Ernesto Balducci, l'uomo planetario

E' difficile dire quanta e quale gratitudine tutti coloro che hanno
conosciuto padre Balducci provino per lui.
Ogni volta che chiesi il suo aiuto lo ebbi vicino, sollecito davvero come
un padre: così nell'impegno contro il potere mafioso, così nella campagna
di solidarietà con Nelson Mandela, così quando fui processato per la mia
opposizione alla guerra del Golfo.
E non posso dimenticare quando in una torrida giornata d'estate del 1987 a
Viterbo ci fece tutti rompere in lacrime ricordando Primo Levi con parole e
voce e gesto di profeta.
Ripubblico qui alcuni suoi testi (brevi riflessioni radiofoniche) che già
ripubblicai in opuscolo tanti anni fa; ed un passaggio decisivo di un suo
intervento indimenticabile che costituì per così dire l'atto di fondazione,
la carta d'identità ed il programma del movimento che si oppose negli anni
Ottanta al riarmo atomico.
Ai testi premetto una breve notizia biobibliografica.

Peppe Sini
responsabile del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo

Viterbo, 21 luglio 2000

Notizia biobibliografica su Ernesto Balducci
Profilo biografico: Ernesto Balducci è nato a Santa Fiora (in provincia di
Grosseto) nel 1922, ed è deceduto a seguito di un incidente stradale nel
1992. Sacerdote, insegnante, scrittore, organizzatore culturale, promotore
di numerose iniziative di pace e di solidarietà. Fondatore della rivista
"Testimonianze" nel 1958 e delle Edizioni Cultura della Pace (ECP) nel
1986. Oltre che infaticabile attivista per la pace e i diritti, è stato un
pensatore di grande vigore ed originalità, le cui riflessioni ed analisi
sono decisive per un'etica della mondialità all'altezza dei drammatici
problemi dell'ora presente.
Opere di Ernesto Balducci: segnaliamo particolarmente alcuni libri
dell'ultimo periodo: Il terzo millennio (Bompiani); La pace. Realismo di
un'utopia (Principato), in collaborazione con Lodovico Grassi; Pensieri di
pace (Cittadella); L'uomo planetario (Camunia, poi ECP); La terra del
tramonto (ECP); Montezuma scopre l'Europa (ECP). Si vedano anche
l'intervista autobiografica Il cerchio che si chiude (Marietti); la
raccolta postuma di scritti autobiografici Il sogno di una cosa (ECP); il
manuale di storia della filosofia, Storia del pensiero umano (Cremonese),
ed il corso di educazione civica Cittadini del mondo (Principato), in
collaborazione con Pierluigi Onorato.
Opere su Ernesto Balducci: cfr. i due fondamentali volumi monografici di
"Testimonianze" a lui dedicati: Ernesto Balducci, "Testimonianze" nn.
347-349, 1992; ed Ernesto Balducci e la lunga marcia dei diritti umani,
"Testimonianze" nn. 373-374, 1995. Un'ottima rassegna bibliografica
preceduta da una precisa introduzione biografica è il libro di Andrea
Cecconi, Ernesto Balducci: cinquant'anni di attività, Libreria Chiari,
Firenze 1996.
Indirizzi utili: Fondazione Ernesto Balducci, via Badia dei Roccettini 11,
S. Domenico di Fiesole (FI).

1. Ernesto Balducci: Le tre verità di Hiroshima

[Nel 1981 aprendo un celebre convegno di "Testimonianze" sul tema Se vuoi
la pace, prepara la pace, Ernesto Balducci (uno dei più lucidi e limpidi
costruttori di pace di questo secolo) pronunciò un forte discorso. Esso fu
pubblicato in "Testimonianze" 241-243 (gennaio-marzo 1982), volume
monografico contenente gli atti del convegno; e ripreso come introduzione
del bel libro di Ernesto Balducci e Lodovico Grassi, La pace. Realismo di
un'utopia, Principato, Milano 1983. Riproduciamo qui il passaggio sulle
"tre verità di Hiroshima"].

