Odysseus 2000
Identità personale e convivenza sociale
Identidad personal y convivencia social
Personal Identity and social living

 (photo)



VIAGGIO NEL MONDO SENZA SOGNI DI VACANZA
Corso di formazione sull’apprendimento interculturale
Attività di laboratorio - taller pratico - Lleida, 10-14 aprile 2000

Schede a cura di Gerd Grünisle



INTRODUZIONE
Apprendimento interculturale: definizione

Fondamentalmente non c’è niente da imparare o da capire: bisogna osservare, registrare, accettare... (si tratta di categorie psico-sociali), si tratta quindi di promuovere la TOLLERANZA, la SENSIBILITÀ e l’APERTURA nei confronti di altre, diverse forme di vita e di espressione culturale: NON nei riguardi degli stranieri come persone (per questo aspetto valgono le regole basilari del comportamento), bensì nei confronti delle differenze culturali che hanno le loro cause nelle radici sociali, economiche e ambientali.
Questi aspetti devono essere considerati come manifestazioni sociali (culture dell’infanzia/della gioventù/cultura degli adulti/cultura popolare e d’élite, subculture-culture dei cittadini/dei lavoratori, ecc.).
Riconoscere le dinamiche nell’apprendimento interculturale -in questo modo bisognerà anche rivedere il concetto dell’INTEGRAZIONE, reinterpretarlo: non ci si può limitare ad integrare una cultura in un’altra, bensì bisogna rielaborare produttivamente elementi culturali (di due o più culture) in un processo dinamico. La prospettiva è quella di creare nuove e creative forme di vita/forme culturali e sociali.
Il riconoscimento delle leggi e dei diritti (non della sovranità sulla cultura) del circolo culturale dove si svolge il tutto è la base fondamentale di questo processo. Sul quanto e sul come so conosce una lingua si può lasciare spazio alla riflessione......
Il corso utilizza alcune attività del più ampio progetto "Viaggio nel mondo senza sogni di vancanza" della Kultur und Spiel Raum


(immagini del laboratorio di Jesi - aprile 1999)



Trattato sull’apprendimento globale,
sul comprendersi quotidiano e sulla competenza culturale

I movimenti pedagogici, nella loro ricerca di nuove strade verso un’educazione sia interculturale che multiculturale e nella divulgazione di una cultura generale, sono espressioni della pedagogizzazione di un problema della società e mostrano allo stesso tempo il fallimento lapallissiano di una pedagogia generale (nella famiglia, negli asili, nella scuola e altre istituzioni) incapaci nel quadro dei loro compiti di formazione di trasmettere uno dei principi più basilari:
un comportamento tollerante e aperto verso il mondo degli stranieri, verso le loro espressioni culturali, così come la coscienza della varietà culturale. Essa non è un pericolo bensì rappresenta un arricchimento della propria identità.

“Vale la pena di ripensare la definizione della parola cultura, questa volta dal punto di vista dello straniero. Invece di mettere sullo stesso piano cultura ed esperienza familiare o quotidiana, essa dovrebbe fare riferimento a tutto ciò che ci risulta estraneo. Cultura è ciò che nasce dal confronto con l’estraneo, questa rappresenta il prodotto del cambiamento “Del proprio” attraverso l’integrazione dell’estraneo”
(Mario Erdheim, Fremdeln. Kulturelle Unvertraeglichkeit und Anziehung, S. 25, in Kursbuch 107, Die Untrwanderung Europas, Berlin 1992, S. 19-32)

Il problema nel suo complesso (deficit d’insegnamento per ciò che riguarda la competenza culturale, l’esclusione di valori culturali e tradizioni straniere, l’integrazione parziale, la mancanza politica di diritti dei cittadini stranieri) è conosciuto e provato.

Beate Winkler, collaboratrice dell’ufficio incaricato per gli stranieri scrive:
“A causa del confronto insufficiente con altre culture vengono evitate esperienze positive. Le esperienze di vita culturali differenti di regola sono un importante potenziale per un confronto creativo con la propria cultura”.

La causa di questo fenomeno è, così afferma, “il vivere male con le contraddizioni, con le varierà culturali e con esperienze culturali straniere. La nostalgia di chiarezza e omogeneità in Germania è grande. Essa rende così difficile il comportarsi con gli stranieri e con le minoranze.” (Kulturpolitische Mitteilingen 2/1996).

La nostalgia tedesca per la chiarezza si dovrebbe descrivere più precisamente come il prodotto di un’educazione mancante in modo colposo di trasmettere da una parte ai bambini il mondo nella sua varietà culturale come ricchezza e dall’altra il mondo nella sua differenziazione nazionalistica come contesto globale.



