Testata

 

STATO SANITARIO DEL PAESE 1999
 
 

Presentata dal Ministro della Sanità, professor Umberto Veronesi, 
alla presenza del Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio, 
il 3 luglio 2000 al Cnr, 
la Relazione sullo stato Sanitario del Paese 1999

(il testo dell’intervento)





Il 1999 ha rappresentato per la Sanità italiana un anno carico di avvenimenti e di scelte, nel corso del quale sono state avviate due importanti riforme. Una sul fronte dell'organizzazione del sistema sanitario, con il decreto 229 – a tutti noto come "Riforma ter" - per garantire una maggiore tutela della salute dei cittadini migliorando la qualità e l'efficienza dell'assistenza sanitaria.

Federalismo fiscale

L'altra sul fronte del finanziamento del sistema sanitario con l'introduzione del "federalismo fiscale" che ha aperto la strada a un nuovo ruolo delle Regioni nella gestione dei servizi di assistenza e di programmazione delle risorse ad essa destinate e che vedrà presto trasferire nelle mani dei Presidenti delle Regioni l'intero finanziamento. La relazione che ho il piacere di illustrare e che ha, tra i suoi compiti, quello di esporre i risultati fin qui conseguiti rispetto agli obiettivi fissati dal Piano Sanitario Nazionale 1998-2000, è frutto dell'impegno e del lavoro realizzati dall'onorevole Rosy Bindi e dai suoi collaboratori. All'onorevole Bindi, che ha tra i molti meriti quello di aver promosso una riforma necessaria per allinearci all'Europa, va la mia personale gratitudine e quella del Paese, insieme con l'impegno di attuare la riforma nei modi migliori, elaborando anche strumenti e provvedimenti che ne rendano l'attuazione conforme alla situazione socio-sanitaria in continua evoluzione.

NUOVI CONCETTI E NUOVI PROTAGONISTI

La relazione 1999 sullo stato sanitario del Paese non si limita a scattare la fotografia della salute degli italiani, ma sottolinea una svolta, appena introdotta dal Piano Sanitario Nazionale 1998-2000, che è già una realtà in altri Paesi dell'Unione Europea.

Nuovi soggetti

La conquista della salute non è più concepibile come un compito riservato unicamente agli operatori della sanità (siano essi medici, infermieri, amministratori sanitari, che pure rimangono protagonisti fondamentali), ma deve diventare il terreno su cui si confrontano e collaborano tutti i soggetti sociali e istituzionali: le Regioni, i Comuni, le associazioni di volontariato, la scuola che ha in sé la grande capacità di farsi promotrice di salute, le famiglie, il mondo della ricerca e della produzione.

Il ruolo della comunicazione

Un compito di particolare importanza tocca ai mezzi di comunicazione, che dovrebbero svolgere la funzione di fornire un'informazione puntuale e corretta, anche dal punto di vista scientifico. Tuttavia la prima responsabilità nel fornire una costante ed efficace comunicazione ai cittadini spetta al Servizio sanitario, in tutte le sue articolazioni. Eppure, salvo rare eccezioni, esso è ancora lontano dal considerare la comunicazione come un compito istituzionale, pari per importanza a quelli tradizionali di prevenzione, diagnosi e cura. Un cittadino ben informato è consapevole non solo del proprio diritto alla salute, ma anche del proprio ruolo di soggetto attivo attraverso l'adozione responsabile di abitudini di vita più sane e un'attenzione costante alla prevenzione. Un cittadino informato rappresenta, in buona sostanza, l'espressione di una democrazia compiuta entro la quale egli è libero di elaborare una propria posizione anche rispetto alle grandi questioni etiche, come la donazione di organi, la fecondazione assistita, le biotecnologie, le cure palliative, la fine della vita.

