditi nelle cassette, sul dorso delle bestie da soma.

La seconda escursione è indirizzata verso Io grotta della Sperlinga, sito di eccezionale importanza dal punto di vista archeologico.

LA PINETA DI MANDRAZZI

E' d'obbligo per il visitatore, sensibile alla spettacolo che la natura offre in questi luoghi, cimentarsi in un'escursione verso la Pineta Mandrazzi. Essa costituisce con i fitti boschi di pini e ginestre uno dei più apprezzati patrimoni naturali della provincia Messinese. Lungo il percorso della SS 185 verso Catania, fino a Portella Pertusa (mt. 974 s.l.m.) è facile trovare la fresca acqua che sgorga rigogliosa dalle sorgive e mentre a destra si distendono scoscesi avvallamenti ricchi di vegetazione, sulla sinistra si stagliano le vette al di sopra dei 1000 mt. Al Km.176,5 a quota 1125 mt. s.l.m. Portella Mandrazzi, sullo spartiacque dei Nebrodi, in un meraviglioso scenario, offre uno suggestivo veduto dell'Etna.

IL PAESAGGIO, LA FLORA, LA FAUNA.

Elementi fortemente caratterizzanti del paesaggio naturale sono le dissimetrie dei vari versanti, la diversità di modellazione dei rilievi, la ricchissima vegetazione e gli ambienti umidi.

La varietà del territorio è motivato dal fatto che i Peloritani, in corrispondenza di Rocca Novara e Montagna Grande, modificano decisamente in senso orizzontale il loro clinale e fanno posto alla catena dei Nebrodi. Questo passaggio è, per molti aspetti, poco appariscente, dato che le due catene montuose tendono a costituire un unico complesso. Sul piano della costituzione geologica e delle forme dei rilievi, le differenze sono, però, abbastanza marcate

Ai Peloritani di natura cristallina seguono, infatti, i Nebrodi arenaceo-argillosi. A seguito delle fasi orogeniche e tettoniche, gli aspetti geo-morfologici del sito presentano peculiarità, meritevoli di conoscenza e salvaguardia.

La vegetazione è particolarmente ricca e varia, specie nelle zone più umide.

E' notevole la predominanza di terreni di origine autoctona (Rocca Salvatesta), con le rocce calcaree e le terre rosse, tipiche espressioni dei nostri climi.

L'orografia del terreno, unitamente al clima mediterraneo e all'altitudine hanno determinato la diffusa coltura del Nocciolo, avendo questa pianta un sistema radicale abbastanza sviluppato che svolge uno notevole funzione del trattenimento del terreno (funzione silvano). Il grande interesse naturalistico, ambientale, scientifico e culturale di questo territorio, uno dei polmoni verdi dell'isola, dipende dalla estesa presenza sulle catene montuose Nebro-Peloritane di un fitto monto boscoso.

Vale  sottolineare che i pascoli montani danno vita alla pastorizia, prevalentemente ovi-caprina, e alla conseguente produzione dei derivati del lotte (ricotta, provole, maiorchino, etc...) che, squisiti come sono, per via dello purezza e dello fresca temperatura dell'ambiente, costituiscono una delle più ricche risorse produttive della zona.

Le formazioni forestali più diffuse sono, oltre le pinete, le faggete d’alta quota, le cerrete e i querceti caducifogli nella fascia intermedia. Queste formazioni, nonostante siano degradate in varia misura dal disturbo recato dall'uomo, costituiscono cenosi di rilevante interesse vegetazionale, floro-faunistico oltre che paesaggistico.

L'azione dell'uomo con la pastorizia e i disboscamenti, se da un lato ha determinato la riduzione del manto boschivo, dall'altro, ha dato origine ai pascoli montani che arricchiscono la varietà ecosistemica dei luoghi.

Da tener in conto anche Ia notevole produzione di funghi in genere, con particolare attenzione alle specie Baletaceae, Manitaceae e Cantharellaceae (Porcini, Galluzzi, Ovuli e Protaioli) oltre la presenza di notevoli esemplari mangerecci appartenenti alle famiglie delle Polyphoraceae ("asca") che costituiscono le masse porose che vivono in simbiosi sui tronchi di querce o alberi da frutto in genere (ciliegio, pero, melo, etc. ..).

La presenza di valli, boschi, torrenti, etc... in condizioni di naturalità, garantisce la persistenza di un ricco patrimonio faunistico.

Difatti, questo è il territorio siciliano che fornisce le maggiori opportunità di sopravvivenza per numerose specie a rischio di estinzione nella nostra isola e, più in generale, in Europa, tra le quali spiccano il gatto selvatico, la martora e grandi rapaci come l'aquila reale. Il paesaggio naturale, inoltre, si intreccia profondamente con la presenza dell'uomo. Recinti, pagliai, antichi casolari in pietra, carbonaie, resti di terrazzamenti, muretti di confine in pietra sono elementi costitutivi del paesaggio e segno della storia dell'uomo di queste terre. Particolarmente interessanti nella struttura sono le radure a pascolo e le piccole aree coltivate che, inframezzate dalle verdi boscaglie, costituiscono insiemi di grande bellezza a testimonianza dell'antica armonia fra uomo e natura e che spingono a rinnovarne la piacevole esperienza.

Vecchi muri a secco, cascine abbandonate e costruzioni rurali costituiscono il rifugio ideale dei chirotteri, mentre un gran numero di volatili nidifica in questi ambienti: il gheppio, i rapaci notturni, il rondone, l'upupa, la taccola, mentre le pareti rocciose ospitano il nibbio, il lanario, il falco pellegrino, la poiana, il corvo imperiale e infine, nei tronchi secchi e cavi, trovano rifugio le svariate specie di picchi e la cincia bigia e mora.

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Aggiornato il: 27 gennaio 2004  

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