L’apprendimento interculturale è apprendimento per progetto

L’educazione interculturale è in modo particolare basata su forme di apprendimento progettuali, che nella loro sostanza sono orientate all’azione. Punti di vista riguardanti gli stranieri (pregiudizzi, paure, diffidenza etnica) sono come tutti gli orientamenti di base, radicati affettivamente e con ciò estremamente resistenti ai cambiamenti.
Per sostenere la competenza, nel senso di un ampliamento della capacità di percezione di qualcosa di estraneo, sono particolarmente necessarie forme di progetto che abbiano per scopo incontri tra le persone e nei quali sia possibile fare esperienze sulla base di una discussione comune e attiva.

In modo simile si esprime il Ministero per l’istruzione Bavarese nelle sue indicazioni per un metodo di insegnamento interculturale:

“L’insegnamento interculturale non significa una trasmissione di sapere meramente astratta, bensì un’esperienza e un vivere di valori a misura d’uomo. (...) L’insegnamento interculturale deve essere compreso come un insegnamento interdisciplinare.
Il contributo dato ad ogni materia specifica è certo di valore, però non è sufficiente. La componente affettiva del tema necessita di un’esperienza completa che tocchi tutti i lati della personalità umana.
Perciò i contenuti da imparare dovrebbero essere presentati agli scolari attraverso metodi che li animino ad attivarsi. Chiaramente a questo concetto devono essere legate forme di insegnamento aperto e lavoro progettuale (Staatsinstitut fuer Schulpaedagogik 1992, S. 7 u.f.).

Una pedagogia innovativa che attua un metodo di insegnamento progettuale orientato verso l’esperienza e l’attività abbisogna dell’inserimento in un contesto di apprendimento aperto, in cui vengono stimolate l’informazione e le discussioni reciproche in riferimento a situazioni di vita concrete. Incontro scambio ed amicizie nascono, così come nella vita, più attraverso interessi sviluppati riconosciuti e mondi di vita comuni.
Queste condizioni di base transculturali devono essere messe a disposizione tramite iniziative pedagogiche.
Non devono venire apprese solo tecniche di cultura formali (leggere, scrivere e lingue straniere) bensì devono venire vissuti elementi di cultura stranieri anche come possibili forme di espressione della propria identità.

In nessun altro modo vengono apprese le forme e la funzione del culturale anche nei contesti della propria patria, che come azioni quotidiane costruiscono un senso comprensibile in se stesso e infine vanno a costituire una coscienza individuale particolare.
Il festeggiare le feste religiose, l’uso di determinati alimenti, il consumo di generi di conforto ecc. non vengono guardati principalmente come esercizi di cultura ma come espressioni di vita quotidiana che sono accettate e comprese.

Nel corso di queste singole attività, nel contesto dello strato sociale, viene determinato il oro significato il quale conferisce un senso al mondo e alla personale esistenza. All’interno di un processo il cui contesto è generalmente complesso si deve appunto acquisire la comprensione del fatto che esistono molteplici forme di espressione culturale dipendenti dalle condizioni di vita, dalla storia e dalle tradizioni da essa derivanti.
Esattamente a questo punto il foulard per i capelli delle donne islamiche, solitamente in contrapposizione alle barbe del costume tradizionale bavarese, non rappresenta più un pericolo per la propria identità culturale.

“Il valore democratico della varietà non consiste affatto in una convivenza coatta bensì in un processo di costruzione culturale in discussione tra soggetti che sono persone concrete in situazioni concrete” (Apitzsch 1997, S. 51).

Per  il nostro contesto è decisamente significativo il fatto che il processo di apprendimento culturale pretende da chi impara il proprio divenire attivo. Attraverso questo tipo di apprendimento le esperienze raggiungono le strutture più profonde della personalità di giovani e bambini. L’individuo non incamera passivamente ciò che gli viene “messo davanti”, bensì egli apprende questi nuovi modi di rapportarsi e il loro significato nel loro contesto culturale e nelle condizioni di vita corrispondenti e li trasforma in comportamento proprio.

Si noti che il discorso “sull’identità culturale” è già di per sé problematico, poiché questo da una parte contribuisce a nascondere le strutture contraddittorie realmente esistenti tra le culture e dall’altra confonde la percezione del fatto, che sviluppo culturale e la formazione di un’identità culturale sono un processo di apprendimento dinamico e sempre in progresso, finché la persona va in giro per la vita con gli occhi aperti e curiosi. Obsoleta diventa perciò anche l’idea di un’identità culturale nazionale di fronte ad una globalizzazione culturale, ecologica, politica e commerciale in continua espansione.

