Ecco qui qualche racconto ispirato ai miei viaggi in Africa, Europa e America e naturalmente Italia

Guatemala / Honduras (in preparazione)

Giamaica (in preparazione)

Canarie (in preparazione)

Sicilia (in preparazione)

Kenya


KENYA 2000

 Asante Sana

Nairobi

Decidemmo, Marco ed io, di fare la nostra vacanza in Kenya nel mese di settembre, essendo il periodo delle migrazioni, le praterie si popolano di migliaia di gnu ed altri splendidi animali in cerca di cibo fresco.

Arrivammo a Nairobi di sera, il volo andò tutto bene. Nonostante diversi viaggi fatti con l'aereo, ci riesce ancora un po’ difficile stare ore e ore sospesi per aria dentro una latta di ferro. Subimmo disagi causati da qualche piccolo ritardo con le coincidenze da un aereo all'altro. Ad Amsterdam, chiedemmo alla hostes se questi ritardi potevano crearci dei problemi, ci rassicurò dicendo che non c’era nessun problema, nostri bagagli erano già stati imbarcati. Pensammo: “chissà quale strumentazione moderna hanno questi della compagnia olandese, per avere un tempismo del genere”, ma al nostro arrivo a Nairobi, ci accorgemmo che non c’era nessun meccanismo moderno. Noi arrivammo in Africa ma il nostro bagaglio no, chiedemmo nuovamente e ci fu comunicato che sarebbero arrivati con il volo dell'indomani sera.

Marco ed io ci guardammo in faccia dicendoci “ Siamo in africa, sono altri ritmi” eravamo in un continente dove non esistono orari definitivi dove tutto è possibile dove i tempi e i ritmi sono diversi, e questi, sono solo alcune caratteristiche dei tesori che appartengono all’Africa.

All'uscita dell' aeroporto trovammo James, arrivando tardi a Nairobi avevamo pensato di chiedere all'agenzia africana, dove avevamo affittato la macchina, se potevano mandare qualcuno a prenderci al nostro arrivo e così fù. Riconoscemmo James perché con se aveva un pezzo di cartone con scritto il  nome di Marco. Dopo le presentazioni, James ci chiese se fossimo senza bagaglio, gli spiegammo tutto quanto e lui disse “no problem, my friends “. Dopo queste parole amichevoli, salimmo in macchina e ci dirigemmo verso l'hotel, che avevamo prenotato dall'Italia. Lungo il tragitto, James, raccontò che prima di fare il tassista guidava i "Matatu", che sono dei piccoli bus, nei safari, ma poi per qualche ragione aveva dovuto smettere rimpiangendo quel mestiere.

La strada era molto buia, in lontananza si potevano vedere solamente alcune luci, che indicavano l'avvicinarsi della città.

Mi colpì molto il buio, oscurava l'orizzonte, ai bordi delle strade si potevano riconoscere gli occhi e i denti bianchi degli africani. In questo paese non esistono le illuminazioni ai bordi delle strade e non esistono indicazioni stradali, perciò se non si sa la strada che bisogna percorrere, viene molto difficile arrivare a qualsiasi meta, ma non ci fermò nulla e solo dopo il primo giorno, girammo per le strade senza nessun problema, “acuna matata.

In Africa si guida a sinistra, pensavo di metterci un po’ nell' apprendere il cambio di guida, ma, al contrario, mi sentì a mio agio, fu come se avessi sempre guidato così.

Una volta tornati in Italia avremmo cercato, guidando, il cambio a sinistra. Guardandoci riconoscevamo in noi un velo di malinconia.

Le strisce pedonali non esistevano, in compenso le strade erano piene di "bumps", (rallentatori di velocità), “Così i ladri non riescono a scappare” ci dissero. Ai bordi delle strade c'erano sempre gruppi di persone che volevano attraversarle, ci fermammo spesso per farli passare, ma nel loro viso si accendeva una luce d'incredulità che quasi esitavano nel farlo, facevamo cenno con la mano in segno che potevano passare senza pericolo di essere investiti. Solo allora, attraversavano con enormi sorrisi.

Arrivati in albergo dopo la varia trafila di documenti, ci dirigemmo verso la camera che avevamo prenotato, in essa c'era un balcone che si affacciava sul giardino. Uscii,e sentii uno strano odore nell'aria, notai che su alcune piante, c'erano delle grosse macchie bianche, “Chissà che fiori sono!” dissi a Marco. Essendo appassionata di fiori mi promisi di guardare il giorno dopo per riconoscere di che tipo fossero.

Alla mattina fummo svegliati da un rumore assordante che proveniva da fuori, mi affacciai al balcone e con grande stupore mi accorsi che le macchie bianche viste la sera prima, non erano fiori bensì uccelli, "Ndege", in swahili, per la precisione Ibis bianchi, e quel forte rumore che udimmo erano i loro canti mattutini. Per chi ama gli uccelli il Kenya è uno dei paesi al mondo dove se ne possono trovare di molte varietà, più di 1.200 specie, mentre in Italia ce ne sono all'incirca 80 (che tristezza). Noi in soli quindici giorni, ne classificammo 76.

Ci fu consegnata l'auto nella tarda mattinata del giorno seguente, una Suzuki Sierra. Joe, che era l'intermediario tra noi e l'agenzia africana, si offrì di portare il mezzo a far riparare in quanto, ci accorgemmo che c'erano alcune cose da sistemare prima di poter cominciare il nostro safari. Acconsentimmo e Joe tornò dopo due ore senza nessuna riparazione effettuata.

Nel cruscotto c'era una spia accesa, chiedemmo a vari meccanici, tra cui anche a quello dell'albergo e tutti ci affermarono che era la spia della marmitta, ci rassicurarono dicendo “Acuna matata” nessun problema, poi c'era il portellone posteriore bloccato, e infine le gomme erano completamente lisce, probabilmente le avremmo bucate strada facendo.

Una raccomandazione, che ci demmo prima di partire per l'Africa, era quella dei pezzi meccanici di ricambio, ma ce ne dimenticammo subito dopo averlo pensato.

A Nairobi ci rifornimmo di benzina e d'olio, facemmo un po’ di spesa per il campeggio in un gran supermercato. C'era una grande confusione dentro e fuori al supermercato (come confusione si può paragonare ai nostri centri commerciali), adesso che ci penso, quando sono uscita dal market non ero in stato confusionale e nervosa, come di solito, mi capita in Italia, ma mi sentivo in colpa per tutta quella roba che avevamo da mangiare, mentre proprio fuori dal super, c'erano mendicanti di tutte le età senza cibo.

Diedi qualche soldo ad alcuni bambini, stando attenta alla grande massa di adulti che mi poteva travolgere da un momento all'altro.. Fortunatamente andò tutto bene.

C'erano molti studenti universitari per strada che chiedevano un aiuto economico per continuare gli studi, erano obbligati a farlo, perché il governo del Kenya, come quello italiano non dà nessun incentivo economico ai giovani che vogliono crescere culturalmente, ma comunque le condizioni di vita non si possono paragonare. Solamente nel Sud Africa ci sono alcune scuole dell’obbligo, altrimenti nel resto del continente non esistono, se non create da privati.

Percorrendo varie vie, trovammo l'Università di Nairobi, dove nel giardino della scuola, facemmo amicizia con Simon, che incuriosito della nostra presenza, si avvicinò chiedendoci se vivessimo in Kenya, a malincuore Marco disse di no, anche perché noi ci sentivamo già a casa. Simon, si stava laureando in medicina, all'università stavano studiando come sconfiggere la polio, il Kenya è uno dei paesi in via di sviluppo più colpiti. Ai semafori della città c'erano diversi ragazzi affetti da questa malattia sorretti, i più fortunati, dalle stampelle, che chiedevano aiuto senza dire una parola. Era ammirevole la loro consapevolezza di vita, si avvicinarono e si allontanarono sorridendo, sia gli si abbia dato un aiuto o no, loro sorridevano ugualmente con un'espressione di comprensione nei confronti del prossimo. Simon affermava che purtroppo in Africa è molto difficile poter frequentare l'università, perché è molto cara, essendo un paese in via di sviluppo, la maggior parte dei ragazzi non se lo possono permettere.

