Prevenzione della cecità
In preparazione della ‘Settimana mondiale sulla prevenzione della
cecità’ e, in particolare, della Degenerazione Maculare correlata
all’età, il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti ha ospitato
una Conferenza Stampa, moderata da Mario Petrina, past-president
dell’Ordine, alla quale hanno partecipato il Presidente della Sezione Italiana
dell’Agenzia Internazionale per la Prevenzione della Cecità, avv.Giuseppe
Castronovo, e i professori Corrado Balacco Gabrieli (Direttore
Istituto di Oftalmologia Università ‘La Sapienza’ di Roma), Alfredo
Ribaldi (Direttore Istituto di Oftalmologia Università di Catania),
Bruno
Lumbroso (Ospedale Oftalmico di Roma) e la Dott.ssa Monica Varano
(Fondazione
Bietti).
Testimonial dell’iniziativa sono Bud Spencer e Annalisa Minetti,
che erano presenti alla Conferenza Stampa, e Pippo Baudo.
La Sezione Italiana dell’Agenzia Internazionale, organismo non governativo
riconosciuto dall’OMS, ha lo scopo fondamentale di promuovere la prevenzione
delle minorazioni visive in Italia e nel mondo.
Ciò in considerazione dell’altissimo numero di ciechi (250.000
in Italia e 5.000.000 nel mondo) e di ipovedenti, persone con capacità
visiva da 1 a 3 decimi (oltre 1.000.000 in Italia e 175.000.000 nel mondo
nel complessivo numero di 500 milioni di disabili).
Prevenire la cecità
Comunicato Stampa
Il sole non è amico degli occhi
La degenerazione maculare senile è una malattia degli occhi
che nei paesi occidentali è la principale causa di cecità
dopo i 50 anni. “Solo un italiano su cinque conosce l’esistenza di
questa patologia – afferma Giuseppe Castronovo, presidente dell’Agenzia
Internazionale per la Prevenzione della Cecità - che può
essere facilmente diagnosticata con esami indolori presso qualsiasi oculista”.
L’identificazione della malattia negli stadi iniziali è l’unica
possibilità per intervenire con le terapie oggi disponibili che
permettono di prevenire la perdita della vista.
Roma, 20 settembre 2001 - Attenzione ai raggi solari, sono
pericolosi per gli occhi. Il consiglio viene dall’Agenzia Internazionale
per la Prevenzione della Cecità, il rappresentante italiano dell’AMD
Alliance International, l’associazione senza scopo di lucro nata per aumentare
il livello di conoscenza e per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla
degenerazione maculare senile (AMD). La malattia che causa la perdita della
visione centrale, in occidente rappresenta la prima causa di cecità
dopo i 50 anni.
“Il sole è una frequente causa di fototraumatismi – spiega
il prof. Balacco Gabrieli, vice presidente dell’Agenzia Internazionale
per la Prevenzione della Cecità e direttore dell’Istituto d’Oftalmologia
all’Università La Sapienza di Roma – ed è uno dei principali
indagati come causa dell’AMD, malattia che colpisce la porzione centrale
della retina, la macula. Un eccesso di radiazioni solari può costituire
un problema anche a distanza d’anni, per questo motivo è indispensabile
prendere le dovute precauzioni proteggendo gli occhi con occhiali da sole
in grado di filtrare al 100 per cento i raggi ultravioletti”.
Sono 25-30 milioni le persone nel mondo affette da AMD, ma questo numero
è destinato a triplicare nei prossimi venticinque anni a causa dell’invecchiamento
della popolazione. Esistono due tipi di AMD: la forma secca e la forma
umida o essudativa. La forma secca, molto più frequente (85% dei
casi) consiste in una graduale e lenta atrofia del tessuto maculare. La
forma umida, seppure più rara, è quella che provoca maggiori
danni: il 90% dei casi cecità da degenerazione maculare è
infatti dovuto a questa forma che è caratterizzata dallo sviluppo
di vasi sanguigni neoformati sottoretinici che possono sanguinare.
“La diagnosi precoce tramite autotest e successiva visita oculistica
è l’arma più potente che abbiamo oggi a disposizione per
controllare la degenerazione maculare – continua Balacco Gabrieli – per
potere utilizzare tutte le terapie oggi a disposizione che non hanno più
effetto se la malattia ha già raggiunto uno stadio avanzato”.
“La vista è un bene dall’inestimabile valore che deve essere
preservata in ogni modo – afferma Giuseppe Castronovo, presidente dell’Agenzia
Internazionale per la Prevenzione della Cecità -. La nostra associazione
è chiamata a perseguire un obiettivo molto importante che è
quello di garantire in particolare all’anziano una buona qualità
di visione che possa permettergli il mantenimento della propria autonomia.
