RELAZIONE
DELLA COMMISSIONE DI STUDIO SULL’UTILIZZO
DI CELLULE STAMINALI PER FINALITA’ TERAPEUTICHE
Questa relazione è il risultato dei lavori della Commissione
ministeriale sull’utilizzazione delle cellule staminali, al fine di esaminare
le problematiche relative all’uso di cellule staminali a scopi terapeutici
e di chiarire il reale potenziale di sviluppo e di applicabilità
di questo settore della ricerca in Italia.
La Commissione si è insediata il 20 settembre 2000, alla presenza
del Ministro, professor Umberto Veronesi, come da Decreto Ministeriale
del 6 settembre 2000. La Commissione si è successivamente riunita
nelle date del 13 ottobre e del 14 e 19 dicembre, sotto la direzione del
Presidente, professor Renato Dulbecco, per rispondere in modo articolato
alle domande presentate sul tema dal Ministro della Sanità. L’atto
conclusivo dei lavori della Commissione avrà luogo il 28 dicembre
2000 con la presentazione del documento finale in un incontro tra la Commissione
riunita ed il Ministro.
Il presente documento è diviso in tre parti che rispecchiano
il lavoro svolto dalla commissione stessa:
Cap. 1 - Relazione della sottocommissione tecnica, che
ha affrontato gli aspetti scientifici del tema
1a - Prefazione
1b - Definizioni ed elementi tecnici
1c - Diversi tipi di cellule staminali
1d - Trasferimento nucleare per produrre cellule staminali
autologhe (TNSA)
1e - Applicazioni terapeutiche attuali delle cellule
staminali
1f - Prospettive terapeutiche potenziali
1g - Conclusioni sugli aspetti scientifici
Cap. 2 – I quesiti etici emersi dal lavoro della sottocommissione
tecnica
Cap. 3 – Dibattito sugli aspetti etici
Cap. 4 – Raccomandazioni
Nel suo insieme la relazione è organizzata per dare risposte
concrete alle domande poste dal Ministro della Sanità sul tema.
Va sottolineato che tutte le tematiche hanno avuto un’ampia discussione
collettiva e che il lavoro delle sottocommissioni è stato sistematicamente
rivisto dalla Commissione nel suo insieme.
Capitolo 1
RELAZIONE DELLA SOTTOCOMMISSIONE TECNICA
Questa relazione viene stilata su richiesta del Ministro della Sanità,
professor Umberto Veronesi, al fine di esaminare le problematiche relative
all’utilizzo di cellule staminali ai fini terapeutici e di chiarire il
reale potenziale di sviluppo e di applicabilità di questo settore
della ricerca in Italia.
1A PREFAZIONE
La distruzione dell’architettura tissutale di un organo, legata alla
morte delle cellule che lo costituiscono, è alla base della maggioranza
delle patologie che affliggono la popolazione dei paesi industrializzati.
Un approccio terapeutico risolutivo mira alla ricostruzione del tessuto
alterato tramite trapianto di nuove cellule che possano sostituire quelle
distrutte o alterate dalla malattia. A livello clinico questa strategia
terapeutica
si fonda nella maggior parte dei casi sul trapianto di organi da donatore
cadaverico, o più raramente da donatore vivente. Purtroppo, questa
tecnologia salvavita ha due limiti fondamentali che ne precludono l’estensione
alla maggior parte dei pazienti che potrebbero beneficiarne. Questi limiti
sono rappresentati dalla scarsità di organi da trapiantare e dalla
necessità di immunosoppressione cronica per prevenire il rigetto
dell’organo.
Le cellule staminali, siano esse embrionali, fetali, da cordone ombelicale
o adulte rappresentano un’importante prospettiva per la rigenerazione di
organi danneggiati.
Infatti, la possibilità di espandere in vitro queste cellule
fino a quantità elevatissime, se non proprio illimitate, risolverebbe
il problema legato alla disponibilità di materiale biologico da
utilizzare in fase di trapianto. Quanto al problema della compatibilità
con il sistema immune del ricevente, soltanto cellule staminali derivate
dal paziente stesso risolverebbero completamente anche questo problema.
Mentre questo é possibile nel caso degli epiteli, in altri casi
l’organo affetto potrebbe contenere cellule staminali già compromesse
dalla patologia in atto o addirittura non possedere alcuna cellula staminale
(ad esempio, non esistono, al momento, solide evidenze che il tessuto cardiaco
e quello pancreatico contengano cellule staminali).
In questi casi si rende necessario esplorare tutte le possibili alternative
sperimentali teoricamente e praticamente perseguibili quali la trans-determinazione
di cellule staminali di diversi tessuti - grazie alla quale cellule di
un tessuto possono venire “riconvertite” in cellule di un altro tessuto,
anche di diversa origine embriologica – o l’uso di cellule totipotenti
staminali embrionali, a partire dal nucleo di cellule somatiche del paziente
trasferite in una cellula uovo enucleata.
La notizia riguardante la liberalizzazione dell’utilizzo di cellule
staminali embrionali umane per finalità sperimentali e terapeutiche
da parte dei governi inglese ed americano ha attratto l’attenzione dei
media e ha generato numerose discussioni e polemiche che hanno portato
a confondere il concetto di clonazione, anche terapeutica, con quello di
cellula staminale in generale. Questi concetti sono quindi chiariti in
modo sintetico qui di seguito.
1B DEFINIZIONI ED ELEMENTI
TECNICI
Al fine di chiarire la sostanziale differenza tra clonazione, clonazione
terapeutica e cellule staminali é necessario introdurre alcun concetti
fondamentali.
- Clone (cellulare): una popolazione
di cellule che derivano da una singola cellula per duplicazione cellulare.
- Clonazione cellulare: é la produzione
di un clone cellulare.
- Clonazione di un organismo: produzione
di un nuovo organismo, geneticamente identico all’organismo donatore della
cellula impiegata per la clonazione, in assenza della fusione dei gameti.
Nel caso delle piante questo avviene spesso spontaneamente. Negli organismi
superiori che utilizzano la riproduzione sessuale (come nei mammiferi)
questo avviene spontaneamente solo nel caso di una divisione embrionale
spontanea, che porta alla formazione di gemelli monozigoti (geneticamente
identici).
- Clonazione sperimentale di un organismo
superiore: la clonazione di un organismo superiore si può
ottenere separando l’una dall’altra singole cellule derivate da un embrione
a stadi di sviluppo precoci (e cioé fino a 8 cellule) le quali,
da sole, sono poi in grado di formare un intero nuovo organismo. Da notare
che non è necessario “avviare una vita e poi terminarla” per perseguire
questo approccio, dal momento che tali cellule potrebbero, in principio,
essere prelevate dall’embrione senza, di fatto, danneggiarlo. La tecnica
attualmente più in uso per la clonazione di mammiferi si basa sul
trasferimento del nucleo da cellule somatiche in un oocita enucleato. Questa
tecnica può essere applicata sia per scopi riproduttivi (generazione
di un organismo adulto clonato), sia per ottenere cellule staminali embrionali
autologhe attraverso la generazione di un organismo clonato allo stadio
embrionale. E’ però anche possibile ottenere, con un approccio simile,
cellule totipotenti senza passare attraverso lo stadio embrionale. Nonostante
l’impropria definizione di “clonazione terapeutica” utilizzata in questo
contesto nel rapporto Donaldson, questo procedimento ha come fine la produzione
di cellule e tessuti somatici con un genoma nucleare identico a quello
del donatore, ma non corrisponde automaticamente alla formazione dell’embrione,
potendosi interrompere molto prima, per la sola riderivazione di linee
cellulari. Per una trattazione più dettagliata si veda il paragrafo
1D: “Trasferimento nucleare per la produzione di cellule staminali autologhe
(TNSA)”.
- Cellula staminale: le cellule staminali sono cellule non specializzate
in grado di dividersi dando origine contemporaneamente ad una cellula staminale
(uguale alla cellula madre) ed una cellula precursore di una progenie cellulare
che alla fine darà a sua volta origine a cellule terminalmente differenziate
(mature). Si definiscono totipotenti le cellule staminali che possono dar
luogo a tutti i tessuti, multi (o pluri) potenti quelle che possono dar
luogo ad alcuni tipi cellulari o tessuti ed unipotenti, quelle che possono
dar luogo soltanto ad un tipo cellulare.