C'erano anche molti bambini che non superavano i 13 anni di età per le strade, che cercavano qualcosa da mangiare, per terra o nell'immondizia, se non trovavano nulla, si attaccavano con la bocca alla bottiglietta di colla che portavano appeso al collo e respiravano a polmoni pieni, questo li aiutava, in parte, a non sentire i morsi della fame.

Noi aiutammo un bimbo che cercava del cibo nell'immondizia. Ci fermammo e gli lasciammo la nostra borsa della spesa, era talmente debole che a stento riusciva a parlare. Non dimenticheremo mai il suo viso scavato dalla fame, era a piedi nudi e vestito di stracci. Il senso di colpa che provammo, di vergogna e di rabbia nel pensare alla nostra società, dove si fa a gara ad essere eleganti, trascurando però il fatto che la maggior parte dei vestiti che indossiamo, sono fatti dai bambini del terzo mondo, come quelli di Nairobi. E' tutta colpa nostra ! ogni giorno che passa ne sono sempre più convinta.

Un nostro politico tempo fa fece un viaggio in Kenya, dove "visitò" la bidonville di Korogocho. Scrisse un libro sulla sua esperienza personale e nel libro promise di fare qualche cosa per quella gente. A Korogocho, insieme a quei disperati, ci sono alcuni missionari italiani, e con l'unico potere che hanno ha disposizione, l'amore per il prossimo e la speranza di un mondo migliore, riescono a divulgare conforto e sostegno.

Nairobi, una grande città, costruita da persone che non sanno niente di edilizia, di assistenza sanitaria, di istruzione e di commercio, ma nonostante, ci sono tutti i confort che una città può offrire. La capitale va avanti da sé cercando di raggiungere il progresso senza sapere esattamente che cosa sia.

Nairobi è la capitale del Kenya, nata in mezzo alla savana. Alzando lo sguardo verso l'alto e si possono vedere decine di nibbi che sorvolano la città, i nibbi qui sono i padroni del cielo. Questo rapace vola anche a bassissima quota, per meglio prendere il cibo che sta a terra nei centri abitati. Guardando in lontananza, si vedevano le immense pianure, abitate da animali selvaggi, un contrasto irreale, grattacieli e savane.

La giornata passò velocemente e in pochi minuti il sole calò e lasciò il suo posto alla luna. Decidemmo di andare a recuperare i nostri bagagli che dovevano essere arrivati all'aeroporto.

Dopo circa mezz'ora di attesa, felici, vedemmo scorrere i nostri bagagli sul nastro, caricammo tutto sulla nostra vettura e ritornammo in albergo, l'indomani mattina cominciava l'avventura nell'Africa vera.

Riuscimmo a partire nel primo pomeriggio per dirigerci verso la terra tanto desiderata, la terra Masai.

NAROK

Per raggiungere Narok sbagliammo strada, non c’erano segnaletiche che indicavano la direzione giusta, questo fece si che davanti ai nostri occhi apparse il Lago Naivasha il paesaggio intorno era rigoglioso di vegetazione.

In alcuni periodi dell'anno il lago viene popolato da migliaia di fenicotteri rosa e da moltissimi altri uccelli. Il cielo si rifletteva nello splendido lago, creando immagini immortali e indescrivibili.

Tornammo e prima di arrivare nella cittadina sostammo in un posto chiamato Bar Milano, tappa di turisti in cerca di un oggetto da custodire come ricordo africano. Noi ci fermammo perché io dovevo andare in "bagno", l'impatto di questo locale mi ricordò un "bagno" alla frontiera dell'Honduras, mi ricordo che era allucinante, però nonostante la difficoltà nel tenere il respiro, mi sentivo fortunata per averlo trovato.

Da quel posto era possibile ammirare la vastità della Rift Valley, in tutta la sua bellezza.

Narok era l'ultimo paese con la strada asfaltata ed era abbastanza buona. Ci fermammo per far benzina in un piccolo distributore all'uscita del paese e in pochi minuti fummo avvolti da numerosi bambini di età non superiore ai 12 anni. Allungavano le loro mani verso di noi, fortunatamente, con noi avevamo portato alcuni cappellini che gli regalammo con il cuore in mano. Nel viso di quei bambini non c'era nessun sorriso, si vedevano i segni della sofferenza e della denutrizione. Avremmo voluto tanto far catapultare i potenti del mondo in quel posto dimenticato, per far si che si rendessero conto di quanto siamo piccoli di fronte ad una così grande miseria.

Lasciammo i bambini con un forte amaro in bocca, con tristezza ma anche con la speranza che un giorno tutto questo possa cambiare.

Da Narok, impiegammo tre ore per raggiungere il Masai Mara, la strada passava attraverso alte e basse colline della splendida Rift Valley, percorrendo così diversi sali scendi di colline incastonate fra di loro.

In salita la nostra automobile faceva molta fatica, mentre le discese Marco le prendeva a tutta velocità “Così prendiamo un po’ di rincorsa per la prossima salita “ mi diceva.

Temetti un po' per le gomme, ne poteva scoppiare una da un momento all'altro, ma Marco mi tranquillizzò, affermando che non c'era pericolo, non so come facesse ad avere quella certezza ma mi fidavo ciecamente di lui.

Facemmo cambio con la guida in modo che il mio amore si potesse riposare un po'. Ad un certo punto l'asfalto finì e si entrò in una disastrosa e lunga strada sterrata, rossa, così è il colore naturale e quello fu il colore che prendemmo anche noi. La strada era allucinante, eravamo in balia degli scossoni, sembrava d'aver in mano uno dei trapani che si usano in Europa per bucare le strade, dovemmo mettere alla prova la nostra spina dorsale. Oltre alle buche c'erano anche pietre taglienti che uscivano da ogni angolo. La terra entrava ovunque, arrivò all'interno delle nostre borse, anche se esse erano state ben chiuse, la sabbia si infilò negli ingranaggi della macchina fotografica senza però causare nessun danno, arrivò fino in fondo alla nostra gola permettendoci di sentirne quasi il sapore.

Rosso ruggine, tutto quanto era splendido, il paesaggio naturale e selvaggio si aprì intorno a noi. I miei occhi per la prima volta videro distese di savana, popolate da animali liberi dove regna la pura Africa e per la prima volta, riuscì a sentire il vero odore dell'Africa e ne rimasi innamorata.

Scendemmo dalla macchina per assaporare meglio quel momento meraviglioso e le mie orecchie furono assalite da un silenzio irreale quasi rumoroso. Ascoltai il mio respiro senza dovermi concentrare mentalmente, come di solito uso fare, in una meditazione yoga.

Tutto tace e tutto si muove. Sembra una terra dimenticata da Dio, ma Dio, è proprio qui.

Lungo la strada che raggiungeva il campo, vedemmo gazzelle di Grant, gazzelle di Thomson, zebre, babbuini, aquile, nibbi, buceri e non mancarono le carcasse di bufali e impala. Marco sostenne che avevamo avuto molta fortuna a vedere i buceri, perché sono uccelli rari, infatti, ci sentimmo molto fortunati.

Non so come spiegare ma quando io e Marco siamo insieme, succedono cose meravigliose e strane, sembra che la natura ci riconosca, presentandosi a noi come se facessimo parte di essa da sempre, ed essa parte di noi.

Strada facendo trovammo il fiume Talèk dove alcune donne e bambine masai, avevano appena finito di fare il loro bucato e ad asciugare sulle rocce c'erano i loro abiti coloratissimi, “kanga” in swhaili

Appena ci videro urlarono “Jambo!”in swahili “Sopa!”in Masai questo era il loro saluto di benvenuto, sul loro viso regnava il sorriso più bello che io abbia mai visto, avevano un'espressione di felicità pura, ma non provai invidia perché anch'io lo ero.

Dopo un lungo tragitto, passato in mezzo a mandrie di mucche e capre, accompagnate dai loro rispettivi padroni, cioè i guerrieri Masai, arrivammo alle porte del parco.

Prima di arrivare al parco vedemmo diversi villaggi masai, "manyatte" in swahili, erano case fatte di sterco di mucca e fango mischiati insieme, alte poco più di un metro e mezzo, prima di poterci entrare bisognava aspettare almeno una settimana perché il materiale usato doveva essere ben asciutto. Il villaggio era tutto recintato da rovi spinosi, impedendo così l'intrusione di animali feroci.

