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I Comitati Etici: l’opinione del presidente del CNB, prof. Giovanni Berlinguer

Quanti sono e a cosa servono i Comitati etici?
I comitati etici per le sperimentazioni cliniche dei medicinali, presenti nelle strutture ospedaliere e universitarie e registrati al 12 ottobre 1999, risultavano essere 178. Olrte a questi vi sono comitati bioetici costituiti da regioni e provincie. I compiti dei CE, che in questi ultimi anni si sono diffusi e moltiplicati, non si riducono solo alla verifica delle sperimentazioni. Si occupano, e dovrebbero occuparsi sempre più dell’equità nell’accesso e nella qualità delle cure, di informazione e di formazione bioetica. E a questo proposito molto significativo è il protocollo che oggi il comitato nazionale firma con il Ministero della Sanità, dopo aver già sottoscritto un analogo docunmento con il Ministero della Pubblica Istruzione per l’introduzkione di temi bioetici nella scuola italiana. Ciò corrisponde a quanto indica la Convenzione bioetica europea (Oviedo 1997), la quale all’Articolo 28 stabilisce un impegno perchè “le questioni fondamentali poste dagli sviluppi della biologia e della medicina siano oggetto di pubblico dibattito alla luce, soprattutto, delle rilevanti implicazioni mediche, sociali, economiche, etiche e legali”, e perchè “le possibili applicazioni di questi sviluppi siano fatte oggetto di appropriate consultazioni”.
Parliamo della Convenzione con il ministero della Sanità che si firma oggi.
La Convenzione è nata dalla necessità di rispondere al bisogno di formazione bioetica degli operatori del Servizio Sanitario Nazionale, e si collega al Piano sanitario nazionale che prevede l’aggiornamento e la formazione continua dei medici, degli infermieri e delle altre professioni. L’esigenza nasce dalla novità e dalla complessità dei loro compiti relativi alla nascita, alla cura e alla morte, al rapporto medico paziente e infermiere paziente, all’umanizzazione del servizio, al rafforzamento dell’autonomia del cittadino nelle decisioni, alla capacità di affrontare nella quotidianità in corsia temi di ordine morale. La Convenzione serve a sviluppare iniziative comuni verso gli operatori e nell’interesse dei malati e dei sani, in base al rapido progredire della medicina e alle conseguenze legali, sociali e morali che ne derivano.
Per quel che riguarda la sperimentazione, quali sono le preoccupazioni etiche?
Oggi ci poniamo la domanda se la scienza debba essere interamente libera. Io ritengo che nessun limite deve essere posto al sapere scientifico, come alla ricerca filosofica o alla creazione artistica. Le regole che sono già state introdotte, per iniziativa della stessa comunità scientifica, nella sperimentazione sugli uomini, poi sugli animali e ora sugli embrioni e sul rapporto uomo-ambiente, riguardano soltanto i mezzi usati per giungere alla conoscenza scientifica. Queste regole non solo non hanno frenato il cammino della scienza, ma hanno contribuito ad accelerarlo e a leggittimarlo agli occhi dell’opinione pubblica, a creare intorno ai suoi sviluppi un vastissimo consenso che è dovuto sia ai vantaggi pratici, sia al giudizio morale sulla scienza e su gran parte delle sue applicazioni.
Fra le regole della sperimentazione, le più importanti sono che nessuna ricerca può essere condotta sull’uomo senza il suo consenso libero e consapevole; e che i progetti di ricerca possono essere avviati solo quando i benefici superino Vi sono però crescenti preoccupazioni etiche che riguardano le priorità della ricerca: si dovrebbe lavorare non solo su farmaci che hanno un mercato assicurato, ma anche su quelli che potrebbero debellare malattie diffuse solo nei Paesi poveri, come per esempio la malaria.
C’è anche un dibattito sull’etica dei servizi e dell’assistenza.
C’è, ma non è ancora abbastanza esplicito. Il punto centrale è se debba mantenere l’universalità delle cure, prevista dal nostro Servizio sanitario nazionale, e da quasi tutti i sistemi vigenti nell’Unione europea, oppure delegare gran parte delle cure alle assicurazioni private come accade negli Stati Uniti, e riservare allo Stato solo l’assistenza ai poveri (come era da noi nell’Ottocento). L’accesso universale alle cure si è dimostrato più equo, meno costoso e più efficace. Esso, tuttavia, presuppone oggi la selezione non già dei pazienti bensì dei trattamenti, dando la priorità a quelli effettivamente necessari e alle cure di validità dimostrata. Altrimenti l’onere per la collettività sarebbe insostenibile e si dovrebbe rinuciare all’universalità.
A quale proposito si può parlare, invece, di equità delle cure?
Numerose ricerche stanno dimostrando che tra i paesi e all’interno di essi si stanno creando differenze crescenti nella possibilità di accesso e nella qualità delle cure. Esse sono maggiori dove prevale il sistema delle assicurazioni, ma esistono anche nei sistemi pubblici. C’è un “razionamento occulto” delle prestazioni che deriva dal censo, dall’istruzione, dal know how, il sapere come, e anche dal know whom, il sapere chi, il conoscere a chi rivolgersi. Inoltre nelle leggi sanitarie sono state introdotte norme, come l’esercizio della professione privata intramoenia, che hanno valide motivazioni ma che stanno creando liste d’attesa diversificate, un solo giorno per alcuni e mesi per altri, fra chi può pagare le analisi o l’intervento e chi non può. Occorre introdurre dei correttivi a questa situazione, riducendo al massimo per tutti le liste d’attesa, come è previsto dal Piano sanitario nazionale. I comitati etici possono contribuire in questa direzione.
Quali caratteristiche deve avere un comitato etico?
Deve essere autonomo, nell’emettere i suoi pareri, dall’istituzione che lo nomina. Deve lavorare in assoluta trasparenza. Deve essere composto in modo che vi siano rappresentate, oltre alle necessarie conoscenze scientifiche, altre competenze (etiche, giuridiche, etc.) e la voce dei cittadini, anche per favorire in essi una maggiore consapevolezza delle scelte che devono compiere. Devono essere esclusi infine (come in ogni campo) conflitti di interesse.


