Una signora mi ha inviato una e-mail (non firmata) con la quale m'informava di aver letto casualmente - in quanto cercava un'altra cosa - il mio articolo "La scimmia sul banco degli accusati". La lettrice non era d'accordo con quanto ho scritto; anzi, era contrariata dal fatto che si producessero simili film di gusto discutibile. Fortunatamente - continuava la lettera - qualche persona autorevole le dà ragione, ed a conferma citava un articolo apparso su Il Messaggero a firma di Antonino Zichichi, scienziato di notorietà internazionale.
Non ho risposto direttamente alla "signora" che non si firma; tuttavia, ho cercato nell'archivio de Il Messaggero-on line, l'articolo citato. E' accessibile solo la pagina interna e non la prima dal quale inizia.
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Questo articolo, evocatore di tragiche memorie («al rogo le streghe»), che rimandano al dramma irrisolto di Giordano Bruno, è espressione di pensiero debole (sempre che di pensiero si tratti), fazioso e provocatorio. Pensiero debole, perché le erudite argomentazioni sono disordinate; fazioso, perché evidentemente di parte; provocatorio, perché grida vendetta! E' del tutto improbabile che Il Messaggero mi conceda lo spazio per questa risposta (i cui elementi riassumono le obiezioni all'articolo di Zichichi), e quindi posso solo affidarla all'oceano di Internet.
Galileo Galilei, è tradizionalmente il fondatore del metodo sperimentale, ma certo non di quello matematico. Infatti, con i suoi esperimenti a proposito del moto dei corpi, Galilei capovolse i termini della questione:
«non dobbiamo chiederci perché i corpi si muovono, piuttosto perché si fermano».
Un'osservazione oggi ovvia, ma foriera di fondamentali conseguenze. I sostenitori del sistema tolemaico, affermavano infatti che la terra era immobile al centro dell'universo, con il Sole ed i pianeti che gli orbitavano attorno seguendo complicate traiettorie (epicicli).
Nel 1633 - durante il processo a Galilei - Scipio Chiaramonti (professore di filosofia e matematica nell'Università di Pisa) scriveva: «Gli animali si muovono perché sono dotati di arti e di muscoli; pertanto la Terra, che non possiede né arti né muscoli, non può muoversi»
In effetti, questo è un tipico ragionamento deduttivo (metodo Aristotelico) che porta a conclusioni direttamente correlate alle premesse. Tuttavia, si farebbe torto d'intelligenza a questo docente pensando che credesse veramente (uhm, se una sciocchezza non produce discredito, e non dirla può produrre pericolose conseguenze, forse è meglio dirla) a quanto sosteneva... secondo Tolomeo, erano i pianeti ed il Sole ad orbitare attorno alla Terra, e dunque, non avendo né arti né muscoli, erano evidentemente mossi dalla spinta di angeli (notoriamente invisibili)!
Con Galilei, non c'era bisogno di invocare l'azione degli angeli quale forza motrice dei pianeti: questi continuavano a muoversi dalla notte dei tempi in quanto nel vuoto non c'è alcuna forza frenante in grado di rallentarne il movimento, determinato dalle cause iniziali che formarono il sistema solare: la condensazione di una nuvola di materia gassosa in rotazione attorno a sé stessa.
Quanto sopra è un'indispensabile precisazione del metodo di Galilei; però, Il prof. Chiaramonti... oops, Zichichi ha citato Dirac ed i modelli matematici.
Per esempio, consideriamo un modello matematico (ossia la traduzione in formule) legato ad un problema concreto. Le sue soluzioni matematiche - quando esistono - sono formalmente corrette, ma non necessariamente hanno senso fisico. Così, si consideri un quadrato di area S; il lato, a, di questo quadrato è la radice quadrata dell'area. Ora, una radice quadrata ha due soluzioni (+a e -a): matematicamente sono entrambe corrette, ma fisicamente ha senso solo la soluzione positiva in quanto non esistono quadrati con lati negativi!