Il problema della AMD infatti presenta aspetti preoccupanti, se si considera
che i soggetti colpiti non possono più compiere le normali azioni
di vita quotidiana come leggere, guardare la televisione o guidare l’automobile.
Inoltre la disabilità visiva insorge in un momento particolarmente
delicato della vita dell’individuo, quando per limiti d’età egli
fuoriesce dal mondo produttivo. La perdita del proprio ruolo nell’ambito
della società e spesso familiare, genera frequentemente una condizione
di grave disagio sociale e psichico. Non va inoltre trascurata la possibilità
della coesistenza di altre malattie croniche generali e di altri deficit
funzionali con risultati devastanti”.
L’AMD Alliance International è una associazione senza scopi di
lucro che raggruppa organizzazioni per la vista e per la terza età
e mira a fornire conoscenze, aiuto e speranza ai soggetti di tutto il mondo
affetti da AMD e ai loro familiari. L’AMD Alliance fornisce ai soggetti
affetti da AMD una serie di risorse, tra cui numeri informativi e contatti
regionali, un facile accesso alle risorse di tutti i membri, opuscoli informativi
e un sito web. Per informazioni sull’AMD e sull’Alliance è possibile
visitare il sito web www.amdalliance.org oppure chiamare l’Agenzia Internazionale
per la Prevenzione della Cecità al numero 06/36004895.
Agenzia Internazionale per la prevenzione della cecità
Sezione italiana
Questa Agenzia, presente in oltre 150 Paesi di tutto il mondo, si occupa
della prevenzione della cecità. Trattasi di un organismo non governativo
riconosciuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e la Sezione
Italiana dell’Agenzia, in riconoscimento della sua attività in Italia
e all’estero, è stata inserita nella Task Force mondiale dell’OMS.
Con legge 284 dell’agosto 1997, la Sezione Italiana dell’Agenzia Internazionale
per la Prevenzione della Cecità è stata riconosciuta dallo
Stato anche con la concessione di un contributo di lire un miliardo annuo.
La necessità dell’attività dell’Agenzia scaturisce dal
fatto che nel mondo vi sono 50 milioni di ciechi e 175 milioni di ipovedenti,
mentre nel nostro Paese i ciechi sono 250 mila e gli ipovedenti oltre 900
mila, cittadini questi, in possesso da 1 a 3 decimi come da legge 138 dell’aprile
2001 e tutto ciò anche per mancanza di prevenzione. Per i ciechi
assoluti (45 mila) e per i cittadini in possesso di un ventesimo (70 mila),
lo Stato spende, per pensioni e indennità di accompagnamento, quasi
900 miliardi annui, oltre ad altri interventi per sussidi per l’autonomia
del non vedente. Per la prevenzione della cecità lo Stato investe,
ai sensi della richiamata legge 284 del 1997, sei miliardi.
Nel nostro bel Paese, il concetto di prevenzione in generale è
scarsamente conosciuto e ancora meno praticato, in particolare per la prevenzione
delle minorazioni visive.
La Sezione Italiana dell’Agenzia Internazionale per la Prevenzione
della Cecità, promuove una serie di iniziative volte a sensibilizzare,
nella scuola, nel mondo del lavoro e in altri ambiti sociali, la conoscenza
di vizi oculari come la miopia, la retinopatia diabetica, la cataratta,
il distacco di retina, il glaucoma ed altre patologie che inesorabilmente
possono portare alla cecità.
Nell’ambito di queste iniziative ed attività, la nostra Agenzia
intensificherà, dal 23 al 29 settembre p.v., una campagna sulla
Degenerazione Maculare Senile, patologia che colpisce, in Italia e nel
mondo, circa 30 milioni di persone.
L’Associazione mondiale AMD Alliance International ha proclamato la
“Retina Week” in tutti i paesi del mondo, per far conoscere che anche questa
causa di cecità può essere scongiurata attraverso la prevenzione.
Per questo, anche in Italia, saranno promosse diverse iniziative con
le Cliniche Oculistiche Universitarie, con i reparti di Oculistica Ospedalieri
e con i liberi professionisti Oftalmologi affinché si accenda, nella
coscienza delle persone, l’interesse alla prevenzione della cecità
e potere così aspirare a che si formi una vera, autentica cultura
della prevenzione, in atto assente anche nella cultura medica.
Questa Agenzia, nell’ambito della “Retina Week”, ha organizzato
una importante conferenza stampa il giorno 20 settembre, nei prestigiosi
locali del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti per significare
a tutti, giornalisti, operatori sociali, esponenti del mondo della Sanità
e della scuola, l’importanza della prevenzione della cecità e quindi
della tutela dell’incomparabile bene della vista che va assolutamente tutelato
attraverso la via maestra e meno costosa della prevenzione.
