Ecco qui qualche racconto ispirato ai miei viaggi in Africa, Europa e America e naturalmente Italia
Guatemala / Honduras (in preparazione)
Giamaica (in preparazione)
Canarie (in preparazione)
Sicilia (in preparazione)
Asante
Sana
Nairobi
Decidemmo,
Marco ed io, di fare la nostra vacanza in Kenya nel mese di settembre, essendo
il periodo delle migrazioni, le praterie si popolano di migliaia di gnu ed altri
splendidi animali in cerca di cibo fresco.
Arrivammo
a Nairobi di sera, il volo andò tutto bene. Nonostante diversi viaggi fatti con
l'aereo, ci riesce ancora un po’ difficile stare ore e ore sospesi per aria
dentro una latta di ferro. Subimmo disagi causati da qualche piccolo ritardo con
le coincidenze da un aereo all'altro. Ad Amsterdam, chiedemmo alla hostes se
questi ritardi potevano crearci dei problemi, ci rassicurò dicendo che non
c’era nessun problema, nostri bagagli erano già stati imbarcati. Pensammo:
“chissà
quale strumentazione moderna hanno questi della compagnia olandese, per avere un
tempismo del genere”,
ma al nostro arrivo a Nairobi, ci accorgemmo che non c’era nessun meccanismo
moderno. Noi arrivammo in Africa ma il nostro bagaglio no, chiedemmo nuovamente
e ci fu comunicato che sarebbero arrivati con il volo dell'indomani sera.
Marco
ed io ci guardammo in faccia dicendoci “ Siamo
in africa, sono altri ritmi”
eravamo in un continente dove non esistono orari definitivi dove tutto è
possibile dove i tempi e i ritmi sono diversi, e questi, sono solo alcune
caratteristiche dei tesori che appartengono all’Africa.
All'uscita
dell' aeroporto trovammo James, arrivando tardi a Nairobi avevamo pensato di
chiedere all'agenzia africana, dove avevamo affittato la macchina, se potevano
mandare qualcuno a prenderci al nostro arrivo e così fù. Riconoscemmo James
perché con se aveva un pezzo di cartone con scritto il
nome di Marco. Dopo le presentazioni, James ci chiese se fossimo senza
bagaglio, gli spiegammo tutto quanto e lui disse “no
problem, my friends
“. Dopo queste parole amichevoli, salimmo in macchina e ci dirigemmo verso
l'hotel, che avevamo prenotato dall'Italia. Lungo il tragitto, James, raccontò
che prima di fare il tassista guidava i "Matatu", che sono dei piccoli
bus, nei safari, ma poi per qualche ragione aveva dovuto smettere rimpiangendo
quel mestiere.
La
strada era molto buia, in lontananza si potevano vedere solamente alcune luci,
che indicavano l'avvicinarsi della città.
Mi
colpì molto il buio, oscurava l'orizzonte, ai bordi delle strade si potevano
riconoscere gli occhi e i denti bianchi degli africani. In questo paese non
esistono le illuminazioni ai bordi delle strade e non esistono indicazioni
stradali, perciò se non si sa la strada che bisogna percorrere, viene molto
difficile arrivare a qualsiasi meta, ma non ci fermò nulla e solo dopo il primo
giorno, girammo per le strade senza nessun problema, “acuna
matata”.
In
Africa si guida a sinistra, pensavo di metterci un po’ nell' apprendere il
cambio di guida, ma, al contrario, mi sentì a mio agio, fu come se avessi
sempre guidato così.
Una
volta tornati in Italia avremmo cercato, guidando, il cambio a sinistra.
Guardandoci riconoscevamo in noi un velo di malinconia.
Le
strisce pedonali non esistevano, in compenso le strade erano piene di "bumps",
(rallentatori di velocità), “Così
i ladri non riescono a scappare”
ci dissero. Ai bordi delle strade c'erano sempre gruppi di persone che volevano
attraversarle, ci fermammo spesso per farli passare, ma nel loro viso si
accendeva una luce d'incredulità che quasi esitavano nel farlo, facevamo cenno
con la mano in segno che potevano passare senza pericolo di essere investiti.
Solo allora, attraversavano con enormi sorrisi.
Arrivati
in albergo dopo la varia trafila di documenti, ci dirigemmo verso la camera che
avevamo prenotato, in essa c'era un balcone che si affacciava sul giardino.
Uscii,e sentii uno strano odore nell'aria, notai che su alcune piante, c'erano
delle grosse macchie bianche, “Chissà
che fiori sono!”
dissi a Marco. Essendo appassionata di fiori mi promisi di guardare il giorno
dopo per riconoscere di che tipo fossero.
Alla
mattina fummo svegliati da un rumore assordante che proveniva da fuori, mi
affacciai al balcone e con grande stupore mi accorsi che le macchie bianche
viste la sera prima, non erano fiori bensì uccelli, "Ndege", in
swahili, per la precisione Ibis bianchi, e quel forte rumore che udimmo erano i
loro canti mattutini. Per chi ama gli uccelli il Kenya è uno dei paesi al mondo
dove se ne possono trovare di molte varietà, più di 1.200 specie, mentre in
Italia ce ne sono all'incirca 80 (che tristezza). Noi in soli quindici giorni,
ne classificammo 76.
Ci
fu consegnata l'auto nella tarda mattinata del giorno seguente, una Suzuki
Sierra. Joe, che era l'intermediario tra noi e l'agenzia africana, si offrì di
portare il mezzo a far riparare in quanto, ci accorgemmo che c'erano alcune cose
da sistemare prima di poter cominciare il nostro safari. Acconsentimmo e Joe
tornò dopo due ore senza nessuna riparazione effettuata.
Nel
cruscotto c'era una spia accesa, chiedemmo a vari meccanici, tra cui anche a
quello dell'albergo e tutti ci affermarono che era la spia della marmitta, ci
rassicurarono dicendo “Acuna
matata”
nessun problema, poi c'era il portellone posteriore bloccato, e infine le gomme
erano completamente lisce, probabilmente le avremmo bucate strada facendo.
Una
raccomandazione, che ci demmo prima di partire per l'Africa, era quella dei
pezzi meccanici di ricambio, ma ce ne dimenticammo subito dopo averlo pensato.
A
Nairobi ci rifornimmo di benzina e d'olio, facemmo un po’ di spesa per il
campeggio in un gran supermercato. C'era una grande confusione dentro e fuori al
supermercato (come confusione si può paragonare ai nostri centri commerciali),
adesso che ci penso, quando sono uscita dal market non ero in stato confusionale
e nervosa, come di solito, mi capita in Italia, ma mi sentivo in colpa per tutta
quella roba che avevamo da mangiare, mentre proprio fuori dal super, c'erano
mendicanti di tutte le età senza cibo.
Diedi
qualche soldo ad alcuni bambini, stando attenta alla grande massa di adulti che
mi poteva travolgere da un momento all'altro.. Fortunatamente andò tutto bene.
C'erano
molti studenti universitari per strada che chiedevano un aiuto economico per
continuare gli studi, erano obbligati a farlo, perché il governo del Kenya,
come quello italiano non dà nessun incentivo economico ai giovani che vogliono
crescere culturalmente, ma comunque le condizioni di vita non si possono
paragonare. Solamente nel Sud Africa ci sono alcune scuole dell’obbligo,
altrimenti nel resto del continente non esistono, se non create da privati.
Percorrendo
varie vie, trovammo l'Università di Nairobi, dove nel giardino della scuola,
facemmo amicizia con Simon, che incuriosito della nostra presenza, si avvicinò
chiedendoci se vivessimo in Kenya, a malincuore Marco disse di no, anche perché
noi ci sentivamo già a casa. Simon, si stava laureando in medicina,
all'università stavano studiando come sconfiggere la polio, il Kenya è uno dei
paesi in via di sviluppo più colpiti. Ai semafori della città c'erano diversi
ragazzi affetti da questa malattia sorretti, i più fortunati, dalle stampelle,
che chiedevano aiuto senza dire una parola. Era ammirevole la loro
consapevolezza di vita, si avvicinarono e si allontanarono sorridendo, sia gli
si abbia dato un aiuto o no, loro sorridevano ugualmente con un'espressione di
comprensione nei confronti del prossimo. Simon affermava che purtroppo in Africa
è molto difficile poter frequentare l'università, perché è molto cara,
essendo un paese in via di sviluppo, la maggior parte dei ragazzi non se lo
possono permettere.