La prima verità contenuta in quel messaggio è che il genere umano ha un
destino unico di vita o di morte. Sul momento fu una verità intuitiva, di
natura etica, ma poi, crollata l'immagine eurocentrica della storia, essa
si è dispiegata in evidenze di tipo induttivo la cui esposizione più
recente e più organica è quella del Rapporto Brandt. L'unità del genere
umano è ormai una verità economica. Le interdipendenze che stringono il
Nord e il Sud del pianeta, attentamente esaminate, svelano che non è il Sud
a dipendere dal Nord ma è il Nord che dipende dal Sud. Innanzitutto per il
fatto che la sua economia dello spreco è resa possibile dalla metodica
rapina a cui il Sud è sottoposto e poi, più specificamente, perché esiste
un nesso causale tra la politica degli armamenti e il persistere, anzi
l'aggravarsi,  della spaventosa piaga della fame. Pesano ancora nella
nostra memoria i 50 milioni di morti dell'ultima guerra, ma cominciano
anche a pesarci i morti che la fame sta facendo: 50 milioni, per l'appunto,
nel solo anno 1979. E più comincia a pesare il fatto, sempre meglio
conosciuto, che la morte per fame non è un prodotto fatale dell'avarizia
della natura o dell'ignavia degli uomini, ma il prodotto della struttura
economica internazionale che riversa un'immensa quota dei profitti
nell'industria delle armi: 450 miliardi di dollari nel suddetto anno 1979 e
cioè 10 volte di più del necessario per eliminare la fame nel mondo. Questo
ora si sa. Adamo ed Eva ora sanno di essere nudi. Gli uomini e le donne
che, fosse pure soltanto come elettori, tengono in piedi questa struttura
di violenza, non hanno più la coscienza tranquilla.
La seconda verità di Hiroshima è che ormai l'imperativo morale della pace,
ritenuta da sempre come un ideale necessario anche se irrealizzabile, è
arrivato a coincidere con l'istinto di conservazione, il medesimo istinto
che veniva indicato come radice inestirpabile dell'aggressività
distruttiva. Fino ad oggi è stato un punto fermo che la sfera della morale
e quella dell'istinto erano tra loro separate, conciliabili solo mediante
un'ardua disciplina e solo entro certi limiti: fuori di quei limiti
accadeva la guerra, che la coscienza morale si limitava a deprecare come un
malum necessarium. Ma le prospettive attuali della guerra tecnologica sono
tali che la voce dell'istinto di conservazione (di cui la paura è un
sintomo non ignobile) e la voce della coscienza sono diventate una sola
voce. Non era mai capitato. Anche per questi nuovi rapporti fra etica e
biologia, la storia sta cambiando di qualità.
La terza verità di Hiroshima è che la guerra è uscita per sempre dalla
sfera della razionalità. Non che la guerra sia mai stata considerata, salvo
in rari casi di sadismo culturale, un fatto secondo ragione, ma sempre le
culture dominanti l'hanno ritenuta quanto meno come una extrema ratio, e
cioè come uno strumento limite della ragione. E difatti, nelle nostre
ricostruzioni storiografiche, il progresso dei popoli si avvera attraverso
le guerre. Per una specie di eterogenesi dei fini -per usare il linguaggio
di Benedetto Croce- l'"accadimento" funesto generava l'"avvenimento"
fausto. Ma ora, nell'ipotesi atomica, l'accadimento non genererebbe nessun
avvenimento. O meglio, l'avvenimento morirebbe per olocausto nel grembo
materno dell'accadimento.

* * *

2. Ernesto Balducci: alcuni pensieri di pace

[I brevi ragionamenti che seguono padre Balducci ebbe a pronunciarli in una
serie di trasmissioni radiofoniche tenute dal primo ottobre al 31 dicembre
del 1984. Padre Balducci offriva ogni giorno una meditazione di un paio di
minuti. Successivamente queste riflessioni sono state raccolte in un
libriccino, Pensieri di pace, pubblicato dalla Cittadella di Assisi nel
1985. Da lì li abbiamo trascritti].

