LE MINIERE DELL’ARERA
La tradizione vuole che la “coltivazione”
del piombo e dello zinco nella bergamasca risalga all’epoca romana, ai
tempi in cui venivano utilizzati i condannati “ad metalla” ossia per i
lavori minerari. I romani conoscevano e coltivavano le cosiddette “calamine”
del bergamasco e la nostra valle era “rinomata” come produttrice di minerali
di zinco. Con la calamina i romani producevano e vendevano l’ottone. A
prova di quanto detto vi è la seguente citazione di Plinio “Fit
aes lapide aeroso quem vocant calmiam. Celebritas in Asia et quondam
in Campania, nunc Bergomatum agro, extrema parte Italiae.”
Nel 1911 Umberto Savoia professore presso
il Reggio Politecnico di Milano confermò che presso San Pietro D’Orzio
a Vaccareggio erano presenti strette gallerie (30 x 40 cm) scavate tutte
a mano e dotate di incavature con lumi. Durante gli scavi fatti dalla società
Vieille Montagne, in queste gallerie si ritrovarono scalpelli, cunei, lumi
in terra cotta e in metallo, questo materiale è stato preso in possesso
dall’ingegnere Luigi Noble e secondo gli storici dell’epoca era uguale
a quello usato dai romani.
IL PERIODO MEDIEVALE
Le testimonianze che riguardano il lavoro
eseguito in epoca medievale sono scarse. Si parla di lavori condotti dai
Pisani, così come vi sono notizie sullo sfruttamento delle calamine
da parte della Serenissima che aveva conquistato, nel 1428, la parte orientale
della Lombardia tra cui Bergamo e Brescia.
L’accorta
Repubblica esportò l’ottone prodotto con i minerali di zinco
al di fuori del suo territorio, facendo concorrenza alle analoghe produzioni
orientali sul mercato di Costantinopoli.
Tracce di lavori antichi erano sparse un
po’ dovunque: sui contrafforti della Presolana, nelle miniere della Costa
Jels ed in Val del Riso , nelle miniere di Dossena Gialla e di S. Pietro
d’Orzio e Dossena. Tutti questi lavori , secondo Umberto Savoia, erano
stati abbandonati a partire dal XVIII secolo. Bisogna attendere così
la prima decade del 1800; nel 1810, in piena avventura napoleonica, un
chimico belga, tale Dony, ottenne da Napoleone un brevetto per produrre
per via termica lo zinco metallico ed aprì una fabbrica a Liegi.
Questa impresa, nel 1837, prese il nome di Vieille Montagne e qualche decennio
più tardi divenne una delle società protagoniste delle attività
estrattive dello zinco nella bergamasca .
L’OTTOCENTO
Nel 1855 si costituì in Bergamo una
Società Montanistica che, forse allettata dal ritrovamento di qualche
pezzo di galena assieme al minerale di zinco, aveva intenzione di compiere
ricerche per l’estrazione di argento. Esse furono iniziate nel 1868, per
iniziativa di un banchiere francese Gamier e del genovese Mozzoni che richiesero
ed ottennero, tramite l’avvocato Sileoni, permessi nei comuni di Gorno,
Oneta ed Oltre il Colle. Nel 1870 i due banchieri fallirono ed il Sileoni
dovette vendere minerali e lavoro a un inglese Richardson. Nel 1877 scoprirono
la miniera di Grina Golla Splazzi, poi ceduta a Richardson, che ne ottenne
la concessione. Nel 1876, intanto, altri intraprendenti inglesi ,Francis
e Goudal Gibson, in società con i banchieri livornesi Modigliani,
iniziarono lavori molto importanti scoprendo nel 1877 le miniere di monte
Trevasco, Arera, Vaccareggio, Dossena Gialla e S. Pietro d’Orzio. Si era
in un periodo di grande ricerca dei metalli in conseguenza della guerra
franco - prussiana nel 1870 e si era nel pieno delle grandi costruzioni
ferroviarie russe e americane.
L’ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO IN MINIERA
Le miniere erano in quel tempo gestite con
metodi manuali. In questo ciclo di lavorazione furono impiegate donne e
fanciulli, addetti alla cernita del minerale e al trasporto dai cantieri
alti alla carreggiabile . La roccia estratta dai minatori , veniva portata
a spalla da donne e ragazzi sui piazzali situati all’imbocco delle gallerie
, dove altro personale era addetto allo spezzettamento con martelli
e alla cernita della calamina, mentre il materiale non produttivo veniva
gettato nelle
discariche .Altre donne, soprattutto quelle più robuste, erano addette
al trasporto del materiale, che avveniva con gerletti portati a spalla,
i quali potevano contenere fino a 40 chili di minerale per viaggio.