Chi scrive, ha perduto la vista a 9 anni a causa della guerra e per
dirla con Sofocle: “nessuno ama tanto la vita più di chi sta per
perderla”; nel nostro caso “nessuno ama tanto la vista più di chi
l’ha perduta o sta per perderla”.
Con questo grande impegno e fede portiamo avanti questo importantissimo
discorso sulla prevenzione affinché, anche in questo nostro Paese,
siano sempre meno i bambini, i giovani, gli anziani che perdono inesorabilmente
la vista.
E’ anche grazie a manifestazioni come questa che potremmo concretamente
sperare di rendere la parola cecità sempre più parola di
vocabolario e sempre meno realtà sociale.
Il Presidente
Avv. Giuseppe Castronovo
Degenerazione maculare
Con il termine di degenerazione maculare viene comunemente intesa una
alterazione prograssiva della regione centrale del tessuto retinico, la
macula, deputata alla “visione centrale”, cioè alla distinzione
dei dettagli più fini delle immagini ed al riconoscimento dei colori.
Oltre ad alcune forme rare che insorgono precocemente nel corso della vita,
ed a quelle forme che sono in relazione alla miopia di grado elevato (maculopatia
miopica), più comunemente questa patologia viene messa in relazione
all’età, da cui il nome di Degenerazione Maculare legata all’Età
(DMLE).
La DLME costituisce una delle principali cause di cecità legale
nel mondo industrializzato in pazienti con più di 55 anni di età,
colpendo, in totale, circa 25 milioni di persone; solamente in Italia ne
risultano affetti quasi tre milioni e mezzo di pazienti. Tale alterazione
può provocare una drastica riduzione della acuità visiva,
ledendo grandemente l’autonomia della persona.
Le conoscenze sulle eziopatogenesi della malattia sono soltanto in
parte note e risultano di difficile interpretazione. Un importante ostacolo
alla ricerca, infatti, è la mancaza di un modello animale e poi
l’insogenza tardiva della malattia che crea difficoltà nella identificazione
dei geni coivolti nella predisposizione e nello sviluppo della malattia.
Probabilmente esiste una componente ereditaria e per questo tale patologia
insorge in più componenti di una stessa famigli; i parenti, dunque
dovrebbero ricorrere al controllo da parte dell’oculista almeno ogni due
anni superata la quinta decade di vita.
Oltre ai fattori di tipo genetico, sembrano avere un ruolo molto importante
nel determinismo di tale patologia altri fattori che potrebbero essere
divisi in fattori endogeni e fattori esogeni.
Tra i primi ci sembra doveroso ricordare un insufficiente livello sierico
di sostanze ad azione antiossidante (vitamina C, A, E, carotenoidi, zinco
e selenio), un incremento dei fattori di rischio dell’aterosclerosi e soprattutto
l’aumento dei livelli di acidi grassi saturi e del colesterolo, malattie
cardiovascolari, ipertensione arteriosa sistemica, obesità, alterazioni
nell’assetto ormonale ed in particolare una diminuzione degli estrogeni
nelle donne nel periodo post-menopausa.
Tra i secondi va posto particolare accento sul fumo che, per
le sue caratteristiche, espone ad una grande quantità di agenti
ossidanti. Dobbiamo inoltre ricordare l’esposizione a radiazioni luminose,
l’alcol, l’utilizzo dei farmaci ipnoinducenti. Sembra, inoltre, che l’ipermetropia
e l’iride chiara possano essere annoverati tra i fattori di rischio locali.
Esistono due principali forme di degenerazione maculare: la forma secca
(dry) e la forma umida (wet).
La prima, che è anche la più diffusa e interessa
circa l’85-90% delle persone con degenerazione maculare avanzata, determina
una progressiva diminuzione della vista con lenta degenerazione del tessuto
retinico, mentre la seconda, meno diffusa ma ben più grave e riscontrabile
in circa il 10-15% dei casi, determina una diminuzione della vista che
degenera poi in invalidante perdita della funzione.
