l'evoluzione di una favola


L'ormai semisconosciuto Giornale dei genitori (dicembre del 1971), proponeva uno scritto - a firma Sara Melauri Cerrini - sulla morale del Gatto con gli stivali. L’autrice accusava la fiaba di farsi portatrice di una morale decisamente discutibile: con l’astuzia e l’inganno, si può divenire potenti come i re. E in mancanza di doti naturali, è bene affidarsi a chi conosce i trucchi dei potenti, per esempio un essere furbo e politico come il gatto.
Nel 1973, Gianni Rodari, nel suo Grammatica della fantasia. Introduzione all’arte di inventare storie, dedicò la scheda: "Difesa del Gatto con gli stivali". Rodari scriveva: «Il bambino riesce forse a sentire che il nocciolo più autentico della fiaba non è la carriera del falso marchese di Carabas, ma il rapporto tra il giovane e il gatto, tra l’orfanello e l’animale». Per completare la sua difesa della fiaba, Rodari citava Laura Conti che, a sua volta, aveva composto una nuova "Difesa del Gatto con gli stivali": «non il "contenuto" ma il "movimento" era l’essenziale della fiaba. Il contenuto poteva anche essere conformista, reazionario, ma il movimento era ben diverso, poiché dimostrava che nella vita quel che conta non è l’amicizia dei Re ma l’amicizia dei Gatti, cioè delle piccole creature sottovalutate e deboli, che sanno imporsi ai potenti».

Quella che segue è la favola del Gatto con gli stivali. Se non la conoscete, o l'avete dimenticata, leggetela giacché costituisce uno spunto interessante per mostrare come certe dicussioni siano del tutto futili. Infatti, le favole in qualche modo riassumono la cultura della società nel contesto in cui sono scritte e modificate...

Esistono numerose traduzioni e riduzioni della favola Il gatto con gli stivali. Ve ne propongo quattro: la prima è più fedele al testo originario di Charles Perrault; la seconda è un po' diversa, la terza è politicamente corretta; la quarta...

diciottesimo secolo

Un mugnaio, morendo, non lasciò altra eredità ai suoi tre figliuoli che un mulino, un asino e un gatto. Le divisioni perciò furono presto fatte, e non ci fu bisogno di chiamare né il notaio, né il procuratore, i quali avrebbero finito col mangiarsi anche quel poco che c'era.
Il maggiore si prese il mulino, il secondo l'asino e il più giovane dei fratelli dovette accontentarsi del gatto. Quest'ultimo però non poteva darsi pace di essere stato trattato cosi male e diceva tra sé : «I miei fratelli potranno guadagnarsi la vita onestamente mettendosi in società; io invece, quando avrò mangiato il mio gatto e mi sarò fatto un colletto col suo pelo, dovrò rassegnarmi a morire di fame».

il gatto in eredita'II Gatto, che aveva compreso ogni cosa, pur fingendo di non darsene per inteso, disse con aria seria e grave: «Non tormentatevi così, padrone! Procuratemi invece un sacco e un paio di stivali, perché io possa camminare tra gli sterpi del bosco, e vedrete che non siete stato cosi sfortunato come credete nell'eredità».

Sebbene il padrone del gatto non facesse molto affidamento su quelle parole, tuttavia non disperò di ricevere da lui un po' d'aiuto nella sua miseria. Quante volte, infatti, lo aveva visto fare dei giochi di abilità per prendere i topi, ora lasciandosi penzolare e tenendosi per le zampe posteriori, ora nascondendosi nella farina e facendo il morto!
Allorché il Gatto ebbe ottenuto ciò che aveva chiesto, infilò gli stivali alla brava, si pose il sacco sulle spalle, tenendone i cordoni con le due zampe davanti, e si diresse verso una riserva di caccia, dove si trovavano molti conigli selvatici. Giunto là, mise un po' di crusca e d'insalata nel sacco, e si stese a terra come se fosse morto, in attesa che qualche coniglietto giovane e poco esperto degli inganni di questo mondo venisse a cacciarsi in quella trappola, spinto dalla voglia di mangiare ciò che il Gatto vi aveva astutamente posto dentro. Si era appena sdraiato, che la sua trovata funzionò. Nel sacco, infatti, era entrato un coniglietto! Quel furbacchione di un gatto tirò alla svelta i cordoncini, poi prese la bestiolina e la uccise senza misericordia.
Tutto trionfante per la preda fatta, si recò dal Re e domandò di parlargli. Lo fecero salire agli appartamenti di Sua Maestà; e qui il Gatto, fatta una grande riverenza al sovrano, disse: «Sire, accettate questo coniglio di riserva, che vi manda il marchese di Carabas» (era questo un nome inventato li per li dalla fertile fantasia del nostro Gatto).