Era un lavoro duro e difficile per tutti
: per i minatori che lavoravano in galleria con poca aria e luce , per
i bambini , costretti dopo i 12 anni a guadagnarsi da vivere , per
le donne , che spesso alternavano i lavori in miniera con quelli
agricoli e domestici.
FINE OTTOCENTO
Alla fine dell’ottocento la proprietà
delle miniere cambiò a causa di una crisi economica derivata dal
ribasso dei prezzi; le miniere vennero rilevate dalla English Crown Spelter
Company.
Seguirono alcuni anni in cui le miniere
vennero date in concessione a varie società ed altre ne vennero
aperte, alla fine del secolo la produzione complessiva delle miniere di
zinco bergamasche raggiunse le 26000 tonnellate di materiale, con una forza
lavorativa di 1780 operai.
IL NOVECENTO
La storia delle nostre miniere lungo questo
secolo è legata agli avvenimenti storici che hanno sconvolto l’Europa
.
Nei primi anni del novecento fu installato
ed utilizzato con successo un nuovo forno seguito poco tempo dopo da un
secondo.
La produzione di minerali ebbe fasi alterne
fino alla diminuzione legata allo scoppio della prima guerra mondiale:
infatti le società appartenevano a nazioni coinvolte nel conflitto.
Ciò nonostante la English Crown Spelter
Company e la Vieille Montagne riuscirono in breve tempo a superare le difficoltà,
difficoltà che si ripresentarono quando diminuì il personale
ed anche gli esplosivi da utilizzare in miniera .
Nel novembre 1918 la grande guerra finì
e ritornarono i reduci. Furono molti i disoccupati, alcuni emigrarono ma
i più riuscirono a trovare lavoro nell’ agricoltura e nella miniera
Nel 1922 la English Spelter Company cedette
alla Vieille Montagne le miniere della Val del Riso.
L’avvento del fascismo favorì la
cosiddetta autarchia: i minatori vennero incentivati con ogni mezzo ad
acquisire nuovi metodi di lavoro più efficienti e spesso lo fecero
con risultati interessanti.
Il fascismo nel 1927 istituì la legge
mineraria, che prevedeva la creazione di servizi sociali per malattie e
invalidità e strumenti di controllo sul posto di lavoro. La legge
tutelò le attività delle donne e vietò il lavoro minorile.
Pian piano vennero introdotte macchine che
alleggerirono il lavoro e nuove tecniche di esplorazione. Una grave crisi,
nel 1931 , portò ad un massiccio licenziamento di minatori.
L’Italia entrò in guerra il 10 giugno
del 1940. Come in ogni guerra vennero divorate enormi risorse e grandi
quantità di minerale.
Nel 1940 i tedeschi invasero il Belgio e
la situazione della Vieille Montagne (società belga) diventò
critica al punto che fu costretta a cedere le sue attività all’A.M.M.I.
(Azienda minerali metallici italiani).
L’azienda non apportò mutamenti al
lavoro, anzi essendo produttrice di zinco e piombo, minerali strategici,
ottenne di esentare i propri dipendenti dal servizio militare.
DALL’ 8 SETTEMBRE AI GIORNI NOSTRI
Con la caduta del fascismo e l’armistizio
dell’8 settembre le cose cambiarono. I tedeschi per mantenere in attività
le miniere in Germania, decisero di deportare là metà dei
minatori, che erano specializzati nella lavorazione del minerale. Purtroppo
non tutti tornarono. Quelli rimasti continuarono a lavorare tra mille difficoltà.
La miniera era passata nel frattempo sotto il controllo della S.A.P.E.Z
(società per azioni piombo e zinco.) Il numero degli occupati subì
continue oscillazioni di riferimento al prezzo dello zinco. Nel frattempo
si era costituita una commissione che si fece interprete dei bisogni dei
minatori. Vennero adottate precauzioni per ridurre gli incidenti (caschi
protettivi, mascherine) e si fecero campagne per prevenire le malattie
professionali anche con l’aiuto dei parroci locali, che dal pulpito tentarono
di sensibilizzare i minatori, purtroppo con risultati sempre modesti.
