Prima Conferenza nazionale per la promozione della salute
Dalla Sanità alla Salute
13 dicembre 2000
Roma, Sala Lancisi, Borgo Santo Spirito,2
Intervento del Ministro della sanità
Prof. Umberto Veronesi
Dalla Sanità alla Salute
Presentando la relazione sullo stato sanitario del Paese, nel luglio
di quest’anno, tutti hanno potuto constatare la buona qualità del
nostro sistema sanitario e i discreti risultati raggiunti, anche in raffronto
con i Paesi europei.
Italia tra i migliori
L’Organizzazione Mondiale della Sanità nel suo ultimo rapporto
mondiale, ci assegnava, relativamente alla capacità di soddisfare
equamente i bisogni di cura dei cittadini, il secondo posto tra tutte le
nazioni del mondo; e il primo in Europa nel rapporto tra il livello raggiunto
e quello raggiungibile dal sistema sanitario migliore.
Questo ci consente di affermare che l’obiettivo sanità nel nostro
Paese è stato in gran parte raggiunto e che l’Italia possiede un’organizzazione
sanitaria non solo ben funzionante, ma anche giudiziosa per quanto riguarda
l’uso dei finanziamenti.
Il futuro
Indubbiamente ci attendono ancora alcuni obiettivi per migliorare ulteriormente
il nostro sistema. Mi riferisco alle indicazioni della nuova medicina,
quella tecnologicamente più avanzata, incanalata nella rete telematica,
che disegna una realtà alla quale è indispensabile adeguarsi
in tempi brevi.
E’ costituita da strutture ospedaliere (Istituti di ricerca biomedica,
ospedali universitari, ospedali terapeutici) diffusi in numero necessario
ma non eccessivo, come ora, architettonicamente moderni, dotati della tecnologia
più avanzata, in cui il paziente sosta lo stretto indispensabile
per avere cure efficaci ma soprattutto tempestive, senza patire l’ansia
di liste d’attesa.
E queste strutture terapeutiche dovranno essere circondate da laboratori,
centri diagnostici, centri sociosanitari, questi sì in gran numero,
capillarmente sparsi nel territorio, facilmente raggiungibili dal cittadino,
quasi sotto casa, dove egli possa soddisfare la sua esigenza di attenta
prevenzione.
Il ben d’essere
Si tratterà di un altro passo verso il miglioramento della qualità
e dell’efficienza del sistema sanitario italiano. Ma possiamo dire di garantire
anche un soddisfacente stato di salute? Cioè quel “ben d’essere”
che non consiste soltanto nel vivere in assenza di malattia ma di un benessere
fatto di molti altri fattori, a cominciare dalle relazioni d’affetto, dai
rapporti umani che intratteniamo con gli altri, da ciò che mangiamo,
respiriamo, acquistiamo, dalla casa che abitiamo, dalla città in
cui viviamo?
Già in occasione della presentazione della Relazione sullo Stato
sanitario del Paese mi sono permesso di sottolineare che la conquista della
salute non è più concepibile come un compito riservato unicamente
agli operatori della sanità, ma deve diventare il terreno su cui
si confrontano e collaborano tutti i soggetti sociali ed istituzionali.
Dalla sanità alla salute
E come sta avvenendo in altri Paesi europei, anche noi stiamo attraversando
un momento storico di passaggio dalla sanità alla salute, da un
concetto di welfare state ad un concetto di welfare community, da uno Stato
che al vertice della piramide distribuisce assistenza e benessere ad una
comunità intera che dalla base di questa piramide vi concorre e
ne assume la responsabilità.
Perché la domanda di salute è qualcosa di diverso della
domanda di sanità.
Se la domanda di sanità è strettamente legata alla richiesta
di prestazioni tecnico professionali valide e garantite a tutti i cittadini,
la domanda di salute riguarda i processi esistenziali e la qualità
della vita e non può che avere come protagonista la comunità
intera (la famiglia, la scuola, il lavoro, il Comune, la Regione) che è
il luogo in cui trovano senso e concretezza le nostre azioni ed il nostro
vivere quotidiano.
I punti forti
Basta ripercorrere, del resto, gli indicatori della Relazione, per
rendersi conto che accanto ad alcune performances più che apprezzabili
sul piano strettamente sanitario, come ad esempio maggiore longevità,
minore mortalità per tumori e per infarto, minore mortalità
infantile, minore mortalità per AIDS, maggior controllo delle malattie
infettive, emergano situazioni sempre più preoccupanti sul piano
della qualità della vita e della salute dei cittadini.