C'erano
anche molti bambini che non superavano i 13 anni di età per le strade, che
cercavano qualcosa da mangiare, per terra o nell'immondizia, se non trovavano
nulla, si attaccavano con la bocca alla bottiglietta di colla che portavano
appeso al collo e respiravano a polmoni pieni, questo li aiutava, in parte, a
non sentire i morsi della fame.
Noi
aiutammo un bimbo che cercava del cibo nell'immondizia. Ci fermammo e gli
lasciammo la nostra borsa della spesa, era talmente debole che a stento riusciva
a parlare. Non dimenticheremo mai il suo viso scavato dalla fame, era a piedi
nudi e vestito di stracci. Il senso di colpa che provammo, di vergogna e di
rabbia nel pensare alla nostra società, dove si fa a gara ad essere eleganti,
trascurando però il fatto che la maggior parte dei vestiti che indossiamo, sono
fatti dai bambini del terzo mondo, come quelli di Nairobi. E' tutta colpa nostra
! ogni giorno che passa ne sono sempre più convinta.
Un
nostro politico tempo fa fece un viaggio in Kenya, dove "visitò" la
bidonville di Korogocho. Scrisse un libro sulla sua esperienza personale e nel
libro promise di fare qualche cosa per quella gente. A Korogocho, insieme a quei
disperati, ci sono alcuni missionari italiani, e con l'unico potere che hanno ha
disposizione, l'amore per il prossimo e la speranza di un mondo migliore,
riescono a divulgare conforto e sostegno.
Nairobi,
una grande città, costruita da persone che non sanno niente di edilizia, di
assistenza sanitaria, di istruzione e di commercio, ma nonostante, ci sono tutti
i confort che una città può offrire. La capitale va avanti da sé cercando di
raggiungere il progresso senza sapere esattamente che cosa sia.
Nairobi
è la capitale del Kenya, nata in mezzo alla savana. Alzando lo sguardo verso
l'alto e si possono vedere decine di nibbi che sorvolano la città, i nibbi qui
sono i padroni del cielo. Questo rapace vola anche a bassissima quota, per
meglio prendere il cibo che sta a terra nei centri abitati. Guardando in
lontananza, si vedevano le immense pianure, abitate da animali selvaggi, un
contrasto irreale, grattacieli e savane.
La
giornata passò velocemente e in pochi minuti il sole calò e lasciò il suo
posto alla luna. Decidemmo di andare a recuperare i nostri bagagli che dovevano
essere arrivati all'aeroporto.
Dopo
circa mezz'ora di attesa, felici, vedemmo scorrere i nostri bagagli sul nastro,
caricammo tutto sulla nostra vettura e ritornammo in albergo, l'indomani mattina
cominciava l'avventura nell'Africa vera.
Riuscimmo
a partire nel primo pomeriggio per dirigerci verso la terra tanto desiderata, la
terra Masai.
NAROK
Per
raggiungere Narok sbagliammo strada, non c’erano segnaletiche che indicavano
la direzione giusta, questo fece si che davanti ai nostri occhi apparse il Lago
Naivasha il paesaggio intorno era rigoglioso di vegetazione.
In
alcuni periodi dell'anno il lago viene popolato da migliaia di fenicotteri rosa
e da moltissimi altri uccelli. Il cielo si rifletteva nello splendido lago,
creando immagini immortali e indescrivibili.
Tornammo
e prima di arrivare nella cittadina sostammo in un posto chiamato Bar Milano,
tappa di turisti in cerca di un oggetto da custodire come ricordo africano. Noi
ci fermammo perché io dovevo andare in "bagno", l'impatto di questo
locale mi ricordò un "bagno" alla frontiera dell'Honduras, mi ricordo
che era allucinante, però nonostante la difficoltà nel tenere il respiro, mi
sentivo fortunata per averlo trovato.
Da
quel posto era possibile ammirare la vastità della Rift Valley, in tutta la sua
bellezza.
Narok
era l'ultimo paese con la strada asfaltata ed era abbastanza buona. Ci fermammo
per far benzina in un piccolo distributore all'uscita del paese e in pochi
minuti fummo avvolti da numerosi bambini di età non superiore ai 12 anni.
Allungavano le loro mani verso di noi, fortunatamente, con noi avevamo portato
alcuni cappellini che gli regalammo con il cuore in mano. Nel viso di quei
bambini non c'era nessun sorriso, si vedevano i segni della sofferenza e della
denutrizione. Avremmo voluto tanto far catapultare i potenti del mondo in quel
posto dimenticato, per far si che si rendessero conto di quanto siamo
piccoli di fronte ad una così grande miseria.
Lasciammo
i bambini con un forte amaro in bocca, con tristezza ma anche con la speranza
che un giorno tutto questo possa cambiare.
Da
Narok, impiegammo tre ore per raggiungere il Masai
Mara, la strada passava attraverso alte e basse colline della splendida Rift
Valley, percorrendo così diversi sali scendi di colline incastonate fra
di loro.
In
salita la nostra automobile faceva molta fatica, mentre le discese Marco le
prendeva a tutta velocità “Così
prendiamo un po’ di rincorsa per la prossima salita
“ mi diceva.
Temetti
un po' per le gomme, ne poteva scoppiare una da un momento all'altro, ma Marco
mi tranquillizzò, affermando che non c'era pericolo, non so come facesse ad
avere quella certezza ma mi fidavo ciecamente di lui.
Facemmo
cambio con la guida in modo che il mio amore si potesse riposare un po'. Ad un
certo punto l'asfalto finì e si entrò in una disastrosa e lunga strada
sterrata, rossa, così è il colore naturale e quello fu il colore che prendemmo
anche noi. La strada era allucinante, eravamo in balia degli scossoni, sembrava
d'aver in mano uno dei trapani che si usano in Europa per bucare le strade,
dovemmo mettere alla prova la nostra spina dorsale. Oltre alle buche c'erano
anche pietre taglienti che uscivano da ogni angolo. La terra entrava ovunque,
arrivò all'interno delle nostre borse, anche se esse erano state ben chiuse, la
sabbia si infilò negli ingranaggi della macchina fotografica senza però
causare nessun danno, arrivò fino in fondo alla nostra gola permettendoci di
sentirne quasi il sapore.
Rosso
ruggine, tutto quanto era splendido, il paesaggio naturale e selvaggio si aprì
intorno a noi. I miei occhi per la prima volta videro distese di savana,
popolate da animali liberi dove regna la pura Africa e per la prima volta, riuscì
a sentire il vero odore dell'Africa e ne rimasi innamorata.
Scendemmo
dalla macchina per assaporare meglio quel momento meraviglioso e le mie orecchie
furono assalite da un silenzio irreale quasi rumoroso. Ascoltai il mio respiro
senza dovermi concentrare mentalmente, come di solito uso fare, in una
meditazione yoga.
Tutto
tace e tutto si muove. Sembra una terra dimenticata da Dio, ma Dio, è proprio
qui.
Lungo
la strada che raggiungeva il campo, vedemmo gazzelle di Grant, gazzelle di
Thomson, zebre, babbuini, aquile, nibbi, buceri e non mancarono le carcasse di
bufali e impala. Marco sostenne che avevamo avuto molta fortuna a vedere i
buceri, perché sono uccelli rari, infatti, ci sentimmo molto fortunati.
Non
so come spiegare ma quando io e Marco siamo insieme, succedono cose meravigliose
e strane, sembra che la natura ci riconosca, presentandosi a noi come se
facessimo parte di essa da sempre, ed essa parte di noi.
Strada
facendo trovammo il fiume Talèk dove alcune donne e bambine masai, avevano
appena finito di fare il loro bucato e ad asciugare sulle rocce c'erano i loro
abiti coloratissimi, “kanga” in swhaili
Appena
ci videro urlarono “Jambo!”in
swahili “Sopa!”in
Masai questo era il loro saluto di benvenuto, sul loro viso regnava il sorriso
più bello che io abbia mai visto, avevano un'espressione di felicità pura, ma
non provai invidia perché anch'io lo ero.
Dopo
un lungo tragitto, passato in mezzo a mandrie di mucche e capre, accompagnate
dai loro rispettivi padroni, cioè i guerrieri Masai, arrivammo alle porte del
parco.
Prima
di arrivare al parco vedemmo diversi villaggi masai, "manyatte" in
swahili, erano case fatte di sterco di mucca e fango mischiati insieme, alte
poco più di un metro e mezzo, prima di poterci entrare bisognava aspettare
almeno una settimana perché il materiale usato doveva essere ben asciutto. Il
villaggio era tutto recintato da rovi spinosi, impedendo così l'intrusione di
animali feroci.
