Mediatrici culturali sanitarie rom
Uno degli ambiti in
cui, in questi ultimi anni, si è confermata la validità dell'utilizzo
di strumenti di mediazione culturale è quello socio sanitario,
attraverso la sperimentazione di interventi rivolti a facilitare
l'utilizzo dei servizi dell'area materno infantile da parte delle
comunità Rom.
Come già ricordato in altre occasioni, la situazione
sanitaria delle comunità rom e sinte di tutta la provincia di
Milano presenta aspetti di grave preoccupazione, legati soprattutto
all'assenza di interventi di prevenzione estesi all'interno del
proprio gruppo sociale.
Gli indici riscontrati nei gruppi zingari relativamente
ai tassi di natalità, morbilità, mortalità sono drammaticamente
paragonabili a quelli dei Paesi del Terzo Mondo piuttosto che
ai dati di un moderno Stato Europeo e riportano una casistica
che prende in esame le comunità stanziali, quelle cioè, sulla
carta, che ci appaiono come maggiormente "garantite".
Infatti, molti altri elementi sfuggono alla
nostra attenzione poiché per le comunità di Rom stranieri e le
comunità di Zingari che nomadizzano, il rapporto con le strutture
sanitarie di base e quelle ospedaliere è ancora più incerto ed
occasionale. Gli spostamenti impediscono di eseguire valutazioni
longitudinali consistenti e i sistemi informativi sanitari risultano
inadeguati per fornire informazioni specifiche sul "gruppo Zingaro".
Uno studio longitudinale condotto sulle cause
di morte fra gli stranieri presenti a Torino indicava qualche
tempo addietro l'importanza di morti accidentali dovute soprattutto
ad incidenti stradali. In particolare sottolineava la rilevante
mortalità per cause accidentali in bambini al di sotto dei 15
anni.
I dati di dimissione ospedaliera relativi ai
ricoveri in Regione Lombardia (primi anni '90) evidenziano un
alto ricorso all'ospedalizzazione in età pediatrica, soprattutto
nel corso del primo anno di vita, con una predominanza di ricoveri
per malattie infettive, respiratorie e per patologie neonatali.
Basta pensare che la popolazione sotto
i 14 anni oscilla, secondo le comunità, tra il 48 e il 52 % della
popolazione e che solo il 2,5 - 3,0 % supera i sessanta anni ....
per comprendere appieno l'importanza di questi elementi, sia pure
in parte incompleti.
Le ragioni di tale situazione sono molteplici
e complesse e vanno ricercate in varie direzioni: innanzitutto
nelle precarie condizioni abitative (la politica di sgomberi continui
e l'emarginazione nelle periferie più degradate delle aree urbane,
fanno vivere gli zingari in situazioni ambientali malsane, in
roulottes o in baracche provvisorie dove acqua, luce, gas e riscaldamento
non sono alla portata di tutti). Ambientali (vicinanza di arterie
stradali a grossa percorrenza, discariche, accumulo di rifiuti,
ratti e insetti; abitudini alimentari che combinano carenze quantitative
e qualitative a occasionale sovralimentazione disordinata (obesità)
e abuso di fumo e bevande alcooliche; una cultura del corpo e
della malattia che rende difficile il rapporto tra medicina ufficiale
e zingari.
Più che una nomenclatura clinica si possono
quindi raggruppare e classificare fattori di rischio che sviluppano
patologie acute, croniche e da stress dipendenti dalle sopra citate
condizioni di vita che determinano la rilevanza di malattie delle
alte e basse vie respiratorie, del sistema digerente (le carie
dentali sono un fenomeno diffusissimo a partire dalla prima infanzia),
dermatologiche, cardio e cerebrovascolari.
Esiste quindi una stretta correlazione
fra il profilo epidemiologico dei problemi di salute e i fattori
di rischio socio ambientali che danno luogo a fenomeni di emarginazione.