1C DIVERSI TIPI DI CELLULE
STAMINALI
Cellule staminali fetali
Le cellule staminali fetali sono derivate da aborti. Si tratta pertanto
di materiale cadaverico ed il suo utilizzo equivale all’utilizzo di organi
da cadaveri. Dal punto di vista biologico, le cellule staminali fetali
possiedono caratteristiche intermedie tra quelle embrionali e quelle adulte.
Sono generalmente pluripotenti e deputate all’accrescimento peri-natale
dei tessuti. I pochi studi finora disponibili non permettono di trarre
conclusioni definitive sulle loro capacità di crescita, differenziamento
ed integrazione funzionale nei vari tessuti. Si rendono pertanto necessari
studi addizionali finalizzati a chiarire le potenzialità proliferative
e differenziative di queste cellule.
Cellule staminali embrionali eterologhe
Le cellule staminali embrionali (ES) derivano dalla regione interna
dell'embrione (embrioblasto o inner cell mass) prima del suo impianto nella
parete dell'utero. Dotate di elevata capacità proliferativa, le
cellule ES sono in grado di dare origine a tutti i tipi cellulari presenti
nell’organismo e per questo potenzialmente utili per la terapia delle patologie
umane. Queste cellule possono essere isolate da blastocisti e cresciute
in vitro con particolari e costose metodiche che ne mantengono inalterate
le proprietà di plasticità e totipotenza per periodi di alcuni
anni (Evans e Kaufman, Nature 292: 154-6, 1981).
Ciò consente, a partire da poche decine di cellule, di ottenerne
centinaia di milioni con le stesse caratteristiche e potenzialità
iniziali. Quando aggregate con un embrione precoce possono integrarsi nell’embrione
e successivamente crescere e differenziarsi in tutti i tipi cellulari del
nuovo organismo senza causare nessun disturbo alla crescita e sviluppo
di quest’ultimo. In più, sono stati messi a punto particolari metodiche
“in vitro” che guidano il differenziamento delle cellule ES in specifici
tipi cellulari per generare, ad esempio, una grande quantità di
neuroni (Okabe et al., Mech Dev 59:1 89-102, 1996), cellule della glia
(Brustle et al., Science 285: 754-756, 1999), cardiomiciti e progenitori
ematopoietici (Keller e Snodgrass, Nat Med 2 151-2, 1999 ).
Recentemente, sono state isolate cellule staminali umane a partire
da precocissimi embrioni (non più necessari per gli scopi terapeutici
prefissati) ottenuti con tecniche di IVF e donati da individui informati
e consenzienti (Thomson et al., Science 282 1145-7, 1998). Dai primi risultati
pubblicati nella letteratura scientifica internazionale, possiamo arguire
che queste cellule embrionali staminali (ES) umane dovrebbero comportarsi
“in vitro e in vivo” come quelle murine, possedendo una elevatissima plasticità
e flessibilità nel generare qualsiasi tipo di cellula matura (Schuldiner
et al., Pnas 97, 11307-11312, 2000).
Cellule staminali embrionali possono quindi essere prodotte con questa
finalità da embrioni congelati, prodotti in eccesso rispetto alle
necessità della fecondazione in vitro. In Gran Bretagna il loro
numero è di varie decine di migliaia. In Italia non esiste un registro
di questi embrioni e di conseguenza se ne ignora il numero esatto ma è
plausibile che il numero sia comunque elevato.
In pratica esiste una enorme sproporzione tra l’abbondanza di embrioni
prodotti e l’assenza di soggetti interessati ad impiantarli nel proprio
utero.
Esiste poi un problema biologico importantissimo e totalmente inesplorato:
la durata di vitalità di questi embrioni. Nei roditori il congelamento
di cellule e di embrioni ne riduce, col tempo la vitalità. Il che
significa che dopo un certo numero d’anni, solo una piccola percentuale
di embrioni congelati riprende lo sviluppo embrionale con un rischio elevato
di aborti e malformazioni.
Nell’uomo queste informazioni mancano ma è presumibile che il
fenomeno sia generale per i mammiferi.
In ogni caso, cellule ES, così ottenibili in grande numero potrebbero
essere particolarmente utili per poter studiare i meccanismi che ne regolano
proliferazione e differenziamento in vari tessuti, permettendo quindi di
ottenere una conoscenza preziosa. Infine, va considerato un loro diretto
impiego terapeutico in quelle forme di terapia in utero o peri-natale dove
il sistema immunitario del paziente “imparerebbe” a riconoscere come proprie
le cellule trapiantate (tolleranza).
In alternativa all’utilizzo di embrioni sovrannumerari, esiste la possibilità
eventuale di isolare cellule embrionali in modo da non provocare la soppressione
dell'embrione. Questo sarebbe ottenibile mediante un prelievo selettivo
di un numero limitato di cellule ES a stadi precoci di sviluppo quali quello
di morula e di blastocisti che, quindi, non implicherebbe la distruzione
dell’embrione medesimo. Sebbene ciò sia tecnicamente fattibile,
grazie a metodiche di prelievo standardizzate, mutuate dalla diagnostica
preimpianto in tecniche IVF, alcune considerzioni di natura tecnica sono
d’obbligo. Mentre non si può escludere che in un numero limitato
di casi la morula-blastocisti potrebbe non mantenere intatto il proprio
potenziale di sviluppo post-prelievo, il problema saliente é rappresentato
dalla difficoltà di espandere in coltura il numero limitato di cellule
ottenibili dal prelievo, in modo da ottenere la quantità di cellule
necessaria per applicazioni terapeutiche. Questa difficoltà sembrerebbe
attualmente superata dai risultati ottenuti da Michael Amit e coll. (Dev.Biol.
327, 271-278) che hanno recentemente dimostrato la stabilità fenotipica
e genotipica di cellule ES umane clonate in vitro per un periodo di otto
mesi di coltura. Queste linee ottenute da singole cellule mantengono la
capacità replicativa e la pluripotenza a lungo termine, senza modificazioni
del cariotipo e dei telomeri.
Quest’ultimo é un punto critico poiché, mentre la stabilità
funzionale e fenotipica é prerogativa assoluta della cellula staminale
“bona fide” (Potten and Loeffler, Development 1990, 110, pp 1001-1020.),
non é altrettanto certo che il prelievo permetta di isolare “vere”
cellule ES ad ogni tentativo. Infatti, l’organismo nel suo complesso deriva
da sole 3-4 delle circa 100 cellule che compongono la blastocisti (vedi:
“Clonal expression in allophenic mice”. Symp. Int. Soc. Cell Biol. 9:15,
1970 e C.L. Markert e R.M Petters Science, 1978, 202:56,) e non é
chiaro se questa minoranza di cellule è pre-costituita o se tutte
le cellule della blastocisti posseggono un uguale potenziale.
Infine, va ricordato che linee stabili di cellule ES si sviluppano
solo dall’epiblasto delle blastocisti (F.A. Brook e R.L. Gardner, Pnas,
94:5709-5712, 1997) e che il corredo cromosomico delle cellule prelevate
non è necessariamente sempre identico a quello della rimanente morula-blastocisti.
Va sottolineato che le colture di cellule ES umane finora prodotte sono
state ottenute a partire da cellule isolate mediante immunomicrochirurgia
dalla massa cellulare interna della blastocisti umana (rappresentante lo
stadio dell’embrione umano corrispondente a circa il 5° giorno di sviluppo):
tale tecnica di prelievo ha finora comportato la distruzione della blastocisti
(Reubinoff et al, Nature Biotechnology 18:399-404, 2000). Risulta quindi
evidente come questo approccio rappresenti una linea di ricerca che lascia
impregiudicato l’aspetto etico relativo all’impiego di morule-blastocisti
criopreservate.
Esiste infine, un tipo particolare di cellule staminali embrionali,
le cellule germinali primordiali, ottenute dalle gonadi di feti abortivi,
e fatte trasformare “in vitro” in cellule EG (Shamblott et al, Proc Natl
Acad Sci USA .95:13726-31, 1998). Al momento le cellule EG sembrano essere
meno adatte delle cellule ES per un uso clinico, per problemi di imprinting
genetico (Tada et al, Dev Genes Evol 207: 551-61, 1998). Va tenuto presente,
su questo punto specifico, che le cellule ES, nel loro stato indifferenziato,
se iniettate per sé o come contaminante di cellule preventivamente
sottoposte a procedure di differenziamento, possono dare origine a teratocarcinomi
in vivo. Si rende quindi necessario uno studio approfondito degli elementi
di sicurezza associati alla procedura di trapianto di cellule staminali
differenziate in vitro ed all’identificazione di una, anche minima, residua
presenza di cellule ES indifferenziate.
