MUSEI    

 

1) MUSEO STORICO - ETNOGRAFICO

2) LA PINACOTECA E LA GIPSOTECA CIVICA

3) MUSEO DELLA CIVILTA' CONTADINA ED ARTIGIANA

4) MUSEO CIVICO ARCHEOLOGICO

5) MUSEO DELLA BOTTEGA DEL VASAIO

 

 

MUSEO STORICO ETNOGRAFICO

 

Oploteca- L’ultimo piano del palazzo custodisce materiale interessante e vario, che può essere inserito nell’ambito di un museo storico-etnografico. Tra il materiale conservato: monete e medaglie; autografi, epistolario e cimeli di Luigi Mercantini, insieme con cimeli risorgimentali e della prima guerra mondiale; oggetti di epoca medievale; raccolta di autografi di personaggi famosi; costumi dei magistrati ; oggetti devozionali o di uso liturgico; curiosità etnografiche provenienti anche dall’Africa e dall’America Latina; raccolta di circa 200 armi di varie epoche : oploteca.

 

LA PINACOTECA E LA GIPSOTECA CIVICA

 

Il palazzo Bonomi - Gera, sede della Pinacoteca - Gipsoteca.
Fu progettato per la propria famiglia alla fine del secolo XVII da Luzio Bonomi (Ripatransone, 1669-1739). Nel 1966 fu acquistato da Uno Gera, che lo fece restaurare e riportare in gran parte all'architettura originaria, nonostante le trasformazioni e le mutilazioni subite dal palazzo (smantellamento dei caminetti, rifacimento di alcuni soffitti in cemento...).
Lo stile dell'edificio è sobrio e castigato; la parte posteriore richiama il prospetto della Villa Falconieri di Frascati; il portale in arenaria, sormontato da un balconcino, è il principale elemento decorativo della facciata in laterizi; la porta ha una bella lunetta in legno. 
Donato al comune da Gera, dal 1976 ospita la  Gipsoteca e la Collezione d'arte Gera, e dal 1977 la Pinacoteca civica, la raccolta di maioliche e porcellane, materiale storico ed etnografico.
L'allestimento delle raccolte è rimasto sostanzialmente quello voluto da Uno Gera, che preferì arredare un palazzo patrizio con opere d'arte, piuttosto che allestire una vera pinacoteca. Attualmente vi sono custodite circa 1000 opere di circa 70 artisti diversi, dal sec. XV ai giorni nostri.
Entrati nell'edificio, superata la bella vetrata realizzata nel 1994 da Giovanni Capriotti di Ripatransone, si possono ammirare due cassepanche (sec. XIX) donate da Gera e due sue sculture in gesso del 1969: 
Cerere nella nicchia di destra, Venere in quella di sinistra. Il pianoterra ospita prevalentemente opere contemporanee. La prima sala di sinistra è dedicata allo" scultore del vento " Pericle Fazzini; la sala, allestita quando l'artista era ancora in vita, è stata ristrutturata nel 1996 : vi sono custodite 30 opere (frutto della generosità dell'autore) : due sculture in bronzo : ritratto di Ungaretti ed un Crocifisso; un pastello, due acqueforti, 25 serigrafie.
La seconda sala di sinistra è dedicata al pittore e scultore Remo Brindisi, di cui sono conservate tre tele del ciclo "La Preda" , diverse incisioni e serigrafie, ed all'incisore e pittore Arnoldo Ciarrocchi, di cui sono custodite dieci incisoni ed un acquarello.
Nella prima stanza di destra, due pareti ospitano 22 opere del pittore Giuseppe Canali, donate al municipio nel 1992. Nelle altre due pareti sono esposte opere di artisti diversi, quali: Annigoni, Giovanelli, Piacesi, Marchegiani, Fanfani, Marziali, Meconi, Capponi, Pulcini, Amadio, Marconi, Cordivani, Montanarini, Cusani, Brrettoni, Perrotta, Danesi, Ferretti, Sergiacomi con la scultura : "L'ode al Signore" (1982). 
Nella Pinacoteca intesa in senso classico sono conservate centinaia di opere; seguendo il criterio cronologico, i pittori più noti nelle varie sale sono: Vittore Crivelli con sette tavole dipinte con colori a tempera, rappresentanti: San Marco, Madonna con il Bambino, San Lorenzo (tavole raggruppate in un trittico), San Giovanni Battista, San Leonardo, Beato Giacomo della Marca, San Placido; Giacomo Campli, con due affreschi recuperati con la tecnica dello "strappo"; Cola dell'Amatrice con un affresco (attribuzione); Vincenzo Pagani con tre opere; con due tele ciascuno di carattere sacro: Luca di Costantino, Ernest van Schyk, Giuseppe Maria Crespi, Filippo Ricci; Ubaldo Ricci con una tela; Francesco Coghetti con cinque opere e 26 bozzetti (la più ricca collezione italiana riguardante l'autore ); Teofilo Patini con la figura di "Orante" ; tra i pittori stranieri dell'Ottocento (ognuno con un'opera), si ricordano: lo svizzero Alexandre Calame e gli inglesi Charles Robert Leslie, James Webb, James Stark. Gli incisori presenti con una o più opere sono: Federico Barocci, Giovan Battista Piranesi, Bartolomeo Pinelli, Adolfo De Carolis (xilografo), Antonio Carbonati, Diego Pettinelli (xilografo), Armando Stefanucci, Amintore Fanfani, Giuliano Febi, Sanzio Giovanelli. Sono custoditi inoltre custoditi disegni di Giuseppe Capparoni, ecc..
Nel salone delle feste del palazzo, con il soffitto a lacunari dipinti, le pareti decorate a tempera  e la galleria (con i semibusti di Gera) riservata ai musici, è stata sistemata la raccolta (oltre 300 pezzi ) delle maioliche e delle porcellane, in prevalenza dei secoli XVII-XIX e di varia provenienza (Deruta, Castelli, Urbania, Pesaro, Faenza, Ascoli Piceno, Meissen); alcune (quelle donate da Uno Gera ) sono di provenienza orientale. Al centro del Salone si ammira la Madonna in trono (1524), terracotta di Gianfrancesco Gagliardelli. Di un'altra pregevole opera in terracotta, una pala d'altare di Fra Mattia Della Robbia, andata  in frantumi, sono custoditi i 35 pezzi restanti.
Nella sala più bella del palazzo, l'unica ad avere dipinti il soffitto a lacunari ed il sottostante fregio, sono sistemati i mobili d'arte prevalentemente del secolo XVIII, altro munifico dono di Uno Gera; spicca fra questi il trumeau ( fine '700), di stile romano, di forma classica.
La  Gipsoteca Uno Gera , allestita nel 1976 da Gera con le proprie opere, è sistemata in due locali del piano nobile: nel più piccolo, notare il lampadario di porcellana francese, databile nel periodo 1750 - 1850; nel più ampio ( già due camere da letto ), notare i bei soffitti a lacunari dipinti: qui è conservato il nucleo principale della gipsoteca : predominano i ritratti, perché Gera come scultore è stato soprattutto un ritrattista. Cronologicamente le opere, ( circa cento ) vanno dagli anni '20 agli anni '70; sono esposti pure bozzetti di sculture realizzate a Ripatransone ed altrove.