Arrivammo al parco e lì, alle porte, si avvicinarono diverse donne Masai per venderci i loro manufatti, oggetti ornamentali per il corpo, veramente carini. Non comprammo nulla perché avevamo ancora poca luce a disposizione e dovevamo trovare ancora il campo dove posizionare la tenda per passare la notte.

Era tardi ma decidemmo in ogni caso di fare un giro prima di andare alla ricerca del campo, la nostra eccitazione era troppo forte per poterla ignorare.

Il primo nostro incontro fu con i leoni! Un bellissimo maschio con una bionda criniera e due femmine, che dormivano avvolti da una tranquillità quasi contagiosa, la nostra presenza non gli causò disagi.

Dio mio, adesso so perché è il Re della foresta è così possente, grosso, forte e massiccio, non mi trasmise paura, anzi mi assalì un senso di eccitazione.

Proseguimmo e su un'acacia vedemmo un magnifico leopardo, fu incredibile veramente incredibile! Marco quasi non volle credere ai suoi occhi e nemmeno io.

Tutto intorno a noi si muoveva, quella terra è viva e ricca di vita, in ogni cespuglio si potevano nascondere i meravigliosi animali della savana che con il loro manto si mimetizzavano benissimo con il colore dell'erba.

C'erano centinaia di gnu, zebre, damalischi, impala, antilopi, facoceri solitari o con le loro rispettive famiglie e alla fine del nostro giro, come per darci il ben venuto, incontrammo un branco di elefanti. Non riuscirò mai a descrivere in parole le sensazioni che provai nell'essere di fronte questi enormi animali.

La sensazione della paura l'avevo riconosciuta, erano a un metro da noi, c'erano pachidermi adulti ma anche piccini, incrociai lo sguardo della matriarca che allargò le orecchie, mi sembrò che chiedesse cosa facevamo lì e cosa volevamo da loro!

Scattammo alcune fotografie, io però stavo con il fiato sospeso, addirittura dalla paura chiesi a Marco di inserire la prima marcia per essere pronti a fuggire da un eventuale attacco, che comunque, è più facile vedere la neve rossa prima che questo evento accada….

Bisogna commettere delle imprudenze, per far si che succeda qualche cosa di preoccupante, ma non era il nostro caso.

Lo sapevo benissimo che gli animali portavano con se la pace, ma la loro grandezza mi fece sentire talmente piccola che mi assalì un senso di insicurezza.

Gli animali vivono tutti in armonia, a differenza degli uomini che sono sempre in guerra, probabilmente il paradiso è così, un luogo dove regna l'armonia.

Il buio calò e vedemmo che ormai era troppo tardi per andare al campo, in alcune zone dell'Africa fa buio in pochi minuti, allora decidemmo di fermarci in un campo attrezzato che trovammo lungo la nostra strada, è posto sul fiume Talèk e si chiama Fig Tree Camp, (albero del fico), infatti, al centro del campo c'era un enorme ficus e sulla cima era stata costruita una specie di palafitta dove si potevano avvistare gli animali in lontananza.

Alla mattina ci alzavamo di buon'ora per visitare meglio il parco, girammo senza segnare il percorso, anche se di solito questo lo si fa per evitare di perdersi, ma noi, temerari, ci orientammo con il fiume, il sole e la luna.

Guadammo il fiume, fino a quando arrivammo a un guado particolare, molto stretto. L'altra parte della sponda era molto ripida, allora, decidemmo di non attraversarlo e tornammo.

Senza sapere esattamente dove fossimo, (la cosa non ci preoccupò), vedemmo da lontano una tenda vicino al fiume. Incuriositi ci avvicinammo, un po’ timorosi, avendo paura di essere in zona militare dove è severamente vietato andare.

Ma non fu così, ci venne incontro con aria incredula, un ragazzo che all'incirca aveva la nostra età, lo salutammo amichevolmente dicendo “Jambo abari?” e lui rispose “Mzuri sana, Karibu

Gli chiedemmo come mai c'era una sola tenda in quel luogo lontano da tutto e lui sostenne che era un centro di ricerca sugli animali, in particolare sulle iene "Fisi". Strada facendo ci capitò di vederne una con un collare, lo dicemmo a Paul e, infatti, ci informò che quella iena era sotto controllo, “è seguita dagli studiosi” disse. “Il collare, è una specie di ricetrasmittente” proseguì.

Paul sostenne che con un po' di fortuna si potevano vedere i coccodrilli "Mamba", abitanti del fiume.

Ci inoltrammo tutti e tre a piedi vicino alla riva del fiume, Paul ad un certo punto disse “da adesso bisogna stare in silenzio, così abbiamo più possibilità di vederli”.

Con grande stupore anche per Paul, vedemmo un coccodrillo, gli prestai il mio binocolo e guardando attraverso di esso poté riconoscere meglio l'animale e disse “E' un coccodrillo adulto”. Eravamo tutti  eccitati da questo avvenimento Paul ci invitò a bere qualche cosa con lui, ma molto dispiaciuti decidemmo di non trattenerci perché non sapevamo dove fossimo esattamente e la strada per tornare al campo poteva essere molto lunga.

Prima di andarcene gli regalammo un cappellino, per ripararsi dal sole feroce che regna in questa zona d'Africa, ci ringraziò infinitamente e anche noi lo ringraziammo per lo splendido momento che ci regalò. Paul ci raccomandò di non attraversare il fiume, perché era troppo pericoloso, non ci sentimmo di annunciargli che era troppo tardi. Fu molto incuriosito di sapere come avevamo fatto ad arrivare fino a lì, Marco ed io, ridemmo e gli spiegammo che non ne avevamo ben ché la minima idea, avevamo solamente seguito il nostro istinto.

A notte inoltrata, quando la luna si bacia con le stelle, ci fu un grande scompiglio per il campo. Si sentivano le voci dei lavoranti che davano indicazioni sul da farsi ad altri, alcuni correvano da una parte altri da un'altra, sentimmo il verso di una iena, era molto vicina e con lei, c'era una famiglia numerosa di babbuini intenzionati a far baldoria nel nostro campo.

I ragazzi dopo vari tentativi riuscirono a mandare via gli animali e a noi rimase il dispiacere di non aver potuto partecipare direttamente a quella che per noi era una nuova avventura.

Il giorno seguente decidemmo di andare a cercare l'Hippo Pool per vedere gli ippopotami.

Dopo varie indicazioni errate dalla gente del posto, raggiungemmo gli ippopotami, lì trovammo in ammollo in uno scorcio del fiume, saranno stati all'incirca una ventina, quasi non si vedevano perché si mimetizzavano benissimo con i massi del fiume.

Restammo lì a guardarli per qualche ora ad aspettare un loro movimento, vicino a loro c'era anche un coccodrillo che stava aspettando pacificamente la sua preda, una cicogna. Fortunatamente la cicogna fu spaventata da un mio colpo di clacson, che provocai involontariamente durante una manovra con la macchina.

Si era fatto buio e guidammo senza mai fermarci, stando attenti a non investire nessun animale, girare di notte nella savana è molto pericoloso, si diventa una facilissima preda. Era talmente forte l'emozione che ci sembrò di essere in un film d'avventura.

Arrivammo al campo fortunatamente senza mai sbagliare strada, altrimenti, le guardie del campo sarebbero dovute venire a cercarci rimproverandoci per la nostra imprudenza.

La stessa sera vennero al campo alcuni guerrieri Masai, a danzare e cantare per gli ospiti del campo.

Erano otto ragazzi, alcuni di loro avevano i capelli rossi, questo colore serviva per farsi distinguere dagli altri del gruppo, significava l'avvenuta uccisione di uno o più leoni, diventando così veri guerrieri Masai. I loro canti erano rivolti alla loro grande esperienza di cacciatori, questi guerrieri sono pieni di coraggio e i loro canti profondi mi fecero commuovere senza capire il significato di quello che dicevano.

Il giorno seguente ci svegliammo all'alba per andare a cercare il ghepardo. La nostra ricerca fu premiata perché riuscimmo a vederne due, erano in cima ad una collina che si leccavano a vicenda assicurandosi l'igiene giornaliera per entrambi. Non so quante foto Marco scattò, ma ne valse veramente la pena.

