1)
MUSEO STORICO -
ETNOGRAFICO
2)
LA PINACOTECA E LA GIPSOTECA CIVICA
3)
MUSEO DELLA CIVILTA'
CONTADINA ED ARTIGIANA
4) MUSEO CIVICO
ARCHEOLOGICO
5)
MUSEO DELLA BOTTEGA DEL VASAIO
MUSEO
STORICO ETNOGRAFICO
Oploteca- L’ultimo piano del palazzo custodisce
materiale interessante e vario, che può essere inserito nell’ambito
di un museo storico-etnografico. Tra il materiale conservato: monete e
medaglie; autografi, epistolario e cimeli di Luigi Mercantini, insieme
con cimeli risorgimentali e della prima guerra mondiale; oggetti di
epoca medievale; raccolta di autografi di personaggi famosi; costumi dei
magistrati ; oggetti devozionali o di uso liturgico; curiosità
etnografiche provenienti anche dall’Africa e dall’America Latina;
raccolta di circa 200 armi di varie epoche : oploteca.
LA
PINACOTECA E LA GIPSOTECA CIVICA
Il palazzo
Bonomi - Gera, sede della Pinacoteca - Gipsoteca.
Fu progettato per la propria famiglia alla fine del secolo XVII da Luzio
Bonomi (Ripatransone, 1669-1739). Nel 1966 fu acquistato da Uno Gera,
che lo fece restaurare e riportare in gran parte all'architettura
originaria, nonostante le trasformazioni e le mutilazioni subite dal
palazzo (smantellamento dei caminetti, rifacimento di alcuni soffitti in
cemento...).
Lo stile dell'edificio è sobrio e castigato; la parte posteriore
richiama il prospetto della Villa Falconieri di Frascati; il portale in
arenaria, sormontato da un balconcino, è il principale elemento
decorativo della facciata in laterizi; la porta ha una bella lunetta in
legno.
Donato al comune da Gera, dal 1976 ospita la Gipsoteca e la
Collezione d'arte Gera, e dal 1977 la Pinacoteca civica, la raccolta di
maioliche e porcellane, materiale storico ed etnografico.
L'allestimento delle raccolte è rimasto sostanzialmente quello voluto
da Uno Gera, che preferì arredare un palazzo patrizio con opere d'arte,
piuttosto che allestire una vera pinacoteca. Attualmente vi sono
custodite circa 1000 opere di circa 70 artisti diversi, dal sec. XV ai
giorni nostri.
Entrati nell'edificio, superata la bella vetrata realizzata nel 1994 da
Giovanni Capriotti di Ripatransone, si possono ammirare due cassepanche
(sec. XIX) donate da Gera e due sue sculture in gesso del 1969:
Cerere nella nicchia di destra, Venere in quella di sinistra. Il
pianoterra ospita prevalentemente opere contemporanee. La prima sala di
sinistra è dedicata allo" scultore del vento " Pericle
Fazzini; la sala, allestita quando l'artista era ancora in vita, è
stata ristrutturata nel 1996 : vi sono custodite 30 opere (frutto della
generosità dell'autore) : due sculture in bronzo : ritratto di
Ungaretti ed un Crocifisso; un pastello, due acqueforti, 25 serigrafie.
La seconda sala di sinistra è dedicata al pittore e scultore Remo
Brindisi, di cui sono conservate tre tele del ciclo "La Preda"
, diverse incisioni e serigrafie, ed all'incisore e pittore Arnoldo
Ciarrocchi, di cui sono custodite dieci incisoni ed un acquarello.
Nella prima stanza di destra, due pareti ospitano 22 opere del pittore
Giuseppe Canali, donate al municipio nel 1992. Nelle altre due pareti
sono esposte opere di artisti diversi, quali: Annigoni, Giovanelli,
Piacesi, Marchegiani, Fanfani, Marziali, Meconi, Capponi, Pulcini,
Amadio, Marconi, Cordivani, Montanarini, Cusani, Brrettoni, Perrotta,
Danesi, Ferretti, Sergiacomi con la scultura : "L'ode al
Signore" (1982).
Nella Pinacoteca intesa in senso classico sono conservate centinaia di
opere; seguendo il criterio cronologico, i pittori più noti nelle varie
sale sono: Vittore Crivelli con sette tavole dipinte con colori a
tempera, rappresentanti: San Marco, Madonna con il Bambino, San Lorenzo
(tavole raggruppate in un trittico), San Giovanni Battista, San
Leonardo, Beato Giacomo della Marca, San Placido; Giacomo Campli, con
due affreschi recuperati con la tecnica dello "strappo"; Cola
dell'Amatrice con un affresco (attribuzione); Vincenzo Pagani con tre
opere; con due tele ciascuno di carattere sacro: Luca di Costantino,
Ernest van Schyk, Giuseppe Maria Crespi, Filippo Ricci; Ubaldo Ricci con
una tela; Francesco Coghetti con cinque opere e 26 bozzetti (la più
ricca collezione italiana riguardante l'autore ); Teofilo Patini con la
figura di "Orante" ; tra i pittori stranieri dell'Ottocento
(ognuno con un'opera), si ricordano: lo svizzero Alexandre Calame e gli
inglesi Charles Robert Leslie, James Webb, James Stark. Gli incisori
presenti con una o più opere sono: Federico Barocci, Giovan Battista
Piranesi, Bartolomeo Pinelli, Adolfo De Carolis (xilografo), Antonio
Carbonati, Diego Pettinelli (xilografo), Armando Stefanucci, Amintore
Fanfani, Giuliano Febi, Sanzio Giovanelli. Sono custoditi inoltre
custoditi disegni di Giuseppe Capparoni, ecc..
Nel salone delle feste del palazzo, con il soffitto a lacunari dipinti,
le pareti decorate a tempera e la galleria (con i semibusti di
Gera) riservata ai musici, è stata sistemata la raccolta (oltre 300
pezzi ) delle maioliche e delle porcellane, in prevalenza dei secoli
XVII-XIX e di varia provenienza (Deruta, Castelli, Urbania, Pesaro,
Faenza, Ascoli Piceno, Meissen); alcune (quelle donate da Uno Gera )
sono di provenienza orientale. Al centro del Salone si ammira la Madonna
in trono (1524), terracotta di Gianfrancesco Gagliardelli. Di un'altra
pregevole opera in terracotta, una pala d'altare di Fra Mattia Della
Robbia, andata in frantumi, sono custoditi i 35 pezzi restanti.
Nella sala più bella del palazzo, l'unica ad avere dipinti il soffitto
a lacunari ed il sottostante fregio, sono sistemati i mobili d'arte
prevalentemente del secolo XVIII, altro munifico dono di Uno Gera;
spicca fra questi il trumeau ( fine '700), di stile romano, di forma
classica.
