Schede a cura di Gerd Grünisle
Fondamentalmente non c’è niente da imparare o da capire: bisogna
osservare, registrare, accettare... (si tratta di categorie psico-sociali),
si tratta quindi di promuovere la TOLLERANZA, la SENSIBILITÀ e l’APERTURA
nei confronti di altre, diverse forme di vita e di espressione culturale:
NON nei riguardi degli stranieri come persone (per questo aspetto valgono
le regole basilari del comportamento), bensì nei confronti delle
differenze culturali che hanno le loro cause nelle radici sociali, economiche
e ambientali.
Questi aspetti devono essere considerati come manifestazioni sociali
(culture dell’infanzia/della gioventù/cultura degli adulti/cultura
popolare e d’élite, subculture-culture dei cittadini/dei lavoratori,
ecc.).
Riconoscere le dinamiche nell’apprendimento interculturale -in questo
modo bisognerà anche rivedere il concetto dell’INTEGRAZIONE, reinterpretarlo:
non ci si può limitare ad integrare una cultura in un’altra, bensì
bisogna rielaborare produttivamente elementi culturali (di due o più
culture) in un processo dinamico. La prospettiva è quella di creare
nuove e creative forme di vita/forme culturali e sociali.
Il riconoscimento delle leggi e dei diritti (non della sovranità
sulla cultura) del circolo culturale dove si svolge il tutto è la
base fondamentale di questo processo. Sul quanto e sul come so conosce
una lingua si può lasciare spazio alla riflessione......
Il corso utilizza alcune attività del più ampio progetto
"Viaggio
nel mondo senza sogni di vancanza" della Kultur
und Spiel Raum
(immagini del laboratorio di Jesi - aprile 1999)
I movimenti pedagogici, nella loro ricerca di nuove strade verso un’educazione
sia interculturale che multiculturale e nella divulgazione di una cultura
generale, sono espressioni della pedagogizzazione di un problema della
società e mostrano allo stesso tempo il fallimento lapallissiano
di una pedagogia generale (nella famiglia, negli asili, nella scuola e
altre istituzioni) incapaci nel quadro dei loro compiti di formazione di
trasmettere uno dei principi più basilari:
un comportamento tollerante e aperto verso il mondo degli stranieri,
verso le loro espressioni culturali, così come la coscienza della
varietà culturale. Essa non è un pericolo bensì rappresenta
un arricchimento della propria identità.
“Vale la pena di ripensare la definizione della parola cultura, questa
volta dal punto di vista dello straniero. Invece di mettere sullo stesso
piano cultura ed esperienza familiare o quotidiana, essa dovrebbe fare
riferimento a tutto ciò che ci risulta estraneo. Cultura è
ciò che nasce dal confronto con l’estraneo, questa rappresenta il
prodotto del cambiamento “Del proprio” attraverso l’integrazione dell’estraneo”
(Mario Erdheim, Fremdeln. Kulturelle Unvertraeglichkeit und Anziehung,
S. 25, in Kursbuch 107, Die Untrwanderung Europas, Berlin 1992, S. 19-32)
Il problema nel suo complesso (deficit d’insegnamento per ciò che riguarda la competenza culturale, l’esclusione di valori culturali e tradizioni straniere, l’integrazione parziale, la mancanza politica di diritti dei cittadini stranieri) è conosciuto e provato.
Beate Winkler, collaboratrice dell’ufficio incaricato per gli stranieri
scrive:
“A causa del confronto insufficiente con altre culture vengono evitate
esperienze positive. Le esperienze di vita culturali differenti di regola
sono un importante potenziale per un confronto creativo con la propria
cultura”.
La causa di questo fenomeno è, così afferma, “il vivere male con le contraddizioni, con le varierà culturali e con esperienze culturali straniere. La nostalgia di chiarezza e omogeneità in Germania è grande. Essa rende così difficile il comportarsi con gli stranieri e con le minoranze.” (Kulturpolitische Mitteilingen 2/1996).
La nostalgia tedesca per la chiarezza si dovrebbe descrivere più precisamente come il prodotto di un’educazione mancante in modo colposo di trasmettere da una parte ai bambini il mondo nella sua varietà culturale come ricchezza e dall’altra il mondo nella sua differenziazione nazionalistica come contesto globale.
L’educazione interculturale è in modo particolare basata su forme
di apprendimento progettuali, che nella loro sostanza sono orientate all’azione.
