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Il seguente articolo è stato pubblicato 
sul numero 12/2003 (pagg. 21-23) del mensile RADIORAMA (Trieste)
 periodico dell'A.I.R. - Associazione Italiana Radioascolto
							

IL DIRITTO AL RADIOASCOLTO

(Viaggio tra nuove e vecchie leggi, alla riscoperta di un diritto di libertà mai venuto meno)

Parte prima – Le nuove leggi

(di Giorgio Marsiglio)

per leggere la parte seconda

 

1. PREMESSA

Una convinzione diffusa in Italia tra i BCL - gli appassionati del radioascolto - è che i dubbi sulla piena legittimità dell’ascolto dell’etere mediante i ricevitori ad onde corte abbiano una causa remota: "la legge prevede che il Radio ascoltatore ascolti solo le stazioni Broadcasting e solo quelle ufficiali, utilizzando una licenza, questo perché queste leggi sono state scritte durante l’ultima guerra quando in tempi di oscurantismo era impossibile e formalmente proibito non ascoltare che una Radio: quella Fascista" (in S.Veniani - M.Vinassa de Regny, Scanner Guide, Edizioni CD 1999, pag. 96). [1]

In effetti il Codice postale del 1973 riportava norme repressive [2] che in alcuni casi sono state applicate anche nei confronti dei BCL: ultimo il caso del "DX Camp" di Mestre nel novembre dell’anno 1999.

Approvato con Decreto Legislativo 1 agosto 2003, n.259 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 214 del 15 Settembre 2003), è arrivato il nuovo "Codice delle Comunicazioni elettroniche"[3], che ha portato alla rivisitazione anche delle sanzioni previste dal vecchio codice.

Le sanzioni relative all’uso privato delle comunicazioni sono ora da ricercare nell’articolo 102:

Le sanzioni dettate dall’art. 98 del nuovo Codice sono invece relative all’uso pubblico, e pertanto non dovrebbero riguardare l’attività di OM, SWL e BCL. Nasce però una perplessità: tale articolo prevede una sanzione amministrativa pecuniaria (minimo 5.000,00 €) in caso di installazione o l’esercizio - senza la relativa autorizzazione generale - di impianti radioelettrici.

Ma siamo proprio sicuri che l’impianto radioelettrico di cui al nuovo Codice non ricomprenda anche i nostri ricevitori BC? E’ una domanda lecita, in quanto – come tra poco vedremo - il Codice del 1973 andava in tutt’altra direzione. E’ vero che il Titolo V del Codice 2003 - dedicato proprio agli "impianti radioelettrici" - detta disposizioni per servizi ben specifici ("mobile marittimo", "navi da pesca", "navi da diporto", "mobile aeronautico"). Peccato però che lo stesso Titolo crei non poca confusione poiché al proprio interno contiene due articoli (160 e 209) [4] inequivocabilmente riferiti alla ricezione del servizio di radiodiffusione.

Svolgiamo il nostro ragionamento compiendo un viaggio a ritroso nel tempo. Nella prima parte esamineremo la normativa più recente, mentre nella seconda ci spingeremo fino alla normativa emanata durante la dittatura fascista.

Precisiamo fin d’ora che si tratta in gran parte di normativa attualmente vigente, e non di una semplice curiosità a carattere storico.

Al termine vedremo così se le sanzioni del Codice postale del 1973 fossero da applicare davvero all’attività di BCL , quali invece del Codice 2003 e – aspetto interessante – se, e come, le leggi fasciste vietassero tale attività.

2. I TERMINI DEL RADIOASCOLTO NELLA LEGISLAZIONE ITALIANA

Codice 1973

Precisiamo dapprima alcuni termini [5] riportati nel Codice postale 1973 (che, ricordiamo, è stata quasi

totalmente abrogato dal Codice delle comunicazioni elettroniche):

oppure

(nella prima ipotesi impianto e stazione sostanzialmente coincidono).

Se, come abbiamo visto, quella tra stazione e impianto è una differenza di poco conto e ininfluente ai fini interpretativi, rilevante invece è la caratteristica di radioelettrico o di telecomunicazioni dell’impianto. Questo è tanto più vero in quanto proprio l’abrogato art. 195 del Codice postale – a volte invocato dalle Autorità nei confronti dei BCL – stabiliva una graduatoria delle sanzioni, punendo maggiormente l’installazione o l’esercizio abusivi di impianto radioelettrico rispetto a quelli di impianto di telecomunicazioni (più di tutti , però, venivano puniti i fatti abusivi che andavano a riguardare quei particolari impianti radioelettrici che sono gli impianti di radiodiffusione sonora o televisiva). Il medesimo ragionamento può essere ora riproposto per l’art. 98 del codice 2003.