«Dì al tuo padrone» rispose il Re «che lo ringrazio e che ho molto gradito il suo presente».

Un'altra volta il Gatto andò a nascondersi in mezzo al grano, e dispose sempre il sacco in modo che stesse aperto. Appena vi entrarono due pernici, tirò i cordoncini e le prese tutte e due.
Si recò nuovamente dal Re, come aveva fatto per il coniglio. Il sovrano gradi moltissimo anche questo regalo, e fece dare una mancia all'insolito servitore. Il Gatto continuò cosi per due o tre mesi a portare di quando in quando al Re la selvaggina che, diceva lui, aveva cacciato il suo padrone.

Un giorno, avendo saputo che il Re doveva andare a fare una passeggiata in carrozza lungo la riva del fiume assieme alla figlia, che era la più bella Principessa del mondo, disse al padroncino: «Se badate al mio consiglio, la vostra fortuna é fatta: andate a fare il bagno nel fiume, nel punto che io vi indicherò, e poi lasciate fare a me».

Il sedicente marchese di Carabas fece quello che il Gatto gli aveva consigliato, senza sapere quale fosse lo scopo di tutto ciò. Mentr'era nell'acqua, il Re si trovò a passare da quelle parti, il gatto si mise a urlare con quanto fiato aveva in gola :«Aiuto ! Aiuto! Il marchese di Carabas sta annegando!»

A quel grido il Re mise fuori la testa dal finestrino, e, riconoscendo il gatto, che gli aveva portato tante volte la selvaggina, ordinò alle guardie di correre in aiuto del marchese di Carabas.
Intanto che il povero marchese veniva ripescato dal fiume, il gatto si avvicinò alla carrozza e raccontò al Re che, mentre il suo padrone era nell'acqua, erano sopraggiunti dei ladri, che gli avevano rubato i vestiti, sebbene il poveretto si fosse affannato a gridare «al ladro! al ladro!»

Invece era stato quel furbacchione del Gatto a nascondere gli abiti del padrone sotto una grossa pietra!
Il Re ordinò immediatamente agli ufficiali addetti al suo guardaroba di andare a prendere uno dei suoi vestiti più belli per il marchese di Carabas. Quando il giovane li ebbe indossati, si presentò al Re, e questi gli usò mille gentilezze.
Quegli abiti gli stavano veramente bene e mettevano in risalto la naturale bellezza dei suoi tratti e 1'eleganza della persona, tanto che la figlia del Re se ne senti subito attratta. Bastarono due o tre occhiate, un poco tenere, per quanto molto rispettose, perché la fanciulla se ne innamorasse perdutamente.
Il Re riprese la passeggiata interrotta e volle che il giovane salisse sulla carrozza e li accompagnasse.
Il Gatto, felice di vedere che tutto procedeva secondo il suo disegno, andò avanti per conto suo.
Lungo la strada incontrò alcuni contadini che falciavano un prato e disse loro: «Buona gente che falciate l'erba, se non dite al Re, quando passerà di qui, che questo prato appartiene al marchese di Carabas, finirete tagliati a pezzettini come carne da polpette».

Tosto sopraggiunse il Re, che per l'appunto chiese ai contadini di chi fosse quel prato che stavano falciando. E quelli risposero in coro, spaventati dalle minacce del Gatto: «Del marchese di Carabas».

«Avete una bella proprietà!» disse il Re al marchese.
«Come vedete, Sire» rispose il giovane, «é terra fertile, e tutti gli anni mi dà un ottimo raccolto».