Però, a volte, scartare alcune soluzioni può non essere corretto. Ad esempio, nel 1928, il fisico Paul Dirac stava studiando le nuovissime equazioni della meccanica quantistica. Ne ricavò che le equazioni ammettevano l'esistenza di due tipi di elettrone: quello allora noto, ed un altro del tutto identico ma con carica opposta, ossia positiva.
Un elettrone con carica positiva non era mai stato osservato, e così ben pochi scienziati presero sul serio le soluzioni di Dirac. O meglio, le soluzioni erano matematicamente corrette, ma fisicamente prive di significato empirico.Quattro anni dopo, nel 1932, Carl Anderson, un altro fisico che stava studiando i raggi cosmici, scoprì la traccia di una particella che si creava quando i raggi cosmici entravano nell'atmosfera. Questa particella lasciava una traccia esattamente identica a quella di un elettrone, però curvava nella direzione opposta, come se avesse una carica positiva. Si trattava di un antielettrone o, come lo chiamò Anderson, positrone.
A Dirac e ad Anderson venne conferito il premio Nobel, rispettivamente nel 1933 e nel 1936.
Quella citata è stata una verifica sperimentale di quanto anticipato dalla teoria; tuttavia, a volte sono proprio nuovi dati sperimentali che costringono i ricercatori ad aggiornare le loro teorie.
Nel 1845, Adams e Leverrier, per spiegare le irregolarità del moto di Urano (non compatibili con la teoria della gravitazione di Newton), indipendentemente l'uno dall'altro, ipotizzarono e calcolarono l'esistenza e la posizione di un nuovo pianeta: Nettuno. Un anno dopo, Nettuno fu individuato esattamente nella regione prevista. L'aver supposto solo attraverso calcoli teorici l'esistenza di un pianeta fino ad allora non visibile, destò grande ammirazione tra il pubblico colto dell'epoca.
Il fatto sconcertante è che Leverrier si rifiutò di confermare col telescopio l'esistenza di Nettuno in quanto era assolutamente sicuro dei calcoli derivanti dalle sue equazioni. Così, nel 1859, rivolse la sua attenzione al moto di Mercurio, supponendo che fosse influenzato da un altro pianeta: Vulcano. Ma questa volta il pianeta non fu trovato... però, nel 1915, Albert Einstein dimostrò che le irregolarità nel moto di Mercurio erano previste dalla sua teoria della Relatività Generale, e dunque non c'era bisogno di invocare l'esistenza di un nuovo pianeta. Dunque, la previsione del metodo deduttivo era errata, in quanto le equazioni di Newton erano meno precise di quelle della Relatività.
Nello stesso anno, Lowell, dall'esistenza di residue perturbazioni di Urano, ancóra tramite le equazioni di Newton, dedusse l'esistenza di un altro pianeta: Plutone. Effettivamente Plutone venne scoperto nella regione prevista, ma la sua massa risultò troppo piccola per spiegare le perturbazioni di Urano. In conclusione, su tre predizioni, una risultò esatta, una sbagliata ed una il risultato di un colpo di fortuna!
Dunque, non è vero in generale che la teoria deve precedere l'osservazione sperimentale. Una teoria è la sintesi di osservazioni sperimentali, e può essere una traccia per suggerire nuove osservazioni, alle quali può seguire una nuova teoria che comprenda la precedente (la Relatività comprende le equazioni di Newton), oppure anche una teoria del tutto differente.
L'equazione che descrive la ragione... No, non esiste l'equazione del pensiero astratto. Però, a meno che per pensiero astratto s'intenda la capacità di comprendere il teorema di Pitagora, questo non significa che gli animali ne siano privi. Gli animali, come è stato provato con inconfutabili esperimenti, sanno quello che fanno in quanto le loro azioni non sono sempre esclusivamente istintive; gli uomini anche, ma spesso non sembra che se ne preoccupino molto!
