Aldo Capitini, l'apostolo della nonviolenza

Riportiamo qui: due minimi estratti da due scritti di Aldo Capitini; il
discorso tenuto da Walter Binni per le esequie del grande pensatore e
militante nonviolento; la carta ideologico-programmatica del Movimento
Nonviolento; ed alcune brevi lettere che inviammo ad alcuni giornali nei
mesi scorsi per ricordare Capitini nel centenario della nascita.
Ai testi premettiamo una breve notizia biobibliografica.

Peppe Sini
responsabile del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo

Viterbo, 23 luglio 2000

Notizia biobibliografica su Aldo Capitini
Profilo biografico: Aldo Capitini è nato a Perugia nel 1899, antifascista e
perseguitato, docente universitario, infaticabile promotore di iniziative
per la nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il più
grande pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia.
Opere di Aldo Capitini: la miglior antologia degli scritti è (a cura di
Giovanni Cacioppo e vari collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini,
Lacaita, Manduria 1977; recentemente è stato ripubblicato il saggio Le
tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una raccolta di
scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea d'ombra, Milano
1991; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996. Presso
la redazione di "Azione nonviolenta" sono disponibili e possono essere
richiesti vari volumi ed opuscoli di Capitini non più reperibili in
libreria (tra cui i fondamentali Elementi di un'esperienza religiosa, 1937,
e Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90 è iniziata la pubblicazione di
una edizione di opere scelte; sono fin qui apparsi un volume di Scritti
sulla nonviolenza, e un volume di Scritti filosofici e religiosi.
Opere su Aldo Capitini: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del
sopra citato Il messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si
veda: Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Fabrizio Truini,
Aldo Capitini, ECP, S. Domenico di Fiesole 1989; Tiziana Pironi, La
pedagogia del nuovo di Aldo Capitini. Tra religione ed etica laica, Clueb,
Bologna 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia
intellettuale di Aldo Capitini, BFS, Pisa 1998; Aldo Capitini, persuasione
e nonviolenza, fascicolo monografico de "Il Ponte", n. 10 dell'ottobre
1998. E' utile anche la lettura dei due libri seguenti: AA. VV., Marxismo e
nonviolenza, Lanterna, Genova 1977, e AA. VV., Nonviolenza e marxismo,
Libreria Feltrinelli, Milano 1981.
Indirizzi utili: la rivista mensile del Movimento Nonviolento è "Azione
Nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona.

1. Aldo Capitini: una definizione della nonviolenza
[Apriamo il suo libro Religione aperta, uscito in prima edizione nel 1955,
ma che noi abbiamo letto e di seguito citiamo dalla seconda edizione
riveduta e corretta, Neri Pozza Editore, Vicenza 1964; ogni capitolo del
volume si apre con un breve sommario, il capitolo nono è dedicato alla
nonviolenza, il testo di quel sommario (a pagina 141) riproponiamo qui come
un'utile ed autorevole definizione sintetica di essa].
"La nonviolenza non è cosa negativa, come parrebbe dal nome, ma è
attenzione e affetto per ogni singolo essere proprio nel suo esser lui e
non un altro, per la sua esistenza, libertà, sviluppo. La nonviolenza non
può accettare la realtà come si realizza ora, attraverso potenza e violenza
e distruzione dei singoli, e perciò non è per la conservazione, ma per la
trasformazione; ed è attivissima, interviene in mille modi, facendo come le
bestie piccole che si moltiplicano in tanti e tanti figli. Nella società la
nonviolenza suscita solidarietà viva e dal basso. Anche verso gli esseri
non umani la nonviolenza ha un grande valore, appunto come ampliamento di
amore e di collaborazione. Non bisogna impantanarsi nei casi e nelle
ipotesi in cui sia lecita o no la violenza; anzitutto c'è una minaccia di
violenza che investirebbe tutti, la guerra, ed è contro di essa che bisogna
scegliere l'atteggiamento più religioso; e poi nei casi individuali è da
tener presente che la nonviolenza è creazione, è un valore, e che può
essere sempre svolta meglio. La nonviolenza ha diritto al suo posto in
mezzo alle rivoluzioni, e aggiunge princìpi preziosi nell'educazione".