L'astuto Gatto, che li precedeva sempre, incontrò alcuni mietitori e disse loro:
«Buona gente che tagliate il grano, se non dite che queste messi appartengono al marchese di Carabas, finirete tagliati a pezzettini come carne da polpette».
Il Re, che passò di là subito dopo, volle sapere di chi fosse tutto quel grano che vedeva.
«È del marchese di Carabas« risposero i mietitori; e il Re se ne rallegrò col giovane.

Il Gatto, che camminava sempre davanti alla carrozza, continuava a dire la stessa cosa a tutti quelli che incontrava lungo la strada; cosi il Re non finiva più di meravigliarsi delle grandi ricchezze del marchese di Carabas. Finalmente il nostro Gatto giunse a un bel castello di proprietà di un Orco, che era il più ricco che si fosse mai visto; infatti tutte le terre che il Re aveva percorso con la carrozza, erano di sua proprietà.

un orco che si traformaIl Gatto, che aveva avuto l'accortezza di informarsi chi fosse quell'Orco e quali prodigi sapesse compiere, chiese di potergli parlare, dicendo che non aveva voluto passare così vicino al suo castello senza avere l'onore di venirgli a rendere omaggio. L'Orco lo ricevette con la buona grazia che può avere un Orco e lo fece accomodare perché si riposasse. Allora il Gatto prese a dire: «Mi hanno assicurato che avete la capacità di mutarvi in ogni sorta di animali; che potete, per esempio, trasformarvi in leone oppure in elefante».
«È vero» rispose l'Orco con fare brusco, «e, per dimostrarvelo, diventerò un leone sotto i vostri occhi».

Il povero Gatto si spaventò talmente nel vedersi davanti quella bestia feroce, che si rifugiò sulle grondaie, non senza qualche difficoltà e col rischio anche di cadere, a causa degli stivali, che non erano certo adatti per camminare sulle tegole.
Dopo un po', avendo visto che l'Orco aveva ripreso le sue solite sembianze, si decise a scendere e ammise di avere avuto molta paura.
«Mi hanno anche assicurato» riprese a dire il Gatto, «ma io stento a crederci, che avete la facoltà di trasformarvi anche in un animale piccolissimo, come la talpa e il topo: vi confesso però che tutto ciò mi sembra davvero impossibile».

«Impossibile?» disse l'Orco. «Ora vedrete!»
Cosi dicendo si mutò in un topolino e prese a correre sul pavimento della stanza. Il Gatto, appena lo vide, si gettò come un lampo su di lui e ne fece un boccone.
In quel mentre il Re, che nel passare di là aveva notato il magnifico castello dell'Orco, volle entrare per visitarlo. Il Gatto, udendo il rumore della carrozza, che attraversava il ponte levatoio, corse incontro al Re e gli disse: «Vostra Maestà sia la benvenuta nel castello del marchese di Carabas!»
«Ma come, marchese!» esclamò il Re; «questo castello é dunque vostro? Non ho mai visto niente di più bello: che eleganza ed armonia di linee, quale grandiosità e che splendidi giardini. Visitiamone l'interno, se non vi dispiace».

Il marchese offrì la mano alla giovane Principessa, e assieme seguirono il Re, il quale si era avviato per primo.
Entrarono in una grande sala, dove trovarono pronta una magnifica colazione, che l'Orco aveva fatto preparare per i suoi amici. Questi avrebbero dovuto venire a trovarlo proprio quel giorno, ma poi non osarono farlo, avendo saputo che era giunto il Re. Il Sovrano, conquistato dalle buone maniere del marchese di Carabas, - che dire poi della figlia, che ne era innamoratissima - e vedendo la vastità dei suoi possedimenti, gli disse, dopo aver bevuto cinque o sei bicchieri di vino: «Dipende soltanto da voi, marchese, se volete diventare mio genero».

Il marchese si profuse in riverenze, accettò volentieri l'onore che il Re gli faceva, e il giorno stesso sposò la Principessa.