In realtà, Galilei ha dimostrato l'importanza del metodo induttivo rispetto a quello deduttivo (di Aristotele). Precisamente, il metodo deduttivo non è realmente conoscitivo in quanto le conclusioni che permette di ottenere sono contenute nelle premesse, che possono essere corrette (l'esistenza di Nettuno), ipotetiche (Vulcano) o sbagliate (Plutone, scoperto per caso). Al contrario, il metodo induttivo (Galilei), che comporta generalizzazioni a partire dalle osservazioni sperimentali, permette di ottenere risposte non legate alle premesse e dunque, pur essendo una sorta di "salto nel vuoto" (in quanto le previsioni potrebbero rivelarsi sbagliate alla prova dei fatti), porta per lo più ad esplorare strade diverse.
Le equazioni dell'evoluzione... Certo, la teoria dell'evoluzione - sebbene corroborata da adeguate prove sperimentali - non è formalizzata in termini matematici, ma una simulazione al calcolatore non è impossibile. Per esempio, esiste un gioco SimLife, il cui scopo è controllare l'evoluzione di nuove specie animali - immaginate dal giocatore - in rapporto all'ambiente. Si obietterà che è un gioco, certo sofisticato, ma pur sempre un gioco. E' vero, ma lo scopo non è provare la teoria dell'evoluzione, bensì mostrare come si comportano differenti organismi (anche improbabili) in rapporto all'ambiente. D'altra parte, esiste un altro gioco SimHearth, il cui scopo è comprendere l'interazione dei fattori climatici ... ma i fenomeni climatici (in senso lato, quindi comprendenti terremoti, eruzioni, ecc.)- si obietterà - esistono o sono un'invenzione di certi scienziati agnostici che non credono alla volontà divina?
D'altra parte, le prove dell'evoluzione sono frammentarie: mancano infatti tutti gli elementi che hanno portato alla formazione della specie umana a partire da un progenitore comune anche alle scimmie. Questa discontinuità delle prove, offre ai creazionisti alcune argomentazioni contro l'evoluzionismo:
I creazionisti, dunque, sostengono che le varie specie di proscimmie siano state create insieme e non discendano una dall'altra. D'altra parte, gli evoluzionisti affermano la discendenza di una scimmia da un'altra, e dell'uomo da altre scimmie, sebbene non abbiamo trovato traccia di tutte le specie intermedie. Ed è proprio su queste manchevolezza che i creazionisti puntano il dito. Quanto alle lattine, è vero: una bottiglia non è una lattina! Tuttavia (a parte che esistono i barattoli di vetro), l'uomo - senza citare (provocatoriamente) le particelle elementari - non solo è fatto delle stesse molecole organiche comuni a tutte le specie viventi, è anche il risultato della stessa catena di montaggio: il DNA.
Qui, occorre precisare che per nuova specie s'intende un organismo incapace di procreare accoppiandosi con organismi della specie dalla quale ha avuto origine. Per esempio, sebbene tutti i cànidi derivino dal lupo, cani e lupi appartengono alla stessa specie in quanto possono avere unioni fertili. La speciazione, in realtà non può essere verificata sperimentalmente nell'arco di uno o due secoli... occorrono millenni!
In realtà, l'evoluzione non è proiettiva: è cieca, produce nuove specie che sopravvivono e sostituiscono la precedente se sono più adatte all'ambiente in cui vivono. Alla "natura" non interessa un fine ultimo (le scimmie, per il loro ambiente, vanno bene come sono), bensì la sopravvivenza di un organismo, anche se questo si differenzia sempre più marcatamente fino a dare origine ad una nuova specie.
Se queste precisazioni non sono sufficienti, proviamo ad affrontare la questione da un altro punto di vista.
Isaac Asimov (1920-92), biologo e noto divulgatore scientifico, propose un interessante paragone a proposito dell’evoluzione, particolarmente adatto per riassumere e rispondere alle obiezioni citate. Eccolo:
«Io guido un’automobile e voi anche. Io, per esempio, non conosco esattamente il funzionamento del motore. Forse neanche voi. E può darsi che le nostre idee confuse e approssimate sul funzionamento di un’automobile siano un po’ contraddittorie. Dobbiamo dedurre da questo disaccordo che l’automobile non funziona o non esiste? O, se i nostri sensi ci obbligano ad ammettere che l’automobile esiste e funziona, dobbiamo concludere che è spinta da un cavallo invisibile perché la nostra teoria sul motore è imperfetta?».