Nella Sala "40 Artisti per il Presepe" sono custodite le opere sulla Natività donate dagli autori, esposte nella sala "Ascanio Condivi" dal 23 dicembre 1984 al 27 gennaio 1985, in occasione della XV edizione del grandioso presepio all'aperto. Tra le opere ( in parte grafiche ) spiccano quelle di Annigoni, Angellotti, Brindisi, Cagli, Ciarrocchi, Corpora, Cantatore, Fazzini, Fiume, Greco, Guttoso, Piacesi, Treccani, Trotti, Vespignani. La Sala fu inaugurata il 27 aprile 1985.

La galleria dei Ritratti è situata lungo la scala di collegamento fra i piani: vi sono sistemati 35 ritratti, quasi sempre di personaggi o di vescovi di Ripatransone, vissuti nei secoli XVI - XIX: provengono dalla collezione comunale, preesistente alla fondazione nel 1877 del museo - pinacoteca.

 

 

MUSEO DELLA CIVILTA' CONTADINA ED ARTIGIANA

 

Il Museo della Civiltà Contadina ed Artigiana del medio Piceno. Allestito da un comitato di 25 volenterosi e benemeriti cittadini nei primi mesi del 1990, fu inaugurato il 21 aprile dello stesso anno, presenti autorità civili e religiose. La raccolta si compone di manufatti e di molti attrezzi (circa 1500, per la quasi totalità ceduti dai proprietari residenti a Ripatransone e nei comuni vicini), che sono stati prodotti o utilizzati nella campagne e nelle botteghe artigiane fino agli anni cinquanta, prima che la progressiva meccanizzazione li rendesse inutili; pochi risalgono alla fine dell’800, la maggior parte è databile prima metà del secolo ventesimo. L’allestimento è stato condizionato, purtroppo, dalla tipologia e dalla superficie dell’ambiente.

Il museo si compone di tredici sezioni:

SEZIONE I -La bottega del fabbro (lu f’rrà)

È una bottega della prima metà del Novecento, ma non è molto diversa da quella della Roma imperiale o del buio MedioEvo. Vicino alla porta d'ingresso, nell'angolo, sono gli attrezzi del fabbro:

-la fucina o forgia con la quale si scaldava il ferro, una serie di tenaglie per poterlo maneggiare, dei martelli per modellarlo battendolo sull'incudine, trapani per bucarlo. Poi l'affilatrice (il cialandro} per affilare e levigare, le filiere per le viti, i saldatori per la saldatura a stagno, la ceca per incassare la testa dei bulloni, le lime, gli scalpelli ecc. ecc. Seguono i manufatti del fabbro: zappe, bidenti, vanghe, coltri e vomeri per gli aratri, cardini per porte e finestre (li carganitti d' 'Nzinzì d'Bebè}, chiodi, treppiedi, catenacci, serrature, chiavi, catene e tante cose ancora. Tutti i contadini, per assicurarsi la manutenzione e la riparazione degli attrezzi, stipulavano con il fabbro (ma anche con tutti gli altri artigiani) l'accordo (baratto dei prodotti dei campi con la prestazione d'opera).
 

  Arrotatrice

  SEZIONE II -Vasellame in terracotta

  Nell'armadio a fianco è sistemato un campi(}nario di vasellame fittile che a Ripatransone veniva prodotto, fino agli anni 1965, nella bottega dei vasai "Li Cuccià" Da ragazzi si andava nella loro bottega a chiedere e a prendere la "mata" (la creta) per soddisfare la voglia imitativa di modellare e di creare qualcosa, e ci si incantava a vedere nascere e prendere forma da una palla di creta, che girava sul piatto di un tornio, un oggetto che tutti avevano in casa.
I loro manufatti: la brocca "l'orcio", i contenitori vari di diverse forme, i vasi, i piatti, le padelle, i salvadanai, i trufi, i fischietti, le coccette e perfino i "megafoni" che venivano usati la sera tra il 28 febbraio e il primo di marzo per cacciare le "crocchie" cioè le larve che danneggiavano le colture. Per antichissima credenza si riteneva che urlando, attraverso rozzi megafoni, stornelli allusivi ed ingiurie pesanti in direzione degli abitanti di contrade limitrofe, gli insetti nocivi sciamassero verso quelle zone.

  SEZIONE III -Mezzi di illuminazione e giochi

Dietro, nello stesso armadio, oltre le ammoniti (non della nostra zona) e qualche concrezione, sono sistemati alcuni mezzi di illuminazione: lanterne, lumi a petrolio, lumi ad olio, bugie per candele, lampada ad acetilene. Il lume ad olio veniva anche usato dalle "magare" per togliere il malocchio "l'invidia". La magara, donna con poteri e virtù particolari, operava in questo modo: riempiva un piatto fondo di acqua, accendeva il lume e lo passava intorno alla persona dalla testa fin sotto il bacino e viceversa, tante volte, bisbigliando preghiere, invocando Santi o demoni, ripetendo "San Pietra d' Rome,San Jevanne d' Spagne lieva la mmidie, la d'scicche e le lagne".
Intingeva poi il mignolo nell'olio del lume e faceva cadere una goccia di olio nell'acqua del piatto. La goccia di olio, nell'acqua, si spandeva o si suddivideva in goccioline sparse. Ogni gocciolina era un occhio invidioso. Si diceva infatti: qualcuno ti ha fatto l'occhiatura.
La maga ripeteva allora tutta l'operazione una seconda, una terza volta finche la goccia .d'olio, questa volta, rimaneva compatta senza più dividersi. Era stata tolta "la mmidie".
L'acqua del piatto veniva versata dietro la "pianca del fuoco" (pietra del focolare) perché nessuno ci passasse sopra. Sempre nello stesso armadio troviamo qualche giocattolo, senza made in, costruito dai ragazzi: inferno e paradiso, fischietti di canna, fionde, barchette di carta, aeroplani, lu stpplò (una specie di fucile ad aria compressa), il carrarmato (rocchetto dentellato azionato da un elastico con supporti di cera e bastone di carica), lu pescia, la baraccola (l'aquilone), la cometa (coda anellata), le pallette (tre, sei, nove, dodici, quindici, diciotto e cotto), li c'ttì (cinque, dieci, quindici, venti, la luna, li dò, li tre, lu psà e fatto), e quello della "gallonice".
Spesso era il lungo ma appassionante lavoro per costruirlo che rendeva il giocattolo più divertente dell'uso che se ne faceva dopo. Guardate quei giocattoli, pensate alla povertà dei materiali usati, alla pazienza che richiedevano per costruirli, all'abilità necessaria, alla fantasia, alla fatica e vi accorgerete che quei ragazzi sapevano divertirsi meglio dei nostri figli che hanno troppo e non desiderano più niente.
 

