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Filippo Nibbi
Alfredo Allegri Filippo Nibbi Ospite 3  

 

FILIPPO NIBBI E LA "FANTASTICA"

 

(28 febbraio 1996) Pongo questa data per scrivere nel giorno che Fini disse a Dini: “Sei Pinocchio”.

Devo ricordare il laboratorio di poesia realizzato presso la sala “Lorenzo” della Biblioteca Nazionale di Firenze con la tecnica della Fantastica. Fui a Firenze quattro volte meravigliose, quasi cupolari,  per costruire un laboratorio di poesia formulato sulla base di un principio di Fantastica che si chiama “la libertà di essere dominati dall'oggetto”. Se i miei interlocutori fossero “nati domi”, cioè cupole: “Laghi di fiamma sotto / i domi azzurri” (Carducci), o più semplicemente operatori di Fantastica per i bambini, potrei ripetere loro sei punti che mi sembrano fondamentali:

Ogni bambino obbedisce al suggerimenti dell'oggetto che ha in mano (del “suo” giocattolo), imparando ad usarlo nel gioco cui è destinato, battendo tutti i sentieri che esso offre alle sue attività. Lo usa anche come mezzo per esprimersi, quasi incoraggiandolo a rappresentare i suoi drammi. Il giocattolo è lo scoiattolo del Gioco, il mondo che egli vuole conquistare e con il quale si misura; ma è anche una proiezione, un prolungamento della sua persona.

Inventare storie, fare “poesia come fare” con i giocattoli è quasi naturale, è una cosa che viene da sola. La poesia non è che un prolungamento, uno sviluppo, una esplosione degli scoiattoli del gioco.

L'operatore di Fantastica ha sul bambino, mentre gioca con lui, il vantaggio di disporre di un'esperienza più vasta, di poter spaziare più lontano con l'immaginazione. il gioco si arricchisce, conquista organicità e durata, si apre su nuovi orizzonti.

Non si tratta di giocare al posto del bambino, ma di giocare “con” lui e “per” lui... “in” lui, per stimolare la sua capacità inventiva messa in gioco come nella messa, per consegnargli nuovi strumenti che userà mentre gioca da solo, per insegnargli a giocare. E mentre si gioca, si parla, nasce la lingua. L'operatore di Fantastica impara dal bambino la libertà di esser dominato dall'oggetto, a parlare al giocattolo come Geppetto parlava a Pinocchio già da quando era stato un semplice pezzo da catasta. Impara dal bambino a parlare ai “pezzi” del gioco; ad assegnare loro ruoli e nomi, a trasformare un errore in un'invenzione, un gesto in una storia. Impara dal bambino ad affidare ai pezzi del gioco certi messaggi segreti che dicano al bambino che gli vogliamo bene, che può contare su di noi, che la nostra forza è la sua. Nasce così un teatrino in cui agiscono gli oggetti ed entrano in scena i parenti: un po' alla volta, tutto l'ambiente; appaiono e scompaiono personaggi fiabeschi... Il vero problema è che la realtà assomiglia alla fantasia più sfrenata. Dunque, la Fantastica deve essere anche una Realistica. Se il mondo intero è un teatrino (una ribalta), il bambino si salva se ricorda “questo” bambino, e insieme all'operatore di Fantastica saprà scrivere un nuovo “vocabolario politico”, senza il quale qualsiasi futuro sarà solo “rapina di futuro”.

Se il giocattolo viene costretto e limitato a un ruolo prevalentemente “tecnico”, allora sarà rapidamente esplorato, esaurito; il bambino e l'operatore di Fantastica incontreranno nel gioco anche la noia. Saranno necessari i mutamenti, i “tradimenti”, i colpi di scena, i salti nell'assurdo che favoriscono la scoperta.

L'operatore di Fantastica dovrà imparare dal bambino i principi essenziali della drammatizzazione legata alla persona (che, probabilmente, deriva dall'etrusco phersu), in origine “maschera degli attori”, poi, per estensione, “personaggio, individuo”. E saranno poi loro, gli adulti, a portare questa drammatizzazione a un livello più alto e stimolante di quanto non possa fare, con le sue forze che restano deboli e limitate, il piccolo inventore.