Naturalmente il gatto rimase con gli sposi. Ebbe un bel cuscino di seta accanto al fuoco, nella sala del trono durante l'inverno, ed una bella cuccetta sotto il pergolato d'estate.
Il figlio del mugnaio diventò dunque il marito della Principessa, ma, siccome era un giovane onesto e sincero, non volle continuare ad ingannare la moglie ed il Re. Raccontò come erano andate veramente le cose, spiegò per filo e per segno quello che aveva architettato il gatto, dalla prima fortunata caccia nel bosco al colpo maestro dell'uccisione dell'Orco e alla conquista del castello.
Liberato da questo peso, visse felice con la sua sposa ed ebbe tanti figliuoli, che giocarono allegramente col gatto per nulla meravigliati di vedergli indosso gli stivali ed ascoltarono anch'essi, divertendosi un mondo, la storia del cattivo Orco, trasformato in topino e divorato dal gatto.

diciannovesimo secolo

Il gatto con gli stivali venne tradotto e riadattato da Carlo Lorenzini (1826-1890), noto con lo pseudonimo Collodi (dal nome del paese in provincia di Prato di cui era originaria la madre).

Avvertenza
Nel voltare in italiano i Racconti delle fate m'ingegnai, per quanto era in me, di serbarmi fedele al testo francese. Parafrasarli a mano libera mi sarebbe parso un mezzo sacrilegio. A ogni modo, qua e là mi feci lecite alcune leggerissime varianti, sia di vocabolo, sia di andatura di periodo, sia di modi di dire: e questo ho voluto notare qui di principio, a scanso di commenti, di atti subitanei di stupefazione e di scrupoli grammaticali o di vocabolario. Peccato confessato, mezzo perdonato: e così sia.

Un mugnaio, venuto a morte, non lasciò altri beni ai suoi tre figliuoli che aveva, se non il suo mulino, il suo asino e il suo gatto.
Così le divisioni furono presto fatte: né ci fu bisogno dell'avvocato e del notaro; i quali, com'è naturale, si sarebbero mangiata in un boccone tutt'intera la piccola eredità.
Il maggiore ebbe il mulino. Il secondo, l'asino. E il minore dei fratelli ebbe solamente il gatto.
Quest'ultimo non sapeva darsi pace, per essergli toccata una parte così meschina.

«I miei fratelli», faceva egli a dire, «potranno tirarsi avanti onestamente, menando vita in comune: ma quanto a me, quando avrò mangiato il mio gatto, e fattomi un manicotto della sua pelle, bisognerà che mi rassegni a morir di fame.»

il gatto in eredita'Il gatto, che sentiva questi discorsi, e faceva finta di non darsene per inteso, gli disse con viso serio e tranquillo: «Non vi date alla disperazione, padron mio! Voi non dovete far altro che trovarmi un sacco e farmi fare un paio di stivali per andare nel bosco; e dopo vi farò vedere che nella parte che vi è toccata, non siete stato trattato tanto male quanto forse credete».

Sebbene il padrone del gatto non pigliasse queste parole per moneta contante, a ogni modo gli aveva visto fare tanti giuochi di destrezza nel prendere i topi, or col mettersi penzoloni, attaccato per i piedi, or col fare il morto, nascosto dentro la farina, che finì coll'aver qualche speranza di trovare in lui un po' di aiuto nelle sue miserie.

[... omissis...]

Il Re, contento da non potersi dire, delle belle doti del marchese di Carabà, al pari della sua figlia, che n'era pazza, e vedendo i grandi possessi che aveva, dopo aver vuotato quattro o cinque bicchieri, gli disse: «Signor Marchese! se volete diventare mio genero, non sta che a voi»".

Il marchese, con mille reverenze, gradì l'alto onore fattogli dal Re, e il giorno dopo sposò la Principessa.

Il gatto diventò gran signore, e se seguitò a dar la caccia ai topi, lo fece unicamente per passatempo.

Godersi in pace una ricca eredità, passata di padre in figlio, è sempre una bella cosa: ma per i giovani, l'industria, l'abilità e la svegliatezza d'ingegno valgono più d'ogni altra fortuna ereditata.