Il Codice 1973 – mentre con gli artt. 314 e 315 dava direttamente la definizione di servizio radioelettrico e di stazione radioelettrica [6] – nessun aiuto forniva per individuare il servizio di telecomunicazioni. Ad ogni modo – anche se solo indirettamente – era possibile individuare l’impianto di telecomunicazioni: questo grazie alla lettura combinata degli artt. 183 (il quale, disciplinando l’esecuzione e l’esercizio di impianti di telecomunicazione, al comma 2 cita i "collegamenti a filo", mentre al comma 4 parla di "frequenze radioelettriche" e di "radiocomunicazioni") e 214 (che prevede l’utilizzo del "mezzo radioelettrico").

Il Codice del 1973 – pur riportando più volte i termini "apparecchiatura", "apparecchio" e "apparato" – non ne dava le definizioni, rifacendosi pertanto a quelle proprie del linguaggio della scienza e della tecnica.

Codice del 2003

Vediamo ora alcune definizioni contenute nel Codice delle comunicazioni elettroniche:

Le due definizioni – quella del 1973 e quella attuale - di stazione radioelettrica sono sostanzialmente

identiche. Nuova sembrerebbe la nozione di "apparato radioelettrico", non contenuta nel precedente Codice: in realtà riecheggia la prima ipotesi di "impianto", come riportato a proposito del Codice del 1973.

Altre definizioni:

Per quanto riguarda tali ultime definizioni, possiamo notare:

Decreto Legislativo 9 maggio 2001, n. 269 (norme di attuazione della direttiva 1999/5/CE riguardante le apparecchiature radio, le apparecchiature terminali di telecomunicazione ed il reciproco riconoscimento della loro conformità)

Tale testo normativo (di recepimento di una direttiva dell’Unione europea in materia di requisiti essenziali delle apparecchiature radio) all’art. 2 - comma 4 – esclude la propria applicazione alle apparecchiature radio di sola ricezione utilizzate esclusivamente per ricevere servizi di radiodiffusione sonora e televisiva.

Ad ogni modo , anche questo Decreto riporta alcune definizioni di sicuro interesse:

In questo caso notiamo la novità della definizione di "apparecchiatura radio" (identica a quella di "apparecchio") e, soprattutto, la distinzione operata tra apparecchiatura "radio" e apparecchiatura "terminale di telecomunicazione".[8]

D.P.R. 5 ottobre 2001, n. 447 (Regolamento per i servizi di telecomunicazione ad uso privato)

Prendiamo ora in considerazione alcuni aspetti di tale testo normativo il quale – pur se formalmente

abrogato dall’art.218, lett. ee) del Codice 2003 – vede il proprio contenuto sostanzialmente riprodotto in parte nell’articolato del Codice 2003, in parte nell’allegato 26 di tale Codice.

L’art. 6 del Regolamento (e ora l’art. 105 del Codice 2003) ha liberalizzato l’uso degli apparati radioelettrici solo riceventi, specificando però che tra essi "non sono compresi gli apparecchi destinati esclusivamente alla ricezione del servizio di radiodiffusione". Questo perché il regolamento approvato con il DPR 447 era relativo al solo servizio di telecomunicazioni: infatti, l’art. 1, lett. a) affermava che quello delle telecomunicazioni è "un servizio la cui fornitura consiste, in tutto o in parte, nella trasmissione e nell’instradamento di segnali su reti di telecomunicazioni, ivi compreso qualunque servizio interattivo anche se relativo a prodotti audiovisivi, esclusa la diffusione circolare dei programmi radiofonici e televisivi".

Definizione quanto mai precisa, ma da utilizzare "ai fini delle disposizioni del presente Regolamento" (art.1), e quindi solo per la corretta interpretazione delle disposizioni in materia di licenze individuali e di autorizzazioni generali dettate dal D.P.R. 447/2001.

A questo punto, è necessario tirare le prime conclusioni.

3. TERMINI E DEFINIZIONI: ALCUNI PUNTI FERMI E UN DUBBIO.

Abbiamo in precedenza visto che, secondo le norme dei due Codici:

Abbiamo visto inoltre che – secondo il D.lgs. 269/2001 – vi è netta distinzione tra apparecchiature radio e apparecchiature terminali di telecomunicazione: questo sta a significare anche la distinzione tra i rispettivi impianti e servizi. Ma le radiodiffusioni dove si collocano?