Le drusen, accumuli di materiale di scarto visibili all’interno della
macula come spots giallastri, sono considerate una manifestazione precoce
della forma secca. Esse non causano abitualmente cambiamenti nella visione
e solo alcuni pazienti con drusen, sviluppano una severa forma di degenerazione
maculare. La forma secca di degenerazione maculare, può causare
anche grosse perdite nella distinzione dei dettagli ma il danno dovuto
ad atrofia è, generalmente, non così grave come quello
dovuto alla forma umida. In questa forma, vasi sanguigni anomali crescono
sotto lo spessore retinico verosimilmente come le radici di un albero
che crescono sotto un marciapiede. Questi vasi anomali, chiamati
con il termine di neovascolarizzazione coroideale (CNV) poiché originano
dalla circolazione coroideale, al di sotto della retina, possono perdere
fluidi, sanguinare o semplicemente sollevare la retina sovrastante dando
una severa riduzione del visus e immagini distorte. Se si verifica un CNV
in un occhio, vi è una probabilità maggiore che ciò
accada anche nell’occhio controlaterale. Prima la neovascolarizzazione
viene scoperta e più probabilità si avranno di salvare la
visione centrale.
Quando arrivano i primi cambiamenti nella visione, comunemente cominciano
da un occhio e solo più tardi, ed eventualmente, interesseranno
il controlaterale. Spesso, quando cominciano questi cambiamenti, il paziente
potrebbe non accorgersi di nulla poiché l’occhio non affetto continua
a vedere bene. E’ soltanto quando la degenerazione maculare interessa entrambi
gli occhi che il paziente comincia ad avere difficoltà per compiere
quei tipi di lavori che fanno parte della sua quotidianità
e che richiedono la visione centrale dei dettagli. In generale, è
importante scoprire ogni piccolo cambiamento il più presto possibile
in quanto sicuramente più suscettibile ad un eventuale trattamento.
Per questo motivo, ogni paziente al di sopra di 55 anni di età e
specialmente se il proprio oculista ha già posto una diagnosi di
degenerazione maculare iniziale, dovrebbe testare la propria visione centrale
in ogni occhio separatamente e ogni giorno. Uno dei migliori metodi a nostra
disposizione per svelare anche piccoli cambiamenti è sicuramente
la griglia di Amsler, costituita da un quadrato di 10 cm di lato, suddiviso
in quadratini di 5 mm, che il paziente osserva olternativamente con un
occhio per volta.
Nei primi stadi di degenerazione maculare, la visione comincia a diventare
confusa sia da lontano che da vicino. Un importante e comune sintomo è
costituito dalla distorsione delle immagini. Linee diritte non appariranno
più diritte e una porzione della griglia di Amsler apparirà
anch’essa distorta. E’ possibile, inoltre, vedere una macchia grigia scura
al centro del nostro campo visivo (scotoma).
Le armi a disposizione per cercare di contrastare questa invalidante
manifestazione, sia nella forma secca che nella forma umida, non sono molte.
Numerosi farmaci sono stati testati, ed altri sono ancora in corso di studio,
ma nessuno, ad oggi, ha fornito chiare evidenze scientifiche della sua
efficacia. L’uso di antiossidanti, integratori vitaminici e dello zinco,
nel tentativo di arrestare la progressione della forma secca di degenerazione
maculare, non ha ancora fornito evidenze della sua utilità anche
se possono in qualche modo rallentarne l’evoluzione. Lo stesso può
essere detto per le sperimentazioni condotte con un’altra classe di farmaci,
l’interferone, per quel che riguarda la forma umida. Nuove speranze sembrano
oggi arrivate dagli “steroidi angiostatici”, una famiglia di farmaci ancora
in corso di sperimentazione che sembrerebbero avere una azione inibitoria
sulla crescita dei neovasi nella CNV.
In alcuni casi ben selezionati di degenerazione maculare di tipo umido,
il trattamento laser convenzionale, può essere effettuato per prevenire
una severa perdita della acuità visiva nel soggetto se la CNV è
stata scoperta abbastanza in tempo. Il laser, energia luminosa ad alta
potenza, si converte in calore quando incontra il tessuto retinico. Il
calore prodotto distrugge la CNV e ne arresta la crescita. Ciò che
ne deriva, però, è una cicatrice nella zona di retina trattata
e un corrispondente scotoma nel campo visivo. La capacità visiva
del soggetto normalmente non migliora e qualche volta può subire
dei lievi peggioramenti che comunque sono certamente meno gravi di quelli
che il soggetto avrebbe nell’eventualità il trattamento laser non
venisse effettuato.
Dobbiamo, però, ricordare che al terapia laser convenzionale,
in relazione all’aspetto e alla localizzazione della CNV, risulta attuabile
sole nel 30% circa di tutte quelle forme complicate da neovasi.
Negli ultimi anni, comunque, l’impegno dedicato alla ricerca, ha permesso
di introdurre importanti novità nel trattamento delle diverse forme
di DMLE. Tra queste spicca, sicuramente, la Terapia Fotodinamica (Photodynamic
Therapy, PDT), che grazie alle sue peculiari caratteristiche rappresenta,
oggi, il trattamento elettivo per alcune forme di degenerazione maculare
legata all’età nonché per la CNV in corso di maculopatia
miopica.