Cellule staminali da cordone ombelicale
Le cellule staminali del cordone ombelicale hanno suscitato grande
interesse, soprattutto negli USA, data la possibilità di creare
una banca di cellule autologhe per ogni neonato all’atto della nascita
(Fasouliotis & Schenker Eur J Obstet Gynecol Reprod Biol. 2000, 90:13-25,
2000). Queste cellule potrebbero in seguito essere utilizzate, anche dopo
decenni, per curare patologie insorte nella vita adulta. Si tratta al momento
di un’applicazione meramente commerciale, dato il grande sforzo organizzativo
ed economico che tale iniziativa comporterebbe, a fronte di ricadute modeste
sulla popolazione nel suo complesso.
Sebbene cellule di varia natura, ma tutte derivate da cordone ombelicale,
possano venire impiegate per il trattamento di numerose patologie umane,
ad oggi le cellule staminali ombelicali “bona fide” sono state considerate
capaci di dare origine soltanto a cellule del sangue. Questo ne fa un importante
elemento di trattamento di patologie ematologiche nel contesto del trapianto
allogenico.
La loro potenziale capacità di dare origine ad altri tessuti
è fino ad oggi, in gran parte, inesplorata.
Cellule staminali adulte
Le cellule staminali adulte provvedono al mantenimento dei tessuti
in condizioni fisiologiche ed alla loro riparazione in seguito a un danno;
questa capacità riparativa non è illimitata a giudicare dalle
patologie che compromettono la funzione degli organi, nonostante il tentativo
di rigenerazione. Tali cellule erano fino a pochi anni fa considerate tessuto-specifiche
poiché si riteneva che fossero specializzate nel generare cellule
mature tipiche del tessuto in cui risiedono. In realtà studi recenti
hanno mostrato un’inattesa plasticità di delle cellule staminali
adulte. Il caso più emblematico è rappresentato dal transdifferenziamentto
di cellule staminali neurali adulte in cellule mesodermiche ematopoietiche
(Bjornson CR et al, Science 283:534-7, 1999). Tale “salto” differenziativo
tra cellule di foglietti embrionali diversi si osserva con cellule staminali
di adulto sia inserite in tessuti embrionali, sia in tessuti adulti (Taylor
G et al, Cell 102:451-61, 2000, Clarke DL et al, Science 288:1660-3, 2000,
Galli et al., Nat. Neurosci, 3, 986-91, 2000) e riguarda anche le cellule
del midollo osseo che possono dare origine a muscolo (Ferrari et al., Science,
1998) ed a cellule epatiche (Petersen et al., 1999, 2000), e cellule muscolari
che possono colonizzare il sistema ematopoietico (Gussoni et al., Nature
1999). Sulla base di quanto appena descritto, si possono trarre alcune
considerazioni essenziali sul possibile utilizzo di cellule staminali adulte
tessuto specifiche nell’ ambito terapeutico.
Primo, tali cellule esistono anche in organismi adulti, ma il loro
isolamento e la loro coltivazione estensiva, eccezion fatta per le cellule
staminali cutanee e mesenchimali, sono al momento limitati ai roditori.
Si rendono quindi necessari forti investimenti nel campo delle cellule
umane ematopoietiche, neurali, muscolari, e mesodermiche in generale.
Secondo, il problema dell’utilizzo clinico di tali cellule è
strettamente legato alla possibilità pratica di espanderle “in vitro”
in modo efficiente. Ad oggi questo e’ estremamente difficile ed, in concomitanza
con possibili fenomeni di senescenza ipotizzabili in queste cellule, potrebbe
rappresentare un limite all’effettiva fattibilità di questo approccio.
Infatti, tentativi terapeutici con cellule staminali adulte hanno in alcuni
casi (es: trapianto di midollo osseo in topi affetti da distrofia muscolare)
ottenuto risultati modesti dal punto di vista dell’efficacia clinica (Gussoni
et al., Nature 1999).
Terzo, ma non ultimo, è possibile che la specificità
delle cellule staminali adulte per il proprio tessuto di appartenenza non
sia così stringente, ma che sia immaginabile un approccio terapeutico
tramite il quale cellule di un tessuto, per esempio la cute, possano venire
coltivate ed istruite a produrre cellule di un altro organo, per esempio
il cervello, al fine di rendere possibile la ricostruzione tissutale cellulo-mediata
di tipo autologo.
1D TRASFERIMENTO NUCLEARE
(TNSA)
In questo caso le cellule ES sono isolate da cellule dell’embrioblasto
derivato dal trasferimento del nucleo di una cellula somatica adulta del
paziente in una cellula uovo enucleata. Queste cellule ES posseggono quindi
lo stesso genoma nucleare dell’individuo donatore della cellula somatica
il quale, quindi, non le rigetterebbe qualora queste cellule ES clonate
venissero trapiantate, dopo differenziamento, in un suo organo. Da queste
considerazioni emerge come questo procedimento avrebbe l’enorme vantaggio
di stabilire cellule ES immunologicamente compatibili per autotrapianto.
Nel caso di malattie genetiche, queste cellule potrebbero essere geneticamente
‘curate’ in vitro prima del trapianto. Nell’esaminare le tecniche di derivazione
di cellule ES autologhe assumiamo quale scopo finale esclusivo quello di
sviluppare metodologie per l’ottenimento di cellule per il trattamento
di pazienti. In breve, si tratta di riprogrammare il nucleo di cellule
somatiche prelevate dal paziente, tramite il contatto con il citoplasma
di un oocita.
Nella pubblicistica contemporanea questa procedura è stata chiamata
clonazione terapeutica, un termine, di fatto, chiaramente opinabile. Infatti,
un oocita ricostituito con il nucleo di una cellula somatica adulta non
può considerarsi uno zigote in senso classico, in quanto non deriva
dall’unione di due gameti. A riprova di ciò sta il fatto che l’oocita
così ricostituito non dà spontaneamente luogo allo sviluppo
embrionale, poiché ciò può avvenire solo grazie a
stimolazioni artificiali che lo forzano a svilupparsi in blastocisti. Solo
poche tra queste blastocisti hanno l’effettiva capacità di formare
un embrione e quindi un feto se trasferite in utero.
Si noti, che l’oocita ricostituito può, invece, essere indotto
a proliferare ed incanalarsi verso la formazione delle sfere embrioidi
(non di blastocisti) la cui differenziazione può essere indirizzata
verso specifici stipiti cellulari.
Quindi, in ultima analisi, l’oocita ricostituito con il nucleo di una
cellula somatica del paziente è assai più simile ad una potenziale
forma di espansione cellulare (per via asessuata) del paziente stesso,
analoga a quella già oggi praticata quando prelievi bioptici di
derma vengono amplificati per la produzione di ‘cute artificiale’, tecnica
preziosa nella terapia dei grandi ustionati.
Infatti, il processo per cui il nucleo di una cellula somatica, trovandosi
nel citoplasma dell’oocita, riacquista le capacità di cellula staminale
non è molto dissimile da quelli che si attuano quando cellule normalmente
quiescienti prelevate dal corpo di un paziente adulto vengono indotte a
proliferare “in vitro” stimolandole con ‘fattori di crescita’.
E’ perciò prevedibile ed auspicabile che la attuale dipendenza
dagli oociti di donna possa venire rimpiazzata da tecniche che prevedono
l’impiego di estratti citoplasmatici di altre specie animali, o citoplasti
prodotti artificialmente, così da poter effettuare in provetta la
riprogrammazione genetica dei nuclei delle cellule somatiche. Prevenendo
possibili pressioni sulla salute della donna (come ricordato dal recente
documento europeo Ethical aspects of human stem cell research and use),
tale approccio risulta particolarmente interessante.
1E APPLICAZIONI ATTUALI DELLE
CELLULE STAMINALI
Una analisi critica della letteratura scientifica internazionale sulle
cellule staminali porta a definire alcuni criteri utili alla nostra riflessione
da cui emerge la grande potenzialità di sviluppo di terapie utili
al trattamento di tutto un ampio ventaglio di patologie.
1) Trapianto di cellule ematopoietiche (trapianto di midollo)
- Applicazioni terapeutiche del trapianto autologo di cellule staminali
ematopoietiche.