Punti di vista riguardanti gli stranieri (pregiudizzi, paure, diffidenza
etnica) sono come tutti gli orientamenti di base, radicati affettivamente
e con ciò estremamente resistenti ai cambiamenti.
Per sostenere la competenza, nel senso di un ampliamento della capacità
di percezione di qualcosa di estraneo, sono particolarmente necessarie
forme di progetto che abbiano per scopo incontri tra le persone e nei quali
sia possibile fare esperienze sulla base di una discussione comune e attiva.
In modo simile si esprime il Ministero per l’istruzione Bavarese nelle sue indicazioni per un metodo di insegnamento interculturale:
“L’insegnamento interculturale non significa una trasmissione di
sapere meramente astratta, bensì un’esperienza e un vivere di valori
a misura d’uomo. (...) L’insegnamento interculturale deve essere compreso
come un insegnamento interdisciplinare.
Il contributo dato ad ogni materia specifica è certo di valore,
però non è sufficiente. La componente affettiva del tema
necessita di un’esperienza completa che tocchi tutti i lati della personalità
umana.
Perciò i contenuti da imparare dovrebbero essere presentati
agli scolari attraverso metodi che li animino ad attivarsi. Chiaramente
a questo concetto devono essere legate forme di insegnamento aperto e lavoro
progettuale (Staatsinstitut fuer Schulpaedagogik 1992, S. 7 u.f.).
Una pedagogia innovativa che attua un metodo di insegnamento progettuale
orientato verso l’esperienza e l’attività abbisogna dell’inserimento
in un contesto di apprendimento aperto, in cui vengono stimolate l’informazione
e le discussioni reciproche in riferimento a situazioni di vita concrete.
Incontro scambio ed amicizie nascono, così come nella vita, più
attraverso interessi sviluppati riconosciuti e mondi di vita comuni.
Queste condizioni di base transculturali devono essere messe a disposizione
tramite iniziative pedagogiche.
Non devono venire apprese solo tecniche di cultura formali (leggere,
scrivere e lingue straniere) bensì devono venire vissuti elementi
di cultura stranieri anche come possibili forme di espressione della propria
identità.
In nessun altro modo vengono apprese le forme e la funzione del culturale
anche nei contesti della propria patria, che come azioni quotidiane costruiscono
un senso comprensibile in se stesso e infine vanno a costituire una coscienza
individuale particolare.
Il festeggiare le feste religiose, l’uso di determinati alimenti, il
consumo di generi di conforto ecc. non vengono guardati principalmente
come esercizi di cultura ma come espressioni di vita quotidiana che sono
accettate e comprese.
Nel corso di queste singole attività, nel contesto dello strato
sociale, viene determinato il oro significato il quale conferisce un senso
al mondo e alla personale esistenza. All’interno di un processo il cui
contesto è generalmente complesso si deve appunto acquisire la comprensione
del fatto che esistono molteplici forme di espressione culturale dipendenti
dalle condizioni di vita, dalla storia e dalle tradizioni da essa derivanti.
Esattamente a questo punto il foulard per i capelli delle donne islamiche,
solitamente in contrapposizione alle barbe del costume tradizionale bavarese,
non rappresenta più un pericolo per la propria identità culturale.
“Il valore democratico della varietà non consiste affatto in una convivenza coatta bensì in un processo di costruzione culturale in discussione tra soggetti che sono persone concrete in situazioni concrete” (Apitzsch 1997, S. 51).
Per il nostro contesto è decisamente significativo il fatto che il processo di apprendimento culturale pretende da chi impara il proprio divenire attivo. Attraverso questo tipo di apprendimento le esperienze raggiungono le strutture più profonde della personalità di giovani e bambini. L’individuo non incamera passivamente ciò che gli viene “messo davanti”, bensì egli apprende questi nuovi modi di rapportarsi e il loro significato nel loro contesto culturale e nelle condizioni di vita corrispondenti e li trasforma in comportamento proprio.
Si noti che il discorso “sull’identità culturale” è già di per sé problematico, poiché questo da una parte contribuisce a nascondere le strutture contraddittorie realmente esistenti tra le culture e dall’altra confonde la percezione del fatto, che sviluppo culturale e la formazione di un’identità culturale sono un processo di apprendimento dinamico e sempre in progresso, finché la persona va in giro per la vita con gli occhi aperti e curiosi. Obsoleta diventa perciò anche l’idea di un’identità culturale nazionale di fronte ad una globalizzazione culturale, ecologica, politica e commerciale in continua espansione.