2. Aldo Capitini: La forza preziosa dei piccoli gruppi
[Dal volume Il potere di tutti, La Nuova Italia, Firenze 1969, riprendiamo
alcuni stralci dell'ultimo scritto lì stampato, La forza preziosa dei
piccoli gruppi, ultima delle sue "Lettere di religione", pubblicata postuma
nell'ottobre 1968 (Capitini è scomparso il 19 ottobre di quell'anno).
Il testo esordisce mettendo in evidenza l'importanza dei gruppi di
contestazione, ma subito segnala alcuni gravi limiti di essi (l'attenzione
è verso gli avversari con cui lottare, invece che alla solidarietà con le
persone con cui e per cui operare; manca una coscienza precisa dei perni
guasti del sistema da mutare, dei fini e del rinnovamento da instaurare;
c'è spesso la tendenza a misconoscere e urtare 'i più'; non danno la
garanzia, con il loro modo di agire e di trattare gli altri, che, se
avessero il potere, questo sarebbe di tutti).
Detto questo, Capitini prosegue caratterizzando l'azione dei gruppi
nonviolenti:]
"la nostra contestazione del sistema è generale, per le ragioni che sempre
diciamo:
1. non vogliamo che ci sia un sistema che agisca con la violenza fisica
sulle persone di origine vicina o lontana;
2. non vogliamo che ci sia un sistema che mantenga (con la violenza)
l'inferiorità della povertà di tanti esseri umani;
3. non vogliamo che si possa 'manipolare' l'opinione degli altri,
diffondere cose false o tendenziose, o privare alcuni esseri della libertà
di informazione e di critica;
4. non vogliamo che si amministri e governi ciò che è pubblico senza la
costante possibilità del controllo di tutti dal basso.
Ma noi sviluppiamo questa contestazione in un modo nostro, diverso dai
gruppi violenti, perché:
1. il nostro animo e il nostro metodo non è contro le persone, ma contro
certi fatti, certe strutture, certi modi di agire, che possono essere
sostituiti da altri. Noi facciamo appello continuamente alla possibilità di
miglioramento in futuro degli esseri, e perciò il nostro contrasto è con un
certo determinato agire e non con tutta la persona. La garanzia che perciò
possiamo dare a tutti non è tanto di difendere ad oltranza le loro cose,
quanto di difendere i valori di tutti, qualche cosa che è reale o
potenziale, oggi o domani, in tutti gli esseri (noi saremo sempre per la
promozione in tutti della libertà, dello sviluppo, dell'uguaglianza, della
nonviolenza, ecc.);
2. per noi è molto importante il rapporto con le persone, che può essere di
solidarietà in certe campagne nonviolente, e può essere indipendente da
queste; sempre siamo interessati alle persone e agli altri esseri, al tu,
al dialogo, alle assemblee. Noi sappiamo che c'è sempre da praticare e
perfezionare questo rapporto, ad ogni livello e occasione della nostra vita;
3. per noi i beni sono, più o meno esplicitamente, di tutti, aperti alla
fruizione pubblica. Deve diventare assurdo che ci sia un escluso, un
mancante, un misero, mantenendo diversi livelli sociali e una limitazione
di possibilità per alcuni;
4. le frontiere vanno superate, e la parola 'straniero' è da considerare
come appartenente al passato. (...)".