Il trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche consente
la ripresa dell’emopoiesi dopo la somministrazione di dosi mieloablative
di chemioterapia e radioterapia.
Di seguito si riportano, in tabella, le indicazioni cliniche tra i
tumori solidi e le neoplasie ematologiche per le quali è riconosciuta
un’indicazione a chemioterapia ad alte dosi con autotrapianto di cellule
staminali ematopoietiche, accanto ad una proiezione dell’attività
prevista per l’anno 2001 in Italia.
Tabella 1
Carcinoma mammario |
130
|
Neuroblastoma |
20
|
Tumori germinali |
15
|
Sarcoma di Ewing |
10
|
Microcitoma |
10
|
Carcinoma ovario |
10
|
Altri tumori solidi |
20
|
Linfoma di Hodgkin |
190
|
Leucemia linfatica cronica |
30
|
Leucemia linfatica acuta |
70
|
Leucemia mieloide cronica |
40
|
Leucemia mieloide acuta |
300
|
Sindromi mielodisplastiche |
20
|
Mieloma multiplo |
500
|
Linfoma non Hodgkin |
650
|
La somministrazione di alte dosi di chemioterapia ad azione immunosoppressiva
con successivo trapianto autologo di cellule staminali, è stata
di recente valutata in pazienti affetti da malattie autoimmuni severe,
con risultati favorevoli in malattie non responsive ai trattamenti con
dosi convenzionali di farmaci immunosoppressori. In un recente Consensus
Meeting Europeo (Basel, ottobre 2000), sulla base delle risposte favorevoli
ottenute negli studi di fase I-II in più di 250 pazienti, sono stati
definiti criteri clinici di arruolamento a protocolli internazionali randomizzati
di fase III per 10 pazienti con lupus eritematoso sistemico, sclerosi sistemica,
sclerosi multipla, artrite reumatoide, vasculiti sistemiche, citopenia
autoimmuni; in tali studi verrà confrontato l’impatto curativo di
una profonda immunosoppressione rispetto a trattamenti convenzionali in
queste malattie a rilevante incidenza nella popolazione giovane.
- Applicazioni terapeutiche del trapianto allogenico di cellule staminali
ematopoietiche
In aggiunta all’azione antitumorale della chemioterapia e radioterapia
somministrate nel regime di condizionamento al trapianto, l’infusione di
cellule staminali allogeniche offre il potenziale curativo dell’effetto
immuno-mediato del sistema immunitario del donatore nei confronti della
neoplasia del paziente (effetto del trapianto verso la leucemia, Graft
versus Leukemia effect).
Numerose osservazioni cliniche e sperimentali hanno consentito di attribuire
il potenziale curativo del trapianto di cellule staminali allogeniche proprio
all’azione antitumorale del sistema immune del donatore trapiantato nel
paziente. Il riconoscimento del ruolo centrale esercitato dalla componente
immunologica nel contesto del trapianto allogenico, ha di recente consentito
lo sviluppo di protocolli di radiochemioterapia a bassa intensità
di dose, al fine di estendere a pazienti anziani, a pazienti con malattia
avanzata e con tumori solidi, una procedura con un potenziale di cura significativamente
superiore a terapie standard.
Di seguito, in tabella, si riportano le indicazioni cliniche tra le
neoplasie ematologiche e i tumori solidi per le quali è riconosciuta
un’indicazione a chemioterapia ad alte dosi con trapianto allogenico di
cellule staminali ematopoietiche, accanto ad una proiezione dell’attività
prevista per l’anno 2001 in Italia.
Tabella 2
Carcinoma renale |
25
|
Carcinoma mammario |
20
|
Altri tumori solidi |
30
|
Linfoma di Hodgkin |
10
|
Leucemia linfatica cronica |
10
|
Leucemia linfatica acuta |
200
|
Leucemia mieloide cronica |
150
|
Leucemia mieloide acuta |
400
|
Sindromi mielodisplastiche |
50
|
Mieloma multiplo |
50
|
Anemia aplastica |
20 |
Talassemie |
110 |
Linfoma non Hodgkin |
70 |
Altre neoplasie ematologiche |
30 |
- Applicazioni terapeutiche del trapianto allogenico di cellule staminali
ematopoietiche prelevate da sangue di cordone ombelicale.
In alternativa al midollo osseo e alle cellule staminali da sangue
periferico, il sangue da cordone ombelicale prelevato alla nascita è
attualmente utilizzato quale sorgente allogenica di cellule staminali ematopoietiche.
Le cellule da cordone ombelicale offrono alcuni vantaggi teorici rispetto
alle cellule da sangue midollare e periferico di adulto, in ragione della
loro immaturità immunologica e dell’elevato potenziale di ripopolamento
midollare e immunologico. Principale limitazione è la quantità
limitata di cellule staminali presenti in un’unità di cordone, che
condiziona l’estensione ad una popolazione adulta di alto peso corporeo.
Il trapianto allogenico di cellule da cordone ombelicale ha conosciuto
notevole espansione nel corso degli ultimi anni, raggiungendo una quota
complessiva di circa 2.000 trapianti nel mondo. Le indicazioni cliniche
sono sovrapponibili a quelle previste per il trapianto di cellule staminali
da altre sorgenti.
2 . Trapianto di cellule staminali cutanee (trapianto di epidermide)
Cellule staminali di epitelio autologo possono essere coltivate ed
espanse “in vitro” (Jones and Watt, Cell, 73: 713-724) ed utilizzate per
coprire permanentemente lesioni estese della cute e della mucosa (Pellegrini
et al., Transplantation, 68: 868-79, 1999). Sebbene tale approccio venga
oggi applicato a lesioni da bruciatura, da fistole diabetiche, o da epidermolisi
bollosa (Dellambra et al., Hum. Gen. Ther. 9, 1359-70, 1998), l’utilizzo
di questa tecnica è prevedibile in altri tipi di patologie cutanee
quali terapia genica nelle neoplasie ed infezioni cutanee (Garlick and
Fenjves, Crit. Rev. Oral. Biol. Med. 7, 204-21, 1996) ed in mosaicismi
somatici e funzionali.
Infatti, questa strategia terapeutica potrà essere utilizzata
per trattare pazienti affetti da nevo epidermico con quadro istologico
di ipercheratosi epidermolitica (OMIM 600648), che rappresenta la variante
a mosaico dell'eritrodermia ittiosiforme congenita bollosa. Analogamente
lo stesso protocollo si potrà applicare a pazienti affetti da piebaldismo
(OMIM 172800), una malattia autosomica dominante che si manifesta con lesioni
acromiche localizzate e presenti alla nascita, in cui non sono presenti
melanociti.
1F PROSPETTIVE TERAPEUTICHE
POTENZIALI
Oltre a questi tipi di trapianto, esistono numerose patologie che potranno
venire curate utilizzando cellule staminali ES e/o tessuto specifiche.
Alcuni esempi vengono discussi di seguito.
A - Rigenerazione di cellule e tessuti.
Come già discusso, la maggiore applicazione delle cellule staminali
è quella di sostituire cellule o tessuti danneggiati o non funzionanti
e quindi di essere potenzialmente efficaci in un contesto di terapia cellulare/tissutale
sostituendo cosi’ il trapianto di organo da cadavere.
B - Terapia cellulare per:
- ?la ricostruzione del midollo spinale danneggiato da traumi fisici
mirato a dare quindi una speranza ai tanti paraplegici. Per esempio, questa
possibilità è già sperimentata nel ratto, dove è
stata sfruttata la trasformazione dei precursori degli oligodendrociti
in cellule che producono mielina nel midollo spinale);
- ?malattie degenerative del sistema nervoso (Alzheimer, morbo di Parkinson,
malattia di Huntington, sclerosi laterale amiotrofica, malattie ecotossicologiche,
post-traumatiche, da abuso farmacologico, da danno ischemico, ecc.);
- malattie muscolo-scheletriche (displasia ossea, malattie progressive
delle giunzioni ossee, osteogenesis imperfecta, miopatie primitive);
- malattie infiammatorie di natura sistemica (sindrome di Sjögren),
attraverso la sostituzione delle cellule delle ghiandole salivari atrofiche
dei malati;
- ?malattie degenerative della retina, della cornea e dell’apparato
uditivo, i cui tessuti sono stati danneggiati per cause genetiche o traumatiche:
- ?ricostituzione del tessuto cardiaco dopo un infarto acuto del miocardio
e riparazione dei vasi sanguigni da processi patologici progressivi come
l’arteriosclerosi e l’ipertensione;
- ?malattie metaboliche tipo lisosomiali, causate dal blocco di specifici
sistemi catabolici e dal conseguente accumulo nei lisosomi delle sostanze
non degradate.