Poco più avanti vedemmo una iena che si riparava dal sole sotto un cespuglio spinoso e li vicino uno sciacallo che restò immobile appena si accorse di noi. Dopo gli splendidi spettacoli che durarono qualche ora, decidemmo di tornare al campo per mettere qualche cosa sotto ai denti, cantavamo felici entrambi le canzoni Masai imparate la sera prima. Improvvisamente sulla strada, uno splendido ghepardo riposava proprio nel mezzo del nostro percorso, bloccandoci la strada. Felicissimi di questo avvenimento, e spento il motore, restammo lì ad aspettare le intenzioni dello splendido felino.

Fiutò il nostro odore nell'aria, e secondo Marco, l'animale pensò che eravamo animali troppo puzzolenti per stuzzicargli l'appetito.

Dopo circa dieci minuti, l'animale vide avvicinarsi una iena e la guardò intensamente. Ci fu uno scambio di sfida nei loro occhi e io e Marco ne eravamo in mezzo. Non successe nulla, la iena continuò per la sua strada e il ghepardo si rimise nella stessa posizione di prima e rimase nella terra rossa quasi annoiato, fino a quando decise di lasciare la sua siesta e si spostò lateralmente dalla strada, però prima di allontanarsi segnò la terra con l'urina. Sia io che Marco tremavamo dall'emozione, ci sentimmo felici e ancor di più nel pensare che facevamo parte del territorio di quel ghepardo.

Arrivati al campo informammo Manuel, che era un carissimo ragazzo che lavorava al Fig Tree, del nostro incontro con il ghepardo. Lui ci affermò che eravamo stati molto fortunati, perché ci spiegò, che molti viaggiatori perdevano i giorni interi nel cercare questo animale senza avere mai avuto l'occasione di vederlo.

Noi addirittura quel giorno ne vedemmo tre.   

Con il colore rossastro dell’alba, prima di incontrare i ghepardi, ci attraversarono la strada tre maestosi elefanti con il loro leggerissimo passo: Li trovammo al nostro fianco, immobili attendemmo con ammirazione il loro passaggio.

Il Fig Tree era molto bello ma anche troppo costoso per le nostre finanze, perciò decidemmo di partire il giorno dopo per un altro meraviglioso luogo da vedere.

La sfortuna, o fortuna, volle, per varie circostanze, che ci fermammo in quel posto per altri due giorni.

Praticamente in quei due giorni, ci successero diverse cose, tra cui anche quelle che non vorresti mai che capitassero specialmente in un posto dove ci vuole un aereo per qualsiasi emergenza.

Si ruppe la macchina e per poterla riparare sarebbe dovuto venire un aereo da Nairobi con il pezzo di ricambio. Cosa non impossibile in quanto in Africa tutto è possibile.

Nella nostra disavventura nel personale del campo, fortunatamente c'era un bravissimo meccanico che con grande pazienza lavorò tutto il giorno, e poi fino a notte inoltrata per ripararci il mezzo.

Poi dovetti subire un intervento medico! Ma che comunque non era nulla di grave.

Mentre aspettavamo il pezzo di ricambio nelle ore di attesa, riuscimmo a fare un safari a piedi riconoscendo molte specie di uccelli, tra cui gruccioni, martin pescatore, picchio testa rossa, bul bul, mouesbird, e molti altri, vedemmo anche un coccodrillo e un ippopotamo a pochi metri dalla nostra tenda, fu molto emozionante, non avevamo mai visto questi animali cosi da vicino, veramente splendido.

Tornati in tenda ci vennero a chiamare per andare alla piccolissima pista di atterraggio che si trovava a qualche chilometro di distanza dal nostro campo.

Andammo con un mezzo militare di proprietà di un indiano, che era anche il proprietario dello stesso campo dove noi alloggiavamo.

Fu molto bello perché ammirammo della vegetazione diversa da quella che avevamo visto fino ad allora, era più fitta con molti alberelli spinosi. avvistammo tre manguste lungo il tragitto, indicammo, all'autista e al meccanico, che ci avevano accompagnato, (pagando la cifra di 50$), di guardare nella direzione indicata. Furono molto felici di vedere questi piccoli animali, ma non solo, furono felici di vedere tutti gli animali che incontrammo sulla strada, come se fosse per loro la prima volta che vedevano questi animali, come del resto lo era per me.

Avuto il pezzo di ricambio il mitico meccanico si mise subito all'opera per finire a notte inoltrata.

Per quanto riguardava invece il mio problema fisico, il giorno dopo decisi di chiamare il medico per farmi vedere il piccolo ascesso che mi doleva, irritato nella coscia.

Avevo paura che il dottore mi dicesse “Bisogna siringare per fare uscire il siero” infatti, disse proprio così.

La situazione non era molto leggera, perché avevo e ho sempre avuto riluttanza per gli aghi e poi mi avrebbe fatto tutto quanto in una capanna, però fortunatamente, all'interno del campo.

In questi luoghi, l'igiene non è di casa ma purtroppo non si poteva fare altrimenti.

Nella nostra borsa del pronto soccorso, (che prima di partire ci avevamo augurati di non dovere mai usare), c'erano delle siringhe sterili, a mio malaugurio il dottore mi annunciò che non andavano bene, l'ago era troppo piccolo.

Nell'ambulatorio mi sdraia sul lettino e il medico cominciò, strinsi i denti il più possibile. Gli anestetici non sono mai arrivati in questa zona remota dell'Africa, le urla invasero la mia bocca, non avevo mai sentito la mia voce così alta.

In tutto questo, la cosa più divertente, fu la corrente elettrica, infatti, per tutto il tempo della medicazione non smise mai di mancare, anche il dottore ci affermò che ero stata una paziente fortunata.

La febbre era calata subito dopo la medicazione fortunatamente cominciavano i miglioramenti permettendomi così di lasciare l'ambulatorio con i miei piedi, ma sorretta da Marco.

Guarii benissimo, mi ricordo il dottore che durante il piccolo intervento si scusava per il dolore procuratomi, era molto umile e professionale, nonostante l'ambiente in cui dovesse opere. Marco mi rimase vicino per tutto il tempo, allungò la sua mano io la presi e la strinsi con forza, non capisco ancora oggi come non abbia avuto dolori nei giorni a venire, forse perché fortunatamente fu questione di qualche minuto, ma che comunque per me erano interminabili.

Tornammo in tenda e Marco mi confidò che le mie urla lo confusero, non seppe più se fidarsi del dottore e lasciarlo fare, oppure se fermarlo, sono felice che abbia scelto per la prima opzione.

L'appetito non mi mancò e alla sera mangiai come un leone.

Sempre quella sera all’entrata del campo si avvicinò una giraffa , Marco appena la vide corse da me per condividere insieme questo miraggio meraviglioso. Pensai che forse era stata incuriosita dalle mie urla, ma probabilmente non era così.

Visto i miglioramenti della mia salute e della avvenuta sistemazione della macchina, decidemmo di partire il giorno dopo per il Nakuru National Park.

Prima di lasciare il campo regalammo a Manuel il nostro dizionario di italiano-inglese-kiswahili, promettendoci che lo avrebbe imparato in poco tempo, gli credevamo ciecamente perché sappiamo che gli africani apprendono subito le lingue straniere.

Kennedy, che era il Direttore del campo, ci propose di aprire un’attività con lui e il Dottore del campo, perché ad entrambi eravamo piaciuti molto. Kennedy è un capo Masai e questo è un buon punto di inizio.

Mi sentivo bene anche se ero preoccupata per il trambusto che la disastrosa strada mi avrebbe procurato.

Lungo la strada incontrammo dei bimbi sdraiati nella terra rossa, esitavano sempre prima di avvicinarsi. Solo quando sentivano che eravamo noi i più emozionati, si avvicinavano senza problemi, gli regalammo delle magliette per bambini, increduli corsero verso le loro case mostrando con felicità i loro nuovi abiti. In lontananza vedemmo diverse persone correre verso di noi incuriositi e felici di conoscere questi bianchi che si fermarono per parlare con loro.

Il viaggio continuò attraversando per lunghissimi chilometri la bellissima Rift Valley circondata da valli, pianure, montagne, laghi e vulcani inattivi.

Il paesaggio era splendido, c'era il vento che alzava la soffice terra, formando dei piccoli e grandi vortici. Il cielo e la terra si abbracciavano nell'orizzonte formarono un'unica meraviglia naturale.

Attraversammo il cratere del M. Longonot che con i suoi 2770m di altitudine precipitava nell’incantevole Rift Valley.