 

       Formulati questi sei punti, avrei potuto costruire un laboratorio di Fantastica per operatori destinati a ogni bambino. Ma i miei interlocutori erano adulti e basta (tra loro, c'era - è vero - qualche buona pasta) di Firenze e provincia. 

Mi trovavo nella città del Cupolone. “Dentro ci si deve poter ottenere il voto!”, dissi ai miei interlocutori, e continuavo: “L'arte del poeta è come quella dell'architetto. Brunelleschi ne sapeva qualcosa. Ma i suoi voti non sempre sono capiti. Per esempio, i voti rotondi esterni dell'Ospedale degli Innocenti vennero subito ricoperti da formelle di terracotta. Entrando in Duomo, a Firenze, ci vuole poco a capire che la cupola del Brunelleschi, così come è stata restaurata negli affreschi che già la deturpavano, per essere data in pasto alle televisioni, ha perso il senso del voto, è profondamente offesa. Andava, semplicemente, riportata al nitore della prosa dell'intonaco iniziale e alla forza della pietra. Perché nell'architettura, come nella poesia, esiste soprattutto una forza cosmica... E non siamo nemmeno umoristi!

       L'umorismo, diceva Heine, è l'arte di mostrare il volto in lacrime e subito dopo il didietro. E i più non sapevano, e non sanno, che secondo la visione del Brunelleschi l'architettura come cristallo era l'equivalente interno, non solo l'esterno della strofa stereometrica, per l'integrità poetica, cioè cosmica, di appartenenza e di struttura”...

       Mi pare dissi questo. Ma però ho aggiunto qualche parola di troppo.

       Chi seguiva il laboratorio, se lo ricorderà sicuramente meglio di me. Ma veniamo a Fini, che dice a Dini, il 28 febbraio, “Sei Pinocchio”, bestemmiando contro la Fantasia. Perché le bugie di Pinocchio sono creazione vera, pura, illuminata, e non c'è nessuno, purtroppo, che le sappia dire. E terrificante! “Attenzione a non giocare coi cognomi!”, dico sempre:

       “...perché sono pieni di gnomi! Un Mancino contrariato può essere pericoloso a se stesso e agli altri. Un Violante può essere una viola dentro una volante... E gli operai non ci sono più! Lo capissero destra e sinistra, che hanno coperto di sole il paese reale. Tutti gli usi della parola tutti - sosteneva Gianni Rodari - è certamente un bel motto, dal bel suono democratico? Non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo... Creatività è sinonimo di pensiero divergente, cioè capace di rompere continuamente gli schemi dell'esperienza (anche politica, dico io). È creativa una mente sempre al lavoro, sempre a far domande, a scoprire problemi dove gli altri trovano risposte soddisfacenti, a suo agio nelle situazioni fluide nelle quali gli altri fiutano solo pericoli, capace di giudizi autonomi e indipendenti, che rifiuta il codificato, che rimanipola oggetti e concetti senza lasciarsi inibire dai conformismi... È creativa - dico io - una mente che si lascia tentare”.

       Come è efficace la tentazione! Bisogna “tentare” per “essere tentati” dalla Fantasia. Avrebbero riconosciuto, i miei interlocutori, di esserci incontrati già là dove il sole rivela la purezza delle serpi?...

       Forse qualcuno mi aveva già visto, o doveva aver sentito parlare di me, perché costruimmo insieme quest'oggetto di parole, accettando la libertà di esser dominati da lui:

 

 

La purezza delle serpi

Il prurito della luce

Il bilancio delle foglie        

il bellocchio della strega

La camicia della vip

Il piattume della palla

Il pattume del bucato

La pensione rediviva

Il solletico del cacio

La rivolta della tassa

Lo svolazzo dell'imposta

La fatica del sedere

La chiusura dell'aperto...

