Dopo l'iniziale entusiamo, il rapporto fra Aragona e Arborea
non era diventato, nel tempo, dei piu' limpidi: Ugone
II si era
formalmente riconosciuto vassallo del Re di Aragona, che era gia' ripartito in tutta
fretta, ma di fatto continuava ad essere uno judex autonomo, che si muoveva
liberamente, con indipendenza di sovrano.
Anche se provvedeva comunque a fornire all'Aragona gli
aiuti richiesti: la Repubblica di Genova
cominciava infatti a deteriorare i suoi rapporti con i
catalani e li avrebbe ulteriormente indeboliti sino ad
entrarvi in guerra nel 1330.
In Sardegna i Doria (genovesi)
iniziarono immediatamente ad assumere un atteggiamento
ostile verso gli invasori iberici e gli Arborensi valutavano
attentamente l'eventualita' che potressero detronizzarli.
La Casa di Aragona pero'
aveva in quel periodo troppi fronti di conflitto per poter pensare alla
Sardegna, e delego' sempre piu' agli Arborea, in ispecie
a Pietro III, giudice, ed ai suoi
fratelli Mariano e Giovanni,
gli affari della Corona nell'Isola.
A Barcellona da principio non si diede molto peso a questi
feudatari sardi un po' originali, li si considero'
semplicemente dei buoni paesani a modo loro devoti, ma questa
leggerezza non sarebbe rimasta priva di conseguenze, che
vennero un po' piu' tardi.
Uno dei problemi piu' spinosi per i catalani era la
definizione dei rapporti con Genova, le cui famiglie gestivano buona
parte dei possedimenti ex-giudicali. Un trattato di pace del 1336
consenti' una spartizione per la quale l'Aragona avrebbe avuto mano
libera in Sardegna ed avrebbe lasciato i Liguri nel dominio della
Corsica, che avrebbero mantenuto sino al 1768. Il Regnum si era
gia' spezzettato, dopo nemmeno quarant'anni, e le due isole non
sarebbero mai piu' state unite da alcun legame giurisdizionale, nemmeno
formale.
I catalani si diedero poi a fortificare tutti i territori posseduti a
causa dei nuovi fronti di conflitto della Real Casa iberica, che da un
lato era impegnata contro le flotte e le truppe musulmane (sconfitte a
Tarifa nel 1340 e ad Algeciras nel 1344) e da un altro
doveva sedare la rivolta di Giacomo III, cugino del re Pietro IV
d'Aragona, che si era impossessato delle Baleari. Si temeva che la
Sardegna potesse essere oggetto di attacchi saraceni o degli insorti di
Maiorca, e l'area posadina sembrava assai a rischio.
Grazie alla fase di riarmo, quindi, a Posada
visse il periodo di massimo suo splendore militare il Castello
della Fava, curato allora da tal Johan
Martinez de Gurrea fino al 1338,
e ulteriormente rinforzato e riorganizzato sotto l'aspetto
logistico da Garcia Lopez d'Oros fra il 1342
ed il 1347. Questi lo rese estremamente sofisticato,
per le conoscenze del tempo, e potenzialmente capace di resistere a
qualunque assedio. L'assedio cui aveva cosi' a lungo resistito vent'anni
prima, ne aveva creato una certa fama di robustezza e quindi le
ulteriori fortificazioni dovevano rappresentare il massimo impiego delle
tecnologie disponibili.
La popolazione sfortunatamente non era in
grado di apprezzare simili finezze dell'arte e dell'architettura
bellica anche perche', nel frattempo, oltre alle guerre e
guerriglie cui doveva far fronte, aveva agio di godersi
altre piacevolezze della cronaca locale come carestie,
pestilenze, e, per gradire, anche un tantino di
malgoverno.
Non va poi dimenticato che Posada, con la sua geografia
cosi' ricca di impaludamenti e stagni, era una delle zone
di maggior virulenza della malaria (ancor oggi, una delle
piazze principali del paese e' dedicata alla Fondazione
Rockefeller, che finanzio' le operazioni di bonifica dopo
la Seconda Guerra Mondiale). A quei tempi il DDT non c'era,
e la malaria prosperava.
Si ebbero di conseguenza rilevanti
fenomeni di spopolamento, tanto marcati da far produrre un documento
del 1345, recentemente rinvenuto presso
gli Archivi della Corona di Aragona in
Barcellona,
intitolato "Inquisicio facta contra venerabilem
Bernardum de Sancto Vincentio de dispopulatione ville de
Posatae".
Gli effetti dello spopolamento arrivarono fra la gente
dopo qualche tempo, quando la produzione complessiva calo'
per effetto del diminuito numero di lavoratori, ma non
vennero per contro ridotte le tasse complessive da pagare,
che divennero percio' pesantissime per chi era rimasto.
In questa malvagia oppressione vi era anche l'ammonimento,
o meglio il ricatto morale a non scappare: chi lo avesse
fatto avrebbe infatti vigliaccamente lasciato nei guai (aggravandoglieli)
coloro che restavano.
Ma la solidarieta' etnica dei Sardi era nata nella notte
dei tempi e contro l'oppressore forestiero si ebbero
piuttosto fenomeni omertosi, coperture e auguri di buona
fortuna. E cosi' e' sempre accaduto nell'Isola, e ancora
accade.
Chi scappava (o piu' semplicemente si nascondeva al fisco
e alla leva militare, spesso nelle grotte sul Montalbo)
partiva accompagnato dalla benedizione dei paesani, che
comunque speravano di veder decrescere l'introito
complessivo dell'erario straniero.
E in fondo gli Aragonesi erano un padrone come un altro.
SEGUE