Il principio su cui si basa, sta nella capacità di alcune sostanze
(le porfirine) di indurre fenomeni trombotici quando eccitate da una luce
di opportuna lunghezza d’onda e a bassa intensità. Viene sfruttata,
inoltre, la capacità di queste di legarsi selettivamente alle cellule
endoteliali dei vasi neoformati. Dopo una iniezione del farmaco, la cui
dose viene preventivamente colcolata in base alla superficie corporea,
la neovascolarizzazione viene irradiata con un laser che emette una luce
a 689 nm. di lunghezza d’onda. Questa stimolazione induce un danno, verosimilmente
di tipo ossidativo, con conseguente trombizzazione selettiva dei vasi a
cui la sostanza si era legata. Il trattamento può essere ripetuto
per ottenere una completa riduzione della CNV. I risultati, finora incoraggianti,
vengono però ottenuti con ripetuti trattamenti.
Un’altra possibilità di trattamento di queste forme neovascolari,
ci viene offerta dalla Termoterapia Transpupillare (Transpupillary Thermotherapy,
TTT), tecnica che consiste in un lento rilascio di energia termica mediante
un laser a diodi con spot ad ampio raggio e prolungata durata. Il trattamento,
già ampiamente adottato nei tumori della coroide, viene attualmente
proposto per le membrane nuovascolari occulte in corso di DMLE, ma non
ci sono ancora in letteratura riscontri sull’effettiva efficacia di questo
trattamento.
L’introduzione dell’angiografia con ICG, tecnica angiografica che permette
di visualizzare la circolazione coroideale, ha permesso di capire meglio
la struttura vascolare di molte neovascolarizzazioni sottoretiniche. Acquisendo
immagini in rapidissima sequenza, grazie ad angiografi a scansione laser,
è possibile valutare la cinetica di riempimento delle CNV. Ciò
consente di visualizzare i vasi afferenti la lesione neovascolare (feeder
vessels) e permette un loro trattamento selettivo con un laser a diodi.
Il trattamento dei feeder vessels associato alla PDT sembra inoltre fornire
ottimi risultati.
Anche la chirurgia permette in qualche caso l’ablazione dei neovasi
coroideali. Di grande attualità è, a tal proposito, l’intervento
di traslocazione maculare effettuabile solo in casi non trattati precedentemente
con fotocoagulazione laser. Tale metodica consente di aggredire la CNV
con laser convenzionale, dopo che la retina sovrastante è stata
chirurgicamente “traslocata” in una sede in cui la coroide sottostante
appare integra; si tratta però di un intervento molto complesso
e richiede una grande esperienza da parte del chirurgo e va riservato a
casi molto selezionati.
In corso di sperimentazione e promettenti speranze del prossimo futuro,
rimangono il trapianto di pigmento fetale e di fotorecettori che potrebbero
aiutare entrambi i tipi di degenerazione maculare.
Università di Catania
Dipartimento di specialità
Medico Chirurgiche
Sezione di Oftalmologia
Direttore
Prof. Alfredo Reibaldi
La degenerazione legata all'età
La patologia epidemiologica e forme cliniche
La degenerazione maculare legata all’eta’ è la maggiore responsabile
di grave riduzione visiva nei paesi industrializzati dove costituisce
oggi la prima causa di cecità tra le persone oltre i cinquanta anni.
Questa patologia colpisce la parte centrale della retina, la macula,
sede della visione distinta, causando una progressiva perdita, talvolta
completa e irreversibile, della visione. Viene quindi a mancare proprio
l’area del campo visivo centrale, comprendente il punto di fissazione.
Almeno 25-30 milioni di persone su scala mondiale risultano afflitte
da questa patologia degenerativa dell'occhio che può indurre gravissime
condizioni di disabilità visiva permanente, con un evidente disagio
sociale e psichico per i soggetti direttamente colpiti e per i loro familiari.
Gli studi epidemiologici e le stime per il futuro presentano una situazione
in tragico peggioramento. Nel mondo occidentale circa il 25% dei soggetti
oltre i 70 anni di età risulta affetto da degenerazione maculare
senile. Il continuo invecchiamento della popolazione consente di prevedere
nei prossimi 25 anni un numero di casi tre volte superiore all’attuale.
La degenerazione maculare legata all’età si distingue in particolare
in:
· Forma non essudativa (o secca)
E’ la forma più comune della patologia, identificabile
oftalmoscopicamente per la presenza di depositi (drusen) al centro della
retina. La lenta atrofia del tessuto maculare interessato comporta un calo
visivo progressivo, spesso non grave. In alcuni casi la forma secca può
evolvere nella forma essudativa o neovascolare.