I punti deboli
Pensiamo solo ad alcuni stili di vita sregolati, come il fumo e l’abuso
di alcol; ai disturbi del comportamento alimentare che sconfinano nell’anoressia
e nella bulimia (50.000 pazienti, soprattutto giovani) all’obesità
ed al sovrappeso (quasi 6 milioni, con il più alto tasso europeo
di obesità infantile); alle morti evitabili per infortuni sul lavoro
e in casa e per incidenti sulla strada (oltre 15.000 decessi all’anno:
43 ogni giorno) che nascondono spesso cause legate a situazioni di profondo
malessere.
L’aumento di fenomeni come la depressione (oltre 5 milioni di pazienti
e con una spesa di farmaci antidepressivi che dal 1996 al 1999 è
aumentata dal 40%) e l’insonnia; la dipendenza dai farmaci; alcuni epifenomeni
di grande allarme sociale, con l’aumento dei suicidi, la pedofilia, la
violenza all’interno della famiglia rappresentano spie non indecifrabili
di una qualità di vita di basso livello.
Perché questa conferenza
Sono tutti sintomi di un cattivo stato di salute che contrastano con
il buon stato della sanità e che mi hanno portato a convocare questa
Prima Conferenza Nazionale sulla Promozione della Salute. Si tratta di
un compito arduo ed è per questo che ho invitato gli altri ministeri,
per concertare insieme le possibili soluzioni che come istituzioni e come
società civile in tutte le sue componenti pensiamo e dobbiamo dare
alla promozione della salute.
Il Ministero della Sanità con le sue articolazioni sul territorio
può essere solo lo strumento operativo di indirizzo e orientamento.
Ma è indispensabile un’azione corale di tutti gli altri Ministeri,
ciascuno nel proprio ambito di competenza e con le proprie risorse tecnico
scientifiche. Come è anche fondamentale il ruolo delle Regioni e
di enti locali radicate nel tessuto sociale del Paese.
Scarsa qualità
Ma anche la Welfare Community deve sforzarsi, con la partecipazione
di tutti i suoi protagonisti, di restituire ad una società civile,
dai comportamenti spesso incivili, una natura comunitaria, di ritrovare
la sua identità, di bloccare quei meccanismi di esclusione sociale
che rischiano di lasciar fuori intere generazioni, come i minori, i giovani,
gli anziani, dal processo di crescita della comunità.
Soffriamo di un vuoto esistenziale che altro non è se non una
scarsa qualità di vita e quindi una domanda di salute nella sua
definizione essenziale che riguarda lo star bene con se stessi e con gli
altri all’interno di una vera comunità.
Segnali premonitori
Occorre particolare sensibilità ad analizzare alcuni indici
della nostra qualità di vita. Una sensibilità da sismografo
che rileva le spie del disagio e del malessere di una società, per
altri aspetti avanzata. E’ pur vero che il 76% degli italiani (era il 72%
nel 1993) valuta il proprio stato di salute adeguatamente soddisfacente,
ma il 45% ha paura di vivere solo e vive in effetti in un isolamento sociale
perchè non si sente rappresentato da alcun soggetto politico, religioso
o sociale.
Una delle principali ragioni di questa esclusione forzata sta nell’inadeguata
educazione ed istruzione di cui soffrono il 65% degli italiani: il 35%
degli adulti denuncia un semianalfabetismo e il 30% una limitata conoscenza
di base. Una solitudine oggi aggravata dalla rivoluzione elettronica: l’85%
delle famiglie italiane non naviga in Internet; il 70% non possiede un
computer. Sono dati questi che altri con competenze più specifiche
di natura socio politica potranno valutare meglio. Ma qui vanno elencati
come elementi di una riflessione che porta anche ad un’interpretazione
di natura medico sanitaria.
La fatica di vivere
L’isolamento crea paure, spesso irrazionali: siamo scampati al Millennium
bug, costato in America 260 mila miliardi di lire (quanto la spesa sanitaria
italiana di due anni, mentre all’Italia è costato solo 30 mila miliardi)
ma crescono altre paure: il 66% degli italiani teme di subire furti in
casa propria; un altro 60% aggressioni o percosse.
Esistono elementi concreti che rendono più agra la fatica di
vivere nelle nostre città (la sporcizia, la difficoltà del
traffico) ma soprattutto manca alla nostra società una cultura della
tolleranza, del rispetto delle regole, del rispetto della salute degli
altri. Siamo il Paese europeo con il più alto tasso di mortalità
per incidenti stradali e con il più alto inquinamento acustico.