La Gipsoteca Uno Gera , allestita nel 1976 da Gera con le
proprie opere, è sistemata in due locali del piano nobile: nel più
piccolo, notare il lampadario di porcellana francese, databile nel
periodo 1750 - 1850; nel più ampio ( già due camere da letto ), notare
i bei soffitti a lacunari dipinti: qui è conservato il nucleo
principale della gipsoteca : predominano i ritratti, perché Gera come
scultore è stato soprattutto un ritrattista. Cronologicamente le opere,
( circa cento ) vanno dagli anni '20 agli anni '70; sono esposti pure
bozzetti di sculture realizzate a Ripatransone ed altrove.
Nella Sala "40 Artisti per il Presepe" sono custodite le opere
sulla Natività donate dagli autori, esposte nella sala "Ascanio
Condivi" dal 23 dicembre 1984 al 27 gennaio 1985, in occasione
della XV edizione del grandioso presepio all'aperto. Tra le opere ( in
parte grafiche ) spiccano quelle di Annigoni, Angellotti, Brindisi,
Cagli, Ciarrocchi, Corpora, Cantatore, Fazzini, Fiume, Greco, Guttoso,
Piacesi, Treccani, Trotti, Vespignani. La Sala fu inaugurata il 27
aprile 1985.
La galleria dei Ritratti è situata lungo la scala di collegamento fra i
piani: vi sono sistemati 35 ritratti, quasi sempre di personaggi o di
vescovi di Ripatransone, vissuti nei secoli XVI - XIX: provengono dalla
collezione comunale, preesistente alla fondazione nel 1877 del museo -
pinacoteca.
MUSEO DELLA CIVILTA'
CONTADINA ED ARTIGIANA
Il
Museo della Civiltà Contadina ed
Artigiana del medio Piceno. Allestito da un comitato di 25 volenterosi e
benemeriti cittadini nei primi mesi del 1990, fu inaugurato il 21 aprile
dello stesso anno, presenti autorità civili e religiose. La raccolta si
compone di manufatti e di molti attrezzi (circa 1500, per la quasi
totalità ceduti dai proprietari residenti a Ripatransone e nei comuni
vicini), che sono stati prodotti o utilizzati nella campagne e nelle
botteghe artigiane fino agli anni cinquanta, prima che la progressiva
meccanizzazione li rendesse inutili; pochi risalgono alla fine
dell’800, la maggior parte è databile prima metà del secolo
ventesimo. L’allestimento è stato condizionato, purtroppo, dalla
tipologia e dalla superficie dell’ambiente. Il
museo si compone di tredici sezioni:
SEZIONE
I -La bottega del fabbro (lu f’rrà)
È una bottega della prima metà del Novecento, ma non è molto diversa
da quella della Roma imperiale o del buio MedioEvo.
Vicino alla porta d'ingresso, nell'angolo, sono gli attrezzi del fabbro:
-la fucina o forgia con la quale si scaldava il ferro, una serie di
tenaglie per poterlo maneggiare, dei martelli per modellarlo battendolo
sull'incudine, trapani per bucarlo. Poi l'affilatrice (il cialandro} per
affilare e levigare, le filiere per le viti, i saldatori per la
saldatura a stagno, la ceca per incassare la testa dei bulloni, le lime,
gli scalpelli ecc. ecc. Seguono i manufatti del fabbro: zappe, bidenti,
vanghe, coltri e vomeri per gli aratri, cardini per porte e finestre (li
carganitti d' 'Nzinzì d'Bebè}, chiodi,
treppiedi, catenacci, serrature, chiavi, catene e tante cose ancora.
Tutti i contadini, per assicurarsi la manutenzione e la riparazione
degli attrezzi, stipulavano con il fabbro (ma anche con tutti gli altri
artigiani) l'accordo (baratto dei prodotti dei campi con la prestazione
d'opera).
Arrotatrice
SEZIONE
II -Vasellame in terracotta
Nell'armadio a fianco
è sistemato un campi(}nario di vasellame fittile che a Ripatransone
veniva prodotto, fino agli anni 1965, nella bottega dei vasai "Li
Cuccià"
Da ragazzi si andava nella loro bottega a chiedere e a prendere la
"mata" (la creta) per soddisfare la voglia imitativa di
modellare e di creare qualcosa, e ci si incantava a vedere nascere e
prendere forma da una palla di creta, che girava sul piatto di un
tornio, un oggetto che tutti avevano in casa.
I loro manufatti: la brocca "l'orcio", i contenitori vari di
diverse forme, i vasi, i piatti, le padelle, i salvadanai, i trufi, i
fischietti, le coccette e perfino i "megafoni" che venivano
usati la sera tra il 28 febbraio e il primo di marzo per cacciare le
"crocchie" cioè le larve che danneggiavano le colture. Per
antichissima credenza si riteneva che urlando, attraverso rozzi
megafoni, stornelli allusivi ed ingiurie pesanti in direzione degli
abitanti di contrade limitrofe, gli insetti nocivi sciamassero verso
quelle zone.
SEZIONE
III -Mezzi di illuminazione e
giochi
Dietro,
nello stesso armadio, oltre le ammoniti (non della nostra zona) e
qualche concrezione, sono sistemati alcuni mezzi di illuminazione:
lanterne, lumi a petrolio, lumi ad olio, bugie per candele, lampada ad
acetilene.
Il lume ad olio veniva anche usato dalle "magare"
per
togliere il malocchio "l'invidia". La magara, donna con poteri
e virtù particolari, operava in questo modo: riempiva un piatto fondo
di acqua, accendeva il lume e lo passava intorno alla persona dalla
testa fin sotto il bacino e viceversa, tante volte, bisbigliando
preghiere, invocando Santi o demoni, ripetendo "San Pietra d' Rome,San
Jevanne d' Spagne lieva la mmidie, la d'scicche e le lagne".
Intingeva poi il mignolo nell'olio del lume e faceva cadere una goccia
di olio nell'acqua del piatto. La goccia di olio, nell'acqua, si
spandeva o si suddivideva in goccioline sparse. Ogni gocciolina era un
occhio invidioso. Si diceva infatti: qualcuno ti ha fatto l'occhiatura.
La maga ripeteva allora tutta l'operazione una seconda, una terza volta
finche la goccia .d'olio, questa volta, rimaneva compatta senza più
dividersi. Era stata tolta "la mmidie".
L'acqua del piatto veniva versata dietro la "pianca del fuoco"
(pietra del focolare) perché nessuno ci
passasse sopra. Sempre nello stesso armadio troviamo qualche giocattolo,
senza made in, costruito dai ragazzi: inferno e paradiso, fischietti di
canna, fionde, barchette di carta, aeroplani, lu stpplò (una specie di
fucile ad aria compressa), il carrarmato (rocchetto dentellato azionato
da un elastico con supporti di cera e bastone di carica), lu pescia, la
baraccola (l'aquilone), la cometa (coda anellata), le pallette (tre,
sei, nove, dodici, quindici, diciotto e cotto), li c'ttì (cinque,
dieci, quindici, venti, la luna, li dò, li tre, lu psà e fatto), e
quello della "gallonice".