Quando i problemi della industria dello
zinco, si acuirono per eccesso di offerta, anche l’azienda cercò
di trasformarsi con numerosi interventi finanziari ed operativi. La società
(prima AMNI poi AMMI SpA ), fu incorporata dalla ITALMINIERE, intervenne
l’EGAM e infine fu ceduta alla SAMIN.
Nel 1969-70 con la chiusura di cantieri
alti alla “Plassa” alla Parina e allo smantellamento della teleferica che
portava il minerale in Val del Riso, iniziò la lenta agonia della
miniera. Vennero introdotti nuovi macchinari ( potenti perforatrici ad
acqua ) e numerosi vagoncini elettrici efficienti e silenziosi.Venne aperta
anche la strada di collegamento con Ponte Nossa, dove era stato aperto
un grande stabilimento per il trattamento dello zinco. Fu in parte realizzata
anche una galleria di collegamento con la Val del Riso, ma fu tutto inutile
.
Le
prime lettere di licenziamento arrivarono nel 1980, seguirono allarme,
manifestazioni e scioperi. Nel 1982 tutto era finito. Dopo oltre cent’anni
la Val Parina era restituita alla natura. La miniera tra poco sarà
solo un ricordo, lentamente i vecchi minatori non ricorderanno più
e le nuove generazioni non sapranno mai se qualcuno non si affretterà
a conservarle.
IL LAVORO DELLE DONNE
Le donne erano addette alla cernita (scelta
)del minerale. Il lavoro cominciava già nei piazzali antistanti
la miniera, qui alcuni uomini rompevano con grosse mazze i pezzi più
grossi, e successivamente intervenivano le donne che con martelli liberavano
il più possibile, il minerale dallo sterile. Chine o sedute su rozzi
sgabelli spezzettavano il minerale (“ganga “) e lo ammucchiavano vicino
alle stazioni di partenza.
Non c’erano grandi precauzioni: con il sole,
il vento o il freddo, il lavoro proseguivano 8 o più ore al
giorno per una paga scarsa ma importante per la famiglia.
COME SI SONO FORMATI I GIACIMENTI?
Gli strati di calcare metallifero
delle nostre montagne, hanno una lunghezza che varia dai sessanta ai cento
metri ed uno spessore da dieci centimetri a un metro. Si formarono durante
il periodo Triassico, più di duecento milioni di anni fa e si trovano
tra il Ladinico e il Carnico. Il Carnico è di color grigio-verde
ed è attraversato da qualche venetta di pirite.
Nel Ladinico non si trovano minerali. Questi
strati metalliferi si sono formati in fondo al mare con sostanze calcaree
(gusci...) che si sono allora depositate. Molti studiosi sono giunti alla
conclusione, che nel fondo marino, a quell’ epoca, si verificarono eruzioni
vulcaniche che avrebbero fatto affluire nelle acque, assieme alle lave,
solfuri di piombo e zinco che si depositarono tra il calcare.
Conosciamo poi il destino dei nostri depositi:
sollevati e strizzati dall’avvicinarsi della zolla Africana, vennero alla
luce anche grazie all’erosione avvenuta in questi milioni di anni.
MUSEO MINERALOGICO di OLTRE IL COLLE
A Zorzone, presso le ex scuole elementari
in via Funivia, è stato allestito un museo mineralogico con
il contributo di chi in miniera ha lavorato davvero.
Il museo risulta articolato in due sezioni ; al piano terra si trova la sezione dei minerali mentre al piano sottostante, é stato allestito in due spazi il museo della miniera ; nello spazio minore è ricostruito un tratto di galleria mineraria con il simulacro di un minatore al lavoro sul “fronte” della galleria . |
SFALERITE VULFENITE EMIMORFITE IDROZINCITE
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GALENA
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e di altre località: |
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CRISTALLI DI FLUORITE CRISTALLI DI CALCITE BISSOLITE QUARZI ROSE DEL DESERTO |
PIRITE
EMATITE AMETISTA STILBITE ANTIMONITE |
Il museo è aperto :
luglio : feriali su prenotazione /
festivi ore 16-18
agosto : dall’1 al 20 ore 16-18 .
Da settembre a giugno il museo è aperto
su prenotazione ;
Municipio , via Perletti, 4
Tel.034595015
Conservatore del museo
Tel.034595313