    

Lanterne                                     Giochi

SEZIONE IV- Pesi e misure

Siamo così giunti nell'angolo dei pesi e delle misure: bascule, stadere con romani per pesare i sacchi, bilance con piatti, quarte e coppi. La quarta conteneva circa Kg. 25 di cereale, quantitativo di grano occorrente per seminare 1000 mq. di terreno cioè una "tavola"; il coppo Kg. 7,5 . Qualche famiglia benestante aveva misure personalizzate con tanto di nome (vedi quarta con scritta Bonomi, una famiglia di Ripa e quella dei Padri Agostiniani che risale al 1700). C'è poi la bilancia, in uso in quasi tutte le rivendite di sale e tabacchi di allora, per pesare il sale, quando questo si vendeva sfuso. Il piatto è di vetro perché il sale, messo in un piatto metallico, lo avrebbe ossidato.

  SEZIONE V- La cantina

Spostiamoci nel settore cantina dove sono raggruppati gli attrezzi usati per la coltivazione della vite (forbice, accetta, seghetto), le pompe a zaino per l'acqua ramata e le solforatrici e il soffietto per spargere lo zolfo. Poi vediamo gli attrezzi per la lavorazione dell'uva: dai canestri e dalle casse per il trasporto dell'uva ai canali (vasca in legno) dove veniva pigiata, o meglio pestata perché si faceva con i piedi, al torchio dove veniva spremuta, alle bigonce e alle secchie dove veniva raccolto il mosto, alle pompe per convogliarlo nelle botti dove si lasciava fermentare, decantare e diventare vino. Altri attrezzi: le damigiane, i fiaschi, le cannelle (la spina) (rubinetti per attingere il vino dalle botti), la bilancia per pesare le botti, l'attappabottiglie, le casseruole in rame per travasare il vino, il torchietto per il vino santo, la petriola1.

Angolo Cantina

SEZIONE VI -Vasellame

Nell'armadio dei vasi fittili osservate, in alto, le brocche per attingere e conservare l'acqua. Alcune sono di colore azzurro perché adibite al trasporto dell'acqua ramata (solfato di rame). Le donne dovevano provvedere al rifornimento delle pompe a zaino, trasportando sulla testa, le brocche con l'acqua ramata. Se e quando cominciavano a nascere le prime reciproche simpatie, la ragazza, nei rifornimenti, la- sciava cadere qualche goccia di acqua ramata sulla schiena del ragazzo. Era il segnale, nascosto ai più, ma chiaro a chi lo riceveva: "Mi piaci". In mezzo: contenitori anforati, non smaltati, per la conservazione di sottaceti, di olive e di peperoni. In basso: boccali, di diverse capacità, per il vino (quelli bianchi internamente risalgono alla fine dell'800) e le coccette (miniaturizzazione degli oggetti da cucina, che ha origine atavica, picena). Ripatransone conserva ancora la tradizione di regalare alle bambine, nel giorno della festa della Patrona (22 luglio), le coccette. Sono giocattoli per un gioco lavoro: allora le bambine con le coccette giocavano e nello stesso tempo cominciavano a prendere dimestichezza con gli attrezzi da cucina perché la donna doveva essere solamente una brava donna di casa. Poi i trufi con una sola apertura per bere durante gli assolati, pesanti lavori di campagna. Bisognava saperci bere, altrimenti non ci si dissetava. Nell'angolo a seguire troviamo attrezzi vari: la mazza di legno con i cunei per spaccare la legna per il focolar,e, un rudimentale seggiolino e gli attrezzi per ribattere le falci, il corno contenitore della cote, (pietra abrasiva per affilare lè falci), tagliafieno di diverse forme.

Coccette "Vasellame da cucina in miniatura"

 

 

SEZIONE VII Il trasporto

Tutta la parte centrale del museo è occupata dal settore trasporto. Il carro a quattro ruote, la sterza, restaurato nell'anno 1993 (restauratori: Antonio Mora della struttura, prof. Davide Cusani della decorazione) era un carro tipicamente romagnolo. Poteva essere anche utilizzato come carro processionale. Oggi viene usato per l'offerta del grano alla Madonna di San Giovanni nel giorno della festa del grano (prima domenica di Agosto). La treggia (traja), simile alla slitta, trainata da due bovini aggiogati, era utilizzata per il trasporto di legna, di erba, di derrate sui campi, dove non erano strade. Qualche volta trasportava sulle strade fangose, sistemando una sedia alle "sbranchi- ne", anche persone di riguardo come il padrone del fondo, il fattore, il medico, la "mammine" (l'ostetrica), il veterinario e anche il prete. I carri, che richiamano un poco quelli siciliani, avevano una sola stanga, le sponde decorate, e ogni carradore aveva il proprio disegno decorativo ( una specie di marchio depositato). Il carro era fornito di libretto di circo!azione con le caratteristiche del mezzo (targhetta azzurra) e doveva pagare la tassa di circolazione (targhetta in alluminio). Il carro era segno di prestigio, non tutte le famiglie mezzadrili lo possedevano. I ragazzi del paese e anche qualche adulto, quando i carri scarichi ritornavano dal paese alla campagna, approfittavano per fare un giretto. Salivano sul carro, si sedevano sul pianale e i più sicuri sulle sponde e, sballottati a destra e a sinistra (il carro non aveva balestre ne sospensioni) scendevano o là gli "urmi" (strada cuprense nei pressi della bottega del carraro Ciarrocchi) o giù" tu t'rrò" (strada Cu- prense sotto il Monterone).