Arrivammo
al parco e lì, alle porte, si avvicinarono diverse donne Masai per venderci i
loro manufatti, oggetti ornamentali per il corpo, veramente carini. Non
comprammo nulla perché avevamo ancora poca luce a disposizione e dovevamo
trovare ancora il campo dove posizionare la tenda per passare la notte.
Era
tardi ma decidemmo in ogni caso di fare un giro prima di andare alla ricerca del
campo, la nostra eccitazione era troppo forte per poterla ignorare.
Il
primo nostro incontro fu con i leoni! Un bellissimo maschio con una bionda
criniera e due femmine, che dormivano avvolti da una tranquillità quasi
contagiosa, la nostra presenza non gli causò disagi.
Dio
mio, adesso so perché è il Re della foresta è così possente, grosso, forte e
massiccio, non mi trasmise paura, anzi mi assalì un senso di eccitazione.
Proseguimmo
e su un'acacia vedemmo un magnifico leopardo, fu incredibile veramente
incredibile! Marco quasi non volle credere ai suoi occhi e nemmeno io.
Tutto
intorno a noi si muoveva, quella terra è viva e ricca di vita, in ogni
cespuglio si potevano nascondere i meravigliosi animali della savana che con il
loro manto si mimetizzavano benissimo con il colore dell'erba.
C'erano
centinaia di gnu, zebre, damalischi, impala, antilopi, facoceri solitari o con
le loro rispettive famiglie e alla fine del nostro giro, come per darci il ben
venuto, incontrammo un branco di elefanti. Non riuscirò mai a descrivere in
parole le sensazioni che provai nell'essere di fronte questi enormi animali.
La
sensazione della paura l'avevo riconosciuta, erano a un metro da noi, c'erano
pachidermi adulti ma anche piccini, incrociai lo sguardo della matriarca che
allargò le orecchie, mi sembrò che chiedesse cosa facevamo lì e cosa volevamo
da loro!
Scattammo
alcune fotografie, io però stavo con il fiato sospeso, addirittura dalla paura
chiesi a Marco di inserire la prima marcia per essere pronti a fuggire da un
eventuale attacco, che comunque, è più facile vedere la neve rossa prima che
questo evento accada….
Bisogna
commettere delle imprudenze, per far si che succeda qualche cosa di
preoccupante, ma non era il nostro caso.
Lo
sapevo benissimo che gli animali portavano con se la pace, ma la loro grandezza
mi fece sentire talmente piccola che mi assalì un senso di insicurezza.
Gli
animali vivono tutti in armonia, a differenza degli uomini che sono sempre in
guerra, probabilmente il paradiso è così, un luogo dove regna l'armonia.
Il
buio calò e vedemmo che ormai era troppo tardi per andare al campo, in alcune
zone dell'Africa fa buio in pochi minuti, allora decidemmo di fermarci in un
campo attrezzato che trovammo lungo la nostra strada, è posto sul fiume Talèk
e si chiama Fig Tree Camp, (albero del fico), infatti, al centro del campo c'era
un enorme ficus e sulla cima era stata costruita una specie di palafitta dove si
potevano avvistare gli animali in lontananza.
Alla
mattina ci alzavamo di buon'ora per visitare meglio il parco, girammo senza
segnare il percorso, anche se di solito questo lo si fa per evitare di perdersi,
ma noi, temerari, ci orientammo con il fiume, il sole e la luna.
Guadammo
il fiume, fino a quando arrivammo a un guado particolare, molto stretto. L'altra
parte della sponda era molto ripida, allora, decidemmo di non attraversarlo e
tornammo.
Senza
sapere esattamente dove fossimo, (la cosa non ci preoccupò), vedemmo da lontano
una tenda vicino al fiume. Incuriositi ci avvicinammo, un po’ timorosi, avendo
paura di essere in zona militare dove è severamente vietato andare.
Ma
non fu così, ci venne incontro con aria incredula, un ragazzo che all'incirca
aveva la nostra età, lo salutammo amichevolmente dicendo “Jambo
abari?”
e lui rispose “Mzuri
sana, Karibu”
Gli
chiedemmo come mai c'era una sola tenda in quel luogo lontano da tutto e lui
sostenne che era un centro di ricerca sugli animali, in particolare sulle iene
"Fisi". Strada facendo ci capitò di vederne una con un collare, lo
dicemmo a Paul e, infatti, ci informò che quella iena era sotto controllo, “è
seguita dagli studiosi”
disse. “Il
collare, è una specie di ricetrasmittente”
proseguì.
Paul
sostenne che con un po' di fortuna si potevano vedere i coccodrilli "Mamba",
abitanti del fiume.
Ci
inoltrammo tutti e tre a piedi vicino alla riva del fiume, Paul ad un certo
punto disse “da adesso bisogna stare in silenzio, così abbiamo più
possibilità di vederli”.
Con
grande stupore anche per Paul, vedemmo un coccodrillo, gli prestai il mio
binocolo e guardando attraverso di esso poté riconoscere meglio l'animale e
disse “E'
un coccodrillo adulto”.
Eravamo tutti eccitati da questo
avvenimento Paul ci invitò a bere qualche cosa con lui, ma molto dispiaciuti
decidemmo di non trattenerci perché non sapevamo dove fossimo esattamente e la
strada per tornare al campo poteva essere molto lunga.
Prima
di andarcene gli regalammo un cappellino, per ripararsi dal sole feroce che
regna in questa zona d'Africa, ci ringraziò infinitamente e anche noi lo
ringraziammo per lo splendido momento che ci regalò. Paul ci raccomandò di non
attraversare il fiume, perché era troppo pericoloso, non ci sentimmo di
annunciargli che era troppo tardi. Fu molto incuriosito di sapere come avevamo
fatto ad arrivare fino a lì, Marco ed io, ridemmo e gli spiegammo che non ne
avevamo ben ché la minima idea, avevamo solamente seguito il nostro istinto.
A
notte inoltrata, quando la luna si bacia con le stelle, ci fu un grande
scompiglio per il campo. Si sentivano le voci dei lavoranti che davano
indicazioni sul da farsi ad altri, alcuni correvano da una parte altri da
un'altra, sentimmo il verso di una iena, era molto vicina e con lei, c'era una
famiglia numerosa di babbuini intenzionati a far baldoria nel nostro campo.
I
ragazzi dopo vari tentativi riuscirono a mandare via gli animali e a noi rimase
il dispiacere di non aver potuto partecipare direttamente a quella che per noi
era una nuova avventura.
Il
giorno seguente decidemmo di andare a cercare l'Hippo Pool per vedere gli
ippopotami.
Dopo
varie indicazioni errate dalla gente del posto, raggiungemmo gli ippopotami, lì
trovammo in ammollo in uno scorcio del fiume, saranno stati all'incirca una
ventina, quasi non si vedevano perché si mimetizzavano benissimo con i massi
del fiume.
Restammo
lì a guardarli per qualche ora ad aspettare un loro movimento, vicino a loro
c'era anche un coccodrillo che stava aspettando pacificamente la sua preda, una
cicogna. Fortunatamente la cicogna fu spaventata da un mio colpo di clacson, che
provocai involontariamente durante una manovra con la macchina.
Si
era fatto buio e guidammo senza mai fermarci, stando attenti a non investire
nessun animale, girare di notte nella savana è molto pericoloso, si diventa una
facilissima preda. Era talmente forte l'emozione che ci sembrò di essere in un
film d'avventura.
Arrivammo
al campo fortunatamente senza mai sbagliare strada, altrimenti, le guardie del
campo sarebbero dovute venire a cercarci rimproverandoci per la nostra
imprudenza.
La
stessa sera vennero al campo alcuni guerrieri Masai, a danzare e cantare per gli
ospiti del campo.
Erano
otto ragazzi, alcuni di loro avevano i capelli rossi, questo colore serviva per
farsi distinguere dagli altri del gruppo, significava l'avvenuta uccisione di
uno o più leoni, diventando così veri guerrieri Masai. I loro canti erano
rivolti alla loro grande esperienza di cacciatori, questi guerrieri sono pieni
di coraggio e i loro canti profondi mi fecero commuovere senza capire il
significato di quello che dicevano.
Il
giorno seguente ci svegliammo all'alba per andare a cercare il ghepardo. La
nostra ricerca fu premiata perché riuscimmo a vederne due, erano in cima ad una
collina che si leccavano a vicenda assicurandosi l'igiene giornaliera per
entrambi. Non so quante foto Marco scattò, ma ne valse veramente la pena.
