L'articolo II della Costituzione degli Stati Uniti prevede un Presidente e un vice Presidente in carica per un periodo di quattro anni; vengono eletti da un collegio elettorale di secondo grado (cioè da persone elette a loro volta dal voto popolare) chiamato Electoral College e formato da un numero di elettori per ogni Stato pari a quello dei senatori (2 per ogni Stato) e deputati (in numero variabile a seconda della popolazione dello Stato).
Il Presidente riassume in sé la funzione di primo ministro e di capo dello Stato. La Costituzione stabilisce che il Presidente sia anche il comandante in capo dell'esercito; il Congresso attua tuttavia un controllo sui poteri militari del Presidente, ed è proprio al Congresso che spetta l'eventuale decisione di entrare in guerra. I poteri diplomatici del Presidente comprendono: la negoziazione di trattati e la nomina di ambasciatori all'estero (decisioni da prendere con il consenso dei due terzi del Senato), l'accettazione degli ambasciatori stranieri e le intese per concertare azioni comuni con capi di stato esteri.
La data delle elezioni è fissata dalla legge federale per il martedì successivo al primo lunedì di novembre del quarto anno dopo l’ultima elezione di un Presidente. Il giorno delle elezioni (Election Day) presidenziali dell'anno 2000, cade il 7 novembre.
Quando i cittadini si recano alle urne, il giorno delle elezioni, votano non soltanto per il Presidente, ma essenzialmente - dato il sistema elettorale - anche per un certo numero di Grandi Elettori, che si riuniranno in seguito per eleggere il Presidente e il Vice Presidente. In alcuni Stati, i nomi di questi Elettori vengono elencati sulle schede insieme a quelli dei candidati ufficiali alla Presidenza e alla Vice Presidenza, anche se, in genere, le schede riportano soltanto i nomi di questi ultimi due. Questi Elettori, nominati dai partiti in tutti gli Stati in numero pari ai seggi parlamentari (senatori e deputati) a disposizione di ciascuno Stato, costituiscono il Collegio degli Elettori. Essi votano Stato per Stato.
La tabella seguente riporta, Stato per Stato, il numero dei Grandi Elettori, in aggiunta ai tre del Distretto di Columbia, dove si trova la città (da non confondere con l'omonimo Stato) di Washington d.c., la sede della White House.
Alabama 9 |
Alaska 3 |
Arizona 8 |
Arkansas 6 |
California 54 |
Colorado 8 |
Connecticut 8 |
Delaware 3 |
Distretto di Columbia 3 |
Florida 25 |
Georgia 13 |
Hawaii 4 |
Idaho 4 |
Illinois 22 |
Indiana 12 |
Iowa 7 |
Kansas 6 |
Kentucky 8 |
Louisiana 9 |
Maine 4 |
Massachussets 12 |
Maryland 10 |
Minnesota 10 |
Michigan 18 |
Mississippi 7 |
Missouri 11 |
Montana 3 |
Nebraska 5 |
Nevada 4 |
New Hampshire 4 |
New Jersey 15 |
New Mexico 5 |
New York 33 |
North Carolina 14 |
North Dakota 3 |
Ohio 21 |
Oklahoma 8 |
Oregon 7 |
Pennsylvania 23 |
Rhode Island 4 |
South Carolina 8 |
South Dakota 3 |
Tennessee 11 |
Texas 32 |
Utah 5 |
Vermont 3 |
Virginia 13 |
Washington 11 |
Wisconsin 11 |
West Virginia 5 |
Wyoming 3 |
Il numero totale di Grandi Elettori è 538; la metà + uno= 270, è il numero necessario per ottenere il mandato presidenziale. Dunque, diventerà Presidente colui che conquista la metà dei grandi elettori più uno. Questo significa che non è necessaria la maggiorenza dei voti popolari. Infatti, consideriamo per esempio l' Alaska, ove si acquisiscono 3 elettori. Ora, supponiamo che il candidato A, prenda 41 voti popolari ed il candidato B ne prenda 30: il candidato A si aggiudica tutti i 3 Elettori.