DALLA SANITA' ALLA SALUTE

Stiamo attraversando un momento storico di passaggio da un concetto di "Welfare State" a quello di "Welfare Community". Uno Stato garante che si prende cura del benessere dei suoi cittadini ("welfare", significa, letteralmente, sia "benessere" che "assistenza sociale") fu la grande novità dell'Inghilterra postbellica.
Da allora, con le necessarie trasformazioni e tra infiniti ostacoli, questa idea ha viaggiato per l'Europa. Ora siamo arrivati al punto in cui dobbiamo riconoscere utile un altro passaggio: dal concetto di Stato che dà assistenza e benessere a quello di una comunità intera che vi concorre e ne assume la responsabilità. La salute come benessere psicofisico, come capacità di star bene con se stessi e con gli altri, è qualcosa di molto più ampio e globale dell'assenza di malattia, come più volte ha affermato l'Organizzazione Mondiale della Sanità. Lo star bene e la salute, d'altronde, da soli non bastano a realizzare quella condizione di "vitalità" necessaria al raggiungimento del proprio progetto esistenziale.

STILI DI VITA

E' incontestabile che lo stato di salute di una popolazione non si misura solo con indicatori demografici ed epidemiologici quali l'aspettativa di vita, l'indice di mortalità infantile (che, peraltro, per l'Italia sono incoraggianti), ma si valuta dalla capacità di combattere i fattori di rischio, le malattie e le morti evitabili, grazie all'adozione di stili di vita capaci di favorire la salute soprattutto nei gruppi socialmente svantaggiati e nelle fasce di età più deboli. La relazione sullo stato sanitario del Paese per quanto riguarda l'adozione di stili di vita più appropriati (in particolare corretta alimentazione e fumo, ma anche consumo di alcol, abuso di droghe) traccia un quadro poco lusinghiero. 

Alimentazione

Siamo i depositari della cosiddetta "dieta mediterranea", le cui virtù nutrizionali e di equilibrio sono state prese a modello in tutti i Paesi del mondo, indicata come la più valida per prevenire efficacemente le malattie cardiocircolatorie e alcuni tumori, eppure nuovi modelli stanno modificando il corretto rapporto dell'Italiano con la tavola. L'indicatore più eloquente è l'incremento di persone obese: era del 6% nel 1995, oggi siamo saliti all'8%, che rappresenta ancora una delle percentuali più basse tra i Paesi europei. Ma in Europa, tuttavia, facciamo registrare un record negativo: quello della massima obesità nei bambini in età prepuberale, pari al 9%. Devo ricordare che l'obesità è una delle maggiori cause prevenibili, e quindi evitabili, di malattie come il diabete, l'ipertensione e di certi tumori. Ritengo perciò indispensabile una campagna di informazione perché gli italiani comprendano l'importanza preventiva di una corretta alimentazione e per questo una iniziativa promozionale partirà entro la fine dell'anno. 

Fumo

Sono tutti concordi nel sostenere, forti anche di numerosi studi scientifici, come il fumo sia la causa primaria di tumori del polmone, della laringe, della vescica e di malattie croniche degenerative dell'apparato respiratorio e cardiovascolare. E tuttavia, nonostante un progressivo calo (dai 15 milioni del 1980, ai 12 milioni di oggi, cioè un quarto della popolazione), l'obiettivo del Piano Sanitario 1998-2000 di scendere sotto i 10 milioni, è ancora lontano. Se la campagna anti-fumo, avviata negli scorsi anni, ha persuaso in parte il sesso maschile, lo stesso effetto non si è avuto sulle donne (sono in aumento le fumatrici, in particolare quelle di cultura medio-alta). Una grande campagna di educazione è da intraprendere fin dalle scuole elementari perché, purtroppo, ho il dovere di lanciare un allarme: a 15 anni, fuma già il 12 % dei giovani. Perciò appare indilazionabile l'approvazione di una nuova legge anti-fumo la quale, senza avere i connotati di una crociata, sia rigorosa e giustamente severa non solo verso chi non la rispetta, ma anche verso coloro a cui compete l'obbligo di farla rispettare.