Poco
più avanti vedemmo una iena che si riparava dal sole sotto un cespuglio spinoso
e li vicino uno sciacallo che restò immobile appena si accorse di noi. Dopo gli
splendidi spettacoli che durarono qualche ora, decidemmo di tornare al campo per
mettere qualche cosa sotto ai denti, cantavamo felici entrambi le canzoni Masai
imparate la sera prima. Improvvisamente sulla strada, uno splendido ghepardo
riposava proprio nel mezzo del nostro percorso, bloccandoci la strada.
Felicissimi di questo avvenimento, e spento il motore, restammo lì ad aspettare
le intenzioni dello splendido felino.
Fiutò
il nostro odore nell'aria, e secondo Marco, l'animale pensò che eravamo animali
troppo puzzolenti per stuzzicargli l'appetito.
Dopo
circa dieci minuti, l'animale vide avvicinarsi una iena e la guardò
intensamente. Ci fu uno scambio di sfida nei loro occhi e io e Marco ne eravamo
in mezzo. Non successe nulla, la iena continuò per la sua strada e il ghepardo
si rimise nella stessa posizione di prima e rimase nella terra rossa quasi
annoiato, fino a quando decise di lasciare la sua siesta e si spostò
lateralmente dalla strada, però prima di allontanarsi segnò la terra con
l'urina. Sia io che Marco tremavamo dall'emozione, ci sentimmo felici e ancor di
più nel pensare che facevamo parte del territorio di quel ghepardo.
Arrivati
al campo informammo Manuel, che era un carissimo ragazzo che lavorava al Fig
Tree, del nostro incontro con il ghepardo. Lui ci affermò che eravamo stati
molto fortunati, perché ci spiegò, che molti viaggiatori perdevano i giorni
interi nel cercare questo animale senza avere mai avuto l'occasione di vederlo.
Noi
addirittura quel giorno ne vedemmo tre.
Con
il colore rossastro dell’alba, prima di incontrare i ghepardi, ci
attraversarono la strada tre maestosi elefanti con il loro leggerissimo passo:
Li trovammo al nostro fianco, immobili attendemmo con ammirazione il loro
passaggio.
Il
Fig Tree era molto bello ma anche troppo costoso per le nostre finanze, perciò
decidemmo di partire il giorno dopo per un altro meraviglioso luogo da vedere.
La
sfortuna, o fortuna, volle, per varie circostanze, che ci fermammo in quel posto
per altri due giorni.
Praticamente
in quei due giorni, ci successero diverse cose, tra cui anche quelle che non
vorresti mai che capitassero specialmente in un posto dove ci vuole un aereo per
qualsiasi emergenza.
Si
ruppe la macchina e per poterla riparare sarebbe dovuto venire un aereo da
Nairobi con il pezzo di ricambio. Cosa non impossibile in quanto in Africa tutto
è possibile.
Nella
nostra disavventura nel personale del campo, fortunatamente c'era un bravissimo
meccanico che con grande pazienza lavorò tutto il giorno, e poi fino a notte
inoltrata per ripararci il mezzo.
Poi
dovetti subire un intervento medico! Ma che comunque non era nulla di grave.
Mentre
aspettavamo il pezzo di ricambio nelle ore di attesa, riuscimmo a fare un safari
a piedi riconoscendo molte specie di uccelli, tra cui gruccioni, martin
pescatore, picchio testa rossa, bul bul, mouesbird, e molti altri, vedemmo anche
un coccodrillo e un ippopotamo a pochi metri dalla nostra tenda, fu molto
emozionante, non avevamo mai visto questi animali cosi da vicino, veramente
splendido.
Tornati
in tenda ci vennero a chiamare per andare alla piccolissima pista di atterraggio
che si trovava a qualche chilometro di distanza dal nostro campo.
Andammo
con un mezzo militare di proprietà di un indiano, che era anche il proprietario
dello stesso campo dove noi alloggiavamo.
Fu
molto bello perché ammirammo della vegetazione diversa da quella che avevamo
visto fino ad allora, era più fitta con molti alberelli spinosi. avvistammo tre
manguste lungo il tragitto, indicammo, all'autista e al meccanico, che ci
avevano accompagnato, (pagando la cifra di 50$), di guardare nella direzione
indicata. Furono molto felici di vedere questi piccoli animali, ma non solo,
furono felici di vedere tutti gli animali che incontrammo sulla strada, come se
fosse per loro la prima volta che vedevano questi animali, come del resto lo era
per me.
Avuto
il pezzo di ricambio il mitico meccanico si mise subito all'opera per finire a
notte inoltrata.
Per
quanto riguardava invece il mio problema fisico, il giorno dopo decisi di
chiamare il medico per farmi vedere il piccolo ascesso che mi doleva, irritato
nella coscia.
Avevo
paura che il dottore mi dicesse “Bisogna
siringare per fare uscire il siero”
infatti, disse proprio così.
La
situazione non era molto leggera, perché avevo e ho sempre avuto riluttanza per
gli aghi e poi mi avrebbe fatto tutto quanto in una capanna, però
fortunatamente, all'interno del campo.
In
questi luoghi, l'igiene non è di casa ma purtroppo non si poteva fare
altrimenti.
Nella
nostra borsa del pronto soccorso, (che prima di partire ci avevamo augurati di
non dovere mai usare), c'erano delle siringhe sterili, a mio malaugurio il
dottore mi annunciò che non andavano bene, l'ago era troppo piccolo.
Nell'ambulatorio
mi sdraia sul lettino e il medico cominciò, strinsi i denti il più possibile.
Gli anestetici non sono mai arrivati in questa zona remota dell'Africa, le urla
invasero la mia bocca, non avevo mai sentito la mia voce così alta.
In
tutto questo, la cosa più divertente, fu la corrente elettrica, infatti, per
tutto il tempo della medicazione non smise mai di mancare, anche il dottore ci
affermò che ero stata una paziente fortunata.
La
febbre era calata subito dopo la medicazione fortunatamente cominciavano i
miglioramenti permettendomi così di lasciare l'ambulatorio con i miei piedi, ma
sorretta da Marco.
Guarii
benissimo, mi ricordo il dottore che durante il piccolo intervento si scusava
per il dolore procuratomi, era molto umile e professionale, nonostante
l'ambiente in cui dovesse opere. Marco mi rimase vicino per tutto il tempo,
allungò la sua mano io la presi e la strinsi con forza, non capisco ancora oggi
come non abbia avuto dolori nei giorni a venire, forse perché fortunatamente fu
questione di qualche minuto, ma che comunque per me erano interminabili.
Tornammo
in tenda e Marco mi confidò che le mie urla lo confusero, non seppe più se
fidarsi del dottore e lasciarlo fare, oppure se fermarlo, sono felice che abbia
scelto per la prima opzione.
L'appetito
non mi mancò e alla sera mangiai come un leone.
Sempre
quella sera all’entrata del campo si avvicinò una giraffa , Marco appena la
vide corse da me per condividere insieme questo miraggio meraviglioso. Pensai
che forse era stata incuriosita dalle mie urla, ma probabilmente non era così.
Visto
i miglioramenti della mia salute e della avvenuta sistemazione della macchina,
decidemmo di partire il giorno dopo per il Nakuru National Park.
Prima
di lasciare il campo regalammo a Manuel il nostro dizionario di
italiano-inglese-kiswahili, promettendoci che lo avrebbe imparato in poco tempo,
gli credevamo ciecamente perché sappiamo che gli africani apprendono subito le
lingue straniere.
Kennedy,
che era il Direttore del campo, ci propose di aprire un’attività con lui e il
Dottore del campo, perché ad entrambi eravamo piaciuti molto. Kennedy è un
capo Masai e questo è un buon punto di inizio.
Mi
sentivo bene anche se ero preoccupata per il trambusto che la disastrosa strada
mi avrebbe procurato.
Lungo
la strada incontrammo dei bimbi sdraiati nella terra rossa, esitavano sempre
prima di avvicinarsi. Solo quando sentivano che eravamo noi i più emozionati,
si avvicinavano senza problemi, gli regalammo delle magliette per bambini,
increduli corsero verso le loro case mostrando con felicità i loro nuovi abiti.
In lontananza vedemmo diverse persone correre verso di noi incuriositi e felici
di conoscere questi bianchi che si fermarono per parlare con loro.
Il
viaggio continuò attraversando per lunghissimi chilometri la bellissima Rift
Valley circondata da valli, pianure, montagne, laghi e vulcani inattivi.
Il
paesaggio era splendido, c'era il vento che alzava la soffice terra, formando
dei piccoli e grandi vortici. Il cielo e la terra si abbracciavano
nell'orizzonte formarono un'unica meraviglia naturale.
Attraversammo
il cratere del M. Longonot che con i suoi 2770m di altitudine precipitava
nell’incantevole Rift Valley.