C - Terapia genica
Le cellule staminali sono in grado di accettare e tollerare, molto
meglio di cellule mature, geni introdotti dall’esterno con tecniche d'ingegneria
genetica, mirate a correggere l’effetto patologico di geni difettosi o
mutati mediante trasferimento genico; proprio per la loro capacità
di trattenere stabilmente tali geni esogeni nel tempo, costituirebbero
il substrato ideale per fungere da vettori cellulari per la terapia genica,
consentendo quindi il superamento di alcune difficoltà tecniche,
attualmente insormontabili, dovute alla perdita progressiva di espressione
di geni esogeni inseriti a scopo terapeutico in tessuti di cellule adulte
mature.
Un singolo trasferimento di gene in una cellula staminale renderebbe
infatti disponibili cellule del sangue, della pelle, del fegato, e perfino
del cervello “corrette”. Quindi, le cellule staminali, embrionali o adulte,
potrebbero rappresentare la soluzione ottimale in terapia genica proprio
perché in grado di generare le cellule necessarie in quantità
molto rilevanti.
1G CONCLUSIONI SUGLI ASPETTI
SCIENTIFICI
L’impatto
E’ possibile stimare, sebbene in via del tutto preliminare che, su
un numero totale di soggetti affetti da patologie croniche di circa 30
milioni nel nostro Paese, l’utilizzo delle cellule staminali di varia origine
possa portare a sviluppare metodiche cliniche per il trattamento di un
numero di pazienti che, comprendendo le patologie di origine cardiovascolare,
si avvicina ai 10 milioni di individui.
Le problematiche relative all’uso dei diversi tipi di cellule staminali
(e le possibili differenze nella loro efficacia terapeutica), le ovvie
conseguenze sulla qualità della vita sono talmente forti da influenzare
pesantemente le attuali scelte strategiche di finanziamento pubblico della
ricerca nella maggior parte dei paesi industrializzati. E’ chiaro che queste
scelte potrebbero modificare sensibilmente la politica sanitaria dei prossimi
decenni, ed è pertanto auspicabile un cospicuo investimento di risorse
sia economiche che umane nel settore della biologia delle cellule staminali.
La possibilità di operare scelte strategiche in questo campo,
anche in considerazione della preminenza culturale che la ricerca italiana
ha fin qui occupato, ma che potrebbe scemare in assenza di iniziative istituzionali
di ampio respiro strategico, porterebbe il nostro Paese in una posizione
di avanguardia nel settore biomedico.
I quesiti scientifici
La grande quantità di dati disponibili sulle cellule staminali
ha finora prodotto molte risposte a quesiti importanti ed ha aperto nuove
prospettive terapeutiche inimmaginabili fino a pochi anni orsono. In realtà,
questo ha generato molte più domande che risposte, indicando l’opportunità,
se non la necessità, di ampliare i programmi di lavoro sull’argomento,
considerando anche i risvolti scientifici di potenziale applicabilità
nel contesto sanitario. Come discusso esaustivamente, l’utilizzo delle
cellule staminali apre orizzonti terapeutici di notevole portata, per esempio
malattie neurodegenerative su base genetica, traumatica, ischemica, o conseguente
all’esposizione a farmaci o sostanze tossiche, oltre all’utilizzo delle
medesime come vettori cellulari per terapia genica di malattie metaboliche
e di tumori.
Allo stato attuale delle conoscenze, non ci sono evidenze conclusive
che definiscano quale dei due tipi di cellule staminali considerati in
questa relazione – cellule ES e cellule staminali tessuto specifiche –
possa essere considerato il più adatto per utilizzi sia sperimentali
che clinici (Snyder EY, Vescovi AL, Nat. Biotech., 18: 827-8, 2000). Da
quanto emerge da questa relazione, il bivio che si presenta al ricercatore
come al legislatore, riguardo all’utilizzo di cellule staminali ES invece
di staminali adulte tessuto specifiche non riflette i termini reali del
problema.
E’ di fatto necessario effettuare ricerche per conoscere se solo una
delle due sorgenti, o, come è più probabile, entrambe, possano
dare risposta alle esigenze di terapia per le svariate patologie umane
di origine e natura spesso incredibilmente diversa, fermo restando il quesito
etico che esiste per alcune delle modalità di ottenimento delle
cellule staminali embrionali umane.
E’ auspicabile che tali problematiche possano venire superate con il
progredire delle scoperte e con la messa a punto di tecnologie avanzatissime
in questo settore di ricerca, che vede impegnato un numero consistente
di gruppi italiani di elevatissima qualità, in grado di contribuire
in modo significativo all’avanzamento delle conoscenze nel settore. Esistono
inoltre in Italia numerosi gruppi, finora non direttamente coinvolti nel
campo specifico, forniti di competenze in grado di dare ulteriori contributi
alla ricerca.
E’ pertanto fortemente auspicabile la costituzione di un programma
nazionale finalizzato alla ricerca sulle cellule staminali. Le aree di
ricerca su cui basare, almeno inizialmente, il programma in oggetto dovrebbero
essere selezionate basandosi sia su una solida evidenza scientifica sia
su un consenso unanime da parte della comunità scientifica riguardo
l’opportunità/utilità/fattività del lavoro in quel
determinato campo.
Le scelte della ricerca
Sulla base di questi presupposti, sarebbe possibile individuare tre
ambiti privilegiati su cui concentrare, almeno inizialmente, il lavoro:
- cellule staminali somatiche tessuto-specifiche adulte, fetali abortive
ed embrionali (ES) di origine umana ed animale;
- riprogrammazione genetica del nucleo di cellule somatiche per trasferimento
nucleare in citoplasti artificiali di origine animale ed umani;
- modelli animali, anche transgenici, di patologie umane per lo studio
in vitro e in vivo delle cellule staminali di varia natura.
Vale la pena di sottolineare che ci troviamo di fronte a scelte critiche
che, di fatto, decideranno il futuro non solo della ricerca italiana ma
anche della medicina d’avanguardia nel nostro Paese. E’ auspicabile che
si trovino finalmente le risorse per investire in maniera decisiva in questo
settore, sfuttando quelle che sono in questo momento competenze esclusive
del nostro Paese che, ad oggi, sono emerse grazie alla creatività
ed impegno, spesso non finanziato, dei nostri ricercatori. Il rischio che
l’Italia oggi all’avanguardia nel settore delle cellule staminali, ne resti
di fatto esclusa è, purtroppo, concreto.
Capitolo 2
QUESITI ETICI EMERSI DAGLI ASPETTI TECNICI
2.1 – La Commissione ha riconosciuto esenti da problemi etici irrisolvibili:
- l’uso delle cellule staminali adulte e da cordone ombelicale, fatto
salvo che sia stato ottenuto il consenso informato del donatore e che la
sua salute non ne venga compromessa.
- l’uso di cellule staminali da materiale abortivo.
- l’uso di cellule staminali da trasferimento nucleare. Queste cellule
staminali vengono ottenute mediante riprogrammazione genetica per trasferimento
di nuclei di cellule somatiche in citoplasti artificiali umani e/o animali,
purchè non comporti lo sviluppo di embrioni umani (TNSA). Nel caso
di citoplasmi umani, viene previsto esclusivamente lo sviluppo di stipiti
cellulari tessuto specifici.
2.2 – La Commissione ha lasciato aperto al dibattito etico i seguenti
punti:
- L’uso di materiale da embrioni sovrannumerari. Andrà considerato
il problema degli embrioni congelati, di quelli non congelati ma che eccedono
il numero impiantabile, di quelli che non vengono valutati “idonei per
l’impianto” per motivi morfologi o di integrità.
- L’uso di singole cellule ottenute dalla blastocisti, durante la fase
diagnostica preimpianto della fecondazione assistita, senza alterarne il
potenziale di sviluppo embriogenetico.
- L’uso di embrioni prodotti specificamente per scopi terapeutici.