LE MORTI EVITABILI

Ho già accennato al concetto di salute come patrimonio della collettività, che si può preservare e migliorare con un comportamento più responsabile da parte di tutti. Corretta alimentazione, fumo, uso moderato dell'alcol, un'attività fisica costante, possono metterci al riparo da numerose malattie. Ma esistono anche migliaia di morti che si possono evitare grazie ad una accurata opera di informazione e di prevenzione da parte degli organismi istituzionali, ma anche con l'assunzione di responsabilità civica da parte dei cittadini. Mi riferisco agli incidenti stradali, a quelli sul lavoro e a quelli domestici. 

Incidenti stradali

Nel 1998 si sono verificati 204.615 incidenti stradali che hanno lasciato sull'asfalto 5.850 morti e 290.000 feriti. Immaginiamo una città intera, come Venezia o come Catania, che d'un tratto viene decimata e depauperata, per mesi e mesi e talvolta anni, delle sue forze produttive a causa delle invalidità dei suoi abitanti. Rispetto al 1997 siamo costretti a registrare un aumento del 8% sul totale degli incidenti e dell'8,4 % dei feriti, una crescita che non trova riscontro in altri Paesi europei. Ma ciò che suona inammissibile per una collettività responsabile e dotata di senso civico è che una grande quantità di questi incidenti avvengano nelle strade delle nostre città, là dove il passante dovrebbe sentirsi sicuro e protetto da regole e codici che obbligano a limiti di velocità e che invece pochi rispettano e quasi nessuno fa rispettare. Nel 1998 gli incidenti accaduti nei centri urbani, spesso sulle strisce pedonali o negli attraversamenti di strade cittadine, hanno toccato le 2.590 unità e il numero dei feriti risulta elevatissimo (oltre 200.000 persone) con un incremento rispetto all'anno precedente di quasi il 9%. Il Nord Italia, in questa poco encomiabile classifica, detiene il più alto tasso di mortalità. 

Incidenti sul lavoro e domestici

Vi sono morti e invalidità evitabili anche sul fronte degli incidenti del lavoro dove, malgrado una lieve tendenza alla diminuzione, contiamo una media di oltre tre infortuni al giorno, fra le più alte in Europa, e 1.200 morti, un valore quest'ultimo che da anni ingiustificatamente non tende a calare. Tra le medie europee più alte anche gli incidenti domestici dove si contano più di 5.000 morti all'anno con 1.800.000 ricoveri al pronto soccorso, vittime soprattutto bambini e anziani. Come Ministro, ma anche come cittadino, considero queste morti evitabili una macchia indegna di un Paese moderno che tutti dobbiamo impegnarci a cancellare.

I RISULTATI CONSEGUITI

L'augurio di tutti è che questo pesante bollettino sia destinato a una riconversione verso stili di vita compatibili con le indicazioni fornite dal Piano Sanitario Nazionale. E' infatti consolante poter sottolineare come a fronte di questi dati negativi si contrapponga una politica sanitaria avveduta i cui primi frutti sono sotto gli occhi di tutti. 

Longevità

Uno dei segni più evidenti è rappresentato dal notevole aumento della speranza di vita alla nascita, che era in Italia di 74 anni nel 1980 ed è salita a 78,8 anni nel '96, superando la media europea che è di 77,8. Apparteniamo al Paese più longevo del mondo considerato che l'attesa di vita è per gli uomini di 75 anni e per le donne di 81, contro i 74 e gli 80 in Europa. Ciò è dovuto a tre fattori principali: la continua diminuzione percentuale della mortalità infantile, (l'Italia registra un 5,6 per mille che è nella media europea); la diminuzione della mortalità per malattie cardiovascolari a tutte le età, particolarmente nella fascia sotto i 65 anni e infine la minore mortalità prematura per cancro nelle persone sotto i 65 anni. 