Prima
di arrivare a Nakuru, vedemmo Il
Lago Elmenteita, chiamato il lago della soda, era più piccolo del lago Naivasha,
era la casa dei fenicotteri rosa e ippopotami, circondato da verdi colline e da
rocce vulcaniche.
NAKURU
Una
città con una fauna rigogliosa, c'erano alcune coltivazioni di frutta, verdura
e alcuni vigneti, come anche a Naivasha, permettendo agli abitanti di avere una
piccola sicurezza alimentare in più, rispetto ad altre zone aride come quella
del Masai Mara dove la popolazione viveva solo di pastorizia e di prodotti
propri ornamentali.
Stremati
giungemmo a Nakuru dopo un totale di cinque ore di viaggio, ci fermammo in un
hotel proprio di fronte al parco, pensando che lì ci fosse l'entrata.
Andammo
diretti alla reception per verificare se c'era una camera per la notte. Il
direttore dell'hotel rimase sorpreso dal libro che c'era sul sedile della
macchina, era una cartina illustrata del Kenya. Chiese se poteva vederlo,
ovviamente noi acconsentimmo, i suoi occhi si illuminarono di incredulità,
pensammo che probabilmente non ne aveva mai visto uno simile prima.
Mentre
stavamo compilando la solita documentazione per avere la camera, alcuni uomini
si avvicinarono e chiesero se la macchina che stava fumando fosse nostra,
guardammo nel cortile e potemmo costatare che l'auto fumante era proprio la
nostra.
Tutti
i presenti si trasformarono in esperti di meccanica, ciascuno di loro aveva la
propria idea sulla motivazione del guasto.
Viste
le decine di pareri, decidemmo di non fidarci e chiamammo l'agenzia di
autonoleggio, ci rassicurarono dicendo che il giorno dopo avrebbero portato un
altro mezzo in sostituzione a quello, fortunatamente fu così.
L'hotel
era abbastanza lontano dal centro abitato e decidemmo di prenderci un giorno di
riposo, quel giorno piovve tutto il tempo, permettendoci così di non
rimpiangere la giornata persa.
La
notte non la trascorremmo molto bene, perché c'erano un mucchio di zanzare
pronte a succhiarci il sangue, la profilassi anti-malarica non l'avevamo fatta.
Al
mattino fuori dalla porta della nostra camera c'era il sole ad aspettarci e una
volta avuta l'auto ci dirigemmo a quella che noi pensavamo l'entrata del parco,
invece il ranger ci annunciò che bisognava andare in centro città e cercare le
indicazioni per il parco.
Anche
qui le indicazioni sono utopie, perciò seguimmo il nostro istinto e dopo
numerosi incroci e deviazioni, trovammo la strada giusta.
Entrammo
nel parco e rimasi a bocca aperta dallo stupore. La fauna intorno a noi era
qualche cosa di meraviglioso e quando vidi i fenicotteri rosa la felicità mi
travolse. Non avevo mai visto migliaia di fenicotteri tutti insieme. Questi
uccelli sono ghiotti di soda, infatti, il loro colore rosa deriva dalle alghe
rossastre che vivono nell'acqua salmastra. Il lago Nakuru è uno dei posti più
belli che io abbia mai visto, offre una fauna spumeggiante. Per chi ama gli
uccelli questo è uno dei posti al mondo dove si possono trovare centinaia di
specie tutte insieme, infatti, sia io che Marco impazzivamo perché non facevamo
tempo a riconoscerne uno che subito ne arrivavano decine di altre specie!
Ci
sono delle vere foreste di Euforbia alte qualche metro e di Acacie
"luminose". Sembra che, di queste ultime, all'interno del loro tronco
ci sia il sole, creando un effetto luminoso per tutto quello che li circonda.
Nelle
vicinanze del lago riuscimmo a vedere bufali, rinoceronti, antilopi d'acqua (Kudu),
cicogne, oche egiziane, pivieri, marabù, decine di storni comuni di colore blu
elettrico… incredibile! Mentre nel bush incontrammo giraffe di Rothschild, dik
dik nascosti dietro un grande cespuglio, facoceri,
rollel, e un’aquila crestata. A Marco, gli tremava la voce dall'emozione,
anche se aveva una certa esperienza dell'Africa, mi confidò che non aveva mai
visto una concentrazione di così tanti animali, in tutti i suoi viaggi messi
insieme.
Cominciò
a cadere una piccola pioggia e uscimmo dal bush per non rischiare di rimanere
bloccati nel fango che si stava formando.
Costeggiando
la riva del lago, ad un tratto lo spettacolo cambiò radicalmente e tutto prese
un colore irreale, e anche noi, il cielo si oscurò e l'acqua non era più blu,
ma prese una tinta che ancora non esiste, si alzò una bufera che ci prese in
pieno. Inutile fu il tentativo di riparasi la bocca con qualche straccio trovato
per la macchina, per poter respirare, la polvere era talmente fina che era
impossibile evitarla. Però visto l'incanto che quel posto ci trasmise, non
cedemmo al disagio anche perché lo spettacolo era troppo bello e unico. La
pioggia cominciò ad avere una certa insistenza nel cadere, trasformando le
buche in voragini piene d'acqua così decidemmo di uscire dal parco e tornare
all'hotel. Il territorio del parco era di 200km, impiegammo cinque o sei ore per
girarlo tutto.
Definimmo
di partire, il giorno dopo per andare a vedere il secondo lago più grande del
mondo, il Lago Vittoria.
Kisumu
e il Lago Vittoria
Le
strade del Kenya sono per la maggior parte devastate, sia per noi esseri umani,
sia per i mezzi che vengono usati per transitarle.
Ho
visto dei mezzi allucinanti, completamente distrutti, non so come ma ancora
funzionanti.
In
Italia penso che non si abbia il permesso di guidarle neanche per portarle alla
rottamazione.
Marco
mi diceva di notare nelle strade che percorrevamo perché da esse e dalla loro
manutenzione, che, consisteva nel coprire i buchi con del materiale tipo
catrame, si poteva notare il tipo di partito che c'era in quella zona. Se era
periodo di votazioni le strade venivano “sistemate” altrimenti venivano
lasciate al deperimento totale.
Passammo
in mezzo a immense pianure aride, la temperatura cambiava man mano che ci si
avvicinava al lago.
Faceva
molto caldo, ma la cosa splendida era che non si sudava affatto. Le persone
(quelle che se lo potevano permettere) si coprivano il capo per ripararsi dal
cocente sole, alcuni bambini si tuffavano nelle pozze d'acqua scura giocando
felicemente fra loro.
Quando
finalmente vedemmo il lago in lontananza, il mio cuore cominciò a palpitare più
forte lo spettacolo fu veramente immemorabile, era talmente grande che ci sembrò
di vedere il mare. Per Marco era un momento molto importante, fin da piccolo
sognava di vedere il lago Vittoria, ed era lì finalmente, davanti ai suoi
meravigliosi occhi. Anch’io ero molto felice perché Marco stava realizzando
un suo sogno ed io ero con lui.
Si
faceva fatica a vedere nell'orizzonte la linea dell'acqua, perché essa si
baciava con il cielo e anche qui, insieme formarono un unico spettacolo
naturale.
Ci
vollero quattro ore per percorrere 200km, raggiungendo cosi la terza città più
grande del Kenya, Kisumu.
La
popolazione viveva soprattutto di pesca, frutta e verdura, essendo una zona
umida la vegetazione poteva crescere senza fatica. C'era un via vai incredibile
per le strade, di persone a piedi, cariche di mercanzie deposte sulle loro
schiene piegate dalla fatica, uomini trasformati in muli, bambini trasformati in
uomini, chi scalzo e chi ai piedi portava sandali di gomma di pneumatici, con i
loro sacchi, ceste, e altri prodotti si dirigevano nella direzione del mercato,
dove c'era la possibilità di guadagnare qualche soldo.
Trovammo
alloggio al View Lake Hotel che si trovava nelle vicinanze del lago.
Il
posto molto carino, anche se ci avevano affidato una camera proprio sopra alla
cucina, odorando anche noi di pesce affumicato per tutto il tempo passato
all'Hotel.
Il
problema di Kisumu per noi era l'impossibilità di raggiungere il lago a piedi.
Dopo
vari tentativi, decidemmo di prendere l'auto e di dirigerci verso le montagne
per vedere dall'alto lo spettacolo. Finalmente riuscimmo a vederlo con il sole
che piano andava a morire dentro di esso. Il panorama fu splendido ma noi,
volevamo arrivare vicino alla riva per toccare l'acqua con le nostre mani!