Nel Nevada si acquisiscono 4 Elettori. supponiamo che il candidato A prenda 35 voti popolari ed il candidato B ne prenda 36: il candidato B si aggiudica i 4 Elettori; così, per questi due Stati, è in vantaggio sul candidato A, sebbene abbia complessivamente un minor numero di voti popolari (A=41+35; B=30+36). Ovviamente, per effetto dell'affluenza alle urne una situazione analoga può ripetersi in più Stati... E' certo una magra consolazione per il candidato sconfitto, ma sono le regole dettate dalla Costituzione. Tuttavia, queste regole (come ha dimostrato l'esempio) - nell'intenzione dei Padri Fondatori - permettono di garantire ad ogni Stato un proprio peso politico; diversamente, i candidati svolgerebbero le loro campagne solo negli Stati più popolosi. Ma, ed è bene sottolinearlo, il Presidente degli Stati Uniti non è il Presidente degli americani!
Un sistema così particolare, presta il fianco a due critiche. La prima, concreta; la seconda, fantasiosa ma che merita comunque di essere citata. Cominciamo dalla prima in quanto la seconda ne potrebbe essere la conseguenza.
Dato il risalto che i mass-media dedicano all'evento, può sembare che il Presidente venga eletto nell'ElectionDay. In realtà, in quel giorno vengono scelti gli Elettori presidenziali, che costituiscono il Collegio degli Elettori. Il fatto è che, salvo che in casi particolari, è facile tradurre i voti popolari della nazione in voti elettorali del Collegio degli Elettori. Perciò quasi sempre il nome del nuovo Presidente viene reso noto la sera delle elezioni. Tuttavia, gli Stati Uniti hanno un solo Presidente per volta: il mandato presidenziale in corso termina a mezzogiorno del 20 gennaio 2001. Il Presidente-eletto assume le funzioni di Presidente nell’istante in cui presta giuramento, proprio quello stesso giorno.
Nella notte del 7 novembre 2000, il popolo degli Stati Uniti è stato chiamato ad eleggere il 43mo Presidente degli Stati Uniti. I due maggiori candidati erano il democratico Al Gore ed il repubblicano George W. Bush. I sondaggi hanno dato vincente Bush pur con 246 grandi elettori conquistati contro i 260 di Gore (mancava la Florida e l'Oregon). Infatti, dai sondaggi veniva attribuita la Florida a Bush e quindi 246+25=271 grandi elettori necessari e sufficienti per diventare Presidente.
Però, qualcosa è andato storto: i sondaggi non erano così accurati ed alla fine Bush si avvantaggiava su Gore per poco più di un migliaio di voti popolari: quanto bastava per far scattare una legge della Florida che prevede il riconteggio delle schede votate se la differenza nei voti acquisiti tra i due candidati è troppo bassa. Ed ecco che entrano in gioco i Grandi Elettori... questi, seguono il risultato dei voti popolari, ma qualcuno, il 18 dicembre, data la discutibilità del risultato, potrebbe decidere di dare i voti all'altro candidato!
Per esempio, nel 1876, il democratico Samuel Tilden ottenne circa 250 mila voti popolari più del repubblicano Rutherford Hayes, ma per una contestazione ebbe 22 voti del Collegio degli Elettori meno di lui. Hayes divenne Presidente col margine di un solo voto del Collegio.
Una certa polemica riguarda i sondaggi (per quanto realizzati correttamente) che - con metodi statistici - cercano di prevedere l’esito di una votazione o un referendum. Infatti, si pensa che possono indirettamente favorire un candidato o influenzare un risultato. Ad esempio, dando per certa la vittoria di un candidato politico, o l’esito di un referendum, molti cittadini sostenitori del candidato, o della proposta dati per "svantaggiati", possono essere indotti a non perdere tempo per votare. |
Chi vincerà - per lo scopo di questa lettura - non è importante. Quello che mi interessava era proporvi uno stralcio da un racconto breve di Isaac Asimov...
Si è più volte sottolineato che la televisione omogenizza gli spettatori proponendo programmi sostanzialmente uguali. Per questo, molti critici sostengono che ciò comporterà una sorta di irreggimentazione allaOrwell, dove tutte le persone saranno uguali ma alcune più uguali delle altre. Così, Isaac Asimov, nella breve novella Franchise (titolo it. Oggi si vota), descrive il procedimento per l'elezione del Presidente degli Stati Uniti del 2008. Il tutto è affidato non ad un Collegio, bensì ad un unico uomo, il Grande Elettore (perché, almeno in teoria ne basta uno) ...
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Ci sono tre tipi di bugie: le bugie, le bugie sfacciate, e le statistiche.
(Benjamin Disraeli)