Capitolo 3
DIBATTITO SUGLI ASPETTI ETICI
Questa parte della relazione della Commissione è organizzata
per rispondere in modo puntuale ai quesiti posti dal Ministro, professor
Umberto Veronesi, alla Commissione. Sono così emersi undici punti
di riflessione.
1 - Efficacia scientifica
Dalla parte scientifica di questo documento emerge la conferma di un
dato già affermato in precedenti documenti di altre istituzioni
nazionali e internazionali: il potenziale di applicazione terapeutica della
ricerca sulle cellule staminali è effettivamente di notevole interesse
e potrebbe condurre a una vera e propria rivoluzione in medicina, superiore
persino, nei suoi effetti sulla salute della gente, a quella rappresentata
dalla scoperta degli antibiotici.
La risposta alla prima parte della prima domanda rivolta a questa Commissione
dal Ministro della Sanità è dunque positiva: c'è ormai
una sufficiente mole di dati (e altri se ne stanno accumulando) per sostenere
che, grazie a tali ricerche, i sistemi sanitari potranno offrire ai cittadini
nuovi ed efficaci trattamenti per una notevole serie di patologie degenerative,
che in molti casi potranno restaurare la salute, in altri migliorare sensibilmente
la qualità della vita.
A fronte del carattere "fondamentale" che il diritto alla salute riveste
nel nostro ordinamento costituzionale, favorire le ricerche dirette a realizzare
tali trattamenti, diventa un obbligo morale.
2 – Cautela
Quanto alla seconda parte della domanda (sui tempi e le probabilità),
la Commissione non è in grado di fare una previsione sufficientemente
certa, anche perché il tempo in cui questi trattamenti potranno
essere disponibili per l'uso clinico dipende anche dalle decisioni che
oggi vengono assunte circa l'ammontare di risorse intellettuali e finanziarie
che verranno destinate allo scopo.
Nei documenti nazionali e internazionali in materia ci si attiene comunque
al criterio della massima cautela nel fare previsioni circa il tempo in
cui questi trattamenti potranno entrare a far parte della pratica clinica.
La Commissione fa suo questo criterio e ne sottolinea la rilevanza al fine
di non suscitare attese o speranze ancora non realistiche.
3 – Il problema trapianti
Se l'utilizzazione terapeutica per scopi di trapianto sarà la
conseguenza più diretta della ricerca sulle cellule staminali, conviene
anche sottolineare che tale ricerca può comportare altri benefici
per la salute della gente, benefici conseguenti a:
- la possibilità di utilizzare linee cellulari per testare l'efficacia
e la tossicità dei farmaci;
- la possibilità di studiare i meccanismi biologici di base
che presiedono allo sviluppo di certe patologie;
- la possibilità di utilizzare le cellule staminali per risolvere
alcuni dei problemi che oggi rendono ancora non adeguatamente diffusa l'applicazione
della terapia genica.
Resta comunque fermo che - dopo la necessaria sperimentazione sull’animale
- l’utilizzazione più diretta e importante è quella per scopi
di trapianto. In questo senso, all'inizio della parte scientifica del documento,
si afferma che le cellule staminali, di qualunque origine, potranno risolvere
i due limiti fondamentali dell'attuale tecnologia dei trapianti: la scarsità
di organi e la necessità dell'immunosoppressione cronica. Da ciò
derivano due importanti condizioni per l'uso clinico routinario delle cellule
staminali: la quantità e la compatibilità col ricevente.
4 – I dati scientifici
La seconda domanda rivolta dal Ministro Veronesi a questa Commissione
riguarda quale tra le cinque sorgenti classiche di cellule staminali può
avere più possibilità di successo in termini di ricerca terapeutica.
Il quadro dello "stato dell'arte" elaborato nella parte scientifica non
offre una risposta univoca a questa domanda.
Si tratta del resto di un quadro in rapidissima evoluzione, sia nel
settore delle cellule staminali di origine embrionale e germinale, sia
nel settore delle cellule staminali di origine adulta.
Rispetto ai dati scientifici attualmente disponibili, tuttavia, si
può sostenere che la prima condizione (la quantità) è
certamente soddisfatta dalle linee cellulari di provenienza embrionale,
di cui si è ormai dimostrata, nei modelli animali già a partire
dal 1981 e recentemente anche nell'uomo, la pressoché illimitata
capacità di autorigenerazione, tanto che qualcuno ha avanzato l'ipotesi
che le poche linee cellulari già derivate potrebbero in teoria costituire
una fonte inesauribile di nuove linee cellulari. Questo stesso tipo di
linee cellulari soddisferebbe la seconda condizione (la compatibilità)
a patto di utilizzare per la loro produzione la tecnica del trapianto nucleare
da cellula somatica del ricevente, come precisato nella parte scientifica.
5 – Il sostegno alla ricerca
Sempre restando ai dati oggi disponibili, le cellule staminali di origine
adulta non soddisfano la prima condizione, non, almeno, nella misura in
cui già la soddisfano le cellule embrionali. Soddisfano invece la
seconda condizione, ovviamente qualora le cellule da coltivare vengano
isolate dal paziente stesso che riceverà il trapianto.
C'è tuttavia da aggiungere che, in relazione a certe patologie
degenerative a rapido decorso e, soprattutto, alla localizzazione di certi
organi, la procedura di isolamento e trattamento ai fini della transdifferenziazione
(che è cosa ben diversa dalla semplice utilizzazione, che, ad esempio,
già avviene con la procedura di autotrasfusione di cellule staminali
ematopoietiche) delle cellule staminali adulte presenta problemi di tempo
che la rendono una procedura difficilmente perseguibile sul piano clinico
per tutte le patologie.
E' sperabile che il proseguimento della ricerca possa permettere di
superare tali problemi, come pure possa permettere, in una prospettiva
più lontana, di determinare i meccanismi biologici che presiedono
alla riprogrammazione del nucleo delle cellule adulte già differenziate.
Per l'uso clinico, infatti, non è sufficiente sapere che tale riprogrammazione
di fatto avviene (come è ormai dimostrato dagli esperimenti di clonazione
animale); è necessario sapere come avviene, al fine di padroneggiare
in modo riproducibile i meccanismi biologici di riprogrammazione. Attualmente,
l'unico modo per studiare tali meccanismi è la tecnica del trasferimento
nucleare somatico.
Emerge quindi, come è ben chiarito anche alla fine della parte
scientifica del documento, la necessità - che trova un vasto (anche
se non unanime) riscontro nella comunità scientifica internazionale
- di non escludere pregiudizialmente nessun settore di ricerca.
La stessa possibilità di operare scientificamente un confronto,
in termini di futura efficacia terapeutica, tra le varie fonti di linee
cellulari, richiede che la ricerca venga portata avanti senza pregiudiziali
esclusioni, né dirette, né indirette (ad es., attraverso
la politica dei finanziamenti). Questa richiesta, che nella parte scientifica
del documento emerge come dato di fatto, deve essere tuttavia valutata
- sempre per seguire la traccia delle domande formulate dal Ministro -
nei suoi aspetti etici.
6 – Le finalità terapeutiche
Nel sottoporre a valutazione etica la ricerca sulle cellule staminali,
questa Commissione desidera sottolineare che ciò non può
in nessun modo essere interpretato come un mettere in discussione il principio
generale della libertà della ricerca scientifica, che in Italia
è un principio costituzionalmente protetto. La valutazione etica
che si intende intraprendere riguarda le finalità e le metodologie
di un tipo specifico di ricerca, in ragione del fatto che tale ricerca
avviene in un contesto su cui grava un serio disaccordo morale.
Nel nostro caso, tale disaccordo non riguarda, in verità, la
finalità, poiché, come s'è già osservato, c'è
un vasto consenso sul carattere benefico degli scopi della ricerca sulle
cellule staminali, scopi che coincidono con uno dei fini fondamentali della
medicina: guarire gli esseri umani nel modo più efficace possibile.
Il disaccordo riguarda la provenzienza embrionale di alcune linee cellulari
e certi aspetti delle metodologie di derivazione, ma il tema della finalità
di questo tipo di ricerca andava ricordato perché la consapevolezza
della notevole importanza dei benefici attesi può costituire il
terreno più idoneo per ridurre l'ampiezza del disaccordo morale.
7 – Liceità della sperimentazione
La ricerca sulle cellule staminali prelevate da tessuti adulti o dal
cordone ombelicale o da feti abortiti in modo spontaneo o volontario (in
quest'ultimo caso, sulla base di una regolamentazione atta ad escludere
ogni rapporto di causalità tra prelievo di cellule o tessuti e aborto)
non solleva problemi morali insormontabili.