Carriola

SEZIONE VIII  Il lavoro dei campi

Certamente per lavorare, coltivare la campagna occorreva molta forza fisica. Tutti i lavori si facevano a braccia; la giornata lavorativa era formata di molte ore. I lavori ricorrenti nell'anno erano: la potatura degli alberi e delle viti, la sarchiatura del grano, la falciatura dell'erba, la mietitura, la trebbiatura, l'aratura dei campi, la vendemmia, la semina, la raccolta delle olive e sempre i lavori della stalla, e, qualche volta, di notte, bisognava "spurgà" i gabinetti (pozzi neri) delle abitazioni del paese per ricavarne concimpletame. Un po' di pausa durante l'inverno, ma c'erano ugualmente tante cose da fare: cesti in vimini, scope, scale, riparazione o modifica di qualche attrezzo e sempre le preoccupazioni e l'impegno della stalla. In questa sezione fanno bella mostra: gli aratri, dal più antico tutto in legno con la sola punta in ferro, al "rospo", al voltorecchio, agli aratri in ferro con ruote ecc. Poi gli erpici, le seminatrici, le zappe, i bidenti, i rastrelli, i legamannelli, i forconi per l'erba e il letame, le pale, tutte in legno, per ammassare il grano, le falci, le macchine tritaforaggio, la "rel- la" (bastone frusta e anche attrezzo per ripulire il vomere dal terriccio). Vale la pena richiamare l'attenzione sui correggiati (bastoni legati tra loro da una correggia), Sono i "frajelli" e servivano per battere il grano, le fave, i ceci, e separare il seme dall'involucro. Con i crivelli poi si "spulava" cioè si separava il chicco di grano dalla pula. Lungo una specie di corridoio, con a sinistra i carri agricoli, sono macine per la polenta e il farro, stampi per coppi e mattoni (molte case di campagna erano di terra impastata con paglia e sterco di animale bovino), ganci per ripescare i secchi dal pozzo, e, appesi alla parete, tanti gioghi e poi attrezzi per la pulizia degli animali, morsi (fr'scette) e catene per bovini. I bovini dovevano essere addestrati -"scoria"- lavoro che si faceva nei ritagli di tempo al mattino presto e dopo il tramonto da bifolchi esperti e di mestiere. Si possono osservare anche: un macinino per la terra colorata, una macina per i semi di lino (che venivano usati per fare "gli'mpiastri") e corpetti e biancheria non certamente delle donne di campagna, il pettine per la raccolta dei fiori di camomilla e il calibro dell'uovo, con il quale si controllava la misura. La conduzione dei terreni era regolata dal patto di mezzadria, un sistema di conduzione e di contratto agrario secondo cui il concedente (proprietario del fondo) e il capo di una famiglia colonica si associano per la coltivazione di un podere e per l'esercizio delle attività connesse al fine di dividersi i prodotti e gli utili ( originariamente a metà poi, con il lodo De Gasperi, nella proporzione del 53% al mezzadro e del 47% al concedente, e successivamente nella proporzione de158% e 42%). Per quanto riguarda gli animali da cortile (polli, conigli, oche, tacchini (li ptù ), il concedente ne è fuori, ma la famiglia colonica, ogni mese e in occasione di particolari ricorrenze come il Natale, l'Epifania, il Carnevale, la Pasqua, la mietitura, la nascita di bovini ecc., doveva portare al padrone i presenti cioè polli, uova, ortaggi, formaggio ed altro. Dalle nostre parti, dove la proprietà era molto spezzettata, tra il colono e il piccolo proprietario esisteva una collaborazione quasi sempre leale ed anche i rapporti umani erano buoni e, qualche volta, affettuosi.


SEZIONE IX  Il tessere a casa

Adesso ci addentriamo in settori (tessitura, cucina, camera) dove la donna diventa la protagonista 'e il lavoro femminile è preminente e quasi esclusivo. In quasi tutte le case coloniche esisteva un telaio e le ragazze dovevano con esso preparare il corredo da sposa nei ritagli di tempo, tra un lavoro e l'altro e nelle lunghe sere d'inverno quando, intorno al telaio, si infittivano le chiacchiere e gli innamorati si lanciavano occhiate d'intesa. Tutti gli attrezzi che sono esposti in questo settore (filarelli, arcolai, naspi, rocche, conocchie, orditori, pettini, fusi) servivano per approntare il telaio al lavoro della tessitura. L'oggettino, a forma di navetta, che le donnetessitrici si passavano velocissimamente da una mano all'altra, in dialetto si chiama "ndruga". Da ciò il detto "Sei peggio di una ndruga" riferito alla persona che non riesce a star ferma e si muove in continuazione2. Poi ci sono uno sfibratore "la macigna", i pettini per la canapa e infine un attrezzo per farele corde.

Il Telaio ed altra attrezzatura per tessere

SEZIONE X -La cucina

Il cuore della casa colonica è rappresentato dalla cucina e dalla camera: è il regno della "vergara"!3

2 Preme le licce / batte le cqsse / mann'!a ndruga in qua e in là / la donna sverde / se vede su lu t'là.

3 La vergara, moglie del capofamiglia, era la responsabile assoluta di tutte le attività che si svolgevano nell'ambito del- la casa colonica: preparazione dei pasti, riordino della casa, allevamento degli animali da cortile, ecc. La successione a questo ruolo seguiva regole ben definite: venuta a mancare la coppia dei genitori, diventava vergara la moglie del primogenito. Quando poi convolava a nozze il secondogenito, la moglie di quest'ultimo assumeva lei la carica di vergara togliendolo alla cognata; rimaneva sempre capofamiglia il più anziano dei fratelli. Le conseguenze di questo avvicendamento sono facili da immaginare... tanto che trova credito la diceria che la moglie del primogenito, pur di non perdere lo scettro familiare, fosse a volte piena di attenzioni nei confronti del cognato più giova- ne e, per dissuaderlo dall'ammogliarsi, non gli faceva mancare... nulla.
Osservando la ricostruzione di questi due locali non si può frenare una certa commozione. Ogni oggetto suscita un ricordo, ogni angolo risveglia una lontana emozione, ritornano i sentimenti dell'infanzia e la figura materna.
La cucina delle case coloniche aveva lo zoccolo alto (tinteggiatura della parte bassa della parete). Era di un colore azzurrino così come la poca mobilia perché il colono, senza ricorrere all'imbianchino, spesso tinteggiava e così disinfettava, utilizzando l'acqua ramata proprio di colore azzurro. Il colore azzurro, si dice, che allontani anche i fastidiosi insetti. Gli oggetti che troviamo nella cucina sono: l'acquaio, lo scolapiatti, la brocca, la madia, "lu stnn'tù" (mattarello), la credenza con i santini, il tavolo e le sedie, i setacci, il battilardo, la "sventola" per il fornello, gli abbrustolitori per tostare l'orzo, la "grattacascia" (la grattugia), il macinino per il caffè e il pepe, la stagnata, la pompetta del Ddt, la raschietta per pulire la spianatura della madia ed altri ancora.