Protocollo d’intesa tra il Ministero della Sanità 
ed il Comitato Nazionale per la Bioetica

Vista la Convenzione del Consiglio d’Europa del 4 aprile 1997 sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina e quanto dichiarato nel Capitolo I, articolo 1 circa le misure che ogni Paese potrà assumere per dare effetto alle disposizioni in essa contenute;
visto che il Consiglio nazionale di Bioetica, istituto con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri il 28 marzo 1990, si propone di contribuire alla formazione bioetica dell’opinione pubblica e degli operatori sanitari;
visti i documenti prodotti dal Comitato nazionale di Bioetica;
viste le questioni che scaturiscono dai problemi etici sollevati nella sanità e nella medicina e l’insieme di riflessioni e di prospettive di soluzioni elaborate dai diversi saperi;
vista la funzione primaria del servizio sanitario nazionale nella formazione degli operatori, così come enunciata nel Piano sanitario nazionale 1998-2000 e nel d.lgs. n. 229 del 19 giugno 1999;
visti i principi ispiratori del servizio sanitario nazionale e la loro specifica rilevanza bioetica;
viste le esigenze di aggiornamento del personale sanitario ed i compiti di promozione, sostegno ed orientamento del Ministero  della sanità in tale ambito;
considerato che il Piano sanitario nazionale 1998-2000 ritiene necessario inserire, nella formazione del personale, elementi di etica nei rapporti tra professionisti e pazienti, al fine di promuovere una crescente umanizzazione dei servizi e di rafforzare l’autonomia decisionale delle persone;

Si conviene quanto segue

Art.1

Il Ministero della sanità, nel seguito denominato Ministero ed il Comitato nazionale di Bioetica s’impegnano a sviluppare iniziative comuni a favore degli operatori del Servizio sanitario nazionale volte alla conoscenza dei problemi etici che scaturiscono dai progressi della medicina ed alla acquisizione di consapevolezza delle implicazioni giuridiche, sociali e morali connesse a tali progressi.

Art.2

Le aree di intervento vengono specificate come segue:
-modalità di approccio alle problematiche citate, anche col riguardo ad eventuali proposte avanzate al Ministero da enti e soggetti esterni;
-introduzione delle questioni afferenti alla bioetica nella formazione continua;
-formazione bioetica degli operatori del Servizio sanitario nazionale;
-produzione di materiale per la formazione a distanza degli operatori.
Il Ministero ed il Comitato nazionale di Bioetica definiranno, ogni anno, sulla base delle indicazioni provenienti dalle Regioni, dal campo della ricerca e dell’assistenza e delle esigenze del mondo sanitario, i settori specifici sui quali attivare interventi mirati.

Art.3

Per la realizzazione delle finalità e degli obiettivi previsti dalla presente intesa, è istituito un apposito Comitato Paritetico composto da 8 componenti, 4 designati dal Ministero e 4 designati dal Comitato nazionale di Bioetica.
Ciascuna delle parti provvederà alla designazione dei propri componenti, comunicandone per iscritto i nominativi all’altra parte.
Il Comitato dovrà darsi un regolamento, proporre le attività comuni, definire tempi e modalità di attuazione, verificarne i risultati. Alla fine di ogni anno il Comitato redigerà una relazione che sarà presentata e valutata dalle parti firmatarie del presente Protocollo d’intesa.

Art.4

I profili organizzativi e di gestione afferenti all’attuazione del Protocollo d’intesa verranno curati dal Dipartimento della programmazione del Ministero della Sanità che assicurerà altresì il necessario coordinamento con i Dipartimenti interessati e con il Forum di cui al successivo capoverso.
Allo scopo di assicurare un opportuno confronto tra il Comitato paritetico di cui all’art. 3 ed i rappresentanti dei pazienti, degli operatori e dei centri di bioetica, viene istituito un Forum composto da rappresentanti delle Associazioni dei pazienti, degli Ordini e dei Collegi delle professioni sanitarie, delle associazioni e dei Centri di Bioetica, il quale esprimerà il proprio parere sulle proposte del Comitato collaborando, in modi e tempi concordati, alla loro realizzazione. Il parere non può essere considerato vincolante.

Art.5

Il presente protocollo di intesa entra in vigore alla data della stipula, ha durata triennale e sarà rinnovato, per eguale periodo, salvo diverso avviso di una delle due Parti, espresso almeno tre mesi prima della scadenza dei termini dell’intesa.

Quanto sopra è stato letto, approvato e sottoscritto dalle Parti.



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