Su questo punto c'è un consenso unanime all'interno della Commissione.
Il punto cruciale del disaccordo che grava sulla ricerca sulle cellule
staminali ruota attorno alla liceità della sperimentazione sugli
embrioni umani. Ancor prima che in relazione alle future applicazioni terapeutiche,
il punto emerge già in relazione alla richiesta, sopra ricordata
e ben delineata nelle sue ragioni scientifiche, di sostenere attivamente
la ricerca sulle cellule staminali sia di origine embrionale, sia di origine
adulta.
E' bene, infatti, precisare che qui si sta parlando della fase preliminare
della ricerca, quella diretta a studiare le proprietà delle cellule
staminali e a dimostrare la possibilità di indirizzarle verso la
produzione delle varie linee cellulari o tessuti utilizzabili per trapianti.
Molti sperano che quando si arriverà alla fase della vera e propria
sperimentazione clinica, non sarà più necessario ricorrere
alla derivazione di cellule dalla blastocisti dell'embrione umano. Anche
se non è facile prevedere se e quando questa speranza si tradurrà
in realtà, resta comunque fermo che oggi un programma di ricerca
che contempli la sperimentazione sulle cellule staminali derivate da embrioni
umani appare a molti necessario.
8 – Le diverse interpretazioni
E' noto che sulla liceità morale della sperimentazione sugli
embrioni umani esiste una radicale controversia, che trova il suo fondamento
in differenti concezioni etiche, filosoficamente e/o religiosamente fondate,
ad ognuna delle quali questa Commissione riconosce piena legittimità.
Qui non è neppure possibile tentare di sintetizzare la sostanza
del dibattito in materia.
Ma, almeno per chiarirne i termini, conviene rilevare che la controversia
non è riducibile nei termini di una contrapposizione tra pensiero
secolare e pensiero religioso. E' probabile che gli argomenti utilizzati
siano differenti, ma i favorevoli e i contrari sono presenti in ambedue
questi schieramenti.
Ad esempio, le testimonianze rese presso la National Bioethics Advisory
Commission da rappresentanti delle religioni più diffuse negli Stati
Uniti hanno evidenziato un vasto ventaglio di posizioni. Si va dalla posizione
contraria espressa dalla chiesa cattolica e dalla chiesa ortodossa (il
cui rappresentante si è tuttavia dichiarato favorevole alla sperimentazione
sugli embrioni "soprannumerari") alla posizione favorevole espressa, con
alcuni distinguo, da rappresentanti delle confessioni protestanti, delle
due principali tradizioni islamiche e dell'ebraismo, i cui rappresentanti
hanno anzi sottolineato il carattere "doveroso" della ricerca sulle cellule
embrionali a fronte del beneficio terapeutico atteso. E' possibile che
questo stesso ventaglio di posizioni si evidenzierebbe esaminando le etiche
secolari.
9 – Il rispetto della vita umana
La soluzione della controversia sulla sperimentazione degli embrioni
umani varia a seconda della posizione assunta sulla questione dell’embrione.
Alcuni, infatti, affermano che l’embrione umano è un essere umano
a partire dal momento della fecondazione; altri osservano, invece, che
negativa è la risposta al problema centrale se nelle prime fasi
del suo sviluppo l’embrione sia o no persona; altri ancora, infine, che
non è possibile decidere la controversia in materia ma ritengono
che l’embrione umano non sia una mera “cosa” utilizzabile a piacimento
e che meriti una tutela crescente proporzionale al suo sviluppo.
Di fronte all'ampiezza e alla radicalità di tale controversia,
è chiaro che questa Commissione (o qualunque altra Commissione)
non può certo assumersi il compito di dirimere un disaccordo che
ha la sua radice in convinzioni antropologiche filosoficamente e/o religiosamente
fondate. Ciascuna posizione raccoglie consensi, e la Commissione è
ben consapevole che il mero fatto che una data soluzione raccolga un vasto
consenso, non la rende "più giusta" rispetto alle altre, né
equivale ad una delegittimazione delle altre posizioni.
La Commissione, infatti, prende atto che esiste un valore unanimemente
condiviso da tutte le posizioni sopra accennate: il rispetto dovuto alla
vita umana. Non vi è chi non accetti questo principio, anche se
poi ci può dividere sui modi concreti di manifestare tale rispetto
nelle circostanze reali della vita.
10 – Risoluzione minoritaria
Alcuni membri della Commissione (Card. Ersilio Tonini, Adriano Bompiani,
Bruno Dallapiccola, Domenico Di Virgilio, Enrico Garaci, Luigi Lorenzetti,
Girolamo Sirchia) senza entrare nel dibattito filosofico e scientifico
circa l'embrione, ritengono che due affermazioni sono determinanti per
il comportamento etico: l'embrione è un essere umano con potenzialità
di sviluppo (e non un essere umano potenziale);
l'embrione, come ogni essere umano, ha diritto alla vita. Per un'adeguata
comprensione, non si tratta di proiettare nell'embrione l'idea di persona
fatta e finita, ma nemmeno di coltivare un'idea di persona che possa prescindere
da quest'inizio. Il legame tra embrione e persona va considerato come un
processo unitario, dinamico e continuo.
L'espressione che meglio rappresenta l'intrinseca tensione tra i due
poli (embrione e persona) è «l'embrione va rispettato come
persona». In altre parole, il rispetto che si deve alla persona è
rispetto alla persona nelle sue diverse fasi, a cominciare da quella dell'inizio.
La vita umana, la sua dignità, non è più in alcune
fasi e meno in altre. In questa prospettiva, quindi, le argomentazioni
a favore della sperimentazione degli embrioni sovrannumerari (il sacrificio
di questi embrioni è proporzionato ai vantaggi sperati;
un male minore rispetto a quello maggiore della loro distruzione; una
giusta soluzione del conflitto tra diritto alla vita di questo embrione
e il diritto del malato a essere curato) si fondano su una visione strumentale
dell'embrione umano, al quale non si riconosce ancora il titolo di soggetto
e, quindi, eliminabile a vantaggio di un soggetto che è già
tale, come si pretende.
Inoltre, si osserva che, a partire dal dilemma «l'embrione o
viene usato o viene distrutto», significa accettare, in etica, l'insostenibile
equiparazione tra «uccidere» e «lasciar morire».
In breve, le argomentazioni che proibiscono moralmente di creare embrioni
per la sperimentazione, valgono anche per la proibizione dell'utilizzo
di quelli già esistenti.
Nell'un caso come nell'altro, infatti, compare il mancato riconoscimento
dell'embrione come soggetto umano e, quindi, la sua possibile strumentalizzazione,
almeno nella prima fase della sua esistenza.
11 – Risoluzione maggioritaria
Gli altri diciotto membri della Commissione hanno invece fissato l’attenzione
sul fatto che anche in Italia, in vari laboratori che attuano programmi
di fecondazione in vitro, esiste un elevato numero di embrioni soprannumerari,
formati nel contesto di un progetto procreativo, ma che, per varie ragioni,
non sono più destinati all'impianto.
La scelta di destinare una parte di questi embrioni a ricerche dalle
quali possono derivare notevoli benefici per l'umanità non comporta
una concezione strumentale dell’embrione, né costituisce un atto
di mancanza di rispetto nei confronti della vita umana, in specie se si
considera che l'alternativa è di lasciare che questi embrioni, per
i quali non è più possibile la destinazione per cui sono
stati formati, periscano.
Quando ci si trova di fronte a situazioni dilemmatiche, il meglio che
si possa fare – se si esclude l'inazione, che comunque è una scelta
- è di bilanciare i valori in gioco.
Nel nostro caso, a fronte dell'inevitabile destino riservato a una
parte degli embrioni crioconservati e non più impiantabili, la Commissione
ritiene che la bilancia penda a favore della destinazione di tali embrioni
agli scopi di una ricerca suscettibile di salvare la vita di milioni di
esseri umani e ritiene che tale destinazione manifesti, nella situazione
sopra descritta, un rispetto per la vita umana ben superiore al mero "lasciar
perire". La soluzione sopra delineata è quella che raccoglie i maggiori
consensi sul piano delle valutazioni espresse da numerose istituzioni e
comitati nazionali ed internazionali.