Prima di arrivare a Nakuru, vedemmo Il Lago Elmenteita, chiamato il lago della soda, era più piccolo del lago Naivasha, era la casa dei fenicotteri rosa e ippopotami, circondato da verdi colline e da rocce vulcaniche.

NAKURU

Una città con una fauna rigogliosa, c'erano alcune coltivazioni di frutta, verdura e alcuni vigneti, come anche a Naivasha, permettendo agli abitanti di avere una piccola sicurezza alimentare in più, rispetto ad altre zone aride come quella del Masai Mara dove la popolazione viveva solo di pastorizia e di prodotti propri ornamentali.

Stremati giungemmo a Nakuru dopo un totale di cinque ore di viaggio, ci fermammo in un hotel proprio di fronte al parco, pensando che lì ci fosse l'entrata.

Andammo diretti alla reception per verificare se c'era una camera per la notte. Il direttore dell'hotel rimase sorpreso dal libro che c'era sul sedile della macchina, era una cartina illustrata del Kenya. Chiese se poteva vederlo, ovviamente noi acconsentimmo, i suoi occhi si illuminarono di incredulità, pensammo che probabilmente non ne aveva mai visto uno simile prima.

Mentre stavamo compilando la solita documentazione per avere la camera, alcuni uomini si avvicinarono e chiesero se la macchina che stava fumando fosse nostra, guardammo nel cortile e potemmo costatare che l'auto fumante era proprio la nostra. 

Tutti i presenti si trasformarono in esperti di meccanica, ciascuno di loro aveva la propria idea sulla motivazione del guasto.

Viste le decine di pareri, decidemmo di non fidarci e chiamammo l'agenzia di autonoleggio, ci rassicurarono dicendo che il giorno dopo avrebbero portato un altro mezzo in sostituzione a quello, fortunatamente fu così.

L'hotel era abbastanza lontano dal centro abitato e decidemmo di prenderci un giorno di riposo, quel giorno piovve tutto il tempo, permettendoci così di non rimpiangere la giornata persa.

La notte non la trascorremmo molto bene, perché c'erano un mucchio di zanzare pronte a succhiarci il sangue, la profilassi anti-malarica non l'avevamo fatta.

Al mattino fuori dalla porta della nostra camera c'era il sole ad aspettarci e una volta avuta l'auto ci dirigemmo a quella che noi pensavamo l'entrata del parco, invece il ranger ci annunciò che bisognava andare in centro città e cercare le indicazioni per il parco.

Anche qui le indicazioni sono utopie, perciò seguimmo il nostro istinto e dopo numerosi incroci e deviazioni, trovammo la strada giusta.

Entrammo nel parco e rimasi a bocca aperta dallo stupore. La fauna intorno a noi era qualche cosa di meraviglioso e quando vidi i fenicotteri rosa la felicità mi travolse. Non avevo mai visto migliaia di fenicotteri tutti insieme. Questi uccelli sono ghiotti di soda, infatti, il loro colore rosa deriva dalle alghe rossastre che vivono nell'acqua salmastra. Il lago Nakuru è uno dei posti più belli che io abbia mai visto, offre una fauna spumeggiante. Per chi ama gli uccelli questo è uno dei posti al mondo dove si possono trovare centinaia di specie tutte insieme, infatti, sia io che Marco impazzivamo perché non facevamo tempo a riconoscerne uno che subito ne arrivavano decine di altre specie!

Ci sono delle vere foreste di Euforbia alte qualche metro e di Acacie "luminose". Sembra che, di queste ultime, all'interno del loro tronco ci sia il sole, creando un effetto luminoso per tutto quello che li circonda.

Nelle vicinanze del lago riuscimmo a vedere bufali, rinoceronti, antilopi d'acqua (Kudu), cicogne, oche egiziane, pivieri, marabù, decine di storni comuni di colore blu elettrico… incredibile! Mentre nel bush incontrammo giraffe di Rothschild, dik dik nascosti dietro un grande cespuglio,  facoceri, rollel, e un’aquila crestata. A Marco, gli tremava la voce dall'emozione, anche se aveva una certa esperienza dell'Africa, mi confidò che non aveva mai visto una concentrazione di così tanti animali, in tutti i suoi viaggi messi insieme.

Cominciò a cadere una piccola pioggia e uscimmo dal bush per non rischiare di rimanere bloccati nel fango che si stava formando.

Costeggiando la riva del lago, ad un tratto lo spettacolo cambiò radicalmente e tutto prese un colore irreale, e anche noi, il cielo si oscurò e l'acqua non era più blu, ma prese una tinta che ancora non esiste, si alzò una bufera che ci prese in pieno. Inutile fu il tentativo di riparasi la bocca con qualche straccio trovato per la macchina, per poter respirare, la polvere era talmente fina che era impossibile evitarla. Però visto l'incanto che quel posto ci trasmise, non cedemmo al disagio anche perché lo spettacolo era troppo bello e unico. La pioggia cominciò ad avere una certa insistenza nel cadere, trasformando le buche in voragini piene d'acqua così decidemmo di uscire dal parco e tornare all'hotel. Il territorio del parco era di 200km, impiegammo cinque o sei ore per girarlo tutto.

Definimmo di partire, il giorno dopo per andare a vedere il secondo lago più grande del mondo, il Lago Vittoria. 

Kisumu e il Lago Vittoria

Le strade del Kenya sono per la maggior parte devastate, sia per noi esseri umani, sia per i mezzi che vengono usati per transitarle.

Ho visto dei mezzi allucinanti, completamente distrutti, non so come ma ancora funzionanti.

In Italia penso che non si abbia il permesso di guidarle neanche per portarle alla rottamazione.

Marco mi diceva di notare nelle strade che percorrevamo perché da esse e dalla loro manutenzione, che, consisteva nel coprire i buchi con del materiale tipo catrame, si poteva notare il tipo di partito che c'era in quella zona. Se era periodo di votazioni le strade venivano “sistemate” altrimenti venivano lasciate al deperimento totale.

Passammo in mezzo a immense pianure aride, la temperatura cambiava man mano che ci si avvicinava al lago.

Faceva molto caldo, ma la cosa splendida era che non si sudava affatto. Le persone (quelle che se lo potevano permettere) si coprivano il capo per ripararsi dal cocente sole, alcuni bambini si tuffavano nelle pozze d'acqua scura giocando felicemente fra loro.

Quando finalmente vedemmo il lago in lontananza, il mio cuore cominciò a palpitare più forte lo spettacolo fu veramente immemorabile, era talmente grande che ci sembrò di vedere il mare. Per Marco era un momento molto importante, fin da piccolo sognava di vedere il lago Vittoria, ed era lì finalmente, davanti ai suoi meravigliosi occhi. Anch’io ero molto felice perché Marco stava realizzando un suo sogno ed io ero con lui.

Si faceva fatica a vedere nell'orizzonte la linea dell'acqua, perché essa si baciava con il cielo e anche qui, insieme formarono un unico spettacolo naturale.

Ci vollero quattro ore per percorrere 200km, raggiungendo cosi la terza città più grande del Kenya, Kisumu.

La popolazione viveva soprattutto di pesca, frutta e verdura, essendo una zona umida la vegetazione poteva crescere senza fatica. C'era un via vai incredibile per le strade, di persone a piedi, cariche di mercanzie deposte sulle loro schiene piegate dalla fatica, uomini trasformati in muli, bambini trasformati in uomini, chi scalzo e chi ai piedi portava sandali di gomma di pneumatici, con i loro sacchi, ceste, e altri prodotti si dirigevano nella direzione del mercato, dove c'era la possibilità di guadagnare qualche soldo.

Trovammo alloggio al View Lake Hotel che si trovava nelle vicinanze del lago.

Il posto molto carino, anche se ci avevano affidato una camera proprio sopra alla cucina, odorando anche noi di pesce affumicato per tutto il tempo passato all'Hotel.

Il problema di Kisumu per noi era l'impossibilità di raggiungere il lago a piedi.

Dopo vari tentativi, decidemmo di prendere l'auto e di dirigerci verso le montagne per vedere dall'alto lo spettacolo. Finalmente riuscimmo a vederlo con il sole che piano andava a morire dentro di esso. Il panorama fu splendido ma noi, volevamo arrivare vicino alla riva per toccare l'acqua con le nostre mani!