Spesso era il lungo ma appassionante lavoro per costruirlo che rendeva
il giocattolo più divertente dell'uso che se ne faceva dopo. Guardate
quei giocattoli, pensate alla povertà dei materiali usati, alla
pazienza che richiedevano per costruirli, all'abilità necessaria, alla
fantasia, alla fatica e vi accorgerete che quei ragazzi sapevano
divertirsi meglio dei nostri figli che hanno troppo e non desiderano più
niente.
Lanterne
Giochi
SEZIONE
IV- Pesi e misure
Siamo così giunti nell'angolo
dei pesi e delle misure: bascule, stadere con romani per pesare i
sacchi, bilance con piatti, quarte e coppi.
La quarta conteneva circa Kg. 25 di cereale, quantitativo di grano
occorrente per seminare 1000 mq. di terreno cioè una
"tavola"; il coppo Kg. 7,5 .
Qualche famiglia benestante aveva misure personalizzate con tanto di
nome (vedi quarta con scritta
Bonomi, una famiglia di Ripa e quella dei Padri Agostiniani che risale
al 1700).
C'è poi la bilancia, in uso in quasi tutte le rivendite di sale e
tabacchi di allora, per pesare il sale, quando questo si vendeva sfuso.
Il piatto è di vetro perché il sale, messo in un piatto metallico, lo
avrebbe ossidato.
SEZIONE
V- La cantina
Spostiamoci
nel settore cantina dove sono raggruppati gli attrezzi usati per la
coltivazione della vite (forbice, accetta, seghetto), le pompe a zaino
per l'acqua ramata e le solforatrici e il soffietto per
spargere lo zolfo. Poi vediamo gli attrezzi per la lavorazione dell'uva:
dai canestri e dalle casse per il trasporto dell'uva ai canali (vasca in
legno) dove veniva pigiata, o meglio pestata perché si faceva con i
piedi, al torchio dove veniva spremuta, alle bigonce e alle secchie dove
veniva raccolto il mosto, alle pompe per convogliarlo nelle botti dove
si lasciava fermentare, decantare e diventare vino.
Altri attrezzi: le damigiane, i fiaschi, le cannelle (la spina)
(rubinetti per attingere il vino dalle botti), la bilancia per pesare le
botti, l'attappabottiglie, le casseruole in rame per travasare il vino,
il torchietto per il vino santo, la petriola1.
Angolo Cantina
SEZIONE
VI -Vasellame
Nell'armadio dei vasi fittili osservate, in alto,
le brocche per attingere e conservare l'acqua. Alcune sono di colore
azzurro perché adibite al trasporto dell'acqua ramata (solfato di
rame).
Le
donne dovevano provvedere al rifornimento delle pompe a zaino,
trasportando sulla testa, le brocche con l'acqua ramata.
Se e quando cominciavano a nascere le prime reciproche simpatie, la
ragazza, nei rifornimenti, la- sciava cadere qualche goccia di acqua
ramata sulla
schiena del ragazzo. Era il segnale, nascosto ai più, ma chiaro a chi
lo riceveva: "Mi piaci".
In mezzo: contenitori anforati, non smaltati, per
la conservazione di sottaceti, di olive e di peperoni.
In basso: boccali, di diverse capacità, per il vino (quelli bianchi
internamente risalgono alla fine dell'800) e le coccette
(miniaturizzazione degli oggetti da cucina, che ha origine atavica,
picena).
Ripatransone conserva ancora la tradizione di regalare alle bambine, nel
giorno della festa della Patrona (22 luglio), le coccette. Sono
giocattoli per
un
gioco lavoro: allora le bambine con le coccette giocavano e nello stesso
tempo cominciavano a prendere dimestichezza con gli attrezzi da cucina
perché la donna doveva essere solamente una brava donna di casa.
Poi i trufi con una sola apertura per bere durante gli assolati, pesanti
lavori di campagna. Bisognava saperci bere, altrimenti non ci si
dissetava.
Nell'angolo a seguire troviamo attrezzi vari: la mazza di legno con i
cunei per spaccare la legna per
il focolar,e,
un rudimentale seggiolino e gli attrezzi per ribattere le falci, il
corno contenitore della cote, (pietra abrasiva per affilare lè falci),
tagliafieno di diverse forme.
Coccette "Vasellame da
cucina in miniatura"
SEZIONE
VII Il trasporto
Tutta la parte centrale del museo è occupata dal
settore trasporto.
Il carro a quattro ruote, la sterza, restaurato nell'anno 1993
(restauratori: Antonio Mora della struttura, prof. Davide Cusani della
decorazione) era un carro tipicamente romagnolo. Poteva essere anche
utilizzato come carro processionale. Oggi viene usato per l'offerta del
grano alla Madonna di San Giovanni nel giorno della festa del grano
(prima domenica di Agosto).
La
treggia (traja), simile alla slitta, trainata da due bovini aggiogati,
era utilizzata per il trasporto
di legna, di erba, di derrate sui campi, dove non erano strade. Qualche
volta trasportava sulle strade fangose, sistemando una sedia alle
"sbranchi- ne", anche persone di riguardo come il padrone del
fondo, il fattore, il medico, la "mammine" (l'ostetrica), il
veterinario e anche il prete.
I carri, che richiamano un poco quelli siciliani,
avevano una sola stanga, le sponde decorate, e ogni carradore aveva il
proprio disegno decorativo ( una specie di marchio depositato). Il carro
era fornito di libretto di circo!azione con le caratteristiche del mezzo
(targhetta azzurra) e doveva pagare la tassa di circolazione (targhetta
in alluminio). Il carro era segno di prestigio, non tutte le famiglie
mezzadrili lo possedevano.
I
ragazzi del paese e anche qualche adulto, quando i carri scarichi
ritornavano dal paese alla campagna, approfittavano per fare un giretto.
Salivano sul carro, si sedevano sul pianale e i più sicuri sulle sponde
e, sballottati a destra e a sinistra (il carro non aveva balestre ne
sospensioni) scendevano o là gli "urmi" (strada cuprense nei
pressi della bottega del carraro Ciarrocchi) o giù" tu t'rrò"
(strada Cu- prense sotto il Monterone).
Carriola
SEZIONE
VIII Il lavoro dei campi
Certamente
per lavorare, coltivare la campagna occorreva molta forza fisica. Tutti
i lavori si facevano a braccia; la giornata lavorativa era formata di
molte
ore. I lavori ricorrenti nell'anno erano: la potatura degli alberi e
delle viti, la sarchiatura del grano, la falciatura dell'erba, la
mietitura, la trebbiatura, l'aratura dei campi, la vendemmia, la semina,
la raccolta delle olive e sempre i lavori della stalla, e, qualche
volta, di notte, bisognava "spurgà" i gabinetti (pozzi neri)
delle abitazioni del paese per ricavarne concimpletame.