  Sezione XI – La camera

Nella camera, oltre al pagliericcio, alla cassa per la biancheria, al lavabo, al baule, al prete e alla monaca, alla culla, al seggiolino, allo "scallapà", alla comoda (gabinetto mobile), allo scaldaletto e alla bottiglia di acqua calda, c'è un silos cilindrico, fatto di canne intrecciate, per custodire il grano. Proprio nella camera veniva conservato il grano (nella cartecina) sia perché lo imponeva la limitatezza della superficie della casa colonica sia perché il grano, essendo un bene prezioso che assicurava l'esistenza, doveva essere ben custodito, anche di notte, per essere certi che nemmeno un chicco potesse essere rubato. I calzettoni, tutti rattoppati, sono testimonianza di un'economia povera che costringeva a risparmiare su tutto.

SEZIONE XII -La botteI!a del calzolaio

   

Nell'angolo è sistemata l'attrezzatura del calzo- laio, il quale spesso andava a lavorare, a giornata, presso le famiglie coloniche e la sera tornava con la "catana" o "tu tascapà" pieno di roba. Cuoio, tomaie, forme di diverse dimensioni, "sub bia", chiodi, ferri per scarpe, "bollette", desco, scatole di lucido, attrezzi per lavorare il cuoio, martello tipico del calzolaio (donato al museo da un visitato re di Bolzano) sono gli attrezzi più comuni del ciabattino. Vicino è sistemato un altro armadio di vasellame fittile: scaldini per le mani, pentole per cucinare legumi, la campana per avvisare "l'opera" Ci braccianti) dell'ora di pranzo, i vasi smaltati per I'impignata cioè per la conservazione sotto strutto della carne di maiale, che doveva essere utilizzata nei periodi estivi dei grandi lavori di campagna. Una curiosità: la vecchia bottiglia della gassosa con la pallina di vetro.

 

Desco e attrezzi

SEZIONE XIII -La bottega del falegname

  È tutta dedicata al lavoro del falegname. Il banco di lavoro, le pialle, le pianucce, la morsa con la vite di legno, il compasso, i morsetti, il raffetto. le seghe e i segacci, gli attrezzi per le cornici, le sce, gli scalpelli, le lime e le raspe, i ricci, fanno bella mostra. Il Museo, prima di congedare i visitatori, vuole richiamare la loro attenzione sul banco di scuola. Banco diverso dagli attuali, stretto, scomodo, rozzo, ma comunque simbolo d'istruzione e di cultura, quell'istruzione che fu determinante per il riscatto delle masse contadine ed operaie, per il progresso civile di tutto il popolo. Questo vecchio banco che abbiamo salvato dalla distruzione è il monumento che abbiamo voluto innalzare, nel nostro museo, per ricordare i nostri Padri, per onorare il loro lavoro ed i loro sacrifici e per dichiarare ad essi la nostra riconoscenza e il nostro amore.  

MUSEO DELLA BOTTEGA DEL VASAIO

 

Al numero 42 di Via Garibaldi, ma vi si accede anche da Via Roma 2, è il "Museo del vasaio (annesso ad un piccolo laboratorio), dove sono conservati circa cinquecento manufatti ed un presepe permanente in terracotta" oltre ad arnesi disposti secondo una precisa funzionalità operativa. Album di fotografie, mostrati ai visitatori più interessati, documentano la struttura della vecchia fornace alimentata a legna e non più visitabile perché diruta. Il museo si compone di due vani: in uno è conservato il vasellame, nell'altro la coroplastica. L'esposizione del vasellame non è articolata per settori d'uso. È disagevole, pertanto, individuare uno sviluppo operativo coerente e una evoluzione morfologica consistente. D'altro canto, a dire di Innocenzo, le tappe del progresso tecnologico non potevano essere recepite dalla loro bottega perché costose e il gusto della clientela non richiedeva radicali trasformazioni merceologiche. Al contrario, invece, la coroplastica, suddivisa per autori, presenta, in modo chiaro, le opere di tutti i membri della dinastia dediti, con continuità, alla foggiatura di fischietti, pipe e statuette da presepe. Le tipologie ceramiche sono tre: la terracotta, la terracotta maiolicata, la terracotta ingobbiata e invetriata. La struttura, nel suo piccolo, congiunge il passato al presente e promuove a pubblica fruizione una figulina fabbricata a mano e al tornio da artefici indigeni. Per consolidamento espositivo questo nucleo di manufatti si è trasformato, ormai, in patrimonio della comunità e va ad aggiungersi ai cinquanta e passa musei demoantropologici presenti nelle Marche.

  IL VASELLAME

Tra le tipologie morfologiche dei vasi balza subito all' occhio la mancanza degli esemplari grandissimi, simboli dell'abbondanza; ne ci sono i piccoli vasi potori. I vasi conservati sono per lo più di media grandezza usati per la cottura dei cibi e per la conservazione degli alimenti. Su rustiche mensole, tipiche delle scaffalature di laboratorio, sono allineate tipologie di vasi per mescolare, attingere, mescere e man- giare, nonché recipienti privi di smalto, scaldini, lavamani e catini a malapena verniciati. Sostanzialmente questo vasellame da fuoco e da tavola, di tipo corrente, prodotto al tornio a pedale con lavorazioni rapide, spessori forti e smaltature dimesse, era destinato ad una popolazione contadina e tradizionalista. Le campionature esposte, pervase da una comune manodopera, mostrano validità morfologiche ben precise, specie nei passaggi costruttivi più delicati dei vasi: piede-corpo, spalla-collo. Ai vasi dalla tettonica ben articolata si affiancano vasi dai profili elementari, con vistose. strie di tornitura. Nella bottega-museo sono allineate ceramiche a forma aperta e a forma chiusa nelle quali, a ben guardare, si sono sedimentati secoli di civiltà. "Bucaloni e trufi", "pigne e pitarrole", "sire e catinozze", "caciarole e sformarole" indicano attraverso forme e formati, discendenze colte e impieghi d'uso.Alcuni vasi rivelano punti di contatto con determinate tipologie vascolari della "Civiltà Picena": perpetuano, infatti, profili di vasi scavati a:Novilara Molaroni, Novilara Servici, Numana, Cupra Marittima e Tolentino. Altri riportano alla civiltà greca: il bucalone ricorda il profilo delle brocche mediominoiche; il trufo si imparenta con l'ariballo protocorinzio arcaico; la pigna non si discosta dalla peliche ateniese e la pitarrola riprende pari il profilo di alcune anfore dello "stile del palazzo". E si intravedono pure influssi vascolari penetrati dal nord: mi riferisco ai profili di alcune testimonianze vascolari celtiche scavate proprio nelle .Marche, regione che ebbe rapporti e connessioni pluriformi sia con le culture e le storie dell' area padana che con quel- le dell' area mediterranea.