La
nostra tenacia fu premiata, riuscimmo ad arrivare in una zona dove c'erano
diverse capanne, alcune fatte di plastica nera. Lasciammo la macchina e
arrivammo fino alla riva a piedi e lì, vedemmo alcuni autisti di matatu entrare
nel lago con il loro mezzo per poterlo lavare.
Non
ci trattenemmo molto, giusto il tempo di toccare l'acqua e prendere qualche
boccata dell'aria umida del lago Vittoria, anche perché cominciavamo ad
attirare su di noi l'attenzione di tutti i presenti, essendo gli unici bianchi
in quel posto.
All'alba
fummo svegliati dal canto del Muezzin, per un attimo mi parse di essere in un
paese arabo, realizzai subito dopo che a Kisumu prevale la religione mussulmana.
Lo
stesso giorno decidemmo di partire, ma prima di lasciare questo paese, andammo a
visitare l'orfanotrofio di animali che si trovava alle sponde del lago, si
chiama Hippo Point.
Fummo
accompagnati da una gentile ranger, che ci illustrò le varie specie di animali
tenuti in gabbia per essere curati per poi liberati.
In
una gabbia c'era uno splendido esemplare di leopardo di circa un anno, in
un'altra c'era una iena e in alcuni recinti alti poco più di un metro c'erano
diverse tartarughe. Il nostro giro continuò fino a quando arrivammo alla riva
del lago e da qui la visuale, dell'immensità di tale luogo, era decisamente più
ampia, cogliemmo subito l'occasione di scattare qualche foto.
La
nostra accompagnatrice ci fece notare che sopra ad una pianta c'era un'aquila
pescatrice, diversi cormorani dal collo bianco e alcuni nibbi.
Tornando vedemmo l'albero del pane, con i suoi strani frutti a forma di baghette. Lasciammo un regalo al piccolo nipote dalla gentile raager e ci avviammo all'uscita del parco.
Kericho
e le piantagioni di Tea
Al
nostro ritorno da Kisumu, decidemmo di fermarci a Kericho per la notte, questa
zona si trova a 300Km da Nairobi la sua altitudine è di 2700m, l’aria è
frizzante, all’ombra fa addirittura fresco. Kericho è famosa per le sue
piantagioni di tea, infatti, ne è quasi completamente ricoperta. Un secolo fa,
gli inglesi si appropriarono di questa fertile terra, per costruirsi i loro
imperi coloniali.
Decidemmo
di fermarci proprio al Tea Hotel, che si trovava nel bel mezzo di una
piantagione.
Nell’albergo
abbiamo conosciuto Joice e Pitta, che sono due buonissime persone, Joice lavora
alla reception, mentre Pitta fa da guida per gli appassionati al Birdwatching.
Coincidenza?
Joice
appena ci vide arrivare all’albergo, pensò che fossimo originari della
Tanzania, infatti, ci parlò direttamente in Swahili. Capendo quasi tutto
l’informammo che eravamo italiani, ne rimase molto sorpresa, affermò che
sembravamo proprio africani!
Arrivammo
nelle prime ore del pomeriggio, dopo esserci sistemati nella nostra casettina,
perché a Joice piacemmo molto addirittura ci assegnò al posto della solita
camera, il cottage che stava in mezzo allo splendido giardino, era rigoglioso di
vegetazione quasi preistorica, c’erano alcune piante, (in questo momento non
ricordo il nome, ma ho preso alcuni semi) che padroneggiavano, erano piene di
Licheni e di uccelli.
Anche
in questo giardino classificammo altri uccelli che non avevamo ancora visto.
Nel
nostro “safari” che in lingua swahili significa “viaggio”, con tutte le
persone che hanno avuto contatti con noi, ci scambiarono per la gente del posto.
Noi effettivamente non facevamo nulla per far credere che eravamo dell’Africa,
(anche perché sinceramente non sappiamo cosa bisogna fare per essere scambiati
per quello che non siamo), ci dissero che il nostro modo di fare e di essere era
uguale agli africani.
Forse
questo è uno dei più belli complimento che abbia ricevuto, non tanto quello di
essere presa per un’africana, ma il fatto che in qualsiasi posto del mondo io
vada non vengo scambiata per una turista.
In
questo paese c’è una grossa produzione di questa bevanda. La pianta del tea
è all’incirca un metro e mezzo d’altezza e sono raccolte solo le piccole
cime verdi, poi vengono essiccate e pressate, infine il ricavato, è venduto ai
paesi ricchi del Mondo.
Pitta
affermò che, loro, gli africani, non potevano bere il tea di prima qualità da
loro prodotto, perché era troppo caro per le loro finanze, allora si
accontentavano della terza qualità (che sarebbe quella che viene scartata)
questo è assurdo, incredibile e soprattutto ingiusto. L’ho dissi anche a
Pitta e lui rispose che avevo ragione ma non si poteva fare niente in proposito,
solamente sperare che un giorno questi inglesi smettessero la distruzione della
fauna meravigliosa di questo luogo.
La
lavorazione del tea è molto faticosa, bisogna stare ore sotto il sole cuocente
africano, gli operai con indosso saie pesanti di plastica con colori molto
sgargianti. Questa “divisa” viene donata l’azienda produttrice. Sono
state costruite delle piccole case nelle vicine di questi campi, permettendo
agli operai di essere al lavoro senza problemi di distanza.
Pitta
ci raccontò che prima di queste coltivazioni, la zona era completamente piena
di vegetazione selvaggia, mantenendo un ecosistema naturale, purtroppo oggi sono
rimaste pochissime foreste d’Abete, chi ha un buon olfatto può ancora
percepire il profumo della resina che c’è nell’aria.
Pitta
era preoccupato, si accorse di quanto sia stata sfruttata la sua terra e
purtroppo questo continua ad avvenire tuttora. “Non bastano tutti questi campi
coltivati, ne vogliono altri” disse “alla gente non gli interessa niente
della natura, degli uccelli, delle piante e dei fiumi, vedono solamente la
ricchezza e il guadagno” aggiunse.
Sono
rimasti solamente alcuni scorci di natura ancora selvaggia, dove è possibile
dedicarsi al Birdwatching.
Chissà
come ma, sia Pitta e Joice sapevano già che Marco ed io eravamo appassionati
d’uccelli, infatti, Pitta ci chiese se volessimo partecipare ad una gita
vicino al fiume per cercare qualche esemplare ancora sconosciuto, ovviamente
accettammo senza esitazioni.
Venne
anche Joice, eravamo io Marco, Pitta e Joice. La giornata fu un successo,
eravamo tutti insieme cercando uccelli da segnare e ne trovammo molti, tra cui
la Gru coronata che nidifica sulle rive dei fiumi con molta vegetazione. Anche
per Pitta ci furono delle novità d’avvistamento, affermò che eravamo molto
fortunati, ma tutti e quattro non solo Marco ed io. Mi piacque molto quel
momento di condivisione, eravamo lontani anni luce io Marco da Joice e Pitta, ma
questo non fermò la nostra passione e soprattutto l’unione delle nostre
anime, per qualche momento siamo stati tutti una cosa sola.
Ad
un tratto cominciò a piovere insistentemente, allora Joice strappò due foglie
da un banano, una la diede a me e l’altra la tenne lei. Eravamo molto buffe
con quest’ombrello improvvisato ma efficace e ridemmo per molto tempo.
Al
ritorno dalla nostra gita Pitta ci chiese se poteva guidare lui, aveva il foglio
rosa e voleva fare un po’ di pratica. All’andata guidai io al ritorno Pitta.
Mi
ricordo che ci sono stati degli attimi quasi di panico quando vedevo Pitta che
distoglieva il suo sguardo dalla strada per cercare tranquillamente il cambio
delle marce, o solamente alla ricerca del freno o della frizione, invadendo
quasi totalmente l’altra corsia, eravamo in ogni caso tutti felici, si parlava
in swahili in italiano e in inglese. Joice per completare la meravigliosa
giornata ci invitò a cenare a casa sua con la sua famiglia, felicissimi
accettammo.
Prima
di andare a casa di Joice, andammo ad acquistare una bottiglia di vino rosso,
prodotto a Naivasha, molto buono, portammo alcuni regali anche per i piccoli
della casa, Vanessa di 12 anni e Tommy di 4 anni.
Mi
ricordo lo sbarrare degli occhi di Vanessa quando vide le biro e i pastelli che
gli portammo e anche Tommy non si staccò più da un giochino con la molla, una
volta tirata il giochino si muoveva da solo.
Quella
sera giocava l’Italia a calcio, io credo che avessero acceso la TV in nostro
onore poiché eravamo italiani e alla televisione guarda caso c’era
l’Italia.