Allora, perché rifiutare la teoria dell’evoluzione? Proprio perché è una teoria, ossia una congettura come un’altra, che magari ha una certa probabilità di essere vera, si risponde. Se la pensate così, siete fuori strada.
Una teoria nasce per spiegare un insieme di fenomeni osservati in natura o prodotti nei laboratori scientifici. Tuttavia, una teoria non è un teorema matematico, che può essere dimostrato a partire da certi presupposti, non importa se siano veri o falsi. E proprio perché una teoria non è un teorema matematico, secondo il filosofo Karl Popper, non si può provare che sia "vera", giacché non si può escludere che la vera descrizione della realtà risieda in un’altra teoria. In effetti, nel formulare una teoria, teniamo sotto osservazione i soli fenomeni che riteniamo significativi. Ad esempio, per la teoria dell’evoluzione di Darwin, non è significativa l’influenza delle macchie solari: se le macchie solari hanno (in tempi lunghi) qualche influenza sull’evoluzione, non potremo spiegare completamente i fatti osservati finché non troveremo il modo di includerne gli effetti nella teoria dell’evoluzione.
Ma se non si può provare che una teoria è vera, dice ancora Popper, si può sempre provare che è falsa. Ad esempio, la "teoria della Terra vuota" si è dimostrata falsa; invece, la "teoria della relatività ristretta" ha superato tutte le verifiche sperimentali. Anche la "teoria di Darwin", finora, si è rivelata abbastanza soddisfacente ed in grado di spiegare moltissime osservazioni. Quanto alla ragione... se volete, pensate pure che coincida con l'anima. Però, ricordate che - come ha chiarito la Chiesa - l'evoluzione è accettabile, purché si ammetta l'intervento divino per spiegare l'intelligenza umana. Questa, in conclusione sembra una posizione salomonica; tuttavia, potrebbe prestarsi ad interpretazioni eugenetiche. Così, è bene concludere con un'ulteriore precisazione sul metodo scientifico...
Lo scrittore arabo Zakaryya ibn Mohamed Hibn-Mahmud al Qazwini deve la sua notorietà al fatto di aver affermato per primo che la provvidenza di Allah si può dedurre dal fatto che egli lascia cadere la pioggia sulla terra fertile e non sul deserto, dove nulla potrebbe germogliare.
L'osservazione che non piove sulla terra desertica permise allo scrittore di offrire un'interpretazione finalistica: sulla terra non piove perché, se piovesse, la pioggia sarebbe sprecata.
Ovviamente, la stessa osservazione si presta ad una spiegazione causale: per ragioni non completamente chiarite, su certe terre non piove e per questo motivo sono desertiche in quanto non possono offrire che uno scarso supporto alla vegetazione.
Entrambe le interpretazioni affondano le loro radici nell'ignoto, in quanto ignoti ci sono i fini della prima, ed altrettanto ignote le cause della seconda. D'altra parte, se quest'ultima, dà una risposta alla domanda: «perché certe terre sono desertiche?», non può spiegare soddisfacentemente perché su certe terre non piove.
E' certo, però che l'interpretazione causale permette di giustificare altri fatti del tutto estranei all'interpretazione finalistica. Per esempio, spiega come mai il terreno fertile inaridisce durante una siccità prolungata e diventa tanto più simile a un deserto quanto maggiore è la durata della siccità. Ancóra, l'interpetazione causale permette di dare ragione del fatto che se non annaffiamo le piante da vaso, la terra inaridisce e le piante si seccano. In questo senso, l'interpretazione causale trova, sebbene su sala limitata, una prova dall'esperienza. In conclusione, l'interpertazione causale permette di spiegare molte più cose di quanto sia possibile con l'interpretazione finalistica.