Le tre violenze
Non so dire in quanti casi, in quante circostanze, mi è stata fatta la
domanda se io sono contro la violenza. E' naturale che io sia contro la
violenza. Ma la domanda sottintendeva una specificazione: se sono contro la
violenza di chi fa la rivoluzione, di chi si ribella ai poteri legittimi.
Allora non ho dato una risposta semplice. Ho spiegato l'apologo molto
vivace di cui ha fatto uso tempo fa un noto vescovo brasiliano, un profeta
di quel lento viaggio di liberazione che il mondo latinoamericano sta
vivendo: Helder Camara.
Helder Camara, arieggiando il pensiero di Gandhi, spiegava che ci sono tre
forme di violenza: la violenza numero uno, la violenza numero due e la
violenza numero tre.
La prima violenza è quella delle istituzioni oppressive. Per parlare
sbrigativamente e per farmi capire, si pensi alla Polonia, o al Cile.
L'istituzione governativa è oppressiva, è violenza in atto, lo vediamo
anche dalle cronache.
La seconda violenza è quella che reagisce, a volte con l'uso della forza,
all'oppressione intollerabile della violenza numero uno.
La terza violenza è quella della polizia, che al servizio della violenza
numero uno cerca di soffocare la violenza numero due.
E allora quando mi si domanda se sono contro la violenza, rispondo sì,
totalmente, contro quella numero uno, numero due e numero tre. Come dire
che io sono per una società liberata dalla violenza e lo sono in modo tale
che non identifico la violenza con questo o quell'aspetto. Non dico che è
la polizia che è violenta o che è il governo che è violento, questo e
quella hanno quanto meno dalla loro parte la legge, espressione storica
della nazione: ma in ogni caso la violenza è come una condizione circolare
che si trasmette con diversa gradazione dall'una all'altra delle componenti
della dialettica sociale.
E' evidente che per poter uscire dalla condizione della violenza, "bisogna
rispettare l'ordine", diceva Helder Camara. Cominciamo ad abolire la
violenza numero uno. Se finisce quella, finisce anche la violenza numero
due, e dopo questa finisce anche la violenza numero tre.
Mi sono permesso di raccontare questo apologo per semplificare un discorso
altrimenti troppo complesso e per ripetere con forza che non si può essere
per la pace se non si condannano davvero tutte le violenze e se non si
condannano anche secondo la loro intima gerarchia.

Il granellino di sabbia
Non si contano quelli che dopo aver cominciato a lottare per la causa della
pace lungo la strada si scoraggiano, perché vedono che una lotta del genere
è inconcludente, è come opporre un filo d'erba a un carro armato. La
fatalità storica va avanti per conto suo. Ed è certamente vero che una
conoscenza approfondita dei meccanismi del mondo moderno favorisce il
pessimismo sul futuro, perché non si riesce a comprendere come si possa
smontare una macchina siffatta.
Intanto ricordo che questa macchina l'abbiamo costruita noi e se l'abbiamo
costruita noi la possiamo smontare noi. Ma, al di là di questa troppo
facile risposta, vorrei suggerire un atteggiamento interiore di cui ha
scritto in modo mirabile un noto teorico della pace, Norberto Bobbio.
Egli ha detto che è pessimista sul futuro, e tuttavia questo non significa
che egli non debba impegnarsi, perché ecco le sue parole: "Qualche volta è
accaduto che un granello di sabbia sollevato dal vento abbia fermato una
macchina. E anche se ci fosse un miliardesimo di un miliardesimo di
probabilità che il granello sollevato dal vento vada a finire nel più
delicato degli ingranaggi per arrestarne il movimento, la macchina che
stiamo costruendo è troppo mostruosa perché non valga la pena di sfidare il
destino".
Sono parole di un laico che si ispira alla serietà e alla lucidità della
coscienza morale, e mi pare che possiamo condividerle per darci una
ragione, quando fossimo scoraggiati, per continuare a militare per la causa
della pace.