Un po' di pausa durante l'inverno, ma c'erano ugualmente tante cose da
fare: cesti in vimini, scope, scale, riparazione o modifica di qualche
attrezzo e sempre le preoccupazioni e l'impegno della stalla.
In questa sezione fanno bella mostra: gli aratri, dal più antico tutto
in legno con la sola punta in ferro, al "rospo", al
voltorecchio, agli aratri in ferro con ruote ecc. Poi gli erpici, le
seminatrici, le zappe, i bidenti, i rastrelli, i legamannelli, i forconi
per l'erba e il letame, le pale, tutte in legno, per ammassare il grano,
le falci, le macchine tritaforaggio, la "rel-
la" (bastone frusta e anche attrezzo per ripulire il vomere dal
terriccio).
Vale la pena richiamare l'attenzione sui correggiati (bastoni legati tra
loro da una correggia), Sono i "frajelli" e servivano per
battere il grano, le fave, i ceci, e separare il seme dall'involucro.
Con i crivelli poi si "spulava" cioè si separava il chicco di
grano dalla pula.
Lungo una specie di corridoio, con a sinistra i carri agricoli, sono
macine per la polenta e il farro, stampi per coppi e mattoni (molte case
di campagna erano di terra impastata con paglia e sterco di animale
bovino), ganci per ripescare i secchi dal pozzo, e, appesi alla parete,
tanti gioghi e poi attrezzi per la pulizia degli animali, morsi (fr'scette)
e
catene per bovini. I bovini
dovevano essere addestrati -"scoria"- lavoro che si faceva nei
ritagli di tempo al mattino presto e dopo il tramonto da bifolchi
esperti e di mestiere.
Si possono osservare anche: un macinino per la terra colorata, una
macina per i semi di lino (che venivano usati per fare "gli'mpiastri")
e corpetti e biancheria non certamente delle donne di campagna, il
pettine per la raccolta dei fiori di camomilla e il calibro dell'uovo,
con il quale si controllava la misura. La conduzione dei terreni era
regolata dal patto di mezzadria, un sistema di conduzione e di contratto
agrario secondo cui il concedente (proprietario del fondo) e il capo di
una famiglia colonica si associano per la coltivazione di un podere e
per l'esercizio delle attività connesse al fine di dividersi i prodotti
e gli utili ( originariamente a metà poi, con il lodo De Gasperi, nella
proporzione del 53% al mezzadro e del 47% al concedente, e
successivamente nella proporzione de158% e 42%).
Per quanto riguarda gli animali da cortile (polli, conigli, oche,
tacchini (li ptù ), il concedente ne è fuori, ma la famiglia colonica,
ogni mese e in occasione di particolari ricorrenze come il Natale,
l'Epifania, il Carnevale, la Pasqua, la mietitura, la nascita di bovini
ecc., doveva portare al padrone i presenti cioè polli, uova, ortaggi,
formaggio ed altro. Dalle nostre parti, dove la proprietà era molto
spezzettata, tra il colono e il piccolo proprietario esisteva una
collaborazione quasi sempre leale ed anche i rapporti umani erano buoni
e, qualche volta, affettuosi.
SEZIONE
IX Il tessere a casa
Adesso ci addentriamo in
settori (tessitura, cucina, camera) dove la donna diventa la
protagonista 'e
il
lavoro femminile è preminente e quasi esclusivo. In quasi tutte le case
coloniche esisteva un telaio e le ragazze dovevano con esso preparare il
corredo da sposa nei ritagli di tempo, tra un lavoro e l'altro e nelle
lunghe sere d'inverno quando, intorno al telaio, si infittivano le
chiacchiere e gli innamorati si lanciavano occhiate d'intesa. Tutti gli
attrezzi che
sono esposti in questo settore (filarelli, arcolai, naspi, rocche,
conocchie, orditori, pettini, fusi) servivano per approntare il telaio
al lavoro della tessitura. L'oggettino, a forma di navetta, che le donnetessitrici si passavano velocissimamente da una mano
all'altra, in dialetto si chiama "ndruga". Da ciò il detto
"Sei peggio di una ndruga" riferito alla persona che non
riesce a star ferma e si muove in continuazione2. Poi ci sono uno
sfibratore "la macigna", i pettini per la canapa e infine un
attrezzo per farele corde.
Il Telaio ed altra
attrezzatura per tessere
SEZIONE
X -La cucina
Il
cuore della casa colonica è rappresentato dalla cucina e dalla camera:
è il regno della "vergara"!3
2
Preme le licce / batte le cqsse / mann'!a ndruga in qua e in là / la
donna sverde / se vede su lu t'là.
3 La vergara, moglie del capofamiglia, era la responsabile assoluta di
tutte le attività che si svolgevano nell'ambito del- la casa colonica:
preparazione dei pasti, riordino della casa,
allevamento degli animali da cortile, ecc. La successione a questo ruolo
seguiva regole ben definite: venuta a mancare la coppia dei genitori,
diventava vergara la moglie del primogenito. Quando poi convolava a
nozze il secondogenito, la moglie di quest'ultimo assumeva lei la carica
di vergara togliendolo alla cognata; rimaneva sempre capofamiglia il
più anziano dei fratelli.
Le conseguenze di questo avvicendamento sono facili da immaginare...
tanto che trova credito la diceria che la moglie del primogenito, pur di
non perdere lo scettro familiare, fosse a volte piena di attenzioni nei
confronti del cognato più giova- ne e, per dissuaderlo
dall'ammogliarsi, non gli faceva mancare... nulla.
Osservando
la ricostruzione di questi due locali non si può frenare una certa
commozione. Ogni oggetto suscita un ricordo, ogni angolo risveglia una
lontana emozione, ritornano i sentimenti dell'infanzia e la figura
materna.
La
cucina delle case coloniche aveva lo zoccolo alto (tinteggiatura della
parte bassa della parete). Era di un colore azzurrino così come la poca
mobilia perché il colono, senza ricorrere all'imbianchino, spesso
tinteggiava e così disinfettava, utilizzando l'acqua ramata proprio di
colore azzurro. Il colore azzurro, si dice, che allontani anche i
fastidiosi insetti. Gli oggetti che troviamo nella cucina sono:
l'acquaio, lo scolapiatti, la brocca, la madia, "lu stnn'tù"
(mattarello), la credenza con i santini, il tavolo e le
sedie, i setacci, il battilardo, la "sventola" per il
fornello, gli abbrustolitori per tostare l'orzo, la "grattacascia"
(la grattugia), il macinino per il caffè e
il pepe, la stagnata, la pompetta del Ddt, la raschietta per pulire la
spianatura della madia ed altri ancora.
Sezione
XI – La camera
Nella camera, oltre al
pagliericcio, alla cassa per la biancheria, al lavabo, al baule, al
prete e alla monaca, alla culla, al seggiolino, allo "scallapà",
alla comoda (gabinetto mobile), allo scaldaletto e alla bottiglia di
acqua calda, c'è un silos cilindrico, fatto di canne intrecciate, per
custodire il grano.