Nevrosi collettiva
Le paure irrazionali generano nevrosi, instabilità mentale,
depressione. E vi concorre talvolta anche un sensazionalismo con cui alcuni
mezzi di informazione affrontano i problemi legati alla salute. Sono numerosi
gli episodi, anche negli ultimi mesi, per i quali si sono creati inutili
allarmismi. E come reazione schizofrenica all’incertezza si spiega anche
l’aumento del gioco d’azzardo, di tutte le specie, da quello più
usuale del lotto ai videogames, con una spesa che dai 17 mila miliardi
del 1995 è balzata ai 40 mila miliardi dello scorso anno.
I più deboli
Abbiamo appena accennato ad alcuni stili di vita e modelli di comportamento
che interessano trasversalmente l’intera popolazione, ma se volessimo solo
schematicamente approfondire la qualità di vita di alcuni gruppi
sociali e di alcune fasce generazionali, ci renderemmo immediatamente conto
dell’esigenza di progettare risposte adeguate ai bisogni di salute della
popolazione.
Pensiamo solo al malessere dei bambini e degli adolescenti, oggi alla
ribalta per diversi ed opposti motivi che vanno dall’abuso sessuale, allo
sfruttamento lavorativo, alla tossicodipendenza, all’anoressia, sino al
suicidio.
Infanzia abbandonata
Il bambino è oggi una realtà per molti versi ancora da
scoprire, e ciò riguarda soprattutto i suoi bisogni psicologici
e di relazione che certamente non sono estranei allo stato di salute e
che possono ripercuotersi negativamente sulla condizione corporea. Oggi
sappiamo che il bambino è persona fin dal primo momento della sua
nascita e ciò significa che ha bisogno di stare con i suoi genitori
e non solo di essere nutrito e vaccinato.
Ma l’applicazione del lavoro flessibile o del part time, per le donne
in generale e per le madri in particolare, è ancora un’eccezione.
Di circa 6 milioni di lavoratrici solo il 20% gode del part time e, come
dimostra una recente ricerca, il bambino ogni giorno trascorre più
tempo con la baby sitter che con la madre: esattamente un’ora e mezzo in
più al giorno. Possediamo, a tutela dei minori, 8 leggi, 2 norme
comunitarie, 7 regolamenti e codici di comportamento ma, non è una
novità, la vera bambinaia è diventata la televisione con
i suoi discutibili programmi aperti ai bambini.
Disagio giovanile
Pensiamo al disagio giovanile che trae ancora le sue radici dalla crisi
adolescenziale, una fase di grande mutamento fisiologico, ma insieme di
ricerca di punti di riferimento affettivi, relazionali ed istituzionali,
alla ricerca di una propria identità e di un ruolo attivo nella
comunità. Il 10% dei giovani soffre di depressione: nel 60% dei
casi li colpisce tra i 14 ed i 18 anni; fra questi 4 su 10 scambiano il
buco come unica terapia contro la sofferenza di vivere e rischiano di diventare
tossicodipendenti.
La disoccupazione giovanile è passata dal 34% nel 1997 al 33%
di oggi: troppo poco per guardare con ottimismo al futuro del paese che
cammina sulle gambe dei nostri ragazzi. E’ inquietante il fatto che la
curva dei suicidi (3.500 nel 1997, 3.300 nel 2000) e quella di tentati
suicidi (3.500 nel ‘97, 3.400 oggi) non tenda a diminuire. La fascia più
fragile, che cerca con la droga di riempire un vuoto esistenziale, non
ha solo bisogno di guarire da questa malattia, ma di progetti di vita.
Anziani soli
pensiamo agli anziani, spesso isolati ed abbandonati, privi di sedi
di riconoscimento sociale ed ai margini della nostra vita, senza più
la speranza di poter contare, di mettere in comune la propria esperienza,
i propri valori. Di 21 milioni di tipologie di famiglie il 22% è
composto da una sola persona.
C’è persino il disagio dell’attesa per ritirare la pensione:
il 41% aspetta oltre mezz’ora.
Siamo il Paese col più alto tasso di longevità, ma questa
che rappresenta una conquista della nostra medicina, ci consegna un compito
difficile da assolvere: tra malati di Alzheimer e anziani gravemente disabili
si contano 2.400.000 soggetti. Spesso ci domandiamo, come medici, il senso
di un intervento terapeutico volto alla pura sopravvivenza fisica, senza
nulla intorno, senza famiglia, senza comunità.