· Forma essudativa o neovascolare (o umida)
Meno diffusa della prima, risulta caratterizzata da un’anomala crescita
di vasi sanguigni (neovascolarizzazione) nello spazio sottoretinico. La
neovascolarizzazione si associa ad emorragie ed edema inducendo progressive
lesioni e danni permanenti all’area maculare colpita. A tale processo consegue
un improvviso, rapido ed irreversibile calo della vista. Sebbene la forma
umida sia presente solo nel 10% dei casi di degenerazione maculare legata
all’eta’, essa è responsabile del 90% dei casi di grave riduzione
visiva.
La forma neovascolare della malattia ha effetti devastanti: la maggioranza
delle persone colpite diviene legalmente non vedente nel corso di due anni,
un terzo dei soggetti accusa una drastica riduzione bilaterale della visione
centrale che di regola impedisce lo svolgimento in prima persona delle
più comuni attività quotidiane (lettura, scrittura, guida,
etc.).
Soltanto in Italia si stimano circa 200.000 attuali casi di degenerazione
maculare legata all’eta’ di tipo neovascolare e 20.000 nuovi casi ogni
anno, con tutti i comprensibili costi a carico del Sistema Sanitario Nazionale
associati alla fornitura di ausili per ipovedenti e servizi di supporto
per non vedenti.
LA PATOLOGIA: FATTORI DI RISCHIO, SINTOMATOLOGIA E
DIAGNOSI
L’età avanzata rappresenta il principale fattore di rischio della
degenerazione maculare legata all’eta’. Sembra esistere una predisposizione
genetica alla malattia con trasmissione autosomica dominante. L’esposizione
alla luce solare viene considerata comunemente un fattore di rischio, soprattutto
per quanto riguarda la parte dello spettro vicina all’ultravioletto. Tra
i fattori di rischio generali, ricordiamo la presenza di malattie cardiovascolari,
l’ipertensione e l’obesità. Sostanzialmente sono associati alla
degenerazione maculare legata all’eta’ gli stessi fattori di rischio dell’aterosclerosi,
soprattutto una elevata assunzione di acidi grassi saturi e colesterolo.
Il fumo di sigaretta merita attenzione in quanto espone ad una grande quantita’
di ossidanti. Tra i fattori di rischio locali, l’ipermetropia sembra sia
collegata ad un rischio maggiore di degenerazione maculare legata
all’eta’, soprattutto per la forma essudativa; l’iride chiara sembra maggiormente
associata alla malattia
Le analisi strumentali del fondo dell’occhio (fluoroangiografia e angiografia
con verde di indocianina), unitamente ad una attenta valutazione del quadro
clinico da parte dello specialista oftalmologo, risultano essere gli esami
essenziali per la diagnosi e l’indicazione al trattamento della degenerazione
maculare legata all’età.
Nondimeno, incidenza, prevalenza e esiti invalidanti del fenomeno in
oggetto impongono a tutto l’ambiente medico un parallelo sforzo professionale
nella diagnosi precoce dell’affezione.
I sintomi iniziali legati all’insorgenza dei neovasi consistono nell’annebbiamento
della visione centrale e nella distorsione delle immagini osservate.
Le attuali terapie e i nuovi risultati della ricerca
Per la forma secca della patologia non esistono al momento terapie soddisfacenti.
Circa l’80-90% delle persone affette da AMD neovascolare o umida non
ha potuto, sino a poco tempo fa, ricorrere ad un trattamento sicuro ed
efficace.
L’unico trattamento codificato, la fotocoagulazione laser, poteva infatti
essere praticato solo ad un numero limitato di soggetti (10-20% dei casi).
Comportando l’utilizzazione di un laser termico ad alto potenziale, la
chiusura dei vasi sanguigni anomali implica la concomitante distruzione
di porzioni sane di tessuto retinico, risultando inapplicabile a quella
maggioranza di pazienti in cui l’area da trattare interessa la parte centrale
della macula.
Altre terapie sperimentate o in fase di sperimentazione quali il trattamento
chirurgico, la radioterapia e la somministrazione di farmaci antiangiogenici,
risultano tuttora associate a rilevanti rischi o svantaggi e spesso a risultati
clinici inconsistenti.
La vera concreta novità nel trattamento della patologia è
oggi la terapia fotodinamica con verteporfina o PDT (Photo-Dynamic Therapy).
Il nuovo farmaco, in associazione ad uno specifico laser non termico a
bassa energia, ha infatti dimostrato efficacia e ampia applicabilità
nel trattamento delle lesioni da AMD neovascolare.