Inoltre si riscontra anche un atteggiamento
delle strutture sanitarie che, riflettendo passivamente il senso
comune corrente, combina incomprensione, indifferenza e atteggiamenti
discriminatori: non si tenta di capire la cultura "altra", vista
solo come indice di ignoranza se non di barbarie; non si prende
coscienza né della gravità né della stessa esistenza del problema;
spesso - anche se con numerose lodevoli eccezioni - si discrimina
più semplicemente lo zingaro che cerca il contatto con le strutture
sanitarie.
Per affrontare direttamente la questione
sanitaria andando al nocciolo del problema occorre dunque partire
dal difficile rapporto tra la cultura del corpo e della salute
delle comunità rom e sinte e la cultura specifica degli operatori
dei servizi sanitari progettando percorsi di mediazione tra queste
due culture, così come già si sta facendo nel campo scolastico.
Ad esemplificazione di quanto detto i
Rom e i Sinti esprimono, ad esempio, una valutazione alquanto
diversa del proprio stato di salute rispetto a quanto noi siamo
soliti attribuire loro sulla base di riscontri biomedici e dati
statistici, non riconoscendosi come gruppo particolarmente soggetto
a malattie o con una aspettativa di vita media molto bassa rispetto
alla popolazione maggioritaria.
La stessa struttura demografica delle
comunità zingare ci fornisce la scelta dove indirizzare le nostre
proposte di intervento: l'altissimo numero di gravidanze e di
parti, quel 48 - 52% di popolazione infantile e pre-adolescenziale
impongono "naturalmente" il coinvolgimento dell'area del materno
- infantile.
Ma a questa ragione obiettiva si aggiungono
altre motivazioni.
Visto che si tratta di mediare tra due
culture diverse, la scelta da effettuare è quella di puntare tutto
sulla mediazione tra due culture femminili diverse: da una parte
non la cultura "media" dei servizi sanitari ma la cultura fortemente
innovativa delle operatrici dei servizi territoriali del materno
- infantile (puntando soprattutto sulle operatrici dei consultori
familiari e dei consultori pediatrici, da sempre tese all'ascolto
attento delle utenti …) e, dall'altra, la specifica cultura del
corpo, della sessualità, della gravidanza, dei parti e dell'accudimento
- allevamento dei bambini di cui sono portatrici le romnì e le
sinte - le donne zingare.
Tanto più che l'esperienza parallela
della mediazione scolastica rivelava una peculiarità femminile
all'interno della cultura zingara: l'essere cioè le donne le migliori
custodi della tradizione e, contemporaneamente, le migliori e
più audaci portatrici del bisogno dinamico di cambiamento.
La mediatrice sanitaria rom è quindi
un'operatrice che all'interno della propria cultura e comunità,
da quel luogo di vita quotidiano in cui essa stessa vive, impara
a rapportarsi alla cultura maggioritaria rappresentando la specificità
etnica e culturale del proprio gruppo (i bisogni, i problemi e
le risposte che in esso maturano) ed acquisendo dalla cultura
"altra" tutto quello che può essere utilmente riportato.
In questa dinamica di interscambio culturale
assumono quindi un ruolo centrale i servizi dell'area della famiglia,
infanzia, età evolutiva, in relazione agli scenari demografici
(soprattutto se si pensa al ben più consistente fenomeno migratorio)
e ai bisogni di prevenzione che modificano o meglio, costringono
a ripensare il superamento di un modello di intervento solo di
tipo emergenziale e per questo frammentario e una struttura di
servizio molto poco incentrata su un sistema complesso di interazioni.
Ci stiamo dunque velocemente avviando
verso un panorama sociale multietnico che richiede un salto qualitativo
dei Servizi socio sanitari, nel percorso che porta la persona
appartenente ad una minoranza verso il riconoscimento di una compiuta
"cittadinanza", passando così da un sistema a fiducia personale
ad un sistema a fiducia generalizzata.
Occorre quindi favorire la relazione
tra operatori e utenti anche mediante il ricorso del mediatore
linguistico culturale, promuovendo interventi di confronto interculturale,
inventando, sviluppando e mettendo in rete le risorse già esistenti
sul territorio, mettendo a punto una metodologia d'intervento
riproducibile anche in altre realtà territoriali.
Maurizio Pagani - Vice Presidente Opera Nomadi
Milano
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