La Radioastronomia

di Fredi De Maria


Fino a cinquant'anni fa tutto ciò che potevamo sapere sull'Universo dipendeva esclusivamente dalle informazioni che ci venivano fornite dalle immagini ottiche. Il progresso della tecnologia, da allora, ha favorito il proliferare di nuove scienze nel campo dell'indagine astronomica, il che ha immensamente ampliato la conoscenza e la comprensione dei processi fisici che regolano la formazione e l'evoluzione dei corpi celesti. Fra queste la radioastronomia, che si occupa della ricezione e dello studio della radiazione che i corpi celesti emettono in quella stessa zona dello spettro elettromagnetico cui appartengono le frequenze usate per le telecomunicazioni.

La prima scoperta di un segnale radio proveniente dal centro della galassia risale al 1931, ma solo dopo la fine della seconda guerra mondiale lo sviluppo della tecnologia permise di iniziare una vera e propria ricerca astronomica nella banda delle frequenze radio.

Un radiotelescopio funziona secondo gli stessi principi di un telescopio ottico: c'è una superficie riflettente, di solito parabolica, che corrisponde all'obbiettivo di un telescopio ottico; la radiazione raccolta dalla parabola viene focalizzata su un ricevitore, che la trasforma in un segnale elettrico, lo amplifica e lo invia agli stadi successivi.

I problemi principali che si presentano in radioastronomia sono quelli dovuti all'estrema debolezza del segnale ed alle limitazioni del potere risolutivo.

Il primo dipende dalla distanza: su scala astronomica questa è sempre tale che le pur spaventose energie emesse da Quasars e nuclei galattici attivi giungono fino a noi come segnali debolissimi, con potenze milioni di volte inferiori a quella di una lampadina.

Il il potere risolutivo consiste, in parole semplici, nella capacità di uno strumento di distinguere come separati due punti vicini nel cielo: se lo strumento ha insufficiente potere risolutivo una stella doppia, ad esempio, verrà percepita come singola. Tutti possiamo osservare ad occhio nudo Albireo, la seconda stella, per splendore, della costellazione del Cigno: vediamo appunto una sola stella. Ma già con un piccolissimo telescopio, che amplifichi il potere risolutivo dell'occhio, le stelle diventano due, bellissime, una azzurra, l'altra giallo-oro. Il fenomeno non dipende dal potere d'ingrandimento: ciò che conta è il rapporto tra il diametro dell'obbiettivo dello strumento e la lunghezza d'onda della radiazione con cui si lavora. Poichè la lunghezza d'onda della radiazione luminosa va dai 400 ai 650 milionesimi di millimetro, un telescopio ottico può avere risoluzione soddisfacente con un diametro di pochissimi metri. Ma i radiotelescopi ricevono lunghezze d'onda circa 100.000 volte maggiori: una parabola che lavori ad una lunghezza d'onda di 6 cm. dovrebbe avere un diametro di 3 km. per avere lo stesso potere risolutivo non diciamo di un telescopio, ma semplicemente dell'occhio umano.

Dunque i radiotelescopi devono essere molto grandi. Prototipo dei radiotelescopi delle prime generazioni è quello di Arecibo, una parabola di 305 m. di diametro posta all'interno di una depressione naturale di pari diametro. Ancor più grande è la Croce del Nord di Medicina, vicino Bologna.

L'introduzione della tecnica interferometrica, negli anni settanta, risolse il problema della scarsa risoluzione. Un interferometro tipo è costituito da due parabole, fisicamente connesse fra loro ed orientate verso la stessa sorgente. I segnali vengono raccolti dalle due parabole, amplificati e guidati ad uno strumento che li elabora in modo tale che, alla fine, il potere risolutivo dipende dal rapporto fra la distanza tra le parabole e la lunghezza d'onda: dunque, per aumentare la risoluzione basta allontanare le parabole: è lo stesso che aumentare il diametro dell'obbiettivo di un telescopio ottico.

Oggi esistono sistemi di interferometri capaci di fornire immagini con dettagli migliori di quelle fornite dai più potenti telescopi ottici. Il VLA (Very Large Array, New Mexico, USA) è costituito da 27 parabole di 25 m. di diametro ciascuna, disposte a Y. I bracci della Y sono lunghi 20 km. e le parabole corrono lungo i bracci su rotaie, in modo da poter operare a diverse risoluzioni.

Il sistema VLBI (Very Long Baseline Interferometry) elimina la connessione fisica fra i radiotelescopi, che possono così trovarsi anche a migliaia di chilometri di distanza: i diversi radiotelescopi della rete sono sincronizzati con una precisione al millesimo di secondo; puntano tutti simultaneamente lo stesso oggetto per lo stesso intervallo di tempo e registrano i dati ottenuti su supporti magnetici che poi, in un comune Centro di Correlazione, vengono combinati a due a due da un computer. A questo punto, il potere risolutivo, che dipende dalla distanza dei telescopi, può essere limitato soltanto dalle dimensioni del nostro pianeta (ma è già in programma un'estensione nello spazio). Tanto per farci un'idea dei limiti che si potrebbero raggiungere: se fossimo in grado di ottenere la stessa risoluzione nell'ottico, riusciremmo a veder camminare un uomo sulla Luna.

L'EVN (European VLBI Network) è un consorzio europeo che comprende 10 paesi, fra cui l'Italia. I radiotelescopi che costituiscono il sistema hanno diametri che raggiungono i 100 metri. Operano simultaneamente osservando gli oggetti secondo un programma stabilito da un apposito comitato europeo. Questa rete ha la stessa potenza risolutiva che avrebbe un telescopio grande come tutta l'Europa. L'Italia ha le sue due parabole a Medicina (Bologna) e a Noto (Siracusa).

La tecnologia interferometrica a lunga base ha portato ad importantissime scoperte per quel che riguarda la fenomenologia dei nuclei galattici, la formazione delle radiosorgenti, lo studio delle nubi galattiche; e le sue applicazioni non sono limitate all'astrofisica, ma anche, ad esempio, allo studio delle placche continentali. Il Consorzio europeo, per esempio, ha sviluppato una rete di punti geodetici che, grazie alla parabola di Noto, ha misurato un movimento della Sicilia in direzione Nord, con una velocità di spostamento di circa 1 cm. all'anno.