  Le Decorazioni del Vasellame

Sul vasellame fanno capolino tre modesti repertori decorativi. Il primo viene praticato su stoviglie crude parzialmente essiccate, ricorrendo a impressioni digitali o ad arnesi piuttosto semplici: chiodi e sgorbie o anche al pettine a denti corti, dal quale derivano solcature, a vario andamento, tipiche della cosiddetta "ceramica a pettine". Il secondo partito decorativo è di natura cromatica: ha nel maculato in ramina, ferraccia e manganese 1 'espressione più semplice. Si tratta di una ceramica "fiammata" sulla quale il gioco delle macchie, dovuto dapprima al caso dUrante le fasi di spruzzatura, fu dopo guidato dal gusto dei vasai. Seguono decori cromatici conferiti con la penna d' ala di gallina o di tacchino, intinta nell'ingobbio di terra di Vicenza. Ci sono anche decorazioni dipinte di impianto elementare, disposte con parsimonia. Puntinature a "occhio di dado" si riscontrano specialmente sulle bordure esoflesse; simbologie religiose, di carattere grafico riassuntivo, sono conferite "alla prima", cioè senza disegni predisposti. Tra queste le più comuni sono contrassegnate da tre colpi a goccia lunga, dati con la penna di gallina e convergenti verso il basso, per simboleggiare i chiodi della crocifissione, e da due colpi angolati per simboleggiare il flagello della Passione. Rarissime nel sottocollo o sovrappiede sono le filettature. Alle parsimoniose decorazioni dell' esterno seguono altrettante povere decorazioni all'interno: nei fondi di spase e piatti si rinviene il riccio disposto a quinconce; sulle tese corre, a lunghi intervalli, lo stesso riccio. Il terzo partito decorativo è di natura plastica. Su; un gamelio "dono di fidanzamento" aggettano, sulla parte enfiata del vaso, appendici plastiche con allusioni agli organi sessuali e due nidi simboleggianti le case paterne degli sposi, da cui bisogna staccarsi per creare la nuova famiglia. Non sempre la decorazione plastica è dimessa. Su un vaso per mescere, una composizione fitomorfa distesa in forma metopale fra spalla e collo, è testimonianza di una cultura plastica più evoluta, applicata su manufatti destinati al quotidiano.

I Fischietti di Ripatransone

Seguendo la tradizione marchigiana i Peci foggiano fischietti piccoli, medi e grandi. I piccoli oscillano tra i 4-6 centimetri; i medi tra i 6-9 centimetri; i grandi tra i 9-15 centimetri-di altezza; ma ce ne sono anche di 20 e passa centimetri. A Ripatransone e Massignano c'è stata pure una discreta produ- zione di fischietti piccolissimi, che, per consuetudine commerciale, veniva smerciata dai venditori di lupini. La maggior parte è modellata a mano, minore quantità deriva da- gli stampi e dal tornio. I fischietti modellati a mano e quelli torniti sono a tutto tondo; quelli derivati da stampi, invece, sono in bassori1ievo, perché derivano da matrici monovalve. Il repertorio morfologico comprende figure zoomorfe, antropomorfe, fitomorfe ed eteromorfe; quello tipologico rientra nella schedatura Nixdorff, mentre il modulo sonoro, quando non è ricavato dalla cavità della statuetta, è disposto orizzontalmente o lievemente obliquo alla base d'appoggio. In tutti i settori il “fatto a mano” scongiura il pericolo della ripetitività delle forme, fatta eccezione, naturalmente, per gli esemplari derivanti dal mezzo stampo. L'informe e il manierato, filoni manufatturieri ricollegabili a volumi sommari e decori affrettati, sono valenze costanti della ceramica sonora di serie perche i fischietti, in gran parte, sono opera di apprendisti e di figuli anziani "non più in forza per il tornio" . Le fatture dozzinali, però, non sempre portano discapito alle valenze figurative e al tono popolare dell'insieme volumetrico. I fischietti dei Peci, nei loro archetipi iconografici, si presentano come fenomeno plastico unitario. Forme arcaiche e forme indigene, espresse con un vocabolario tridimensionale elementare, riconducono, per frontalità e schematicità, all'arte italica. La predilezione verso un figurativismo statico e per di più con inflessioni formali di origine preistorica, è comune anche a Massignano. La costante di questi impianti, espressi con carattere tridimensionale dimesso, evidenzia che nessuno dei Peci si preoccupava di dare il senso del movimento alle proprie figure. Ogni generazione ricalca le orme della precedente. Forme e stilemi della tradizione di bottega, a lungo perpetuati, raggiungono caratteristiche manufatturiere stabili. In un arco di tempo considerevole i Peci modellano seguendo filoni conservativi tipici delle produzioni di famiglia. Di conseguenza, tranne qualche eccezione, nessuno si preoccupa di ingentilire volumi e migliorare fatture esecutive. Nessuno cambia rotta figurativa. La coroplastica che si produce piace ad autori e fruitori, perché in questa figulina confluiscono valenze estetiche da un lato e valenze etnologiche dall'altro. Si assiste a Ripatransone e a Massignano al fenomeno dell'atavismo artistico "forza misteriosa che fa eseguire quei dati simboli in quella determinata maniera e non in un' altra, quei dati animali e piante ( e, naturalmente, anche figure antropomorfe) in quella determinata stilizzazione" (48 ) e non in un' altra. Siamo in presenza di foggiatori orgogliosi degli standards della loro bottega e a lungo procedono senza esitazioni o ripensamenti. E come avviene nella prassi delle lavorazioni popolari il patrimonio I morfologico e figurativo resiste anche senza essere rinnovato, perché "soddisfa i bisogni spirituali e pratici del popolo e per questa sua funzione vitale si trasmette nel tempo" . Nell' elenco merceologico, oltre alla ceramica sonora di carattere profano, si rinviene anche quella sacra: giova ricordare i tre personaggi della Sacra famiglia, modellati per presepi piccoli e grandi, la Madonna di Loreto, in diverse versioni, e una corte di Santi . E da questa figulina di struttura elementare, cilindrica e compatta, i staccano, per qualità, le opere di Domenico, nelle quali il gusto per la rifinitura diventa compiacimento estetico, come attestano i ritratti di personaggi della storia dell'Unità d 'Italia prodotti da Domenico in un clima di patriottismo imperante, le cui matrici potrebbero essere arrivate dalla capitale, portate, forse, dal poeta e patriota ripano Luigi Mercantini. L'importanza delle figure popolari prodotte dai Peci risiede nel fatto che sono preziosi documenti etnografici e nonostante le abbreviazioni di foggiatura sono il buon risultato di una compatta equipe di figuli la cui eco, grazie a Innocenzo, che continua ancora a modellare, non è del tutto spenta.