E’ da dire che sia il D.P.R. 447/2001 (ora abrogato), sia il D.lgs. 269/2001 [9] precisano, ai rispettivi articoli 1, che le proprie definizioni valgono solamente ai fini dell’applicazione dei testi normativi medesimi, escludendo quindi gli apparecchi destinati esclusivamente alla ricezione del servizio di radiodiffusione.

Ma siamo proprio sicuri che tali definizioni non abbiamo effetto sul resto dell’ordinamento giuridico, permettendo così – grazie all’interpretazione sistematica [10] - un’applicazione delle norme diversa da quelle fatta nel passato?

Abbiamo così individuato un dubbio rilevante: le radiodiffusioni sono un servizio di telecomunicazioni?

Dal punto di vista tecnico non v’è dubbio alcuno che, come per gli impianti, anche tra i due servizi (quello di telecomunicazioni e quello radioelettrico) vi sia un rapporto di genere a specie, e quindi anche tra telecomunicazioni e radiodiffusioni. Ma dal punto di vista normativo (che è quello che interessa ai fini dell’applicazione delle leggi), tale rapporto esiste oppure no?

E’ fuor di dubbio che - ai sensi degli artt. 314 e 315 del Codice del 1973 – le radiodiffusioni [11] sono una categoria dei servizi radioelettrici, così come gli apparecchi ricevitori dei servizi di radiodiffusione sono delle stazioni radioelettriche.

E’ possibile anche affermare che le radiodiffusioni rientrino tra le telecomunicazioni? Tecnicamente senz’altro, ma giuridicamente?

E’ importante così sapere se il "servizio di radiodiffusione" (ed il suo ascolto) rientri o non rientri - sotto l’aspetto normativo - nella nozione di "telecomunicazione". Superato tale passaggio, potremo dire se all’hobby del radioascolto vadano applicati i divieti e le sanzioni del Codice 2003, o se invece prevalgano le disposizioni liberali del Decreto del Presidente della Repubblica  27 gennaio 2000, n. 64 (Regolamento recante norme per il recepimento di decisioni della Conferenza europea delle poste e delle telecomunicazioni (CEPT) in materia di libera circolazione di apparecchiature radio).

4. LA NOZIONE DI "TELECOMUNICAZIONI".

Il Codice del 1973 dà molte definizioni, ma non quella di "servizio di telecomunicazioni"[12]; in questi casi – se non vi sono definizioni di legge [13] – è logico fare riferimento a quanto affermato dalla scienza e dalla tecnica, le quali ricomprendono nelle telecomunicazioni anche le radiodiffusioni a carattere circolare.

Il Codice del 2003 va invece troppo oltre, introducendo la nozione più complessa di "comunicazioni elettroniche" [14] (comprensive delle telecomunicazioni: art. 1 lett. gg), lasciando però irrisolto il nostro dubbio.

Nel frattempo, però, una definizione normativa di telecomunicazioni è finalmente giunta, grazie al D.P.R. 19 settembre 1997, n. 318 (Regolamento per l'attuazione di direttive comunitarie nel settore delle telecomunicazioni) che all’art. 1, lettere "h" e "q" enuncia le seguenti definizioni [15]:

Assistiamo così non solo alla differente attribuzione di significato – relativamente allo stesso termine - che viene operata dal mondo giuridico da una parte, e da quello scientifico dall’altra, ma anche a due diversi significati dati dallo stesso mondo giuridico (codice 1973 e D.P.R. 318/1997).

Ma - a ben vedere - proprio aver reso esplicita tale esclusione tradisce la consapevolezza del legislatore che anche la "diffusione circolare" (o radiotelediffusione) è un "servizio di telecomunicazione" dal punto di vista tecnico; per qualche motivo, però, si è ritenuto necessario escluderla dalla normativa del servizio generalmente inteso.

Il motivo potrebbe consistere nel fatto che esiste un’apposita normativa, specifica per le radio(tele)diffusioni: dobbiamo ora trovarla.

5. L’ART. 411 DEL CODICE POSTALE [17]

Quasi alla fine dell’articolato del codice 1973, troviamo l’indizio che cercavamo: esiste una legislazione per le radiodiffusioni, specifica e diversa non solo da quella del Codice postale, ma anche da quella dettata dal Codice 2003, in quanto – come evidenziato in Radiorama 10/2003, pag. 27 – nell’elenco degli articoli del vecchio codice abrogati dal Codice delle comunicazioni elettroniche non risulta l’art. 411.

Si apre quindi una pista per giungere alla soluzione dei seguenti quesiti:

Lo vedremo - proseguendo il nostro viaggio nel tempo - nella seconda parte di questo articolo.