Essa è ispirata da una logica dell'espansione del raggio della
ricerca e può quindi consentire, in un tempo più breve rispetto
alle logiche restrittive, di pervenire alle conoscenze scientifiche di
base che permetteranno il passaggio alla fase della sperimentazione clinica.
Sul piano dei principi, tale soluzione trova sostegno nel principio di
beneficialità, il quale, sia pure con differenti accentuazioni,
è un tratto comune alle principali dottrine morali, ispira l'etica
della ricerca biomedica, ed è fonte dei doveri di responsabilità
che noi abbiamo verso le persone che soffrono.
In forza di ciò, tale soluzione dà corpo alla nostra
responsabilità verso le prossime generazioni, alle quali indubbiamente
ridonderanno i benefici degli sforzi che oggi facciamo nella lotta contro
le malattie e la sofferenza. Non va dimenticato infine che questa posizione
è ispirata ad un atteggiamento collaborativo e prudente, proteso
ad evitare il più possibile i contrasti ed attento a rispettare
al massimo le diverse convinzioni in campo.
Capitolo 4
RACCOMANDAZIONI
- In considerazione dei notevoli benefici attesi dalla ricerca sulle
cellule staminali, una parte della Commissione ritiene che sia un dovere
della nostra società favorire e sostenere, nei modi più opportuni,
la ricerca su tutte le fonti di cellule staminali ricordate nelle Considerazioni
conclusive della parte scientifica del presente documento. Resta ferma
la libertà dei ricercatori o dei gruppi di ricerca di indirizzare
le proprie indagini verso la fonte che riterranno più consona alle
proprie valutazioni scientifiche e/o etiche, senza pregiudizio alcuno per
l'accesso ai finanziamenti.
- La nuova tecnica del trasferimento nucleare per la produzione di
cellule staminali autologhe (TNSA) viene raccomandata perché offre
la prospettiva di risolvere le esigenze quantitative così come di
superare i problemi di compatibilità immunologica. La Commissione
ha riconosciuto che questa tecnica, essendo in grado di evitare l’avvio
della formazione dell’embrione, appare esente da problemi etici.
- In ogni caso, per quanto riguarda la derivazione di cellule staminali
da embrioni, la Commissione raccomanda che tale derivazione sia consentita
esclusivamente da embrioni soprannumerari.
- La parte della Commissione, favorevole all'utilizzo degli embrioni
sovrannumerari, raccomanda che sia al più presto esperita una indagine
sul numero e la localizzazione degli embrioni soprannumerari non più
destinati all'impianto. Sarà anche necessario elaborare procedure
per ottenere il consenso informato delle coppie che hanno acconsentito
alla crioconservazione, ma non intendono più far ricorso a procedimenti
di trasferimento embrionale. Tali procedure devono esplicitamente escludere
ogni forma di compenso per la donazione e ogni forma di riserva sulla destinazione
delle linee cellulari che eventualmente verranno prodotte. Per il futuro,
la richiesta di donazione per fini di ricerca dovrà essere rivolta,
previa adeguata informazione, alla coppia solo dopo l'esplicita rinuncia
ad utilizzare gli embrioni per scopi riproduttivi.
- Al fine di garantire il controllo pubblico della ricerca sulle cellule
staminali - e in adesione all'invito formulato al punto 2.6 del Parere
dell'European Group on Ethics in Science and New Technologies - la Commissione
raccomanda di esplorare la possibilità di istituire un Progetto
nazionale di ricerca sulle cellule staminali, dotato di un organismo tecnico
di coordinamento centrale coi compiti:
* di elaborare apposite Linee guida per la redazione dei protocolli
di ricerca, sia sotto l'aspetto scientifico, sia sotto l'aspetto etico,
anche in riferimento alle normative nazionali ed internazionali che governano
la ricerca biomedica, laddove applicabili;
* di monitorare l'andamento della ricerca, anche sulla base del confronto
coi risultati acquisiti sul piano internazionale, al fine di stabilire
tempi e modalità del passaggio alla fase della sperimentazione clinica;
* di ricercare, a tempo debito, le opportune forme di coordinamento
con gli organismi deputati a valutare ed approvare i protocolli di sperimentazione
clinica.
- Nelle more della ratifica della Convenzione sui diritti umani e la
biomedicina del Consiglio d'Europa, già firmata dall'Italia, la
Commissione raccomanda al Ministro della Sanità, professor Umberto
Veronesi, di predisporre gli atti normativi idonei a consentire la ricerca
così come indicata alla Racc. 1 e, al tempo stesso, a soddisfare
quanto previsto dall'art. 18 della suddetta Convenzione, che obbliga gli
Stati membri che decidano di autorizzare la sperimentazione sugli embrioni
ad adottare misure legislative atte ad assicurare una adeguata protezione
dell'embrione.
***
Roma, 28 dicembre 2000
Commissione cellule staminali
Il Ministro della Sanità, professor Umberto Veronesi, con Decreto
Ministeriale del 6 settembre 2000, ha istituito la Commissione di studio
per l’uso di cellule staminali per finalità terapeutiche, composta
da 25 esperti in campo scientifico e dell’etica, e presieduta dal Premio
Nobel Renato Dulbecco.
Presidente:
Prof. RENATO DULBECCO Premio Nobel per la medicina
President Emeritus The Salk Institute for Biological Studies
Vicepresidenti:
Prof. CLAUDIO BORDIGNON Direttore Scientifico H. S. Raffaele
Prof. SILVIO GARATTINI Direttore Istituto di Ricerche Farmacologiche
“Mario Negri”
Membri:
Prof. ADRIANO BOMPIANI Presidente Ospedale Pediatrico Bambino Gesù
Presidente On. Comitato Nazionale Bioetica
Prof. EDOARDO BONCINELLI Presidente della Società Italiana di
Biofisica e Biologia Molecolare
Prof. RICCARDO CORTESE Presidente Istituto di Ricerche di Biologia
Molecolare P. Angeletti (IRBM)
Coordinatore Commissione MURST per il Progetto IPERGEN sul post-genoma
Prof. BRUNO DALLAPICCOLA Presidente Società Italiana di genetica
umana
Direttore Scientifico “Casa Sollievo della Sofferenza” di San Giovanni
Rotondo
Prof. DOMENICO DI VIRGILIO Presidente Associazione Medici Cattolici
Italiani
Accademico Pontificio
Prof. CARLO FLAMIGNI Direttore Istituto di Clinica Ostetrica e Ginecologica
I° “P. Sfameni” di Bologna
Membro Comitato Nazionale per la Bioetica
Prof. UMBERTO GALIMBERTI Ordinario di Filosofia della storia
Prof. ENRICO GARACI Presidente Società Italiana di microbiologia
Prof.ssa RITA LEVI MONTALCINI Premio Nobel per la medicina
Prof. LUIGI LORENZETTI Direttore della “Rivista di Teologia Morale”
Prof. LUCIO LUZZATTO Direttore Scientifico Istituto nazionale per la
ricerca sul cancro
Prof. GIACOMO MARRAMAO Ordinario di Filosofia della politica
Prof. MAURIZIO MORI Segretario Consulta di Bioetica
Prof. DEMETRIO NERI Ordinario di Bioetica
Prof. GIUSEPPE NOVELLI Docente di genetica umana
Prof. PIERGIUSEPPE PELICCI Direttore Dipartimento di oncologia sperimentale,
Istituto Europeo di Oncologia
Dott.ssa LIVIA POMODORO Presidente del Tribunale per i Minorenni –
Milano
Prof. CARLO ALBERTO REDI Dipartimento di biologia animale, Università
degli Studi di Pavia
Prof. STEFANO RODOTA’ Garante per la protezione dei dati personali
Prof. SERGIO ROSTAGNO Docente di teologia sistematica presso la Facoltà
Valdese di Teologia, Roma
Coordinatore del Gruppo di lavoro sui problemi etici presentati dalla
scienza della Tavola Valdese
Prof. LEONARDO SANTI Presidente Comitato Nazionale per la Biosicurezza
e le Biotecnologie
Prof. GIROLAMO SIRCHIA Direttore Centro Trasfusionale e di Immunologia
dei Trapianti, Ospedale Maggiore di Milano
Card. ERSILIO TONINI Arcivescovo Emerito di Ravenna
Segretario:
Prof. RICCARDO POLI Dirigente Medico Dipartimento della Programmazione,
Ministero della Sanità |