“Il nostro mondo viene sempre più influenzato da episodi che accadono dall’altra parte del mondo; viceversa stili di vita locali comportano conseguenze per tutto il mondo. La Globalizzazione non dovrebbe essere percepita come un fenomeno che accade “là fuori”, bensì come ciò che avviene “qui dentro”.  La Globalizzazione della nostra vita causa il cambiamento del nostro quotidiano”.

(Anthony Giddens, “Schöne neue Welt. Der neue Lontext von Politik, in: Berliner Journal für Soziologie 4/1994, zititert nach: Hans Georg Hofman, Das eigene im Fremden und das Fremde im Eigenen, S.8. in: SPAK Eine Welt, S. 4-16).



Identità culturale e conflitto culturale

Il processo di costituzione dell’identità disegna “mappe dei significati”, che come materiale culturale deve venir elaborato e cambiato di fronte a condizioni di vita cambiate. La presenza dello straniero, che mostra altre possibilità di vita mette in discussione la naturalezza del proprio modo di vivere.

L’educazione pertanto dovrebbe rafforzare (e non tentare di eliminare) tutte le tendenze contro l’assimilazione, per sostenere invece la formazione di un’espressione culturale personalizzata ed originale.
Il compito di un’educazione contemporanea dovrebbe essere quello di formare personalità pronte e capaci di discutere sulle varie forme di vita possibili all’interno di una stessa cultura. Wolf Lepenis chiede alle società europee ed occidentali in una replica a S.P. Huntigtons “Clash of civilizations” di fare della comprensione per le diverse culture uno scopo principale della loro politica di pubblica istruzione (in Bade 1996, S. 23).
Qui si parte dal presupposto che non è lo straniero che deve venire sottomesso alla pressione dell’assimilazione o dell’integrazione, ma che i cosiddetti “indigeni” si orientino come “stranieri” nel campo gravitazionale delle diverse influenze culturali. Questo deve valere in entrambe le direzioni, perché così come è poco ragionevole fare di una cultura la misura dominante sulle altre, altrettanto è un impoverimento volerne conservare a tutti i costi un’altra. Il costrutto del “conflitto culturale” ci seduce a credere alla visione triviale, che esista una qualche identità culturale fatta e finita da difendere. Lo scopo di questi impegni per l’istruzione dovrebbe essere quello di presentare la varietà come un arricchimento da percepire e con cui fare esperienze, invece di paventare una limitazione o addirittura un danno.

Da ciò che si è appena detto emerge che la richiesta di un’educazione interculturale non deve cominciare dallo straniero, bensì più generalmente dal sostenimento di culture infantili e giovanili indipendenti. Come altrimenti potrebbero un giorno queste personalità adulte essere tolleranti di fronte al modo di vivere di persone straniere, se esse stesse non sono state tollerate?

I progetti descritti in questo libro non sono soltanto un campo sperimentale per l’apprendimento interculturale in senso stretto, al tempo stesso essi sono l’espressione del tentativo di combinare entrambe le sopracitate aspirazioni educative: i bambini e i giovani provano a dare uno spazio di apprendimento e di vita complesso, multiforme e vivace. Parallelamente essi collegano questi contenuti con esperienze tratte dal contatto con bambini e giovani provenienti da altre culture.

Mettere in rapporto la propria cultura con quella degli altri è il presupposto per scoprirne aspetti comuni ad entrambe e per continuare il proprio sviluppo in un mondo che si globalizza sempre di più. Perciò l’apprendimento interculturale è da concepire solo come un processo aperto che vuole rendere valida la pretesa di aprire gli occhi a bambini e giovani verso un mondo grande e straniero per poi fornire loro informazioni ed argomenti per una discussione aperta e piena di curiosità con persone diverse provenienti da culture lontane.



Materiali:

Ursula Apitzsch
Können Erwachsene interkulturelles Lernen lernen?
in Päfagogik 3/1997, S. 49-52

Wolf Lepenies
Auflösungsvermögen. Mit dem Fernrohr gegen den Koran, mit der Wissenschaft gegen fremde Kulturen in: Die Zeit von 21/22.1.1995, zitiert nach Klaus J. Bade, Einleitung, S. 10-26, in Die multikulturelle Herausforderung, München 1996, S. 23.

Staatsinstitut für Schulpädagogik und Bildungsforschung Miteinander und voneinander lernen. Hanreichungen für den interkulturellen unterricht. Bd1 Materialien für die Grund -und Hauptschule. München 1992.


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