LE DECORAZIONI DEI FISCHIETTI

Due i partiti decorativi: il primo, acromo, è ottenuto con graffi e unghiate e con maldestre solcature di chiodo; il secondo, cromatico, deriva da spugnature, pennellate e smaltature ad immersione. Tecnicamente, la decorazione incisa era conferita, dopo parziale essiccamento, su manufatti crudi; quella cromatica, invece, era applicata su prodotti ceramici di prima cottura. Sull'impiantato plastico, i Peci hanno conferito, per incisione, piumaggi e penne. Gli stessi accorgimenti operativi sono stati usati per la segnatura di abbigliamenti e parti anatomiche. Il senso del finito, però, i fischietti 10 raggiungevano solo con la colorazione. Colorazione data a freddo facendo principalmente ricorso al bianco (latte di calce ), al rosso e al verde. Così confezionati i fischietti 'sembravano avvolti da lembi di bandiera italiana. Ma, anche se sia: '10 nel paese natale del patriota Luigi Mercantini, l'impiego del tricolore non è dovuto a fanatismo patriottico. La consuetudine di ricorrere ad una tavolozza semplice è da ricercare nel fatto che l' arte popolare, e non solo quella italiana, fa spesso ricorso a questa tricromia basata sull’abbinamento di un colore primario (il rosso) e di uno binario (il verde), sostenuti dal bagno del bianco. . A volte, il verde è sostituito dal blu ma, anche in questo caso, non c' è allusione a bandiere di altri Stati. È stato detto, a proposito .di foggiature, che i fischietti si modella- vano con gli avanzi di tutti i tipi di argilla. Allo stesso modo, con i fondi di smaltature del pentolame da fuoco e con le rimanenze degli smalti dei piatti, si smaltava qualche cavallino o campanella o si invetriava qualche fischietto ad acqua. Incredibile, ma vero, nel settore in cui i figuli hanno meglio messo in luce le loro qualità creative hanno fatto ricorso a materiale plastico di avanzo e a rimasugli di colore.

  Altri Cloroplasti a Ripatransone

Mentre l'attività dei Peci era “in fiore” e il vecchio Domenico si accingeva a trasferire bottega e fornace ai figli Filippo, Silvestro ed Emidio, a Ripatransone l'amore per le attività plastiche era in fermento. Al di fuori dell'ambito artigianale di questa famiglia di figuli, che formava un nucleo operativo compatto, splendeva la personalità del coroplasta don Costantino Cellini (Ripatransone 1840-1886) "abile plasticatore" di Santi e Madonne. A testimonianza del suo talento di foggiatore di immagini sacre restano a Ripatransone una "Madonna di San Giovanni, collocata in una nicchia all'interno della Corte delle Fonti" e la "statuina di Sant'Elena: collocata in una piccola nicchia sopra l' arco centrale del portIco della chIesa conventuale dì Santa Croce dei P.P. Cappuccini" . Se le opere dei Peci trovavano diffusione in ambienti contadini e di cittadini dalle condizioni socio-economiche modeste, quelle di don Costantino Cellini trovavano collocazione nelle case dei ceti più elevati e in ambienti urbani pubblici. Entrambe le produzioni, però, credo, debbano aver goduto, e non soltanto in loco, di adeguata popolarità, per aver riproposto, con corretta visione storico-culturale, un repertorio di opere legate alla quotidianità e alla religiosità de}la società agricola e operaia della Marca ascolana. A Ripatransone anche dopo la prematura scomparsa di Don Costantino Cellini rimasero vivi i fermenti sia per la coroplastica che per tutte le altre attività manuali collegate alla creatività. La città, infatti, sin dal 1889 , era diventata "famosa in patria e all' estero per la scuola di lavoro manuale educativo (la prima in Italia) fondatavi dal concittadino Emidio Consorti che vi istituì pure un museo pedagogico" . A sei anni di distanza dalla fondazione "neI1894 il Ministro della Pubblica Istruzione Guido Baccelli, visitò il VI Corso Consortiano e ne rimase così entusiasta che con Regio Decreto del 17 gennaio 1895, n° 27 istituì a Ripatransone la Scuola Normale Maschile Inferiore denominata Luigi Mercantini, con annessa una sezione di lavoro educativo" . Oltre ai Peci e a don Costantino Cellini operavano a Ripatransone anche i Mignini con bottega "alle Grotte", attuale via Leopardi, e fornace al "Torrione di Guardia". Anche i Mignini foggiavano fischietti e statuette, "ma tutto veniva modellato con gli stampi e non a mano come facevamo noi" puntualizza Emidio junior. Le ricerche sui Mignini, soprannominati Pacò, hanno dato pochi risultati. Oltre al documento dell'archivio parrocchiale dal quale risulta che Giacomo Mignini fu testimone alle nozze di Domenico Peci  con Irene DeAngelis e che Ubaldo Mignini (1889-1960) fu "guardia comunale" a Ripatransone, so che ad Ascoli foggiava vasi Quintilio Mignini, ma non sono riuscito a sapere se discendesse dal ceppo di Ripatransone. Certo la coroplastica ripana dei Peci, dei Mignini e Cellini, di produzione artigianale non può competere con le "allegorie delle stagioni e dei mesi dell’anno plasmate in terracotta da Emidio Paci, ad Ascoli Piceno" , ne con le opere di Daniele Grossi, di Giovanni ed Eliseo Bertozzini prodotte per le "Ceramiche Artistiche Molaroni" , di Pesaro, ma come opere di un gruppo di scelti operatori della comunità documentano, con tecniche e linguaggi poveri i "temi fondamentali della vita espressi se vogliamo in forme rozze, approssimative, ingenue, ma proprio per questo tanto più immediatamente comunicative".

 