La nostra tenacia fu premiata, riuscimmo ad arrivare in una zona dove c'erano diverse capanne, alcune fatte di plastica nera. Lasciammo la macchina e arrivammo fino alla riva a piedi e lì, vedemmo alcuni autisti di matatu entrare nel lago con il loro mezzo per poterlo lavare.

Non ci trattenemmo molto, giusto il tempo di toccare l'acqua e prendere qualche boccata dell'aria umida del lago Vittoria, anche perché cominciavamo ad attirare su di noi l'attenzione di tutti i presenti, essendo gli unici bianchi in quel posto.

All'alba fummo svegliati dal canto del Muezzin, per un attimo mi parse di essere in un paese arabo, realizzai subito dopo che a Kisumu prevale la religione mussulmana.

Lo stesso giorno decidemmo di partire, ma prima di lasciare questo paese, andammo a visitare l'orfanotrofio di animali che si trovava alle sponde del lago, si chiama Hippo Point.

Fummo accompagnati da una gentile ranger, che ci illustrò le varie specie di animali tenuti in gabbia per essere curati per poi liberati.

In una gabbia c'era uno splendido esemplare di leopardo di circa un anno, in un'altra c'era una iena e in alcuni recinti alti poco più di un metro c'erano diverse tartarughe. Il nostro giro continuò fino a quando arrivammo alla riva del lago e da qui la visuale, dell'immensità di tale luogo, era decisamente più ampia, cogliemmo subito l'occasione di scattare qualche foto.

La nostra accompagnatrice ci fece notare che sopra ad una pianta c'era un'aquila pescatrice, diversi cormorani dal collo bianco e alcuni nibbi.

Tornando vedemmo l'albero del pane, con i suoi strani frutti a forma di baghette. Lasciammo un regalo al piccolo nipote dalla gentile raager e ci avviammo all'uscita del parco.

Kericho e le piantagioni di Tea

Al nostro ritorno da Kisumu, decidemmo di fermarci a Kericho per la notte, questa zona si trova a 300Km da Nairobi la sua altitudine è di 2700m, l’aria è frizzante, all’ombra fa addirittura fresco. Kericho è famosa per le sue piantagioni di tea, infatti, ne è quasi completamente ricoperta. Un secolo fa, gli inglesi si appropriarono di questa fertile terra, per costruirsi i loro imperi coloniali.

Decidemmo di fermarci proprio al Tea Hotel, che si trovava nel bel mezzo di una piantagione.

Nell’albergo abbiamo conosciuto Joice e Pitta, che sono due buonissime persone, Joice lavora alla reception, mentre Pitta fa da guida per gli appassionati al Birdwatching. Coincidenza?

Joice appena ci vide arrivare all’albergo, pensò che fossimo originari della Tanzania, infatti, ci parlò direttamente in Swahili. Capendo quasi tutto l’informammo che eravamo italiani, ne rimase molto sorpresa, affermò che sembravamo proprio africani!

Arrivammo nelle prime ore del pomeriggio, dopo esserci sistemati nella nostra casettina, perché a Joice piacemmo molto addirittura ci assegnò al posto della solita camera, il cottage che stava in mezzo allo splendido giardino, era rigoglioso di vegetazione quasi preistorica, c’erano alcune piante, (in questo momento non ricordo il nome, ma ho preso alcuni semi) che padroneggiavano, erano piene di Licheni e di uccelli.

Anche in questo giardino classificammo altri uccelli che non avevamo ancora visto.

Nel nostro “safari” che in lingua swahili significa “viaggio”, con tutte le persone che hanno avuto contatti con noi, ci scambiarono per la gente del posto. Noi effettivamente non facevamo nulla per far credere che eravamo dell’Africa, (anche perché sinceramente non sappiamo cosa bisogna fare per essere scambiati per quello che non siamo), ci dissero che il nostro modo di fare e di essere era uguale agli africani.

Forse questo è uno dei più belli complimento che abbia ricevuto, non tanto quello di essere presa per un’africana, ma il fatto che in qualsiasi posto del mondo io vada non vengo scambiata per una turista.

In questo paese c’è una grossa produzione di questa bevanda. La pianta del tea è all’incirca un metro e mezzo d’altezza e sono raccolte solo le piccole cime verdi, poi vengono essiccate e pressate, infine il ricavato, è venduto ai paesi ricchi del Mondo.

Pitta affermò che, loro, gli africani, non potevano bere il tea di prima qualità da loro prodotto, perché era troppo caro per le loro finanze, allora si accontentavano della terza qualità (che sarebbe quella che viene scartata) questo è assurdo, incredibile e soprattutto ingiusto. L’ho dissi anche a Pitta e lui rispose che avevo ragione ma non si poteva fare niente in proposito, solamente sperare che un giorno questi inglesi smettessero la distruzione della fauna meravigliosa di questo luogo.

La lavorazione del tea è molto faticosa, bisogna stare ore sotto il sole cuocente africano, gli operai con indosso saie pesanti di plastica con colori molto sgargianti.  Questa “divisa” viene donata l’azienda produttrice. Sono state costruite delle piccole case nelle vicine di questi campi, permettendo agli operai di essere al lavoro senza problemi di distanza.

Pitta ci raccontò che prima di queste coltivazioni, la zona era completamente piena di vegetazione selvaggia, mantenendo un ecosistema naturale, purtroppo oggi sono rimaste pochissime foreste d’Abete, chi ha un buon olfatto può ancora percepire il profumo della resina che c’è nell’aria.

Pitta era preoccupato, si accorse di quanto sia stata sfruttata la sua terra e purtroppo questo continua ad avvenire tuttora. “Non bastano tutti questi campi coltivati, ne vogliono altri” disse “alla gente non gli interessa niente della natura, degli uccelli, delle piante e dei fiumi, vedono solamente la ricchezza e il guadagno” aggiunse.

Sono rimasti solamente alcuni scorci di natura ancora selvaggia, dove è possibile dedicarsi al Birdwatching.

Chissà come ma, sia Pitta e Joice sapevano già che Marco ed io eravamo appassionati d’uccelli, infatti, Pitta ci chiese se volessimo partecipare ad una gita vicino al fiume per cercare qualche esemplare ancora sconosciuto, ovviamente accettammo senza esitazioni.

Venne anche Joice, eravamo io Marco, Pitta e Joice. La giornata fu un successo, eravamo tutti insieme cercando uccelli da segnare e ne trovammo molti, tra cui la Gru coronata che nidifica sulle rive dei fiumi con molta vegetazione. Anche per Pitta ci furono delle novità d’avvistamento, affermò che eravamo molto fortunati, ma tutti e quattro non solo Marco ed io. Mi piacque molto quel momento di condivisione, eravamo lontani anni luce io Marco da Joice e Pitta, ma questo non fermò la nostra passione e soprattutto l’unione delle nostre anime, per qualche momento siamo stati tutti una cosa sola.

Ad un tratto cominciò a piovere insistentemente, allora Joice strappò due foglie da un banano, una la diede a me e l’altra la tenne lei. Eravamo molto buffe con quest’ombrello improvvisato ma efficace e ridemmo per molto tempo.

Al ritorno dalla nostra gita Pitta ci chiese se poteva guidare lui, aveva il foglio rosa e voleva fare un po’ di pratica. All’andata guidai io al ritorno Pitta.

Mi ricordo che ci sono stati degli attimi quasi di panico quando vedevo Pitta che distoglieva il suo sguardo dalla strada per cercare tranquillamente il cambio delle marce, o solamente alla ricerca del freno o della frizione, invadendo quasi totalmente l’altra corsia, eravamo in ogni caso tutti felici, si parlava in swahili in italiano e in inglese. Joice per completare la meravigliosa giornata ci invitò a cenare a casa sua con la sua famiglia, felicissimi accettammo.

Prima di andare a casa di Joice, andammo ad acquistare una bottiglia di vino rosso, prodotto a Naivasha, molto buono, portammo alcuni regali anche per i piccoli della casa, Vanessa di 12 anni e Tommy di 4 anni.

Mi ricordo lo sbarrare degli occhi di Vanessa quando vide le biro e i pastelli che gli portammo e anche Tommy non si staccò più da un giochino con la molla, una volta tirata il giochino si muoveva da solo.

Quella sera giocava l’Italia a calcio, io credo che avessero acceso la TV in nostro onore poiché eravamo italiani e alla televisione guarda caso c’era l’Italia.