Proprio
nella camera veniva conservato il grano (nella cartecina) sia perché lo
imponeva la limitatezza della superficie della casa colonica sia perché
il grano, essendo un bene prezioso che assicurava
l'esistenza,
doveva essere ben custodito, anche di notte, per essere certi che
nemmeno un chicco potesse essere rubato.
I calzettoni, tutti rattoppati, sono testimonianza di un'economia povera
che costringeva a risparmiare su tutto.
SEZIONE
XII -La botteI!a del calzolaio
Nell'angolo è sistemata
l'attrezzatura del calzo- laio, il quale spesso andava a lavorare, a
giornata, presso le famiglie coloniche e la sera tornava con la "catana"
o "tu tascapà" pieno di roba.
Cuoio, tomaie, forme di diverse dimensioni, "sub bia", chiodi,
ferri per scarpe, "bollette", desco, scatole di lucido,
attrezzi per lavorare il cuoio, martello tipico del calzolaio (donato al
museo da un visitato
re di Bolzano) sono gli
attrezzi più comuni del ciabattino. Vicino è sistemato un altro
armadio di vasellame fittile: scaldini per le mani, pentole per cucinare
legumi, la campana per avvisare "l'opera" Ci braccianti)
dell'ora di pranzo, i vasi smaltati per I'impignata cioè per la
conservazione sotto strutto della carne di maiale, che doveva essere
utilizzata nei periodi estivi dei grandi lavori di campagna.
Una curiosità: la vecchia bottiglia della gassosa con la pallina di
vetro.
Desco e attrezzi
SEZIONE
XIII -La bottega del falegname
È
tutta dedicata al lavoro del falegname. Il banco di lavoro, le pialle,
le pianucce, la morsa con la vite di legno, il compasso, i morsetti, il
raffetto. le seghe e i segacci, gli attrezzi per le cornici, le
sce, gli scalpelli, le lime e le raspe, i ricci, fanno bella mostra.
Il Museo, prima di congedare i visitatori, vuole richiamare la loro
attenzione sul banco di scuola.
Banco diverso dagli attuali, stretto, scomodo, rozzo, ma comunque
simbolo d'istruzione e di cultura, quell'istruzione che fu determinante
per il riscatto delle masse contadine ed operaie, per il progresso
civile di tutto il popolo.
Questo vecchio banco che abbiamo salvato dalla distruzione è il
monumento che abbiamo voluto innalzare, nel nostro museo, per ricordare
i nostri Padri, per onorare il loro lavoro ed i loro sacrifici e per
dichiarare ad essi la nostra riconoscenza e il nostro amore.
MUSEO
DELLA BOTTEGA DEL VASAIO
Al numero 42 di Via Garibaldi,
ma vi si accede anche da Via Roma 2, è il "Museo del vasaio
(annesso ad un piccolo laboratorio), dove sono conservati circa
cinquecento manufatti ed un presepe permanente in terracotta" oltre
ad arnesi disposti secondo una precisa funzionalità operativa. Album di
fotografie, mostrati ai visitatori più interessati, documentano la
struttura della vecchia fornace alimentata a legna e non più visitabile
perché diruta.
Il museo si compone di due vani: in uno è conservato il vasellame,
nell'altro la coroplastica.
L'esposizione del vasellame non è articolata per settori d'uso. È
disagevole, pertanto, individuare uno sviluppo operativo coerente e una
evoluzione morfologica consistente.
D'altro canto, a dire di Innocenzo, le tappe del progresso tecnologico
non potevano essere recepite dalla loro bottega perché costose e il
gusto della clientela non richiedeva radicali trasformazioni
merceologiche.
Al contrario, invece, la coroplastica, suddivisa per autori, presenta,
in modo chiaro, le opere di tutti i membri della dinastia dediti, con
continuità, alla foggiatura di fischietti, pipe e statuette da presepe.
Le tipologie ceramiche sono tre: la terracotta, la terracotta
maiolicata, la terracotta ingobbiata e invetriata.
La struttura, nel suo piccolo, congiunge il passato al presente e
promuove a pubblica fruizione
una figulina fabbricata a mano e al tornio da artefici indigeni. Per
consolidamento espositivo questo nucleo di manufatti si è trasformato,
ormai, in patrimonio della comunità e va ad aggiungersi ai cinquanta e
passa musei demoantropologici presenti nelle Marche.
IL VASELLAME
Tra le tipologie morfologiche
dei vasi balza subito all' occhio la mancanza degli esemplari
grandissimi, simboli dell'abbondanza; ne ci sono i piccoli vasi potori.
I vasi conservati sono per lo più di media grandezza usati per la
cottura dei cibi e per la conservazione degli alimenti.
Su rustiche mensole, tipiche delle scaffalature di laboratorio, sono
allineate tipologie di vasi per mescolare, attingere, mescere e man-
giare, nonché recipienti privi di smalto, scaldini, lavamani e catini a
malapena verniciati.
Sostanzialmente questo vasellame da fuoco e da tavola, di tipo corrente,
prodotto al tornio a pedale con lavorazioni rapide, spessori forti e
smaltature dimesse, era destinato ad una popolazione contadina e
tradizionalista.
Le campionature esposte, pervase da una comune manodopera, mostrano
validità morfologiche ben precise, specie nei passaggi costruttivi più
delicati dei vasi: piede-corpo, spalla-collo.
Ai vasi dalla tettonica ben articolata si affiancano vasi dai profili
elementari, con vistose. strie di tornitura. Nella bottega-museo sono
allineate ceramiche a forma aperta e a forma chiusa nelle quali, a ben
guardare, si sono sedimentati secoli di civiltà.
"Bucaloni e trufi", "pigne e pitarrole", "sire
e catinozze", "caciarole e sformarole" indicano
attraverso forme e formati, discendenze colte e impieghi d'uso.Alcuni
vasi rivelano punti di contatto con determinate tipologie vascolari
della "Civiltà Picena": perpetuano, infatti, profili di vasi
scavati a:Novilara Molaroni, Novilara Servici, Numana, Cupra Marittima e
Tolentino.
Altri
riportano alla civiltà greca: il bucalone ricorda il profilo delle
brocche mediominoiche; il trufo si imparenta con l'ariballo
protocorinzio arcaico; la pigna non si discosta dalla peliche ateniese e
la pitarrola riprende pari il profilo di alcune anfore dello "stile
del palazzo".
E si intravedono pure influssi vascolari penetrati dal nord: mi
riferisco ai profili di alcune testimonianze vascolari celtiche scavate
proprio nelle .Marche, regione che ebbe rapporti e connessioni
pluriformi sia con le culture e le storie dell' area padana che con
quel- le dell' area mediterranea.
Le
Decorazioni del Vasellame
Sul
vasellame fanno capolino tre modesti repertori decorativi. Il primo
viene praticato su stoviglie crude parzialmente essiccate, ricorrendo a
impressioni digitali o ad arnesi piuttosto semplici: chiodi e sgorbie o
anche al pettine a denti corti, dal quale derivano solcature, a vario
andamento, tipiche della cosiddetta "ceramica a pettine".