Joice
invitò altri due suoi amici uno di questi diceva di parlare italiano, si
chiamava BI, infatti ci capivamo molto bene, noi cercavamo di parlare bene lo
swahili e loro l’italiano. Fu una serata veramente indimenticabile. Pitta dopo
il primo sorso di vino si accorse di essere già ubriaco, continuava a ridere e
smise di cenare.
Joice
per cena ci preparò una squisitezza, ugali con patata e verdura il tutto si
mangiava con le mani. Mi accorsi che a differenza di loro avevo tutta la mano
appiccicata, senza vergogna cominciai a succhiarmi le dita come fanno di solito
i bambini.
Il
piccolo Tommy ogni tanto ci lanciava uno sguardo quasi di complicità nei nostri
confronti, poco dopo questo scambio di occhiate divenne un gioco.
Finita la cena ci accompagnarono tutti in una scorciatoia per arrivare prima nel nostro nido. Ci salutammo mille volte, augurandoci del bene per tutti quanti.
Nyaururu
e le Thomson Fulls
La
nostra prossima destinazione erano le cascate di Thomson scoperte nel 1883, poco
distanti da Nyaururu paese chiamato "la terra della libertà", si
passava attraverso gli altopiani di Laikipia, zona nella quale si poteva
ammirare tutta la Rift Valley. Gli altopiani sono molto rigogliosi di
vegetazione, sembra di essere nell’Eden del mondo.
Ogni
spostamento era un'avventura poteva succederci qualcosa di nuovo da un momento
all'altro, ma meglio così, l'imprevisto ci riempiva lo spirito.
Panorama
incredibile, nonostante l'altitudine la vegetazione sprizzava da ogni angolo.
Arrivati
alle Thomson Fulls' piantammo la nostra tenda nelle vicinanze delle cascate
incuranti dell'umidità che ci avrebbe inghiottito nella notte.
L'acqua
potente che cadeva sul fondo, formava un arcobaleno ricco di colori, scendemmo
fino alla gola, dove c'era una vegetazione tropicale quasi irreale, il colore
dell'acqua era marrone e il vapore di essa ci sfiorava dolcemente il viso
rinfrescandoci dalla fatica sostenuta.
Tornammo
su piano perché il dislivello era molto.
Quella
sera quando il buio ci avvolse, vidi la nube di Magellano, sembravano diamanti
incastonati fra di loro, formavano un unico gioiello, il cielo. Marco mi disse
di guardare con il binocolo con il quale avrei avuto una splendida sorpresa.
Guardai attraverso il binocolo e vidi migliaia e migliaia di stelle, formando
fra loro un'intensa luce brillante. Mi accorsi che il cielo era limpido e
pulito, cosa che purtroppo ormai, dove vivo io, questo fatto non esiste più.
Al
mattino al nostro risveglio sentimmo la rugiada sgocciolare, però era
all'interno della nostra tenda bagnandola completamente. Le condizioni
all'esterno le lascio alla fantasia!
Fortunatamente
noi due, eravamo asciutti, ci dolevano un po’ i polmoni, probabilmente avevamo
assimilato troppa umidità durante la notte.
Alla
mattina c'erano dei tacchini che ci aspettavano nella zona del campeggio per
darci l'augurio della buona giornata.
Anny,
che lavorava al campo disse che questi animali avevano una certa simpatia per le
donne, infatti, appena ne vedevano una le correvano incontro dicendo qualche
cosa,.. situazione molto comica!
Arrivammo
nella sala della colazione e per riuscire a scaldarmi presi un bel piatto di
porrigde, non male pensavo dall’aspetto sembrava peggio.
Nyeri
La
mattina stessa partimmo verso Nyeri per poi raggiungere l'Aberdare National
Park.
Attraversammo
la linea dell'Equatore, ci trovavamo esattamente nel centro della terra.
Le
strade di Nyeri non erano asfaltate, anzi, erano in condizioni che nel dire
disastrose è dir poco. C'erano buche profonde ovunque, bisognava muoversi tipo
gincana per non rischiare di caderci dentro. Come strada era la peggiore di
tutte quelle che avevamo percorso fino a lì, (persino la strada per il Masai
era migliore, incredibile!)
Prima
di poter visitare il parco bisognava fare tappa in un albergo molto
"in" (dove si vedeva chiaramente che era stato costruito apposta per
noi bianchi viziati), infatti, per i turisti, il proprietario aveva organizzato
uno spettacolo di intrattenimento facendo esibire un gruppo di Mau-Mau, molto
caratteristico ma anche troppo finto.
Da
questo albergo bisognava raggiungere il parco con una guida, perché era vietato
andarci per conto proprio.
Non
sapendo che bisognava essere accompagnati da una guardia armata Marco ed io
avevamo provato a far da soli, girammo senza sapere dove bisognava andare
esattamente e come al solito trovammo la strada giusta. Ci avvicinammo alle
porte del parco ma qui fummo fermati da un ranger che, incredulo nel vedere due
bianchi da soli, ci spiegò la prassi da seguire, per accedere al parco.
Pensammo
per qualche minuto il da farsi, se abbandonare il nostro mezzo per raggiungere
il parco con la guida e una decina di turisti spagnoli oppure se dirigerci verso
gli altopiani di Samburu che distavano da Nyeri circa 200km. Scegliemmo la prima
opzione perché eravamo troppo stanchi per continuare a guidare e ci dirigemmo
con il matatu all’Aberdare.
L'alloggio
era un grosso albergo rifugio, fatto esclusivamente di legno, con un'enorme
terrazza dove si potevano ammirare gli animali nelle ore notturne. A noi ci
assegnarono la Suite, disponeva di un balcone privato contrariamente alle altre
camere, perciò avevamo la possibilità di gustarci in pace gli animali che
venivano ad abbeverarsi, proprio di fronte alla nostra cameretta, (gli spagnoli
sono simpatici ma troppo rumorosi).
Nella
pozza c'erano, babbuini, antilopi d'acqua, facoceri, ibis (questi ultimi erano
perennemente in acqua), piccioni dall'occhio rosso e meravigliosi buceri, mi
ricordo l'espressione di Marco quando li vide mi disse che era veramente
emozionato, lo credo perché per un appassionato di uccelli come lui, avere la
possibilità di trovarsi a un metro di distanza da questi animali deve essere
un'emozione veramente forte. Alla sera vennero alla pozza elefanti che non
persero l'occasione di litigare con una iena, rinoceronti, bufali, tragelafi e
manguste dalla coda bianca.
Ci
svegliammo all'alba per lasciare il rifugio e tornare al paese di Nyeri.
Lungo
il tragitto incontrammo diversi bambini dai cinque ai nove anni di età, che
andavano a lavorare con la zappa sulla schiena. Sul viso avevano ancora il segno
del sonno, ma erano allegri fra di loro e come al solito ci salutarono tutti con
grandi sorrisi.
La
maggioranza dei genitori italiani sgrida i propri figli se dovessero tornare a
casa con i “vestitini” sporchi di terra, in Africa probabilmente se non si
hanno i vestiti sporchi potrebbe significare che non hanno fatto il loro dovere,
e questo ha dell’assurdo e dell’incredibile.
Purtroppo
il nostro tempo da trascorrere in Africa era quasi terminato.
Decidemmo
di tornare nelle vicinanze di Nairobi e lungo il tragitto regalammo gli ultimi
giochi ai piccoli che si incontravano lungo tutta la strada con le mucche da
portare al pascolo. Molti bambini si spaventavano nel vederci e scappavano via,
probabilmente avevano paura dell'uomo bianco, come a noi da piccoli ci
insegnavano a temere l’uomo nero.
Ci
fermammo in un piccolo paesino dove regalammo alcuni vestiti ad alcune donne che
erano sommerse da bambini di tutte le età, rimasero tutti meravigliati da
questo gesto, soprattutto la donne.
All
'Aberdare la temperatura cambia continuamente, le piogge sono abitudinarie,
infatti, la vegetazione è tropicale. Purtroppo quel giorno c'era un po’ di
foschia, e non riuscimmo a vedere il M. Kenya che è il secondo monte più alto
d'Africa.
Scendendo
sempre più a valle vedemmo diverse donne nei campi a lavorare la terra,
lavoravano per molte ore stando chinate tutto il tempo. La donna in Africa è
una sicurezza, è quella che si occupa della famiglia in tutto e per tutto.
Incontrammo lungo le carreggiate altre donne cariche di erba sulla schiena, per
costruire un nuovo tetto per la casa, oppure
cariche di legna da ardere.