“Il nostro mondo viene sempre più influenzato da episodi che accadono dall’altra parte del mondo; viceversa stili di vita locali comportano conseguenze per tutto il mondo. La Globalizzazione non dovrebbe essere percepita come un fenomeno che accade “là fuori”, bensì come ciò che avviene “qui dentro”. La Globalizzazione della nostra vita causa il cambiamento del nostro quotidiano”.
(Anthony Giddens, “Schöne neue Welt. Der neue Lontext von Politik, in: Berliner Journal für Soziologie 4/1994, zititert nach: Hans Georg Hofman, Das eigene im Fremden und das Fremde im Eigenen, S.8. in: SPAK Eine Welt, S. 4-16).
Il processo di costituzione dell’identità disegna “mappe dei significati”, che come materiale culturale deve venir elaborato e cambiato di fronte a condizioni di vita cambiate. La presenza dello straniero, che mostra altre possibilità di vita mette in discussione la naturalezza del proprio modo di vivere.
L’educazione pertanto dovrebbe rafforzare (e non tentare di eliminare)
tutte le tendenze contro l’assimilazione, per sostenere invece la formazione
di un’espressione culturale personalizzata ed originale.
Il compito di un’educazione contemporanea dovrebbe essere quello di
formare personalità pronte e capaci di discutere sulle varie forme
di vita possibili all’interno di una stessa cultura. Wolf Lepenis chiede
alle società europee ed occidentali in una replica a S.P. Huntigtons
“Clash of civilizations” di fare della comprensione per le diverse culture
uno scopo principale della loro politica di pubblica istruzione (in Bade
1996, S. 23).
Qui si parte dal presupposto che non è lo straniero che deve
venire sottomesso alla pressione dell’assimilazione o dell’integrazione,
ma che i cosiddetti “indigeni” si orientino come “stranieri” nel campo
gravitazionale delle diverse influenze culturali. Questo deve valere in
entrambe le direzioni, perché così come è poco ragionevole
fare di una cultura la misura dominante sulle altre, altrettanto è
un impoverimento volerne conservare a tutti i costi un’altra. Il costrutto
del “conflitto culturale” ci seduce a credere alla visione triviale, che
esista una qualche identità culturale fatta e finita da difendere.
Lo scopo di questi impegni per l’istruzione dovrebbe essere quello di presentare
la varietà come un arricchimento da percepire e con cui fare esperienze,
invece di paventare una limitazione o addirittura un danno.
Da ciò che si è appena detto emerge che la richiesta di un’educazione interculturale non deve cominciare dallo straniero, bensì più generalmente dal sostenimento di culture infantili e giovanili indipendenti. Come altrimenti potrebbero un giorno queste personalità adulte essere tolleranti di fronte al modo di vivere di persone straniere, se esse stesse non sono state tollerate?
I progetti descritti in questo libro non sono soltanto un campo sperimentale per l’apprendimento interculturale in senso stretto, al tempo stesso essi sono l’espressione del tentativo di combinare entrambe le sopracitate aspirazioni educative: i bambini e i giovani provano a dare uno spazio di apprendimento e di vita complesso, multiforme e vivace. Parallelamente essi collegano questi contenuti con esperienze tratte dal contatto con bambini e giovani provenienti da altre culture.
Mettere in rapporto la propria cultura con quella degli altri è
il presupposto per scoprirne aspetti comuni ad entrambe e per continuare
il proprio sviluppo in un mondo che si globalizza sempre di più.
Perciò l’apprendimento interculturale è da concepire solo
come un processo aperto che vuole rendere valida la pretesa di aprire gli
occhi a bambini e giovani verso un mondo grande e straniero per poi fornire
loro informazioni ed argomenti per una discussione aperta e piena di curiosità
con persone diverse provenienti da culture lontane.
Ursula Apitzsch
Können Erwachsene interkulturelles Lernen
lernen?
in Päfagogik 3/1997, S. 49-52
Wolf Lepenies
Auflösungsvermögen. Mit dem Fernrohr
gegen den Koran, mit der Wissenschaft gegen fremde Kulturen in: Die Zeit
von 21/22.1.1995, zitiert nach Klaus J. Bade, Einleitung, S. 10-26, in
Die multikulturelle Herausforderung, München 1996, S. 23.
Staatsinstitut für Schulpädagogik und
Bildungsforschung Miteinander und voneinander lernen. Hanreichungen für
den interkulturellen unterricht. Bd1 Materialien für die Grund -und
Hauptschule. München 1992.
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