Meno infarti, meno tumori

In Italia le prime due cause di morte restano le malattie circolatorie e i tumori maligni, ma per la prima volta si registra un decremento. Si muore di meno per infarto e per ictus, si muore di meno anche per tumore. Anche per quanto riguarda il tumore polmonare nel sesso maschile, per la prima volta si registra una diminuzione. Pur rimanendo la prima causa di morte, le malattie cardiovascolari, tra 0 e 64 anni, hanno mostrato una diminuzione maggiore, soprattutto per le donne, rispetto alla media dell'Unione Europea. Questi dati, in larga parte positivi, sono frutto della diagnostica più precoce (ricordo l'utilità e la straordinaria efficacia degli screening di massa per varie patologie tumorali) e degli indubbi progressi della scienza medica. Ma anche di una cultura della prevenzione e di una organizzazione sanitaria che, nonostante i costanti vincoli di spesa, ha saputo darsi - dalla medicina e pediatria di base, all'assistenza sul territorio, agli ospedali, "cuore" del sistema – una struttura a rete che copre tutto il territorio nazionale. 

Malattie infettive

Va inoltre registrata la quasi totale assenza di morti per malattie infettive. L'obiettivo eradicazione è stato raggiunto per poliomielite, difterite, rosolia; per il tetano la mortalità degli ultimi due anni ha raggiunto lo zero; mentre la tubercolosi registra un'incidenza tra le più basse in Europa. E' necessario invece intensificare la profilassi per la parotite, il morbillo, la pertosse, le meningiti di tipo B nonché l'epatite A e B. 

Aids

Un discorso a parte merita l'AIDS, una causa di morte di grande rilievo nei cosiddetti giovani-adulti (25-44 anni). Da 1982, anno in cui è stato diagnosticato in Italia il primo caso di Aids, si è registrato un costante aumento di nuovi casi fino al 1996, anno in cui, anche per effetto di una massiccia campagna di informazione e di nuovi farmaci efficaci, è cominciata una lenta ma continua discesa: dai 5.033 del '96 ai 2.090 dello scorso anno. Stesso andamento per i morti da Aids: dal 1982 ad oggi sono stati 31.082 con il picco più alto di 4.500 nel 1996, anno in cui la mortalità è iniziata a scendere sensibilmente fino a toccare i 527 pazienti dello scorso anno, con una percentuale che dal 41 è scesa al 13%. Il serbatoio di infezione è però sempre ampio, (si stima sia di circa 100.000
sieropositivi) e questo ci induce a non abbassare la guardia, sebbene i risultati sinora raggiunti possano giustificare il nostro ottimismo.

LE QUALITA' DEL NOSTRO SERVIZIO SANITARIO

Molti dei successi fin qui conseguiti sono dovuti a un servizio sanitario che le cronache hanno il vezzo di raccontarci sempre come carente, e che diventa spesso terreno di scontri politici. In realtà, il servizio sanitario italiano è tutt'altro che inadeguato, e ha saputo conseguire negli anni obiettivi che hanno avuto risonanza internazionale. L'Organizzazione Mondiale della Sanità, nel suo recentissimo Rapporto Sanitario mondiale assegna, relativamente alla capacità di soddisfare equamente i bisogni di cura dei cittadini, il secondo posto all'Italia. Questo ci consente di affermare che l'obiettivo salute nel nostro Paese è stato in gran parte raggiunto.

Quanto spendiamo 

Tuttavia, alle buone e anche alle eccellenti prestazioni fanno da contraltare un'organizzazione complessiva che non ha ancora saputo mettere il paziente al centro del sistema. Ogni anno spendiamo per la sanità 56 miliardi di Euro (quasi due milioni di lire per ciascun cittadino), equivalenti a circa il 5,6% del prodotto interno lordo, una percentuale uguale a quella europea. Abbiamo 196 aziende sanitarie locali, per le quali lavorano circa 480.000 operatori sanitari, tra i quali 70.000 medici e 180.000 infermieri. Le aziende ospedaliere di rilievo nazionale sono 98, e gli altri ospedali pubblici ammontano a più di 1.100, con alcune centinaia di migliaia di addetti. Anche il settore privato è ampiamente rappresentato, con ospedali accreditati che sono il 36% del totale complessivo delle strutture. Uno schieramento imponente, insomma. 