Innocenzo Peci

La coroplastica di Innocenzo, riconoscibile per strutture a masse compatte e rigide, domina per quantità nel panorama della ceral1lica sonora ripana e marchigiana. L' articolazione del volumi, tipicamente arcaica, scaturisce dalla memoria visiva del figulo e non dall' osservazione del vero. Lo si vede chiaramente tanto nei fischietti semplici -si ricordano le trombette di lineare semplicità, modellate per la festa della Maddalena, quanto in quelli di struttura più complessa, che si staccano, per impianto figurativo composito, dalla morfologia tradizionale della ceramica sonora italiana. Innocenzo, in questo settore specifico, inventa mostri di piccole dimensioni fondendo animali di diversa struttura anatomica o abbinando figure zoomorfe ed antropomorfe svincolate da riferimenti plastici di ordine imitativo. . Modellati con genuina verve popolare e senza intenti caricaturali, questi esemplari raggiungono, per immediatezza di modellato, equilibrati livelli tridimensionali. I fischietti dal duplice impianto figurale visti frontalmente sembrano privi di connessioni volumetriche, esaminati di profilo, invece, sfoggiano contorni nitidi e hanno nella sintesi il loro punto di forza estetica. Gli stilemi di riferimento di queste tipologie plastiche sono di discendenza dotta. li doppio impianto animale - uomo o animale - animale si rinviene, infatti, nei tori androcefali degli Assiri, nelle sfingi egiziane o, protoattiche, nei centauri greci e nei mostri etruschi, che Innocenzo, più volte intervistato, ha dichiarato di non conoscere e di non avere mai visto in riproduzione. Conosce bene, invece, l'arpia in ferro battuto del balcone del palazzo Massi-Mauri di Ripatransone (sec. XVIII) e a questa scultura dal corpo di uccello e volto di donna si ispira per modellare fischietti morfologicamente assenti nella ceramica sonora italiana come attesta l'iconografia pubblicata fino ad oggi . Accanto alle lavorazioni seriali, si rinvengono statuette e fischietti dalla tridimensionalità curata e dalla stesura figurativa accattivante, dove, di tanto in tanto, compare qualche punta di realismo: anitra, testa di cavallo e testa di elefante nel settore zoomorfo; ghiande e foglie tra i fischietti fitomorfi. Nell'itinerario operativo di Innocenzo non c'è solo aderenza alla tradizione popolare: si vedano i fischietti riproducenti il “cavallo di fuoco”, tradizione legata ai festeggiamenti dell'ottava di Pasqua, unica nel suo genere e che documenti d' archivio fanno risalire al 1682. Alcuni fischietti, marcatamente arcaici, riecheggiano stilemi di cultura italica. Punte avanzate della sua coroplastica sono proprio i pezzi ricollegabili alla "Civiltà Picena". Alcuni esemplari discendo- no da particolari manici zoomorfi di tazze monoansate, conservate nel museo archeologico di Ripatransone; altri derivano da famosi bronzetti della stessa Civiltà, come il guerriero da Ripatransone (Parigi - Louvre): figura ripresa da Innocenzo perché consona alla sua espressione plastica e perché nota a lui e al pubblico marchigiano per lo scalpore suscitato dal ritrovamento, mentre il bue riprodotto a pag. 106 si ricollega alla figura di un bovide proveniente dagli strati protovillanoviani del 'Colle dei Cappuccini' di Ancona. (Ancona, Museo Nazionale). Artista popolare imbevuto di figurativismo piceno, è 1 'unico maestro marchigiano finora noto ai collezionisti". Innocenzo non è uomo di cultura, ma con la sua figulina fa cultura. Ultimo discendente di una dinastia di figuli di valore, con fervore da etnografo, ha allestito un museo che merita di essere visitato per la sua unicità.

              

                         Asino con carico e Cavallo di Fuoco (museo Peci)

               

                        Fischietti zoomorfi e zoo antropomorfo (museo Peci)

               

                        Fischietti zoomorfi e antropomorfi (museo Peci)

 

  MUSEO CIVICO ARCHEOLOGICO

 

Il Museo Civico Archeologico che porta il nome di chi ne11877 lo fondò, cioè Don Cesare Cellini, canonico della Cattedrale e Cavaliere della Corona d'Italia, è uno dei più ricchi, importanti e visitati musei della Regione Marche.
E
rimasto chiuso dal 1977 al 1985, per dare ad esso una migliore sistemazione, basata su criteri cronologici, scientifici e didattici. Se ne fecero carico tre funzionari della Soprintendenza Archeologica delle Marche: la Dott.ssa Mara Silvestrini (preistoria, protostoria), la Dott.ssa Edvige Percossi (civiltà picena), l'Arch. Pierluigi Salvati (progettazione, corredo didattico-didascalico ); la Dott.ssa Simonetta Piattelli curò il settore numismatico nella sezione romana. La cerimonia di riapertura si svolse alle ore 17 di domenica 5 maggio 1985, presenti i tre funzionari allestitori, autorità locali, esperti ed appassionati di archeologia, presidenti di alcune sedi marchigiane del!' Archeoclub d'Italia, tanti cittadini.

Con il nuovo allestimento il Museo si è trasformato (uno dei rari esempi nelle Marche) in un valido strumento didattico e scientifico, indispensabile per offrire al visitatore una chiara visione dei processi storici succedutisi nel territorio: per questo ogni anno è visitato da migliaia e migliaia di persone, comprese scolaresche provenienti non solo dalle Marche ma anche dal!'Abruzzo e dal Lazio.

l reperti custoditi sono circa 4000 comprese le monete: quelli esposti, ovviamente i più sjgnificativi ed i meglio conservati, sono circa 500,sistemati in cinque sale ed in un corridoio, in 32 armadi, su supporti, su griglie: essi danno la possibilità al visitatore di ricostruire l'evoluzione della frequentazione nel territorio di Ripatransone (dal quale proviene circa il 9070 del materiale), dalla preistoria alla civiltà romana: materiali litici: paleolitico (vetrinetta n.1), neolitico-eneolitico (n. 2); materiali dell'età del bronzo (n.3); i materiali dell'età del ferro (vetrinette nn. 4-27) costituiscono il nucleo più consistente, essendo reperti della civiltà picena (secoli IX-III a..C.), databili per la maggior parte VI secolo a.C.; questa sezione è stata allestita sia con criteri tipologici (oggetti ornamentali, vetrinette nn. 4-10; di uso militare, 11-12, di uso domestico: 13-17), sia con criteri topografici (indicazione delle contrade di rinvenimento, vetrinette 18-27). Tra i reperti della civiltà picena si segna1ano: le collane (vetrinetta n. 9), gli anelloni (oggetti tipici dei Piceni, vetrinetta n.10), gli elmi (12), la tomba di donna (ricostruita), i poppatoi (20); i buccheroidi (materiale fittile di colore scuro, di imitazione etrusca). La sezione della civiltà romana (destinata ad ampliarsi) è sistemata nelIultima sala e nel corridoio grande: fatta eccezione per alcune monete, i reperti sono databili l sec. a.C.- I sec.d.C.; si segnalano: il busto di Venere in marmo (vetrinetta n. 30), le lucerne (32), le urne cinerarie, frammento di affresco pompeiano, cippo ossario di Aulo Volumnio Platano liberto di Aulo (pezzo raro in Italia ed in Europa); interes6ante Il lapidario per l'assortimento dei reperti, fra cui frammenti dfcalendario e la lapide tombale conepigrafe di Buxurio truentino, di nome Tracalo, architetto.

Il locale del piano rialzato è destinato alla sezione medie:Vale; tra i pezzi, un elegante fonte battesimale, con bassorilievi, databile VIII secolo. Il Museo Archeologico, il cui ingresso principale è al n. 11 di piazza XX Settembre, è aperto tutto l'anno; il numero telefonico è 0735/99329.