Il secondo partito decorativo è di natura cromatica: ha nel maculato in
ramina, ferraccia e manganese 1 'espressione più semplice. Si tratta di
una ceramica "fiammata" sulla quale il gioco delle macchie,
dovuto dapprima al caso dUrante le fasi di spruzzatura, fu dopo guidato
dal gusto dei vasai. Seguono decori cromatici conferiti con la penna d'
ala di gallina o di tacchino, intinta nell'ingobbio di terra di Vicenza.
Ci sono anche decorazioni dipinte di impianto elementare, disposte con
parsimonia. Puntinature a "occhio di dado" si riscontrano
specialmente sulle bordure esoflesse; simbologie religiose, di carattere
grafico riassuntivo, sono conferite "alla prima", cioè senza
disegni predisposti. Tra queste le più comuni sono contrassegnate da
tre colpi a goccia lunga, dati con la penna di gallina e convergenti
verso il basso, per simboleggiare i chiodi della crocifissione, e da due
colpi angolati per simboleggiare il flagello della Passione.
Rarissime nel sottocollo o sovrappiede sono le filettature.
Alle parsimoniose decorazioni dell' esterno seguono altrettante povere
decorazioni all'interno: nei fondi di spase e piatti si rinviene il
riccio disposto a quinconce; sulle tese corre, a lunghi intervalli, lo
stesso riccio.
Il terzo partito decorativo è di natura plastica. Su; un gamelio
"dono di fidanzamento" aggettano, sulla parte enfiata del
vaso, appendici plastiche con allusioni agli organi sessuali e due nidi
simboleggianti le case paterne degli sposi, da cui bisogna staccarsi per
creare la nuova famiglia.
Non
sempre la decorazione plastica è dimessa. Su un vaso per mescere, una
composizione fitomorfa distesa in forma metopale fra spalla e collo, è
testimonianza di una cultura plastica più evoluta, applicata su
manufatti destinati al quotidiano.
I
Fischietti di Ripatransone
Seguendo
la tradizione marchigiana i Peci foggiano fischietti piccoli, medi e
grandi. I piccoli oscillano tra i 4-6 centimetri; i medi tra i 6-9
centimetri; i grandi tra i 9-15 centimetri-di altezza; ma ce ne sono
anche di 20 e passa centimetri.
A Ripatransone e Massignano c'è stata pure una discreta produ- zione di
fischietti piccolissimi, che, per consuetudine commerciale, veniva
smerciata dai venditori di lupini.
La maggior parte è modellata a mano, minore quantità deriva da- gli
stampi e dal tornio. I fischietti modellati a mano e quelli torniti sono
a tutto tondo; quelli derivati da stampi, invece, sono in bassori1ievo,
perché derivano da matrici monovalve.
Il repertorio morfologico comprende figure zoomorfe, antropomorfe,
fitomorfe ed eteromorfe; quello tipologico rientra nella
schedatura Nixdorff, mentre il modulo sonoro, quando non è ricavato
dalla cavità della statuetta, è disposto orizzontalmente o lievemente
obliquo alla base d'appoggio.
In tutti i settori il “fatto
a mano” scongiura il pericolo della ripetitività delle forme, fatta
eccezione, naturalmente, per gli esemplari derivanti dal mezzo stampo.
L'informe e il manierato, filoni manufatturieri ricollegabili a volumi
sommari e decori affrettati, sono valenze costanti della ceramica sonora
di serie perche i fischietti, in gran parte, sono opera di apprendisti e
di figuli anziani "non più in forza per il tornio" . Le
fatture dozzinali, però, non sempre portano discapito alle valenze
figurative e al tono popolare dell'insieme volumetrico.
I fischietti dei Peci, nei loro archetipi iconografici, si presentano
come fenomeno plastico unitario. Forme arcaiche e forme indigene,
espresse con un vocabolario tridimensionale elementare, riconducono, per
frontalità e schematicità, all'arte italica.
La predilezione verso un figurativismo statico e per di più con
inflessioni formali di origine preistorica, è comune anche a Massignano.
La costante di questi impianti, espressi con carattere tridimensionale
dimesso, evidenzia che nessuno dei Peci si preoccupava di dare il senso
del movimento alle proprie figure.
Ogni generazione ricalca le orme della precedente. Forme e stilemi della
tradizione di bottega, a lungo perpetuati, raggiungono caratteristiche
manufatturiere stabili.
In un arco di tempo considerevole i Peci modellano seguendo filoni
conservativi tipici delle produzioni di famiglia. Di conseguenza, tranne
qualche eccezione, nessuno si preoccupa di ingentilire volumi e
migliorare fatture esecutive. Nessuno cambia rotta figurativa. La
coroplastica che si produce piace ad autori e fruitori, perché in
questa figulina confluiscono valenze estetiche da un lato e valenze
etnologiche dall'altro.
Si assiste a Ripatransone e a Massignano al fenomeno dell'atavismo
artistico "forza misteriosa che fa eseguire quei dati simboli in
quella determinata maniera e non in un' altra, quei dati animali e
piante ( e, naturalmente, anche figure antropomorfe) in quella
determinata stilizzazione" (48 ) e non in un' altra.
Siamo in presenza di foggiatori orgogliosi degli standards della
loro
bottega e a lungo procedono senza esitazioni o ripensamenti. E
come avviene nella prassi delle lavorazioni popolari il patrimonio I
morfologico e figurativo resiste anche senza essere rinnovato, perché
"soddisfa i bisogni spirituali e pratici del popolo e per questa
sua funzione vitale si trasmette nel tempo" .
Nell' elenco merceologico, oltre alla ceramica sonora di carattere
profano, si rinviene anche quella sacra: giova ricordare i tre
personaggi della Sacra famiglia, modellati per presepi piccoli e grandi,
la Madonna di Loreto, in diverse versioni, e una corte di Santi . E da
questa figulina di struttura elementare, cilindrica e compatta, i
staccano, per qualità, le opere di Domenico, nelle quali il gusto per
la rifinitura diventa compiacimento estetico, come attestano i ritratti
di personaggi della storia dell'Unità d 'Italia prodotti da Domenico in
un clima di patriottismo imperante, le cui matrici potrebbero essere
arrivate dalla capitale, portate, forse, dal poeta e patriota ripano
Luigi Mercantini.
L'importanza delle figure popolari prodotte dai Peci risiede nel fatto
che sono preziosi documenti etnografici e nonostante le abbreviazioni di
foggiatura sono il buon risultato di una compatta equipe di figuli la
cui eco, grazie a Innocenzo, che continua ancora a modellare, non è del
tutto spenta.
LE
DECORAZIONI DEI FISCHIETTI
Due
i partiti decorativi: il primo, acromo, è ottenuto con graffi e
unghiate e con maldestre solcature di chiodo; il secondo, cromatico,
deriva da spugnature, pennellate e smaltature ad immersione.