LE NUOVE FRONTIERE

I successi non sono mancati, ma è mancata una cultura medica e manageriale incentrata sul paziente. In termini di "qualità percepita", i cittadini non sono soddisfatti, come risulta da sondaggi di opinione e da migliaia di contatti avuti negli ospedali dai centri di relazione con il pubblico. Mancano ancora oggi al nostro sistema soprattutto tre cose: una maggiore personalizzazione e umanizzazione delle cure; il diritto all'informazione; il comfort delle prestazioni alberghiere. Manca inoltre un numero adeguato di infermieri che in una moderna organizzazione sanitaria svolgono un compito essenziale e fondamentale. Mentre siamo il Paese che si permette di avere un medico ogni 200 abitanti, obiettivamente troppi rispetto alle necessità. Ai nostri medici comunque va garantita una formazione continua che dia loro un aggiornamento puntuale e completo.

Ospedali troppo vecchi 

E' opportuno mettere mano a un programma di riammodernamento sia delle strutture edilizie sia dei modelli gestionali. Dei 1066 ospedali italiani il 28% è stato costruito prima del '900; un altro 29% dal 1900 al 1940. Insomma più di 500 ospedali hanno mediamente oltre 60 anni di 12 età: un patrimonio in condizioni non adeguate agli standard oggi richiesti, sia per il comfort alberghiero sia per la sicurezza. Inoltre, e soprattutto, nel Sud si contano 134 ospedali che attendono da anni di essere terminati. Ecco perché gli ospedali vanno ricostruiti, ristrutturati, ripensati. Accanto alle strutture per le cure intensive vanno realizzati quei posti letto per la riabilitazione e lungodegenza che la relazione sullo stato sanitario del Paese ci dà bloccati ad un numero troppo basso, cioè lo 0,5 per ogni mille posti letto, la metà esatta di quanto era stato previsto a partire dal 1992. 

Un nuovo modello

In questo contesto va letta la mia proposta di realizzare un modello di nuovo ospedale costituito da due blocchi attigui, uno supertecnologico per degenze brevi e altamente specializzato, e uno per la degenza-convalescenza dotato di moderni standard di comfort. E' un progetto che pone al centro della struttura il paziente e la soddisfazione dei suoi bisogni di cura e di assistenza; è un concetto di ospedale che rivoluziona i modelli finora seguiti i quali rispondevano quasi esclusivamente alle esigenze degli operatori sanitari. Voglio ricordare che un rapporto più umano con il paziente non va inteso come semplice presenza del medico al momento della cura; la dimensione relazionale è parte integrante della terapia, forse la più importante, perché una persona accolta in ospedale con dignità ed affetto guarisce prima e ha comunque una migliore qualità di vita. Realizzare strutture per la riabilitazione ed ammodernare gli ospedali implica uno sforzo finanziario notevole, ma non impossibile. I fondi ci sono. Infatti la legge finanziaria n. 67 del 11 marzo 1988 stabiliva all'art.20 un programma pluriennale per l'importo complessivo di 30.000 miliardi. Quei programmi sono stati avviati e in molti casi conclusi, ma ci sono ancora 20.000 miliardi da impiegare. Non sono pochi, anzi sono sufficienti per "cambiare faccia" ai nostri ospedali.

Una rete di prevenzione sul territorio 

La medicina di oggi è una medicina che cura "sempre di più e guarisce sempre di meno". Intendo dire che si può assicurare una vita di buona qualità - pur senza guarirli - a una grande quantità di malati. Vive in Italia un esercito di nefropatici dializzati ormai da anni, di trapiantati d'organo, di diabetici curati con insulina, di malati di tumore che pur non guariti, godono di una buona aspettativa di vita. E' una realtà che richiede un nuovo assetto della sanità sul territorio, capillare, diffuso, che si estenda nel contesto abitativo, per mantenere un contatto e una assistenza continua con questi pazienti. E questa rete dovrà esercitare sul territorio una funzione fondamentale in tema di prevenzione e di diagnostica precoce.