Joice invitò altri due suoi amici uno di questi diceva di parlare italiano, si chiamava BI, infatti ci capivamo molto bene, noi cercavamo di parlare bene lo swahili e loro l’italiano. Fu una serata veramente indimenticabile. Pitta dopo il primo sorso di vino si accorse di essere già ubriaco, continuava a ridere e smise di cenare.

Joice per cena ci preparò una squisitezza, ugali con patata e verdura il tutto si mangiava con le mani. Mi accorsi che a differenza di loro avevo tutta la mano appiccicata, senza vergogna cominciai a succhiarmi le dita come fanno di solito i bambini.

Il piccolo Tommy ogni tanto ci lanciava uno sguardo quasi di complicità nei nostri confronti, poco dopo questo scambio di occhiate divenne un gioco.

Finita la cena ci accompagnarono tutti in una scorciatoia per arrivare prima nel nostro nido. Ci salutammo mille volte, augurandoci del bene per tutti quanti.

Nyaururu e le Thomson  Fulls

La nostra prossima destinazione erano le cascate di Thomson scoperte nel 1883, poco distanti da Nyaururu paese chiamato "la terra della libertà", si passava attraverso gli altopiani di Laikipia, zona nella quale si poteva ammirare tutta la Rift Valley. Gli altopiani sono molto rigogliosi di vegetazione, sembra di essere nell’Eden del mondo.

Ogni spostamento era un'avventura poteva succederci qualcosa di nuovo da un momento all'altro, ma meglio così, l'imprevisto ci riempiva lo spirito.

Panorama incredibile, nonostante l'altitudine la vegetazione sprizzava da ogni angolo.

Arrivati alle Thomson Fulls' piantammo la nostra tenda nelle vicinanze delle cascate incuranti dell'umidità che ci avrebbe inghiottito nella notte.

L'acqua potente che cadeva sul fondo, formava un arcobaleno ricco di colori, scendemmo fino alla gola, dove c'era una vegetazione tropicale quasi irreale, il colore dell'acqua era marrone e il vapore di essa ci sfiorava dolcemente il viso rinfrescandoci dalla fatica sostenuta.

Tornammo su piano perché il dislivello era molto.

Quella sera quando il buio ci avvolse, vidi la nube di Magellano, sembravano diamanti incastonati fra di loro, formavano un unico gioiello, il cielo. Marco mi disse di guardare con il binocolo con il quale avrei avuto una splendida sorpresa. Guardai attraverso il binocolo e vidi migliaia e migliaia di stelle, formando fra loro un'intensa luce brillante. Mi accorsi che il cielo era limpido e pulito, cosa che purtroppo ormai, dove vivo io, questo fatto non esiste più.

Al mattino al nostro risveglio sentimmo la rugiada sgocciolare, però era all'interno della nostra tenda bagnandola completamente. Le condizioni all'esterno le lascio alla fantasia!

Fortunatamente noi due, eravamo asciutti, ci dolevano un po’ i polmoni, probabilmente avevamo assimilato troppa umidità durante la notte.

Alla mattina c'erano dei tacchini che ci aspettavano nella zona del campeggio per darci l'augurio della buona giornata.

Anny, che lavorava al campo disse che questi animali avevano una certa simpatia per le donne, infatti, appena ne vedevano una le correvano incontro dicendo qualche cosa,.. situazione molto comica!

Arrivammo nella sala della colazione e per riuscire a scaldarmi presi un bel piatto di porrigde, non male pensavo dall’aspetto sembrava peggio.

Nyeri

La mattina stessa partimmo verso Nyeri per poi raggiungere l'Aberdare National Park.

Attraversammo la linea dell'Equatore, ci trovavamo esattamente nel centro della terra.

Le strade di Nyeri non erano asfaltate, anzi, erano in condizioni che nel dire disastrose è dir poco. C'erano buche profonde ovunque, bisognava muoversi tipo gincana per non rischiare di caderci dentro. Come strada era la peggiore di tutte quelle che avevamo percorso fino a lì, (persino la strada per il Masai era migliore, incredibile!)

Prima di poter visitare il parco bisognava fare tappa in un albergo molto "in" (dove si vedeva chiaramente che era stato costruito apposta per noi bianchi viziati), infatti, per i turisti, il proprietario aveva organizzato uno spettacolo di intrattenimento facendo esibire un gruppo di Mau-Mau, molto caratteristico ma anche troppo finto.

Da questo albergo bisognava raggiungere il parco con una guida, perché era vietato andarci per conto proprio.

Non sapendo che bisognava essere accompagnati da una guardia armata Marco ed io avevamo provato a far da soli, girammo senza sapere dove bisognava andare esattamente e come al solito trovammo la strada giusta. Ci avvicinammo alle porte del parco ma qui fummo fermati da un ranger che, incredulo nel vedere due bianchi da soli, ci spiegò la prassi da seguire, per accedere al parco.

Pensammo per qualche minuto il da farsi, se abbandonare il nostro mezzo per raggiungere il parco con la guida e una decina di turisti spagnoli oppure se dirigerci verso gli altopiani di Samburu che distavano da Nyeri circa 200km. Scegliemmo la prima opzione perché eravamo troppo stanchi per continuare a guidare e ci dirigemmo con il matatu all’Aberdare.

L'alloggio era un grosso albergo rifugio, fatto esclusivamente di legno, con un'enorme terrazza dove si potevano ammirare gli animali nelle ore notturne. A noi ci assegnarono la Suite, disponeva di un balcone privato contrariamente alle altre camere, perciò avevamo la possibilità di gustarci in pace gli animali che venivano ad abbeverarsi, proprio di fronte alla nostra cameretta, (gli spagnoli sono simpatici ma troppo rumorosi).

Nella pozza c'erano, babbuini, antilopi d'acqua, facoceri, ibis (questi ultimi erano perennemente in acqua), piccioni dall'occhio rosso e meravigliosi buceri, mi ricordo l'espressione di Marco quando li vide mi disse che era veramente emozionato, lo credo perché per un appassionato di uccelli come lui, avere la possibilità di trovarsi a un metro di distanza da questi animali deve essere un'emozione veramente forte. Alla sera vennero alla pozza elefanti che non persero l'occasione di litigare con una iena, rinoceronti, bufali, tragelafi e manguste dalla coda bianca.

Ci svegliammo all'alba per lasciare il rifugio e tornare al paese di Nyeri.

Lungo il tragitto incontrammo diversi bambini dai cinque ai nove anni di età, che andavano a lavorare con la zappa sulla schiena. Sul viso avevano ancora il segno del sonno, ma erano allegri fra di loro e come al solito ci salutarono tutti con grandi sorrisi.

La maggioranza dei genitori italiani sgrida i propri figli se dovessero tornare a casa con i “vestitini” sporchi di terra, in Africa probabilmente se non si hanno i vestiti sporchi potrebbe significare che non hanno fatto il loro dovere, e questo ha dell’assurdo e dell’incredibile.

Purtroppo il nostro tempo da trascorrere in Africa era quasi terminato.

Decidemmo di tornare nelle vicinanze di Nairobi e lungo il tragitto regalammo gli ultimi giochi ai piccoli che si incontravano lungo tutta la strada con le mucche da portare al pascolo. Molti bambini si spaventavano nel vederci e scappavano via, probabilmente avevano paura dell'uomo bianco, come a noi da piccoli ci insegnavano a temere l’uomo nero.

Ci fermammo in un piccolo paesino dove regalammo alcuni vestiti ad alcune donne che erano sommerse da bambini di tutte le età, rimasero tutti meravigliati da questo gesto, soprattutto la donne.

All 'Aberdare la temperatura cambia continuamente, le piogge sono abitudinarie, infatti, la vegetazione è tropicale. Purtroppo quel giorno c'era un po’ di foschia, e non riuscimmo a vedere il M. Kenya che è il secondo monte più alto d'Africa.

Scendendo sempre più a valle vedemmo diverse donne nei campi a lavorare la terra, lavoravano per molte ore stando chinate tutto il tempo. La donna in Africa è una sicurezza, è quella che si occupa della famiglia in tutto e per tutto. Incontrammo lungo le carreggiate altre donne cariche di erba sulla schiena, per costruire un nuovo tetto per la casa,  oppure cariche di legna da ardere.