Tecnicamente, la decorazione incisa era conferita, dopo parziale
essiccamento, su manufatti crudi; quella cromatica, invece, era
applicata su prodotti ceramici di prima cottura.
Sull'impiantato plastico, i Peci hanno conferito, per incisione,
piumaggi e penne. Gli stessi accorgimenti operativi sono stati usati per
la segnatura di abbigliamenti e parti anatomiche.
Il senso del finito, però, i fischietti 10 raggiungevano solo con la
colorazione. Colorazione data a freddo facendo principalmente ricorso al
bianco (latte di calce ), al rosso e al verde.
Così confezionati i fischietti 'sembravano avvolti da lembi di bandiera
italiana. Ma, anche se sia: '10 nel paese natale del patriota Luigi
Mercantini, l'impiego del tricolore non è dovuto a fanatismo
patriottico. La consuetudine di ricorrere ad una tavolozza semplice è
da ricercare nel fatto che l' arte popolare, e non solo quella italiana,
fa spesso ricorso a questa tricromia basata sull’abbinamento di un
colore primario (il rosso) e di uno binario (il verde), sostenuti dal
bagno del bianco. .
A volte, il verde è sostituito dal blu ma, anche in questo caso, non c'
è allusione a bandiere di altri Stati.
È
stato detto, a proposito .di foggiature, che i fischietti si modella-
vano con gli avanzi di tutti i tipi di argilla. Allo stesso modo, con i
fondi di smaltature del pentolame da fuoco e con le rimanenze degli
smalti dei piatti, si smaltava qualche cavallino o campanella o si
invetriava qualche fischietto ad acqua. Incredibile, ma vero, nel
settore in cui i figuli hanno meglio messo in luce le loro qualità
creative hanno fatto ricorso a materiale plastico di avanzo e a
rimasugli di colore.
Altri Cloroplasti a Ripatransone
Mentre
l'attività dei Peci era “in fiore” e il vecchio Domenico si
accingeva a trasferire bottega e fornace ai figli Filippo, Silvestro ed
Emidio, a Ripatransone l'amore per le attività plastiche era in
fermento.
Al di fuori dell'ambito artigianale di questa famiglia di figuli, che
formava un nucleo operativo compatto, splendeva la personalità del
coroplasta don Costantino Cellini (Ripatransone 1840-1886) "abile
plasticatore" di Santi e Madonne. A testimonianza del suo talento
di foggiatore di immagini sacre restano a Ripatransone una
"Madonna di San Giovanni,
collocata in una nicchia all'interno della Corte delle Fonti" e la
"statuina di Sant'Elena: collocata in una piccola nicchia sopra l'
arco centrale del portIco della chIesa conventuale dì Santa Croce dei
P.P. Cappuccini" .
Se le opere dei Peci trovavano
diffusione in ambienti contadini e di cittadini dalle condizioni
socio-economiche modeste, quelle di don Costantino Cellini trovavano
collocazione nelle case dei ceti più elevati e in ambienti urbani
pubblici.
Entrambe le produzioni, però, credo, debbano aver goduto, e non
soltanto in loco, di adeguata popolarità, per aver riproposto, con
corretta visione storico-culturale, un repertorio di opere legate alla
quotidianità e alla religiosità de}la società agricola e operaia
della Marca ascolana.
A Ripatransone anche dopo la prematura scomparsa di Don Costantino
Cellini rimasero vivi i fermenti sia per la coroplastica che per tutte
le altre attività manuali collegate alla creatività. La città,
infatti, sin dal 1889 , era diventata "famosa in patria e all'
estero per la scuola di lavoro manuale educativo (la prima in Italia)
fondatavi dal concittadino Emidio Consorti che vi istituì pure un museo
pedagogico" .
A sei anni di distanza dalla fondazione "neI1894 il Ministro della
Pubblica Istruzione Guido Baccelli, visitò il VI Corso Consortiano e ne
rimase così entusiasta che con Regio Decreto del 17 gennaio 1895, n°
27 istituì a Ripatransone la Scuola Normale Maschile Inferiore
denominata Luigi Mercantini, con annessa una sezione di lavoro
educativo" .
Oltre ai Peci e a don Costantino Cellini operavano a Ripatransone anche
i Mignini con bottega "alle Grotte", attuale via Leopardi, e
fornace al "Torrione di Guardia".
Anche i Mignini foggiavano fischietti e statuette, "ma tutto veniva
modellato con gli stampi e non a mano come facevamo noi"
puntualizza Emidio junior.
Le ricerche sui Mignini, soprannominati Pacò, hanno dato pochi
risultati. Oltre al documento dell'archivio parrocchiale dal quale
risulta che Giacomo Mignini fu testimone alle nozze di Domenico Peci
con
Irene DeAngelis e che Ubaldo Mignini (1889-1960) fu "guardia
comunale" a Ripatransone, so che ad Ascoli foggiava vasi Quintilio
Mignini, ma non sono riuscito a sapere se discendesse dal ceppo di
Ripatransone.
Certo la coroplastica ripana dei Peci, dei Mignini
e Cellini, di produzione artigianale non può competere con le
"allegorie delle stagioni e dei mesi dell’anno plasmate in
terracotta da Emidio Paci, ad Ascoli Piceno" , ne con le opere di
Daniele Grossi, di Giovanni ed Eliseo Bertozzini prodotte per le
"Ceramiche Artistiche Molaroni" , di Pesaro, ma come opere di
un gruppo di scelti operatori della comunità documentano, con tecniche
e linguaggi poveri i "temi fondamentali della vita espressi se
vogliamo in forme rozze, approssimative, ingenue, ma proprio per questo
tanto più immediatamente comunicative".
Innocenzo
Peci
La
coroplastica di Innocenzo, riconoscibile per strutture a masse compatte
e rigide, domina per quantità nel panorama della ceral1lica sonora
ripana e marchigiana.
L' articolazione del volumi, tipicamente arcaica, scaturisce
dalla memoria visiva del figulo e non dall' osservazione del vero. Lo si
vede chiaramente tanto nei fischietti semplici -si ricordano le
trombette di lineare semplicità, modellate per la festa della
Maddalena, quanto in quelli di struttura più complessa, che si
staccano, per impianto figurativo composito, dalla morfologia
tradizionale della ceramica sonora italiana.
Innocenzo,
in questo settore specifico, inventa mostri di piccole dimensioni
fondendo animali di diversa struttura anatomica o abbinando figure
zoomorfe ed antropomorfe svincolate da riferimenti plastici di ordine
imitativo. .
Modellati con genuina verve popolare e senza intenti caricaturali,
questi esemplari raggiungono, per immediatezza di modellato, equilibrati
livelli tridimensionali. I fischietti dal duplice impianto figurale
visti frontalmente sembrano privi di connessioni volumetriche, esaminati
di profilo, invece, sfoggiano contorni nitidi e hanno nella sintesi il
loro punto di forza estetica.