Da questo lato, la storia del gatto del signor marchese di Carabà è molto istruttiva, segnatamente per i gatti e per i marchesi di Carabà.


se avete letto con attenzione, avrete certamente notato una "leggerissima variante"... il sedicente marchese non confessa l'imbroglio!
In effetti, c'è una ragione plausibile: i tempi e la necessaria morale è cambiata: tra la versione di Perrault e la "variante" di Collodi, ci fu la rivoluzione francese! Con la rivoluzione, venne abolita la monarchia ed il concetto di sudditanza alla nobiltà: fatto non irrilevante, l'autore non doveva sottolineare la necessità di affidarsi alla compiacente comprensione del potente!

ventesimo secolo

Molti anni fa, in un piccolo villaggio del nord Europa, viveva un mugnaio, molto operoso e i suoi tre figli. Poiché la vecchiaia si avvicinava, egli si preoccupava della loro sorte. Sapeva che il mulino non poteva mantenere tutti, una volta che i figli avessero preso moglie, così molto spesso parlava ai suoi ragazzi delle sue paure ed essi rispondevano: « Non preoccuparti troppo. Nessuno di noi ha intenzione si sposarsi!»
Il tempo passava e un brutto giorno il vecchio mugnaio si ammalò. Sentendo avvicinare la fine, chiamò i suoi tre figli e disse loro: « Voi sapete già cosa erediterete: il maggiore avrà il mulino, il secondo avrà l'asino e per te Marco, che sei il più piccino, c'è il gatto. Continuate a volervi bene e lavorate.»
I figli non risposero, le lacrime impedivano ogni parola. Restarono vicino al padre fino a quando il poveretto non rese l'anima a Dio. Dopo il funerale, i fratelli si riunirono per discutere del loro futuro. Il maggiore intendeva continuare il lavoro al mulino, il secondo si incaricava del trasporto del grano e della farina, aiutato dall'asino avuto in eredità e il povero Marco si lamentava:« Che triste destino! Cosa posso fare con questo gatto?»

Ma la sorpresa fu grande quando si sentì rispondere dal gatto: « Non preoccuparti padroncino, io ti aiuterò. Se farai quello che ti dico, diventerai ricco e potente».

[... omissis...]

Poco lontano dal villaggio, viveva un terribile orco, molto sanguinario, che terrorizzava tutto il reame. Era un gigante alto quasi tre metri e, per di più, aveva dei poteri magici che gli permettevano di trasformarsi in qualsiasi animale volesse, grande o piccolo. L'orco era anche molto ricco e il gatto lo vedeva spesso, di lontano,quando maltrattava i suoi lavoranti per ottenere più guadagni. Decise dunque di affrontare l'orco e si presentò alla porta del palazzo dove viveva. Tremante, bussò all'entrata principale.
« Avanti! - Ruggì la terribile voce del gigante».

Il gatto, facendosi coraggio, entrò. « Cosa vuoi, microbo? - Si sentì apostrofare».
« Ho percorso molte leghe per vedervi…»
Mentre pronunciava queste parole, l'astuto gatto, balzo sulla tavola per contemplare meglio l'orco.
« Non temere, non ti mangerò. Sarebbe come mangiare un'oliva per aperitivo… Ah! Ah! Un gatto con gli stivali…»
« Sono onorato di divertirvi tanto, mio signore. Non dimenticate che un essere piccolo come me può, a volte, venire utile a uno grande come voi».

Il gigante rispose:
« Se voglio, posso diventare ancora più piccolo di te.
« Si, me lo hanno ma io non ci credo.
« Chi te lo ha detto? - Volle sapere l'orco.
« Non voglio annoiarvi con i particolari, sappiate che, mentre chiedevo informazioni per raggiungere la vostra casa, mi è stato detto della vostra capacità di trasformarvi in qualsiasi animale, grande o piccolo che sia».
« E non lo credi?»
« Non dico questo. Ma…»
« Si o no?»

Il gatto finse di dubitare.
« Ebbene, sono certo che sappiate trasformarvi in elefante, o in leone, vista la vostra mole. Quello che non credo possibile è che vi possiate trasformare in un topolino.
Divertito, l'orco disse una parola magica e si tramutò in leone.
« Non tremare, stupido gatto! Ora sarai convinto».
« Si, vedo che non avete difficoltà nel diventare un leone, però ho dei dubbi che riusciate a diventare un topo».

Il gigante dichiarò vanitosamente: «Bah! Niente è impossibile».
Detto e fatto, si trasformò in un topolino. Il gatto con gli stivali, che non aspettava altro, saltò sul roditore e ne fece un sol boccone. La parte più pericolosa del piano era compiuta! Per di più il topolino era stato un pasto prelibato.