Mi sono immaginata mia madre in quelle condizioni e il nel mio cuore si è formata una crepa.

Avvicinandoci sempre di più a Nairobi, nei pressi di Tica, passammo davanti all’ azienda multinazionale italiana Del Monte, famosa per i suoi prodotti ma soprattutto per lo sfruttamento dei suoi dipendenti.

C’era un grosso camion all’entrata dell’azienda carico di uomini in attesa che le porte del cancello si aprissero garantendo loro una giornata di lavoro, ce n’erano molti altri con le braccia alzate che chiedevano di salire sul mezzo per poter lavorare almeno qualche ora, rassicurandosi così un pasto per se e per la propria famiglia.

Queste persone sapevano bene quali erano le condizioni disumane con cui dovevano lavorare. Nelle coltivazioni di ananas vengono usati prodotti altamente tossici, vengono usati prodotti scartati dall’Italia e dagli altri paesi sviluppati, usano prodotti che in Italia ormai ne è vietata la vendita. Pesticidi pericolosi sia per l’organismo umano che per l’ ambiente, purtroppo per molti anni la Del Monte, ha potuto sfruttare il più possibile sia le persone che l’ambiente.

I lavoranti sono sottopagati, (se pagati), non hanno l’assistenza sanitaria, muoiono di cancro e nessuno lo sa, o forse è meglio dire che lo sanno tutti ma nessuno lo dice.

Nonostante queste forti motivazioni di disoccupazione, decine di africani tutte le mattine  sono presenti davanti ai cancelli ad implorare una giornata di lavoro.

In Italia da qualche anno è nato un movimento contro la Del Monte e questo ha fatto si che alcune cose cambiassero, ma i miglioramenti sono minimi e poi sono del parere che bisogna vedere con i propri occhi per rendersi conto dei veri sviluppi.

Arrivammo a Nairobi, in una giungla di ferro, macchine ovunque, furgoni, bus completamente pieni di persone, troppe persone sopra ad un solo bus.

Le strade sembravano tutte uguali, non essendoci delle indicazioni, divenne un po’ difficoltoso trovare il nostro albergo.

Ci superavano a destra e a sinistra, non c’era nessun regolamento di transito, tutti suonavano con il clacson, ad un certo punto anche Marco ed io suonavamo come loro, situazioni molto divertenti. Bellissimo!!

Trascorsi dei momenti di confusione pura, non riuscivo più a leggere la cartina stradale che tenevo in mano, fino a quando, fu la strada che trovò noi e ci condusse all’albergo tanto cercato.

Marco fu meraviglioso, non perse mai la calma, in alcuni momenti fu veramente difficile riuscire a controllare il proprio io, sarà incredibile ma eravamo felici anche di essere in mezzo a quell’ inferno di macchine, di smog e di suoni di ogni genere.

National Park di Nairobi

Come saluto al Kenya, l’ultimo giorno visitammo il National Park di Nairobi.

Entrambi non ci aspettavamo di vedere cosi tanti animali.

Appena entrati nel parco vedemmo mimetizzato nell’erba alta, un gattopardo, “mondo”in swahili. Aveva il manto simile al ghepardo, ma il gattopardo è di taglia più piccola, ci guardava diritto negli occhi, Marco non si fece scappare l’occasione di fotografarlo.

Quando decise che il tempo a nostra disposizione era terminato, si allontanò mischiandosi totalmente con il colore della vegetazione.

Ci inoltrammo nella savana e vicino ad una concentrazione di piante assistemmo ad un evento credo da National Geographic. Un gruppo di babbuini aggredì un’impala e il suo piccolo.

Proprio per il piccolo furono assaliti, la madre lottò con tutte le sue forze, purtroppo inutili perché i babbuini erano molto feroci, avevano artigli e denti lunghi e potevano affliggere ferite anche mortali.

La madre quando si accorse di noi si comportò come se fossimo anche noi animali, abbiamo letto nei suoi occhi una richiesta di aiuto, che però non ha ricevuto.

Marco mi disse che era terribile quello che stavamo assistendo, ma assolutamente non dovevamo fare nulla, anzi qualche nostro movimento poteva essere una svolta per la loro vita. Sembra assurdo ma è così. Fu un evento particolare perché i babbuini generalmente sono vegetariani e se si comportano in quel modo è perché c’è una situazione di sopravvivenza estrema, che porta all’essere vivente cambiamenti drastici pur di rimanere in vita, per continuare la propria specie.

Mi accorsi di quanto deve essere difficile essere una gazzella o qualsiasi altro animale con poche possibilità di difesa, sarà una vita solo di terrore o anche di gioia? Io credo anche di gioia, i piccoli quando sono vicini alla propria madre, riconosciuta dall’odore, sono felici di sapere che possono nutrirsi ed a essere nuovamente coccolati.

Marco disse ai guardiani del parco quello che avevamo visto e i ranger, rimasero molto sorpresi talmente tanto che quasi non credevano a quello che avevamo visto, un comportamento così disperato del babbuino.

Una delle guardie per ringraziarci dall’informazione fornitagli, ci disse che lì vicino aveva visto due pitoni. Meraviglioso, i rettili ci mancavano!!

Io sinceramente pensai che scherzasse perché forse lo avevamo ingelosito del nostro avvistamento, ma quando disse che se avessimo voluto ci avrebbe accompagnato allora i miei pensieri maligni svanirono.

Lo seguimmo in mezzo alla savana a piedi, arrivammo sulla riva del fiume, quasi in secca, e li sotto ad alcuni cespugli, c’erano due pitoni, distanti uno dall’altro qualche metro.

Il ranger ci disse che potevamo avvicinarci solamente ad uno di questi splendidi animali.

Disse “questo,- indicando quello più vicino a noi,- ha mangiato da poco una gazzella, perciò non è pericoloso, ci si può avvicinare, ma lentamente” - continuò – “almeno per due settimane rimane in quella posizione per digerire il suo pasto”- prosegui - “l’altro,  è meglio non avvicinarsi, non ha ancora mangiato e potrebbe essere molto pericoloso, se ti afferra ti butta in acqua e ti affoga per poi mangiarti”. Rimasi incredula di quest’ultima informazione, ma per poco perché quando mi avvicinai a un metro dal pitone sazio, riconobbi nel gonfiore della sua pancia, una forma grande come una gazzella! Al ritorno ringraziammo tantissimo il ranger che ci aveva accompagnati, senza che noi gli chiedessimo nulla.

In Africa abbiamo visto praterie immerse di animali selvaggi, abbiamo odorato il profumo di un’aria incontaminata, abbiamo sentito le musiche e i suoni di un popolo eterno, abbiamo condiviso con loro momenti di vita quotidiana in armonia e semplicità, tutti valori ormai persi, nella nostra società.

Queste sono solo alcune delle meravigliose caratteristiche della gente africana, quello di essere sempre pronti, disponibili e solidali con il prossimo, qualsiasi sia il colore della pelle. Non fanno differenza di razza, non hanno pregiudizi. Vivono nella povertà più estrema, ma sono il popolo più ricco di valori del mondo.

Abbiamo visto bambini impazzire dalla gioia quando gli regalammo delle palle per giocare, in Africa ogni cosa ha valore.

Abbiamo visto bambini frugare nell’immondizia, cercando con speranza qualche cosa da mangiare, ma lo facevano senza piangere, erano tristi ma non afflitti. Da noi i bambini se non gli si comprano le figurine alla moda si rischia di doverli rinchiudere in centri di recupero per lo stress.

Abbiamo visto bambini di cinque o sei anni lungo le strade che accompagnavano il loro piccolo bestiame, lontano da casa, per potergli trovare dell’erba fresca.

Abbiamo visto donne e uomini trasformati in muli portando sul calesse le loro mercanzie per andarle a vendere al paese vicino, che magari dista dalla loro casa decine di chilometri.

Oppure quelli che il calesse non se lo potevano permettere, mettevano sulle loro schiene pesi disumani, trasformandosi loro stessi in calessi.

Abbiamo visto un popolo povero, ma fiero e unico nelle sue tradizioni. Sembra che il tempo si sia fermato, rimanendo tutto come era una volta, solamente in Europa ci si accorge di come passa il tempo e la maggior parte delle volte senza rendersene conto.

Spero di poter tornare presto in quella terra di radici, perché lì ho ritrovato l’essenza della vita.

Asante sana Africa.