La PDT è un processo in due fasi che inizia con l’infusione,
per 10 minuti, della verteporfina (VisudyneÔ), una sostanza fotosensibile
in grado di concentrarsi selettivamente nelle cellule del tessuto neovascolare
da trattare. A 5 minuti dal termine dell’infusione l’occhio del paziente
viene illuminato per 83 secondi da una sorgente laser che provoca l’attivazione
del farmaco.
Grazie all’elevata selettività e alle proprietà farmacocinetiche
della verteporfina, la sua attivazione comporta una distruzione mirata
e una conseguente occlusione della neovascolarizzazione che preserva con
successo la retina sovrastante.
I risultati degli studi clinici condotti per oltre due anni in 28 Centri
Europei e Nord-Americani sono estremamente incoraggianti: la terapia fotodinamica
con verteporfina (VisudyneÔ) ha arrestato l’evoluzione della malattia
in oltre il 60% dei pazienti trattati, stabilizzando il visus compromesso
e in alcuni casi ripristinandolo
Il trattamento, eseguibile ambulatorialmente, risulta essere sicuro,
efficace e ben tollerato.
Le evidenti proprietà terapeutiche della verteporfina hanno
comportato nel 1999 l’autorizzazione dell’FDA Statunitense e dall’Aprile
2001 il farmaco e’ stato registrato in Italia.
Fondazione Bietti
Prof. Mario Stirpe
Dott. Monica Varano
Terapie attuali e possibilità di riabilitazione
delle degenerazioni maculari
Le degenerazioni maculari provocano un annebbiamento della visione,
delle deformazioni delle immagini ed un calo della vista. Senza trattamento,
la maggior parte dei pazienti perderà gran parte della visione centrale
in un periodo di tempo che potrà essere di settimane o pochi mesi.
Questa diminuzione è causata dalla crescita di neovasi sanguigni
(capillari anomali) a livello della porzione posteriore dell’occhio che,
successivamente, danno origine ad essudazione di liquidi ed emorragie e
che poi cicatrizzano. Tutti questi eventi interessano la macula, che è
la parte dell’occhio che serve alla visione precisa (leggere, cucire, guardare
la TV).
Da quattro anni sono comparse e si stanno affermando nuove terapie
per le degenerazioni maculari che hanno dato nuove speranze nella cura
di queste malattie. Il trattamento Laser classico è ancora utile
in certi casi ma la Terapia Foto Dinamica apporta risultati nei casi fin’ora
non curabili. La Termo Terapia Transpupillare (TTT) ed il trattamento del
vaso afferente sono adoperati con successo in alcune patologie.
Trattamento Laser classico
Il trattamento Laser classico, utilizzato da 30 anni, ha ancora le
sue indicazioni ben precise, anche se limitate. Un paziente su sei affetto
da questo tipo di degenerazione maculare può beneficiare del trattamento
Laser classico. La fotocoagulazione laser distrugge i vasi capillari neoformati
e ferma l’evoluzione della malattia ma distrugge anche la retina davanti
ai neovasi.
La Terapia Foto Dinamica
Una possibile alternativa consiste nell’iniezione endovena di una sostanza
fotosensibile, la verteporfina, che viene poi attivata da un laser speciale,
provocando la trombosi dei neovasi, senza distruzione della retina sana.
E’ già stata adoperata da più di 4 anni su oltre 200.000
pazienti affetti da degenerazione maculare. La Food and Drug Administration
degli Stati Uniti (F.D.A.) e la Comunità Europea hanno confermato
l’efficacia del prodotto. Vi è stabilizzazione della malattia in
circa il 60% delle degenerazioni senili e nel 70% di quelle miopiche. La
trombosi (chiusura) dei vasi sanguigni neoformati riduce la fuoriuscita
di liquidi e di sangue.
Questo trattamento deve essere ripetuto 3-4 volte durante l’anno. Alcuni
pazienti sono stati sottoposti al trattamento per due anni.
Termo Terapia Transpupillare (TTT)
La Termoterapia Transpupillare costituisce una forma di trattamento
dei neovasi occulti, attualmente non accessibili alla Terapia Foto Dinamica.
L’ipertermia viene usata per occludere le membrane neovascolari occulte,
aumentando la temperatura retinica di pochi gradi e determinando l’occlusione
della membrana neovascolare coroideale, senza distruggere la retina sovrastante.
Adoperiamo questo Laser speciale unicamente in certe forme di neovasi
occulti a placca, con visus molto basso. I risultati sono incoraggianti.