[... omissis ...]

Il Re ordinò subito degli abiti per il famoso marchese di Carabas che da tempo desiderava conoscere. Intanto il gatto corse verso la strada che conduceva verso la casa del terribile orco, lungo il cammino diceva ai contadini che incontrava: «Il mio padrone, illustrissimo marchese di Carabas ha eliminato l'orco e ha ereditato le sue proprietà: da oggi siete liberi dal tiranno e il mio padrone sarà generoso con voi».
I contadini e i servi, felici di essersi liberati dell'odiato orco, gridarono: « Viva il marchese di Carabas, il più nobile e coraggioso! Viva!»
Intanto, Marco, sorpreso per gli abiti eleganti portatigli dai servitori del Re, si recò alla carrozza dove venne accolto affabilmente!
« Sono molto felice di conoscervi, signor marchese di Carabas. Il vostro servo, il gatto con gli stivali, mi ha consegnato tutti i vostri graditi doni. Vogliate accettare, in cambio, un invito a cena».
Il ragazzo cadeva dalle nuvole, di quali doni parlava il Re? Non disse nulla perché ricordava le parole del gatto: «Qualunque cosa accada, ti dico che sarai ricco e che siamo vicini alla meta».
Marco si inchinò cerimoniosamente e accettò l'invito. Salì dunque sulla carrozza dov'era la bella Principessa, figlia del Re. Poco dopo percorrevamo la strada che attraversava i campi appartenuti all'orco, il Re volle sapere chi fosse il padrone di quello terre rigogliose e domandò ad un contadino: « Di chi sono questi campi?»
« Del nobile e generoso marchese di Carabas che ci ha liberati dall'orco. Meravigliato il Re si ricolse a Marco: «Dunque è così? L'orco è un temibile pericolo per tutto il regno».
Il figlio del mugnaio si limitò a dire: «Lo dicono i contadini…»
La Principessa lo ammirò ancora di più, per quelle parole dettate dalla modestia. Poco dopo incrociarono un bosco immenso, il Re volle sapere a chi appartenesse: « Buon uomo! - Chiese ad un taglialegna. - Chi è il padrone di questo bosco?»
« Tutto quello che vedete appartiene al marchese di Carabas!»
« Bene! Vedo che siete un uomo molto ricco. Mi chiedo come mai non ho mai sentito parlare prima d'ora di voi».
« E' che il grande rispetto che ho di voi, mi impediva di venire ad importunarvi».
La carrozza transitava per un crocevia. Il gatto con gli stivali attendeva e quando li vide disse: « Signor marchese, come mi avete ordinato, ho preparato un rinfresco a casa vostra».
Marco capì le intenzioni del gatto e disse al re: « Sareste così gentile da onorare la mia tavola? Sono certo che il mio cuoco ha cucinato i vostri piatti preferiti».
« E così, mio signore. - Confermò il gatto».

Arrivati alla casa appartenuta all'orco, ora diventata la dimora del marchese di Carabas, Marco aiutò la Principessa a scendere dalla carrozza. Il Re si disse che non c'era nessuno meglio di un uomo così ricco, per maritare sua figlia. Sedettero tutti alla tavola magnificamente preparata e gustarono cibi cucinati perfettamente. I domestici erano felici di servire gente così nobile ed educata.Quanto il pasto terminò il re disse: « Mi piacerebbe molto avervi come genero, signor marchese, cosa ne pensi, cara figlia?»
La Principessa non poté nascondere un moto di gioia e rispose: « I tuoi desideri sono ordini per me, padre…»
« Non era la risposta che io speravo, accetti di buon grado oppure no?»
Imbarazzata, la Principessa protestò: « Perché non lo domandate anche a lui, padre!»
« Nulla mi sarebbe più gradito. - Rispose il mugnaio entusiasta - Nessun'onore sarebbe più grande se la Principessa mi accettasse come sposo».
« Molto bene, è tutto risolto. - Decise il re. - Domani stesso annunceremo il vostro fidanzamento e vi sposerete al più presto».
E alzando il calice il Re continuò: « Brindiamo agli sposi! Oggi è il giorno più felice della mia vita.»
Il gatto con gli stivali, scoppiava dalla gioia e volle fare un brindisi anche lui: « Viva il nostro Re! Viva la Principessa! Viva il mio signore, il marchese di Carabas!»
Marco guardò il gatto con profonda gratitudine e il felino gli strizzo l'occhio in segno di intesa. Avevamo vinto! Una settimana dopo i due giovani si sposarono e i festeggiamenti furono indimenticabili. Il gatto, per l'occasione, sfoggiò un paio di stivali nuovissimi. Con il tempo, il figlio minore del mugnaio, divenne Re e governò con saggezza e giustizia attirandosi le simpatie di tutti. Inutile dire che lui e la sua sposa vissero felici e contenti.