(fine parte prima)

 

NOTE

[1] In precedenti opere ( Scanner 2 Confidential - anno 1989, pag. 113, e Top Secret Radio I misteri dell'etere - anno 1987, pag. 163), veniva invece affermato che "non va dimenticato che gran parte delle leggi vigenti sono state emanate durante il passato regime, quando ascoltare stazioni straniere costituiva reato gravissimo".

[2] Tra esse le norme di cui all'art. 195 - comma 2 (installazione o esercizio di impianto radioelettrico senza concessione od autorizzazione) e all'art. 218 (stabilimento o esercizio di impianto di telecomunicazioni per finalità o con modalità diverseda quelle indicate negli atti di concessione).

[3] Vedi Radiorama n. 10/2003, pag. 26 e ss.

[4] Art. 160 (Licenza di esercizio) 1. Presso ogni singola stazione radioelettrica per la quale sia stata conseguita l'autorizzazione generale all'esercizio deve essere conservata l'apposita licenza rilasciata dal Ministero.2. Per le stazioni riceventidel servizio di radiodiffusione il titolo di abbonamento tiene luogo della licenza.

Art. 209 (Installazione di antenne riceventi del servizio di radiodiffusione e di antenne per la fruizione di servizi di comunicazione elettronica) 1. I proprietari di immobili o di porzioni di immobili non possono opporsi alla installazione sulla loro proprietà di antenne appartenenti agli abitanti dell'immobile stesso destinate alla ricezione dei servizi di radiodiffusione e per la fruizione dei servizi radioamatoriali. 2. Le antenne, i relativi sostegni, cavi ed accessori non devono in alcun modo impedire il libero uso della proprietà, secondo la sua destinazione, né arrecare danno alla proprietà medesima o a terzi. Si applicano all'installazione delle antenne l'articolo 91, nonché il settimo comma dell'articolo 92. Gli impianti devono essere realizzati secondo le norme tecniche emanate dal Ministero. 5. Nel caso di antenne destinate a servizi di comunicazione elettronica ad uso privato è necessario il consenso del proprietario o del condominio, cui è dovuta un'equa indennità che, in mancanza di accordo fra le parti, sarà determinata dall'autorità giudiziaria.

[5] Come si vedrà nel prosieguo, le de finizioni contenute nelle norme giuridiche non sempre corrispondono a quelle fatte proprie dalla tecnica radiantistica: questo avviene non tanto per ignoranza del legislatore (almeno il più delle volte), ma a causa di una valutazione del bene - che le norme intendono tutelare - tale da "forzare" a volte il significato dei termini tecnici. Vedi in proposito al successivo paragrafo 4.

[6] Art. 314. ( Servizi radioelettrici ) Ricadono sotto il presente titolo le radiodiffusioni , nonché le trasmissioni, emissioni e ricezioni effettuate a mezzo di onde radioelettriche, escluse quelle destinate ad integrare le reti telefoniche e telegrafiche ad uso pubblico.

Art. 315. ( Stazione radioelettrica) Si intende per stazione radioelettrica uno o più trasmettitori o ricevitori od un complesso di trasmettitori e ricevitori, nonché gli apparecchi accessori necessari per effettuare un servizio di radiocomunicazione in un determinato punto.

[7] Con questa definizione il legislatore ha risolto il dubbio relativo alla categoria di riferimento dei telefoni cordless, escludendoli - dal punto di vista normativo - dalla categoria delle apparecchiature radio. I lettori ricorderanno che c'è stato un periodo - nemmeno troppo lontano - nel quale possedere un telefono non omologato "cordless" ("senza cordone" come riportavano in modo involontariamente comico le sentenze) voleva dire esporsi al rischio di un processo per violazione dell'art. 398 del Codice postale (Prevenzione ed eliminazion e dei disturbi alle radiotrasmissioni ed alle radioricezioni) "E' vietato costruire od importare nel territorio nazionale, a scopo di commercio, usare od esercitare, a qualsiasi titolo, apparati od impianti elettrici, radioelettrici o linee di trasmissione di energia elettrica non rispondenti alle norme stabilite per la prevenzione e per la eliminazione dei disturbi alle radiotrasmissioni ed alle radioricezioni." Fortunatamente la Suprema Corte aveva nel frattempo già ristabilito la certezza del diritto, precisando che tali telefoni non sono classificabili fra gli apparecchi radio trasmittenti così come intesi dal Codice del 1973, e quindi la detenzione (non a scopo di commercio) e l' uso di tali telefoni non richiedeva la preventiva denuncia di cui all' art. 403 (Detenzione abusiva di apparecchi radiotrasmittenti) (Cass. Civile, sez. I, 22 gennaio 1997, n. 675). Infatti, a leggere bene il Codice postale il dubbio non avrebbe dovuto nemmeno porsi; l'art. 314 qualificava i "servizi radioelettrici" come le "trasmissioni, emissioni e ricezioni effettuate a mezzo di onde radioelettriche, escluse quelle destinate ad integrare le reti telefoniche e telegrafiche ad uso pubblico."