Disabili
Pensiamo ai disabili, la cui esclusione sociale ha assunto talvolta
in questi anni persino la forma fisica di una estromissione dai luoghi
della convivenza sociale per motivi estetici. Sono oltre 3 milioni di cui
il 23% vive da solo; in 2.500.000 famiglie vive un disabile, il 42% ha
oltre 70 anni. Il Papa li ha definiti portatori di un’acuta speranza di
liberazione.
Immigrati
E pensiamo agli immigrati, oggi più che mai oggetto delle nostre
paure e della nostra insicurezza, ma delle cui condizioni di cattiva salute
e cattiva sanità siamo direttamente responsabili se è vero,
come dimostrano tutte le più recenti indagini, che i migranti non
importano malattie ma sono a grave rischio di malattia quando arrivano
nel nostro Paese a causa delle pessime condizioni abitative, di lavoro
e di accoglienza in cui vivono.
Ecco queste sono alcune delle domande di salute molto esplicite, ma
anche di difficile comprensione e interpretazione.
La salute è un bene di tutti
Una domanda di salute che non riguarda soltanto il mio Ministero, ma
ci riguarda tutti come Governo, come Regioni ed Enti locali, come istituzioni
e come società civile, come semplici cittadini e come persone responsabili
nelle nostre famiglie e nei nostri ruoli professionali pubblici e privati.
Una domanda complessa e per certi versi paradossale, poiché
si tratta in definitiva di chiederci, come possiamo convincere la popolazione,
i nostri cittadini a non farsi del male, a non compromettere cioè
quel benessere fisico, che, con tanta fatica e con il dispendio di tante
risorse umane e finanziarie, la nostra società sarebbe oggi in grado
di garantire a tutti.
La salute è un bene oltre che un diritto, che potremmo definire
rigido, irrinunciabile, sul quale non sono ammesse scorciatoie, non si
possono imporre tickets, o dare deleghe al solo buon senso o alle sole
forze dei cittadini. E ‘ un bene che appartiene a tutta la comunità
e che tutti, istituzioni e non, abbiamo il dovere di salvaguardare e perfezionare
costantemente.
L’osservatorio della salute
Per questo al Ministero della Sanità, come annunciato a luglio,
abbiamo iniziato a costruire in via sperimentale l’Osservatorio per la
Promozione della salute, a cui chiedo che tutti collaborino, gli altri
Ministeri, le Regioni, le associazioni di volontariato e gli altri soggetti
pubblici e privati, economisti, giornalisti, sociologi, medici, insegnanti
con i quali costruire un progetto di salute della comunità.
Un osservatorio con il compito di raccogliere da ogni parte del Paese
dati, informazioni, valutazioni, per un’esatta conoscenza dello stato di
salute della comunità e per fornire agli operatori, ai politici
come agli amministratori, alle associazioni come ai cittadini, i percorsi
e le soluzioni da intraprendere, perché si operi una rieducazione
alla salute, si rispettino le regole della salute, si adottino i comportamenti
di salute, quelli fondamentali come quelli di minima quotidianità.
Un osservatorio che aiuti a raggiungere un modello di civiltà
e di civilizzazione al servizio della comunità, ne faciliti la crescita
mantenendo costanti gli ideali della solidarietà verso i più
deboli e meno protetti.
Un osservatorio che si ponga anche degli obiettivi concreti sul piano
delle nuove sfide della salute con l’aiuto di voi tutti. Ecco quelli che
ritengo oggi più urgenti:
1.Aiutare i giovani a progettarsi la vita.
2.Contrastare il fumo con azioni educative mirate.
3.Prevenire il mobbing sul lavoro, nelle scuole e nella famiglia.
4.Diffondere una cultura della sicurezza e dell’autocontrollo per
limitare gli incidenti stradali.
5.Prevenire l’interruzione di gravidanze indesiderate.
6.Valorizzare un’alimentazione a base di frutta, verdura, legumi
e pasta.
7.Rendere protagonisti e attivi i giovani nella musica, nello sport
e nella cultura.
8.Promuovere nella comunità una cultura di attenzione e di
accompagnamento alla morte.
9.Educare alla tolleranza e al rispetto delle regole di convivenza
civile.
10.Rompere l’isolamento sociale degli anziani affidando loro compiti
di impegno attivo. |