L'ospedale senza dolore

Il discorso sugli ospedali non sarebbe completo se non si toccasse il punto importantissimo del progetto "ospedale senza dolore", che già ho avuto modo di illustrare in sede di Consiglio dei Ministri. Si tratta di una rivoluzione culturale dell'assistenza ospedaliera, per cui il "dolore" viene sistematicamente e quotidianamente misurato con una scala di intensità da uno a dieci, insieme alla misurazione della temperatura, del polso e della pressione. Non appena il dolore si fa vivo entrano automaticamente in azione i farmaci analgesici in dosi adeguate all'intensità della "scala del dolore". Le cure palliative ai malati in condizioni critiche irreversibili sono una richiesta sempre più sentita dall'opinione pubblica: è assoluto diritto del malato, che non può più guarire, ricevere le cure esperte che alleviano la sua sofferenza, ed è assoluto dovere della medicina moderna non ignorare questo problema che tocca ogni anno in Italia non meno di 30.000 malati terminali. Anche per questo il mio Ministero sta preparando una campagna di informazione e insieme sta elaborando il "Progetto Obiettivo" per dare al Paese una adeguata rete di hospice e di servizi assistenziali su tutto il territorio. 

I trapianti

Sono più di 13.000 gli uomini, le donne e i bambini che in Italia sono in attesa di un trapianto d'organo e due di loro, ogni giorno, al limite dell'attesa perdono la vita. Grazie alla legge varata recentemente e alla campagna di informazione e sensibilizzazione, le donazioni, ferme a 2.400 all'anno, cominciano ad aumentare leggermente. Ma la cultura della solidarietà e della donazione, anche di sangue, ha ancora un lungo cammino da percorrere.

GLI OBIETTIVI DA RAGGIUNGERE

La salute mentale

Oggi a compromettere il buon stato della nostra salute mentale vi sono nuovi fattori di rischio, sempre più in aumento, come la solitudine, le lunghe carriere di povertà e di svantaggio, le privazioni, l'insicurezza del lavoro. Con circa 31.000 operatori impegnati nei 1.480 servizi territoriali e nelle 1.340 strutture residenziali, il nostro Paese mostra un'apprezzabile rete di assistenza , anche se, come mette in luce il recente "Progetto Obiettivo per la Salute Mentale", non fornisce ancora un adeguato numero di operatori rispetto ai bisogni di categorie sempre più ampie. Ricordo che nel 1998 si sono rivolti ai centri di assistenza 296.000 malati mentali per medie e lunghe degenze. Due sono gli indicatori più espliciti della fragilità della nostra salute mentale: il consumo degli psicofarmaci e la mortalità per suicidio. L'Italia è ormai da molti anni tra i maggiori consumatori di ansiolitici. Nel 1999 si è registrata una spesa di 800 miliardi. E' in costante aumento anche il consumo di antidepressivi e dei nuovi farmaci antimaniacali.

Suicidi

Un dato ancora più preoccupante riguarda la mortalità per suicidi: è vero che si colloca tra le medie più basse in Europa, ma mantiene un valore ancora troppo elevato e soprattutto tocca le fasce di età meno protette. Infatti degli oltre 5.000 suicidi all'anno il 22 % sono giovani e giovanissimi tra i 14-30 anni e il 34% sono anziani oltre i 65 anni.

Alzheimer

Siamo un paese con un elevato tasso di invecchiamento, ma questa che rappresenta una conquista della nostra medicina ci consegna un compito difficile che riguarda l'aumento costante dei malati di Alzheimer i quali oggi sono più di 500.000. Parlo di una realtà che è destinata ad assumere nei prossimi anni un peso crescente, sia in termini di carico sociale per i familiari, sia in termini di spesa sanitaria. Partirà a settembre un Progetto per il potenziamento dell'assistenza a questi pazienti che, da un lato sollecita le Regioni a costruire una rete di servizi adeguati e, dall'altro, avvia una sperimentazione di trattamento gratuito con nuovi farmaci.