Mi
sono immaginata mia madre in quelle condizioni e il nel mio cuore si è formata
una crepa.
Avvicinandoci
sempre di più a Nairobi, nei pressi di Tica, passammo davanti all’ azienda
multinazionale italiana Del Monte, famosa per i suoi prodotti ma soprattutto per
lo sfruttamento dei suoi dipendenti.
C’era
un grosso camion all’entrata dell’azienda carico di uomini in attesa che le
porte del cancello si aprissero garantendo loro una giornata di lavoro, ce
n’erano molti altri con le braccia alzate che chiedevano di salire sul mezzo
per poter lavorare almeno qualche ora, rassicurandosi così un pasto per se e
per la propria famiglia.
Queste
persone sapevano bene quali erano le condizioni disumane con cui dovevano
lavorare. Nelle coltivazioni di ananas vengono usati prodotti altamente tossici,
vengono usati prodotti scartati dall’Italia e dagli altri paesi sviluppati,
usano prodotti che in Italia ormai ne è vietata la vendita. Pesticidi
pericolosi sia per l’organismo umano che per l’ ambiente, purtroppo per
molti anni la Del Monte, ha potuto sfruttare il più possibile sia le persone
che l’ambiente.
I
lavoranti sono sottopagati, (se pagati), non hanno l’assistenza sanitaria,
muoiono di cancro e nessuno lo sa, o forse è meglio dire che lo sanno tutti ma
nessuno lo dice.
Nonostante
queste forti motivazioni di disoccupazione, decine di africani tutte le mattine
sono presenti davanti ai cancelli ad implorare una giornata di lavoro.
In
Italia da qualche anno è nato un movimento contro la Del Monte e questo ha
fatto si che alcune cose cambiassero, ma i miglioramenti sono minimi e poi sono
del parere che bisogna vedere con i propri occhi per rendersi conto dei veri
sviluppi.
Arrivammo
a Nairobi, in una giungla di ferro, macchine ovunque, furgoni, bus completamente
pieni di persone, troppe persone sopra ad un solo bus.
Le
strade sembravano tutte uguali, non essendoci delle indicazioni, divenne un
po’ difficoltoso trovare il nostro albergo.
Ci
superavano a destra e a sinistra, non c’era nessun regolamento di transito,
tutti suonavano con il clacson, ad un certo punto anche Marco ed io suonavamo
come loro, situazioni molto divertenti. Bellissimo!!
Trascorsi
dei momenti di confusione pura, non riuscivo più a leggere la cartina stradale
che tenevo in mano, fino a quando, fu la strada che trovò noi e ci condusse
all’albergo tanto cercato.
Marco
fu meraviglioso, non perse mai la calma, in alcuni momenti fu veramente
difficile riuscire a controllare il proprio io, sarà incredibile ma eravamo
felici anche di essere in mezzo a quell’ inferno di macchine, di smog e di
suoni di ogni genere.
National
Park di Nairobi
Come
saluto al Kenya, l’ultimo giorno visitammo il National Park di Nairobi.
Entrambi
non ci aspettavamo di vedere cosi tanti animali.
Appena
entrati nel parco vedemmo mimetizzato nell’erba alta, un gattopardo,
“mondo”in swahili. Aveva il manto simile al ghepardo, ma il gattopardo è di
taglia più piccola, ci guardava diritto negli occhi, Marco non si fece scappare
l’occasione di fotografarlo.
Quando
decise che il tempo a nostra disposizione era terminato, si allontanò
mischiandosi totalmente con il colore della vegetazione.
Ci
inoltrammo nella savana e vicino ad una concentrazione di piante assistemmo ad
un evento credo da National Geographic. Un gruppo di babbuini aggredì
un’impala e il suo piccolo.
Proprio
per il piccolo furono assaliti, la madre lottò con tutte le sue forze,
purtroppo inutili perché i babbuini erano molto feroci, avevano artigli e denti
lunghi e potevano affliggere ferite anche mortali.
La
madre quando si accorse di noi si comportò come se fossimo anche noi animali,
abbiamo letto nei suoi occhi una richiesta di aiuto, che però non ha ricevuto.
Marco
mi disse che era terribile quello che stavamo assistendo, ma assolutamente non
dovevamo fare nulla, anzi qualche nostro movimento poteva essere una svolta per
la loro vita. Sembra assurdo ma è così. Fu un evento particolare perché i
babbuini generalmente sono vegetariani e se si comportano in quel modo è perché
c’è una situazione di sopravvivenza estrema, che porta all’essere vivente
cambiamenti drastici pur di rimanere in vita, per continuare la propria specie.
Mi
accorsi di quanto deve essere difficile essere una gazzella o qualsiasi altro
animale con poche possibilità di difesa, sarà una vita solo di terrore o anche
di gioia? Io credo anche di gioia, i piccoli quando sono vicini alla propria
madre, riconosciuta dall’odore, sono felici di sapere che possono nutrirsi ed
a essere nuovamente coccolati.
Marco
disse ai guardiani del parco quello che avevamo visto e i ranger, rimasero molto
sorpresi talmente tanto che quasi non credevano a quello che avevamo visto, un
comportamento così disperato del babbuino.
Una
delle guardie per ringraziarci dall’informazione fornitagli, ci disse che lì
vicino aveva visto due pitoni. Meraviglioso, i rettili ci mancavano!!
Io
sinceramente pensai che scherzasse perché forse lo avevamo ingelosito del
nostro avvistamento, ma quando disse che se avessimo voluto ci avrebbe
accompagnato allora i miei pensieri maligni svanirono.
Lo
seguimmo in mezzo alla savana a piedi, arrivammo sulla riva del fiume, quasi in
secca, e li sotto ad alcuni cespugli, c’erano due pitoni, distanti uno
dall’altro qualche metro.
Il
ranger ci disse che potevamo avvicinarci solamente ad uno di questi splendidi
animali.
Disse
“questo,- indicando quello più vicino a noi,- ha mangiato da poco una
gazzella, perciò non è pericoloso, ci si può avvicinare, ma lentamente” -
continuò – “almeno per due settimane rimane in quella posizione per
digerire il suo pasto”- prosegui - “l’altro,
è meglio non avvicinarsi, non ha ancora mangiato e potrebbe essere molto
pericoloso, se ti afferra ti butta in acqua e ti affoga per poi mangiarti”.
Rimasi incredula di quest’ultima informazione, ma per poco perché quando mi
avvicinai a un metro dal pitone sazio, riconobbi nel gonfiore della sua pancia,
una forma grande come una gazzella! Al ritorno ringraziammo tantissimo il ranger
che ci aveva accompagnati, senza che noi gli chiedessimo nulla.
In
Africa abbiamo visto praterie immerse di animali selvaggi, abbiamo odorato il
profumo di un’aria incontaminata, abbiamo sentito le musiche e i suoni di un
popolo eterno, abbiamo condiviso con loro momenti di vita quotidiana in armonia
e semplicità, tutti valori ormai persi, nella nostra società.
Queste
sono solo alcune delle meravigliose caratteristiche della gente africana, quello
di essere sempre pronti, disponibili e solidali con il prossimo, qualsiasi sia
il colore della pelle. Non fanno differenza di razza, non hanno pregiudizi.
Vivono nella povertà più estrema, ma sono il popolo più ricco di valori del
mondo.
Abbiamo
visto bambini impazzire dalla gioia quando gli regalammo delle palle per
giocare, in Africa ogni cosa ha valore.
Abbiamo
visto bambini frugare nell’immondizia, cercando con speranza qualche cosa da
mangiare, ma lo facevano senza piangere, erano tristi ma non afflitti. Da noi i
bambini se non gli si comprano le figurine alla moda si rischia di doverli
rinchiudere in centri di recupero per lo stress.
Abbiamo
visto bambini di cinque o sei anni lungo le strade che accompagnavano il loro
piccolo bestiame, lontano da casa, per potergli trovare dell’erba fresca.
Abbiamo
visto donne e uomini trasformati in muli portando sul calesse le loro mercanzie
per andarle a vendere al paese vicino, che magari dista dalla loro casa decine
di chilometri.
Oppure
quelli che il calesse non se lo potevano permettere, mettevano sulle loro
schiene pesi disumani, trasformandosi loro stessi in calessi.
Abbiamo
visto un popolo povero, ma fiero e unico nelle sue tradizioni. Sembra che il
tempo si sia fermato, rimanendo tutto come era una volta, solamente in Europa ci
si accorge di come passa il tempo e la maggior parte delle volte senza
rendersene conto.
Spero
di poter tornare presto in quella terra di radici, perché lì ho ritrovato
l’essenza della vita.
Asante
sana Africa.