se avete avuto la pazienza di leggere questa nuova versione, avrete certamente notato altre varienati: 1) Marco non pensa di mangiarsi il gatto; 2) Marco non imbroglia il re in quanto ha preso i suoi attuali possedimenti ad un orco (creatura malvagia); 3) il gatto non deve minacciare i contadini in quanto essi sono riconoscenti per averli liberati dall'orco!; 4) il re non offre direttamente a Marco la mano della figlia, ma le chiede il suo parere!

Questa versione (di cui ignoro l'autore) è "politicamente corretta", ma ha un difetto: propone ancóra una figura, l'orco, che è del tutto immaginaria. Ora, è opportuno sottolineare che se in secoli passati l'orco faceva parte di una certa cultura popolare, occupata anche da streghe, dèmoni, vampiri, ecc., oggi è imperativo avvertire il bambino che l'orco è solo un espediente letterario per visualizzare l'astratto concetto di male. In mancanza di tale precisazione, si corre il richio di procurargli angosce. Vale la pena di precisare che l'angoscia è ben differente dalla paura... Ecco un esempio per chiarire la differenza: se camminando di notte in un bosco odo un ululato, posso aver paura di un pericolo concreto, ma se sono turbato dalla luna piena, allora ho timore di un pericolo immaginario (i licantropi, per esempio). E questa, è angoscia. Così, mentre la paura è una sensazione costruttiva, in quanto ci suggerisce di far attenzione a pericoli reali, l'angoscia è distruttiva, in quanto porta a paventare pericoli inesistenti.

ventunesimo secolo

Da raccontare fra cinquant'anni, quando magari ci sarà una sorta di matriarcato e l'ingegneria genetica sarà una pratica del tutto comune...

un geniale quanto sfortunato inventore, giunto alla fine dei suoi giorni, aveva consumato tutti i suoi beni per il progetto di un nuovo fegato biomeccanico e quello di un polmone anch'esso biomeccanico. Inoltre, aveva modificato un embrione felino ottenendone un gatto geneticamente modificato.
Le divisioni perciò furono presto fatte, e non ci fu bisogno di chiamare né il notaio, né l'avvocato, i quali avrebbero finito col mangiarsi anche quel poco che c'era.
La maggiore si prese il progetto del fegato; la seconda, il progetto del polmone, e la più giovane delle sorelle dovette accontentarsi del gatto.
Quest'ultima però non poteva darsi pace di essere stato trattata cosi male e diceva tra sé : «Le mie soerelle potranno guadagnarsi la vita facilmente mettendosi in società; io invece, dovrò rassegnarmi ad una vita impegnativa».
[...]
il gatto riesce ad impadronirsi dell'industria genetica di proprità di un losco individuo che essendo geneticamente modificato è capace di trasformarsi in qualsiasi forma biologica (la trasformazione è possibile in quanto, sebbene per brevi periodi, il "mutaforma" dissipa o assorbe una notevole quantità di umidità dall'aria in moda da diminuire o aumentare la sua massa... è una spiegazione improbabile, ma accettabile in un contesto fabulistico).
[...]
La nuova proprietaria stipula un accordo industriale con un magnate della finanza che sugella l'accordo dando il figlio in sposo alla ricca ereditiera.

morale: un gatto geneticamente modificato è buona cosa, ma diffidate delle persone che possono cambiare forma!

nemesi

copyright Marcello Guidotti, 2002
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