Osservazioni del denunciante alla risposta del Governo italiano

La risposta del Governo italiano parte dal presupposto che la materia delle frequenze radio sia estranea alla normativa comunitaria.

Il ragionamento dell'Esecutivo prosegue lasciando intendere che il rispetto della normazione nazionale emanata nel settore delle radiofrequenze sia da considerarsi "esigenza imperativa", tale pertanto da giustificare anche eventuali ostacoli alla libera circolazione intracomunitaria.

A tale proposito, ricordiamo che nella nostra denuncia (vedi § 8.11) avevamo osservato che "un settore strategico, dove gli Stati dell’Unione agiscono individualmente gelosi della propria sovranità, è proprio quello dell’assegnazione delle frequenze" ricordando però, al contempo, che non è ragionevole affermare che anche i fabbricanti, gli importatori ed i possessori di ricevitori BC debbano sottostare alle stesse limitazioni previste per chi invece trasmette su tali bande di frequenze. E questo lo abbiamo affermato per il semplice motivo che i piani nazionali di ripartizione delle frequenze (approvati, è opportuno ricordarlo, nell'ambito di un coordinamento assicurato a livello mondiale dalla ITU e, a livello europeo, dalla CEPT) riguardano le sole emissioni o ricetrasmissioni su tali frequenze, e non anche la mera attività di ricezione.

Avevamo inoltre osservato che "il piano nazionale dell’Italia, appartenente alla c.d. "Regione 1" (Europa ed Africa) non può certo assegnare ai propri servizi di radiodiffusione le frequenze di bande utilizzate in altre regioni e zonema altrettanto certamente non può vietarne l’ascolto. Il rispetto dei trattati internazionali posti a disciplina delle radiodiffusioni, infatti, è volto ad impedire reciproche interferenze tra le stazioni radio e, quindi a tutelare il loro diritto di trasmissione: diritto il quale, è appena il caso di ricordarlo, sarebbe vano se poi fosse impedito il complementare diritto all’ascolto."

Dopo aver ribadito che la normativa sulle radiofrequenze non è stata dettata per l'attività di mera ricezione, aggiungiamo adesso che in sede di denuncia (vedi al § 8.6) avevamo sì ricordato la possibilità di invocare esigenze "imperative" (oppure "importanti", come le definisce l'art. 30 del Trattato) da parte degli Stati membri, ma avevamo anche riscontrato che lo Stato italiano lo aveva fatto in maniera del tutto autoreferenziale affermando - nelle premesse del decreto ministeriale 28 agosto 1995, n. 548 - che "sussiste l’esigenza di mantenere le prescrizioni relative alle frequenze", senza fornire spiegazione alcuna .

Sempre in sede di denuncia (vedi al § 8.13 ) avevamo osservato che, in realtà, dette esigenze - tali da mantenere o introdurre disposizioni che prevalgano sulla norma armonizzata comunitaria - non possono essere individuate autonomamente dallo Stato membro ma devono rispondere a quanto indicato nello stesso Trattato (art. 30) oppure devono essere inerenti alla protezione dell’ambiente genericamente inteso oppure dell’ambiente di lavoro (art. 95). Lo stesso articolo ammonisce però che tali divieti o restrizioni non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri).

Anche la nota dell'Esecutivo italiano non contesta questo assunto e afferma, appunto, che "secondo una giurisprudenza costante della Corte di giustizia …gli ostacoli alla libera circolazione intracomunitaria derivanti da disparità delle normative nazionali vanno accettati … per rispondere ad esigenze imperative del diritto comunitario".

Il decreto 548/1994, invece, non solo evita di dire in cosa effettivamente consista detta "esigenza" (tale - come sopra ricordato - da impedire addirittura l'ascolto di frequenze normalmente utilizzate da stazioni broadcasting di altri Stati in base agli accordi internazionali in sede ITU) ma non ha nemmeno indicato - tra quelle tassativamente elencate dall'art. 95 del Trattato - la categoria nella quale inquadrarla.

Ad ogni modo, la nota inviata dal Governo sembrerebbe voler sminuire la portata delle restrizioni introdotte dall'art.2, comma 2, del D.M. n. 548/1995. Viene affermato, infatti, che il decreto "non prevede alcuna procedura di valutazione di conformità sottoposta alla discrezionalità amministrativa né vieta agli operatori economici, in difetto di siffatta omologa nazionale, di importare, commercializzare o detenere per la vendita apparecchi radio." (da notare che - utilizzando il termine "omologa nazionale " - la nota governativa ammette, come da noi affermato al termine del § 8.7, che trattasi di una ulteriore omologazione richiesta dall'Italia, da noi definita "nascosta").

Quella che sembra una rassicurazione del Governo italiano (rivolta agli operatori commerciali ma anche alla Commissione) viene inevitabilmente smentita poche righe dopo, affermando che viene richiesta "una semplice attestazione di conformità … dei detti apparecchi ai requisiti riguardanti l'appropriato impiego delle radiofrequenze consentite dall'ordinamento nazionale." Viene pertanto confermato che la normativa italiana richiede "una conformità in più" per i normali apparecchi ricevitori delle frequenze broadcasting: non solamente quella attestata dalla marcatura CE ma anche quella "nascosta" attestata dalla dichiarazione di conformità introdotta dall'art. 2 del D.M. 548/1995. Ricordiamo che tale "semplice" dichiarazione di conformità ha lo stesso oggetto (cioè le prescrizioni relative alle frequenze) del vecchio bollino di omologazione indicante i decreti del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni 25.6.1985 e 27.8.1987 (vedi §§ 8.2-8.3e8.4 della denuncia). Obbligo (quello del bollino) al quale i produttori di apparecchio radioricevitori BC erano stati sottratti con l'avvento della direttiva EMC e del relativo marchio di conformità CE.

La nota governativa cerca di far passare l'idea che la normativa comunitaria non venga violata dal D.M. 548/1995, in quanto esso "non prevede l'esigenza di particolari contrassegni obbligatori" ma solo una dichiarazione che nulla ha a che fare con i requisiti di compatibilità elettromagnetica e di sicurezza elettrica. Così dicendo, però, il Governo dimentica che non è tanto o solamente la presenza di un contrassegno ulteriore a quello "CE" a configurare infrazione comunitaria, ma ogni divieto o restrizione che costituisca un mezzo di discriminazione arbitraria oppure una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri. Ed è esattamente quello che sta operando la normativa italiana di cui al D.M. 28.8.1995, n. 548, costringendo molte case produttrici ad apportare modifiche per i soli prodotti destinati al mercato italiano al fine di potersi fregiare della "dichiarazione di conformità" da inserire nel manuale d'uso degli apparecchi (vedi §§ 8.12 e 8.19).

Inoltre è sempre in vigore la disposizione (art. 2 del D.M. 28.8.1995, n. 548, esaminato nei §§ 8.6 e 8.7) che ha mantenuto in vigore le "prescrizioni relative alle frequenze", con la conseguenza che alle Autorità italiane è consentito impedire non solo la commercializzazione ma anche il semplice utilizzo dei ricevitori delle stazioni di radiodiffusione non conformi alle limitazioni sulle frequenze poste dai due D.M. del 1985 e 1987!

Ribadiamo pertanto che, mediante lo "sdoppiamento" dell’omologazione dei ricevitori BC commerciabili in Italia, è stato eluso il divieto posto dall'art. 5 della direttiva EMC e direttamente violato l'art. 6 della medesima Direttiva (vedi § 8.14 della denuncia). Queste violazioni si aggiungono alla violazione degli artt. 30 e 95, §§4 e 5 del Trattato di Roma.