Il disagio giovanile 

E' un fenomeno dai contorni indefiniti, che va dai disturbi del comportamento alimentare (anoressia e bulimia colpiscono il 9%, soprattutto ragazze dai 12 ai 15 anni) all'abuso di droga. Abuso che può essere sistematico e sotto il controllo medico, come per i 150 mila assistiti lo scorso anno dai 560 Servizi per i tossicodipendenti (Sert). Oppure l'abuso è episodico con il ricorso anche alle nuove droghe sintetiche un fenomeno recente ancora difficile da quantificare. L'Onu stima per l'Italia un numero di consumatori che va da 80.000 a 250.000. Tra i giovanissimi si nota un capovolgimento comportamentale: va affermandosi un nuovo tipo di consumo di sostanze stupefacenti, stimolato non più dal desiderio di fuga da una realtà ingrata, come avviene per coloro che fanno uso di eroina e altre droghe pesanti, bensì spinto dalla ricerca spasmodica di nuove sensazioni "al limite" e di un senso di onnipotenza. In questo contesto, cocaina, ecstasy e derivati amfetaminici registrano costantemente un preoccupante aumento.

IL RUOLO DEL VOLONTARIATO

Disagio giovanile, assistenza più appropriata agli anziani, lotta alla droga, questi ed altri obiettivi possono essere raggiunti più facilmente grazie all'apporto delle energie provenienti dal mondo del volontariato. Oggi possiamo contare su un "esercito" composto da 2.776 associazioni che operano nel settore sanitario, integrando il servizio pubblico senza la presunzione o la velleità di sostituirsi ad esso.

STRATEGIA DELLA RICERCA SCIENTIFICA

La mappatura del genoma umano appena realizzata è l'ultima delle tante rivoluzioni (da quella diagnostica per immagini a quella dei trapianti) che hanno attraversato la medicina negli ultimi vent'anni. E' fondamentale saper rispondere al vento dell'innovazione in tempi rapidi e con progetti validi. Insieme con il Ministero della Ricerca abbiamo istituito una Scuola Superiore di Medicina Molecolare per formare medici-scienziati capaci di trasformare la conoscenza del genoma in cure per i malati. Ma è indispensabile sviluppare la ricerca in tutti i campi per portarne i risultati concreti direttamente al letto del paziente. Su questo cammino ci sono stati però ostacoli, lentezze, dispersioni di fondi e tanti nostri ricercatori sono emigrati all'estero.

Agenzia per la biomedicina 

Un sistema sanitario moderno non può fare a meno di una ricerca efficiente, competitiva sul piano internazionale, che può avere anche notevoli ricadute sul piano economico. Una ricerca non accademica, non lontana dalla realtà, non "aliena" dall'uomo. E' quindi indilazionabile rilanciarla in modo organico, anche tramite un'Agenzia per la ricerca biomedica che possa armonizzare e potenziare la collaborazione tra Ministero della Sanità e Ministero dell'Università. Anche questo è uno dei punti strategici per portare la sanità italiana in Europa.

LE SFIDE CHE CI ATTENDONO

Anche solo toccando alcuni degli aspetti contenuti in questa Relazione sullo Stato sanitario del Paese, che oggi rimettiamo nelle mani dei Presidenti della Camera e del Senato, abbiamo potuto apprezzare la complessità e l'ampiezza delle sfide che ci attendono. Abbiamo visto come la salute oggi non sia più confinabile nell'ambito ristretto, per quanto specializzato, di una prestazione tecnico-professionale, ma abbracci ormai la qualità di vita dell'intera comunità, con responsabilità che ci riguardano tutti, indistintamente, da semplici cittadini a persone responsabili nelle nostre famiglie e nei nostri ruoli professionali pubblici e privati. Il mio Ministero intende muoversi rapidamente in questa direzione con la costituzione di un Osservatorio Nazionale per la Promozione della Salute. Inoltre ho intenzione di convocare nella ripresa autunnale un convegno europeo per meglio definire questo passaggio storico che dalla sanità ci porta ad una "salute" che rappresenti realmente il benessere globale della comunità. Perché ancora oggi si ammalano di più e muoiono prima i poveri, le persone meno istruite, i profughi, gli immigrati, coloro che abitano in case disagiate e in quartieri degradati, che vivono da soli o in situazioni familiari non protette. E questo uno Stato moderno e democratico non lo può e non lo deve consentire.


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