HST RIVELA LA FOTOEVAPORAZIONE

a cura di Fredi De Maria

Non passa quasi settimana che il Telescopio Spaziale Hubble (HST) non ci regali nuove, straordinarie immagini destinate ad arricchire, e in qualche caso addirittura a rivoluzionare, le attuali conoscenze sull'Universo e la comprensione dei meccanismi della sua genesi ed evoluzione.

m16hst Una delle scoperte più importanti del 1995 è destinata, secondo gli scienziati americani, a far "riscrivere interi capitoli dedicati alla formazione delle stelle"; questa sarà magari un'esagerazione: non è, dopotutto, che le osservazioni contraddicano la preesistente teoria (semmai la arricchiscono): ma è certo che, prima d'ora, fenomeni come quello fotografato da HST non erano mai stati osservati.

Il formidabile obbiettivo del Telescopio Spaziale, libero dal velo costituito dall'atmosfera terrestre, è riuscito a squarciare le immense, sterminate distese di nubi di gas e polveri interstellari che formano la nebulosa Aquila, distante da noi ben settemila anni luce, e ad osservare direttamente una cinquantina di protostelle; con questo termine vengono definiti gli embrioni dai quali si svilupperanno le stelle propriamente dette, una volta che le temperature sempre crescenti del loro nucleo avranno raggiunto il valore necessario all'innesco della fusione termonucleare.

L'enorme importanza di quanto si è scoperto risiede soprattutto nel fenomeno della fotoevaporazione (in soldoni: evaporazione causata dalla luce, dove per luce si intende essenzialmente la radiazione ultravioletta). Vediamo di chiarire meglio.

La teoria aveva già, da tempo, individuato in simili immense nubi di gas e polveri interstellari il materiale primigenio responsabile della nascita delle stelle: fin dal 1947 Bok e Reilly avevano studiato alcune decine di grandi nebulose oscure e fredde (globuli di Bok) che risultarono trovarsi in fase di collasso gravitazionale; e non si è mai seriamente dubitato che da tale collasso derissero le protostelle e, in una fase successiva, le stelle vere e proprie. Le protostelle sono oggetti di aspetto pressappoco stellare; ma la radiazione che emettono (soprattutto nell'infrarosso, a causa dei massicci bozzoli di gas e polveri più fredde da cui sono avvolte) è di origine gravitazionale e non termonucleare: in altre parole, è la contrazione gravitazionale che riscalda il gas nel nucleo dell'astro (un gas sottoposto a compressione si riscalda: mai provato a gonfiare la ruota di una bicicletta?); e la pressione che ne deriva è tale che, se c'è la massa necessaria, all'interno della protostella vengono raggiunte temperature dell'ordine dei dieci-quindici milioni di gradi, sufficienti ad innescare la fusione nucleare dell'idrogeno e, quindi, la nascita della stella propriamente detta.

A non risultare del tutto chiaro era come mai da una nube di, mettiamo, mille masse solari, nascesse non un'unica, enorme stella di quelle dimensioni, ma, piuttosto, alcune decine o centinaia di stelle di masse le più diverse. Ed è proprio questo meccanismo che le recenti osservazioni di HST aiutano a chiarire.

Le regioni galattiche come quella della nebulosa Aquila (ne conosciamo tante, una delle più note si trova nella costellazione di Orione) sono delle vere e proprie nursery di stelle. Ce ne sono innumerevoli e di ogni grandezza, generalmente tutte molto giovani. Le più massive sono anche le più calde, ed emettono quantità enormi di radiazione; e più calde sono, maggiore è la percentuale di radiazione ultravioletta, molto più energetica della radiazione visibile. Questa radiazione esercita una pressione, sugli embrioni di stella, paragonabile a quella del vento su delle pietre circondate dalla sabbia del deserto: è un vero e proprio vento di radiazioni intensissime, che spazza via i materiali che, circondandoli, contribuivano al loro continuo accrescimento. Così, le stelle più massive, formatesi all'inizio del collasso gravitazionale, oltre a liberarsi, grazie al vento di radiazione, dei propri bozzoli, impediscono agli embrioni ancora in via di accrescimento di continuare ad accumulare massa. E il materiale spazzato via dai nuclei va a concentrarsi in nuovi centri di aggregazione gravitazionale e, quindi, nuovi embrioni. Così, dalle grandi nubi nascono tante stelle di tutte le possibili dimensioni, come il Sole e le nane brune, stelle abortite piccole e oscure, note finora solo alla teoria, ma mai osservate a causa della troppo bassa luminosità.

Possiamo dire con certezza che è stato aggiunto un pilastro fondamentale all'edificio della conoscenza dell'evoluzione stellare, un edificio il cui completamento non sembra poi tanto lontano, anche se le sue fondamenta sono state gettate, dopo tutto, da pochissimo tempo. Oggi, infatti, può apparire ovvio, persino banale parlare di evoluzione stellare: il fatto che le stelle cambino nel tempo, nascano, si evolvano e muoiano in una devastante esplosione, è scontato e noto a chiunque. Ma non dobbiamo dimenticare che, appena quattro secoli fa, il mito dell'incorruttibilità e dell'immutabilità dei cieli aveva la dignità del dogma di fede, e solo a metterlo in dubbio si rischiava il rogo per eresia. E, ancora nei primi decenni di questo secolo, prima che Einstein scoprisse l'equivalenza fra materia ed energia (E=mc2), il meccanismo che consente alle stelle di esistere e brillare era un mistero. Infatti, benchè lo sviluppo delle scienze geologiche già dalla metà del secolo scorso permettesse di attribuire alla Terra un'età di oltre quattro miliardi di anni, nessun processo fisico allora noto permetteva di giustificare il fatto che il Sole potesse emettere energia al tasso attuale per più di qualche decina di migliaia di anni!

La teoria della relatività portò alla scoperta della fusione termonucleare e consentì, quindi, di cominciare a costruire un modello fisico dell'evoluzione stellare che, via via confermato o corretto dalle osservazioni (prima soltanto visuali e poi, dopo la seconda guerra mondiale, estese anche a tutte le altre bande dello spettro elettromagnetico) oggi si può considerare senz'altro prossimo alla completezza.

HST ha consentito un vero salto di qualità nella capacità dell'uomo di scandagliare i segreti dell'Universo che lo circonda, e quindi un consistente innalzamento del livello della conoscenza umana. E molto ci attendiamo, adesso, dalla prossima generazione dei grandi telescopi terrestri, veri leviatani ottici la cui potenza non sarà nemmeno paragonabile a quella dei più grandi telescopi attuali.