 

       Titolo, Gabbiani come cambiali. Glielo do ora io, perché in “Fantastica” si può sempre aggiungere o togliere qualcosa, o niente. Perché il niente è come il voto: è molto importante. Il primo verso dell'oggetto di parole considerato, la purezza delle serpi, era venuto fuori l'anno precedente, il 5 maggio 1994... Ricordando il Manzoni?… Chi stavano ricordando, i miei interlocutori, prima di me?... Napoleone?... “L'ultimo caso che ricordo, è quello di un frustone di due metri che stava al sole d'agosto ~ davanti alla mia casa. Vedendomi ha cercato di fuggire, ma io con uno spazzolone ero riuscito a giocarci un po’”, diceva Ivo Morini, l'anno precedente, e Alma Borgini, l'anno dopo, avrebbe scritto la Vèrmicia (Manifesto biologico del Futurismo): “La lucertola non è un animaletto verdastro che guizza su un muro assolato, ma la vèrmicia che striscia e si dilata in una galleria buia, in cui si appiattano le paure, e i treni, lunghi vermi neri, sfondano il buio”.

       Chiara Bartolini, che mi avrebbe parlato di un caso difficile, scrisse che la vèrmicia “strusciò sul fondalazzurro plastificato verniciando la scia filante del proprio passo serpentino, speronando la lente-palla deformante dell'acqua in cui librovagando guazza, celacangiata finalmente in gatta o farfalla”.

       Liliana Ugolini, rimasta un attimo indietro, mentre io proseguivo con Flavia Bisogni fino a Piazza Signoria, scrisse che la vèrmicia è “il verme che di scatto scambia l'interrogazione, molliccio sforma il punto. Da qui sorse la micia, camicia di lucertola e inganni, in quegli anni annotò lo stratta-gemma. Tolse la gemma a-stratto e restò di naso con il punto stretto in pugno, ritratto d'un estratto di verme e la micia fu la vèrmicia del tutto”.

       Che succede a pensare “il Papa che s'era steso un minuto, e gli sona 'l telefono?” oppure “il Papa che si gira per prendere la carta, ma è finito il rotolo”? ...Sono ipotesi fantastiche. Interrogativi.       Dissi: “L'interrogativo è l'ipotesi fantastica del vuoto”, e Alma Borgini scrisse: “il Papa, con una fila di vescovi neri, saliva su un monte bianco, altissimo”. Se Palazzeschi fosse stato presente, avrebbe detto: “Mi state plagiando!”. “Certo!”, gli avremmo risposto: “...Ti stiamo rifacendo il naso come a Pinocchio... Ma potremmo rifare anche un'altra cosa a qualcun altro; per esempio, il budino a Budda”.

       Liliana Ugolini scrisse: “Il Papa prese le papere in sala. Budda cosse l'oca, mangiò il paté e poté col vino fingersi fegato nel pasticcio di budino” ...Che mutismo genera la Fantasia! Il mutismo di una stecca. Quando Budda si sollevò dal cuscino, si sentì il cuscino che diceva: “Io sono un cuscino e mi schiaccio; s'io fossi sedia, mi alzerei”. Si sentì una stecca che diceva: “S'io fossi violino, pizzicherei la chiave delle note devote e nottoline”... A che proposito Nadia Barbetti scrisse: “S'io fossi Luna, non sarei piena”?... Giorgio Tuti, nelle sue libere divagazioni involontariamente compositive, annotava:

 

“Vecchia Ermengarda

contadina sarda...

attenti! Chi la guarda

poi la sposerà”.

 

       Flavia Bisogni si accorse che “la cioccolata per Budda era meglio di un ovino”. E fece incazzare i pastori. Ma lei sapeva disegnare una pecorina su una pietra come Giotto.

       Concluderei questa memoria di laboratorio, osservando galileianamente:

“I poveri sono spesso a pancia vota... Sarebbe fantastico il discorso di un papa, in Piazza San Pietro, a piazza vota!... Sarebbe la metafora compiuta della povertà nella poesia”.

       Lidia Aglietti scrisse frasi shok in otto sillabe, come: “la carità del diavolo”, “il ruggito dell'agnello”, “il gridare della muta”, che, nelle favole, sembra siano usate dalla fata buona.

       Giovanna Blandini osserva “una piccola lenticchia, lì sopra il tavolo, sola, abbandonata, e piange... - Perché nessuno mi prende? - diceva. Cade per terra, e viene schiacciata da un piede, e si sbriciola, e si sente felice”.

Concludendo. Dopo Dini, se volete mettere in moto la Fantasia... senza una Fantastica, state Fini! Non ci riuscirete mai.

 

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Aggiornato il: 02 aprile 2001