[8] Nel precedente paragrafo abbiamo visto che il Codice del 1973 - sia pure indirettamente - definiva le telecomunicazioni in maniera differente, e cioè come l' insieme dei collegamenti mediante onde radio oppure mediante filo o altri supporti. La definizione del Decreto legislativo 269/200, invece, distingue nettamente i collegamenti radioelettrici da quelli rivolti ad interfacce di reti pubbliche di telecomunicazione.

[9] Questo testo normativo è stato seguito da un regolamento attuativo: con D.M. Comunicazioni 30.10.2002, n. 275 sono state determinate le modalità di sorveglianza e controllo ministeriale sulle apparecchiature immesse sul mercato e messe in esercizio.

[10] Come il legislatore - quando regola una materia con una nuova disposizione normativa - ritiene che le norme precedenti, se non abrogate o modificate, verranno d'ora in poi interpretate tenendo conto di quanto afferma il nuovo provvedimento, così l'interprete dovrà leggere e applicare le disposizioni sopravvissute alla luce di quella sopravvenuta. Un esempio è quello dell\rquote art. 333 del Codice postale che prevedeva il rilascio delle autorizzazioni d'ascolto: prima dell'entrata in vigore dell'art. 43 del DPR 447/2001, la norma del Codice andava letta nel senso che l'ascolto degli OM era abusivo se effettuato da chi fosse stato sprovvisto dell'autorizzazione SWL: ora, invece, l'intervenuta liberalizzazione ha portato all'abrogazione implicita dell'art. 333 al quale non può più9 attribuirsi un significato logico, stante l'assoluta incompatibilità con il nuovo regime introdotto (ora la materia è egualmente regolata dall'art. 134, comma 4 del Codice 2003, in combinato disposto con l'art. 9 dell'allegato 26).

[11] I Codici del 1973 e del 2003 non danno la definizione di "servizio di radiodiffusione". Ne possiamo trovare una soddisfacente nei glossari contenuti negli ultimi due testi di "Piano Nazionale di ripartizione delle frequenze" (D.M. Comunicazioni 28.2.2000 e 8.7.2002): "Servizio di radiocomunicazione le cui emissioni sono destinate ad essere ricevute direttamente dal pubblico in generale. Questo servizio può comprendere emissioni sonore, emissioni televisive o altri generi di emissione."

[12] Bisogna comunque precisare che il Codice 1973 - mediante le rubriche dei propri Titoli - effettuava la ripartizione in servizi telegrafici , telefonici e radioelettrici .

[13] Sarebbe scorretto dimenticare che - con regio decreto 25 marzo 1933, n. 204 - l'talia aveva dato esecuzione agli Accordi internazionali in materia telegrafica, telefonica e radiotelegrafica stipulati a Madrid il 9-10 dicembre 1932. Ebbene, tali accordi riportano la seguente definizione: "per telecomunicazione si intende ogni emissione, trasmissione o ricezione di segni, di segnali, di scritti, di immagini, di suoni o di informazioni di qualsiasi natura, per filo, radioelettrica , ottica o a mezzo di altri sistemi elettromagnetici". Tale definizione non era però presente nel Codice postale del 1973.

[14] Abbiamo già visto che l'art. 1 del Codice 2003 definisce in modo diretto non le "comunicazioni elettroniche", bensì le "reti" (lett. dd) ed il "servizio" (lett. gg) di comunicazione elettronica.

[15] Anche il decreto legislativo 13 maggio 1998, n.171 ("Disposizioni in materia di tutela della vita privata nel settore delle telecomunicazioni, in attuazione della direttiva 97/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, ed in tema di attivita' giornalistica) dà delle definizioni in linea con quelle del D.P.R.318/1997.

[16] Ricompare il termine storico di circolare , il quale viene riferito a quella modalità di invio di segnale che può essere captato non da un destinatario specifico (come avviene invece per le comunicazioni via filo, oppure inviate su frequenze dotate di protezione o mediante chiamata selettiva), bensì dalla generalità degli ascoltatori (come, per l'appunto, i servizi di radiotelediffusione). Il termine verrà poi ripreso da disposizione successive, comprese quelle del recentissimo Codice delle comunicazioni elettroniche.

[17] Art. 411 ( Legislazione sulle radiodiffusioni) "Nulla è innovato nella legislazione vigente sulle radiodiffusioni."

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