Trattamento dei vasi afferenti (Feeder Vessel)
I neovasi sottoretinici sono formati da una rete di capillari nella
quale il sangue viene immesso da una piccola arteria e poi eliminato da
una vena. Questi minuscoli capillari possono essere individuati unicamente
da angiografi moderni ad alta velocità. Il trattamento diretto consiste
nel chiudere la piccola arteria con uno o più impatti di laser classico
o, meglio, di un laser recente micropulsato, bloccando l’arrivo del sangue
e provocando il prosciugamento della rete capillare. Questo trattamento
differisce dal laser classico, che brucia tutta la rete di neovasi, e dalla
terapia Foto Dinamica, che provoca la trombosi della rete.
La riabilitazione visiva nelle maculopatie. Non è più
immaginabile che l’oculista abbandoni il paziente affetto da maculopatia,
quando questa si trova a dover affrontare la malattia giunta alla fase
terminale della degenerazione, sia per evoluzione naturale che dopo trattamento
laser o terapia foto dinamica. L’oculista può anche trovare soddisfazione
nell’aver salvato 1 o 3 decimi di vista. Il paziente è quasi sempre
sconfortato poiché non riesce più a dedicarsi alle attività
abituali con la facilità e la disinvoltura precedenti alla malattia
oculare. E’ necessario a quel punto prospettargli le possibilità
della rieducazione visiva, non dimenticando tuttavia di evidenziarne i
limiti, per evitare di alimentare speranze eccessive. La riabilitazione
visiva non migliora il visus ma permette di utilizzare al massimo le possibilità
visive residue delle aree retiniche ancora sane. Si tratta di un lavoro
multidisciplinare, da eseguire coordinando le attività dell’oculista,
dell’assistente-in-oftalmologia-ortottista, dell’ottico e dello psicologo.
Il compito dell’equipe è quello di controllare la refrazione, prescrivere
un ausilio ottico e, soprattutto, istruire e preparare il paziente. La
semplice prescrizione di lenti speciali non è sufficiente e porta
all’abbandono di questi nel 70% dei casi.
Attualmente la riabilitazione visiva riesce in molti casi a migliorare
la qualità della vita del paziente con lesioni della macula.
Prof. Bruno Lumbroso
L'alfabetizzazione, il censo, l'attività lavorativa,
il fumo
sono fattori di rischio per lo sviluppo
e l'evoluzione della Degenerazione Maculare legata
all'età
In una cittadina del Wisconsin (USA), Beaver Dam, sono stati seguiti
con periodiche visite oculistiche all'incirca 4000 soggetti di età
superiore ai 43 anni. Scopo dello studio era quello di condurre uno studio
sulla frequenza e sulla evoluzione delle malattie oculari, in primo luogo
la Degenerazione Maculare Legata all'Età (DMLE). Tutti i pazienti
sono stati seguiti per un periodo non inferiore ai cinque anni ed i dati
sono stati analizzati statisticamente. In particolare, interessanti sono
stati i risultati emersi dall'analisi di un questionario autocompilato
da questi soggetti.
Come premessa allo studio, occorre tener presente che bassi livelli
di cultura e di reddito sono stati spesso indicati come fattori di rischio
per la DMLE: è intuibile che tali soggetti ricorrano meno alle cure
sanitarie, che siano maggiormente esposti ad ambienti insalubri, a carenze
alimentari o a lavori in ambienti potenzialmente nocivi.
Nello studio condotto a Beaver Dam, è emerso che i soggetti
con più di 16 anni di scolarità presentavano una minore incidenza
di ipo-, iper-pigmentazione dell'epitelio pigmentato, un segno precoce
di DMLE, rispetto ai soggetti con meno di 12 anni di scolarità:
nel caso delle soft drusen non veniva rilevata una simile associazione.
Nessuna relazione è stata osservata tra censo e DMLE. Il rischio
era maggiore tra coloro che espletavano lavori manuali rispetto agli impiegati
di concetto o ai contadini: in particolare, una maggiore incidenza si osservava
tra coloro che erano stati camerieri, cuochi, baristi ed occupati in imprese
di pulizia. I soggetti separati o divorziati presentavano un rischio maggiore
rispetto ai coniugati. Ma, sicuramente, il dato che emerge con maggiore
forza è che il fumo sembra essere il fattore di rischio più
pericoloso. In tal senso, l'esposizione al fumo passivo potrebbe spiegare
la maggiore prevalenza di DMLE nei cuochi, camerieri e baristi.
Nonostante l'elevato numero di soggetti entrati a far parte di questo
studio, i dati che emergono seppure significativi, devono essere
interpretati con cautela data la complessità eziologica di questa
patologia.
Clinica Oculistica
Università “La Sapienza” Roma
Prof. Corrado Balacco Gabrieli
|