La fine dell'innocenza
"Si accorsero di essere nudi". Così leggiamo nella Bibbia, di Adamo ed Eva
dopo che ebbero commesso il peccato. Entrarono, i nostri progenitori, in
uno stato di vergogna.
Lo stesso è capitato alla nostra generazione.
Noi ci siamo accorti delle nostre responsabilità e siamo entrati in uno
stato di vergogna da quando, anche a causa dei mezzi di informazione, le
grandi piaghe dell'umanità sono entrate nella sfera della nostra conoscenza.
Ogni giorno, anche se le notizie sul mondo vengono manipolate, noi ci
rendiamo conto delle terribili piaghe che affliggono l'umanità in un
momento in cui tutti i mezzi sono a sua disposizione per liberarsi da tutte
le sue miserie del passato. Ecco perché c'è alla base della nostra
coscienza un sentimento di inquietudine e, appunto, di vergogna morale.
La fame nel mondo, come ci viene spesso ricordato (anche a livello
parlamentare), è qualcosa di intollerabile per una coscienza che abbia
raggiunto i limiti di responsabilità propri della morale del nostro tempo.
Noi sappiamo che milioni di persone muoiono di fame, non accanto a noi ma a
causa del nostro livello di vita che sperpera le energie prodotte dal
pianeta.
Una grossa importanza nel suscitare questa presa di coscienza ha avuto anni
fa il cosiddetto rapporto di Willy Brandt, che è appunto un resoconto della
situazione del mondo con una prospettiva centrale che organizza le
informazioni, ed è la prospettiva del conflitto fra il Nord del pianeta
-quello industrializzato- e il Sud. Per far capire qual è la ragione del
conflitto, quali sono i livelli intollerabili di questo divario fra i due
emisferi, Brandt cita quattro situazioni emblematiche. Egli dice che le
spese militari di un'unica mezza giornata a livello mondiale basterebbero a
eliminare il flagello del cancro nel pianeta (sappiamo quante vittime miete
questo flagello). Il costo di un moderno carro armato permetterebbe di
costruire mille aule scolastiche per trentamila bambini. Un unico caccia a
reazione costa quanto costerebbero quarantamila farmacie di villaggio. Lo
0,5% delle spese militari basterebbe a portare i paesi del sottosviluppo a
raggiungere l'autosufficienza entro il 1990. Poche cifre, ma sufficienti a
far capire perché noi abbiamo perduto l'innocenza, non possiamo più vivere
con la consapevolezza delle nostre nuove responsabilità storiche,
tollerando queste diversità fra uomo e uomo e fra popolo e popolo. E' da
questa presa di coscienza che nasce l'esigenza di un cambiamento mondiale
degli orientamenti della politica. Aver coscienza di questo significa aver
cominciato quella conversione morale che è un imperativo assoluto del
nostro tempo.

I popoli eletti
In una leggenda di una antica tribù di indios si racconta che quando il
padrone del mondo volle fare l'uomo, formò tre pupazzi di argilla. Il primo
gli venne troppo cotto, e da lì derivò la razza negra, il secondo troppo
poco cotto e da lì derivò la razza bianca: quello che venne ben cotto fu il
capostipite della razza rossa.
Potremmo dire che in maniera semplice questi antichi indios dicevano quello
che, in parole più complesse, diceva, ad esempio, Giorgio Hegel, o anche da
noi in Italia un uomo di illuminata cultura e di autentica democrazia,
Benedetto Croce, il quale distingueva, anche lui, nel pianeta i popoli
civili e i popoli di natura, cioè i popoli che non possono fare storia
perché vivono a livello zoologico, nei confronti dei quali si può
esercitare un dominio come -son parole precise di Croce- verso gli animali.
Ed eravamo nel 1949, quindi dopo la tragedia nazista! Questo per dire come
certe idee che sembrerebbero scomparse per sempre permangono invece anche
nella cultura più elevata. Io penso che un punto fermo in tutte le attività
educative debba essere lo smantellamento della presunzione etnica, cioè
della idea che ci siano razze privilegiate nel mondo e, in
contrapposizione, lo sviluppo di un'attenzione, una disposizione al dialogo
e al confronto, nella convinzione che ogni cultura porta tesori per la
formazione di quell'uomo veramente universale, di quell'uomo planetario a
cui domani sarà affidata la sorte del mondo.