Gli stilemi di riferimento di queste tipologie plastiche sono di
discendenza dotta. li doppio impianto animale - uomo o animale - animale
si rinviene, infatti, nei tori androcefali degli Assiri, nelle sfingi
egiziane o, protoattiche, nei centauri greci e nei mostri etruschi, che Innocenzo, più volte
intervistato, ha dichiarato di non conoscere e di non avere mai visto in
riproduzione.
Conosce bene, invece, l'arpia in ferro battuto del balcone del palazzo
Massi-Mauri di Ripatransone (sec. XVIII) e a questa scultura dal corpo
di uccello e volto di donna si ispira per modellare fischietti
morfologicamente assenti nella ceramica sonora italiana come attesta
l'iconografia pubblicata fino ad oggi .
Accanto alle lavorazioni seriali, si rinvengono statuette e fischietti
dalla tridimensionalità curata e dalla stesura figurativa accattivante,
dove, di tanto in tanto, compare qualche punta di realismo: anitra,
testa di cavallo e testa di elefante nel settore zoomorfo; ghiande e
foglie tra i fischietti fitomorfi.
Nell'itinerario operativo di Innocenzo non c'è solo aderenza alla
tradizione popolare: si vedano i fischietti riproducenti il “cavallo
di fuoco”, tradizione legata ai festeggiamenti dell'ottava di Pasqua,
unica nel suo genere e che documenti d' archivio fanno risalire al 1682.
Alcuni fischietti, marcatamente arcaici, riecheggiano stilemi di cultura
italica. Punte avanzate della sua coroplastica sono proprio i pezzi
ricollegabili alla "Civiltà Picena". Alcuni esemplari
discendo- no da particolari manici zoomorfi di tazze monoansate,
conservate nel museo archeologico di Ripatransone; altri derivano da
famosi bronzetti della stessa Civiltà, come il guerriero da
Ripatransone (Parigi - Louvre): figura ripresa da Innocenzo perché
consona alla sua espressione plastica e perché nota a lui e al pubblico
marchigiano per lo scalpore suscitato dal ritrovamento, mentre il bue
riprodotto a pag. 106 si ricollega alla figura di un bovide proveniente
dagli strati protovillanoviani del 'Colle dei Cappuccini' di Ancona.
(Ancona, Museo Nazionale).
Artista popolare imbevuto di figurativismo piceno, è 1 'unico maestro
marchigiano finora noto ai collezionisti". Innocenzo non è uomo di
cultura, ma con la sua figulina fa cultura.
Ultimo discendente di una dinastia di figuli di valore, con fervore da
etnografo, ha allestito un museo che merita di essere visitato per la
sua unicità.
Asino con carico e Cavallo di Fuoco
(museo Peci)
Fischietti zoomorfi e zoo antropomorfo
(museo Peci)
Fischietti zoomorfi e antropomorfi (museo Peci)
MUSEO CIVICO
ARCHEOLOGICO
Il Museo Civico Archeologico che porta il nome di chi ne11877 lo
fondò, cioè Don Cesare Cellini, canonico della Cattedrale e Cavaliere della Corona
d'Italia, è uno dei più ricchi, importanti e visitati musei della Regione
Marche.
E’ rimasto chiuso dal 1977 al 1985, per dare ad esso
una
migliore sistemazione, basata su criteri cronologici, scientifici e
didattici. Se ne fecero carico tre funzionari della Soprintendenza
Archeologica delle Marche: la Dott.ssa
Mara Silvestrini (preistoria, protostoria), la Dott.ssa Edvige Percossi
(civiltà picena),
l'Arch. Pierluigi Salvati (progettazione, corredo didattico-didascalico
); la Dott.ssa Simonetta Piattelli curò il settore numismatico nella sezione romana. La
cerimonia di riapertura si svolse alle ore 17 di domenica 5
maggio 1985, presenti i tre funzionari allestitori, autorità locali,
esperti ed appassionati
di archeologia,
presidenti di alcune sedi marchigiane del!' Archeoclub d'Italia, tanti
cittadini.
Con il nuovo allestimento il Museo si è trasformato
(uno dei rari esempi
nelle Marche) in un valido strumento didattico e scientifico,
indispensabile per offrire al visitatore una chiara visione dei processi
storici succedutisi
nel territorio: per questo ogni anno è visitato da migliaia e migliaia di persone, comprese scolaresche
provenienti
non solo dalle Marche ma anche dal!'Abruzzo
e dal Lazio.
l reperti custoditi sono
circa 4000 comprese le monete:
quelli esposti, ovviamente i più sjgnificativi ed i meglio conservati, sono circa 500,sistemati in cinque
sale ed in un corridoio,
in 32 armadi, su supporti, su griglie: essi danno
la possibilità al visitatore di ricostruire l'evoluzione della frequentazione nel
territorio
di Ripatransone (dal
quale proviene circa il 9070 del materiale), dalla preistoria
alla civiltà romana: materiali litici: paleolitico (vetrinetta n.1),
neolitico-eneolitico (n. 2); materiali dell'età del
bronzo (n.3); i materiali dell'età del ferro (vetrinette nn. 4-27) costituiscono il
nucleo più consistente, essendo reperti della civiltà picena (secoli IX-III a..C.), databili per la maggior parte VI secolo a.C.; questa sezione è stata allestita
sia con criteri tipologici (oggetti ornamentali, vetrinette nn. 4-10; di
uso militare, 11-12, di uso domestico: 13-17), sia con criteri
topografici (indicazione delle contrade di rinvenimento, vetrinette
18-27).
Tra i reperti della civiltà picena si segna1ano: le collane (vetrinetta n. 9), gli anelloni (oggetti
tipici dei Piceni, vetrinetta n.10), gli elmi (12), la tomba di donna
(ricostruita), i poppatoi (20); i buccheroidi (materiale fittile di
colore scuro, di imitazione etrusca).
La sezione della civiltà romana (destinata ad ampliarsi) è sistemata nelI’ultima sala e nel corridoio grande: fatta eccezione
per alcune monete, i reperti sono databili l sec. a.C.- I
sec.d.C.; si segnalano:
il busto di Venere in marmo (vetrinetta n. 30), le lucerne (32), le urne
cinerarie, frammento di affresco pompeiano, cippo ossario di Aulo
Volumnio Platano liberto di Aulo (pezzo raro in Italia ed in Europa);
interes6ante Il lapidario per l'assortimento dei reperti, fra cui
frammenti dfcalendario e la lapide tombale conepigrafe di Buxurio
truentino, di nome Tracalo, architetto.
Il locale del piano rialzato è destinato alla sezione medie:Vale; tra i pezzi, un elegante fonte
battesimale, con bassorilievi, databile VIII secolo.
Il Museo Archeologico, il cui ingresso principale è al n. 11
di piazza XX
Settembre, è aperto tutto l'anno; il numero telefonico è 0735/99329.
|