3. Walter Binni: Aldo Capitini, un vero rivoluzionario
[Quelle che seguono sono le parole di commiato pronunciate da Walter Binni
(antifascista, costituente, studioso tra i massimi della nostra
letteratura, uno dei nostri maestri) al funerale di Aldo Capitini, a
Perugia, il 21 ottobre 1968. Il testo, già apparso nel fascicolo speciale
di "Azione Nonviolenta" del novembre-dicembre 1968, lo riprendiamo da Il
messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977, dove si trova con il
titolo Un vero rivoluzionario alle pagine 497-500].
"Queste inadeguate parole che io pronuncio a nome degli amici più antichi e
più recenti che Aldo Capitini ebbe ed ha, per la sua eccezionale
disposizione verso gli altri, vorrebbero più che essere un saluto estremo e
un motivato omaggio alla sua presenza nella nostra storia privata e
generale, costituire solo un appoggio, per quanto esile e sproporzionato,
ad una tensione di concentrazione di tutti quanti lo conobbero e lo
amarono: tutti qui materialmente o idealmente raccolti in un intimo
silenzio profondo che queste parole vorrebbero non spezzare ma accentuare,
portandoci tutti a unirci a lui, nella nostra stessa intera unione con lui
e in lui, unione cui egli ci ha sollecitato e ci sollecita con la sua vita,
con le sue opere, con le sue possenti e geniali intuizioni.
Certo in questo "nobile e virile silenzio" suggerito, come egli diceva,
dalla morte di ogni essere umano, come potremmo facilmente bruciare il
momento struggente del dolore, della lacerazione profonda provocata in noi
dalla sua scomparsa? In noi che appassionatamente sentiamo e soffriamo la
assenza di quella irripetibile vitale presenza, con i suoi connotati
concreti per sempre sottratti al nostro sguardo affettuoso, al nostro
abbraccio fraterno, al nostro incontro, fonte per noi e per lui di
ineffabile gioia, di accrescimento continuo del nostro meglio e dei nostri
affetti più alti. Quel volto scavato, energico, supremamente cordiale,
quella fronte alta ed augusta, quelle mani pronte alla stretta leale e
confortatrice, quegli occhi profondi, severi, capaci di sondare fulminei
l'intimo dei nostri cuori ed intuire le nostre pene e le nostre
inquietudini, quel sorriso fraterno e luminoso, quel gestire sobrio e
composto, ma così carico di intima forza di persuasione, quella voce dal
timbro chiaro e denso, scandito e posseduto fino alle sue minime vibrazioni.
Tutto ciò che era suo, inconfondibilmente e sensibilmente suo, ora ci
attrae e ci turba quanto più sappiamo che è per sempre scomparso con il suo
corpo morto ed inanime, che non si offrirà mai più ai nostri incontri, al
nostro affetto, nella sua casa, o in questi luoghi da lui e da noi tanto
amati, su questi colli perugini, malinconici e sereni, in cui infinite
volte lo incontrammo e che ora ci sembrano improvvisamente privati della
loro bellezza intensa se da loro è cancellata per sempre la luce umana
della sua figura e della sua parola.
Ed ognuno di noi, certo, in questo momento, è come sopraffatto dall'onda
dei ricordi più minuti e perciò struggenti, quanto più remoti risorgono
dalla nostra memoria commossa in quei particolari fuggevoli e minimi, che
proprio dalla poesia del caduco, del sensibile, dell'irripetibile, traggono
la loro forza emotiva più sconvolgente e ci spingerebbero a rievocare, a
recuperare quel particolare luogo di incontro, quella stanzetta della torre
campanaria in cui un giorno -quel giorno lontano- parlammo per la prima
volta con lui, o quella piazzetta cittadina -quella piazzetta- in cui
improvvisamente ci venne incontro con la gioia dell'incontro inatteso, o
quel colle coronato di pini in cui insieme ci recammo con altri amici.
E ognuno di noi ripensa certo ora alla propria vicenda o al segno profondo
lasciato dall'incontro con Capitini, fino a dover riconoscere -il caso di
quanti furono giovani in anni lontani- che essa sarebbe per noi
incomprensibile e non ricostruibile come essa si è svolta, senza
l'intervento di lui, senza la sua parola illuminante, senza i problemi che
lui ci aiutò ad impostare e a chiarire, spesso contribuendo a decisive
svolte nella nostra formazione e nella nostra vita intellettuale, morale,
politica.
Ma appunto proprio da questo, dalla considerazione dell'immenso debito
contratto con lui, dalla nostra gratitudine e riconoscenza per quanto, con
generosità e disponibilità inesauribile, egli ci ha dato, veniamo riportati
-al di là del nostro dolore che sappiamo inesauribile e pronto a risorgere
ogni volta che ci colpirà un'immagine, un'eco, una labile traccia della sua
per sempre scomparsa consistenza concreta- a quel momento ulteriore della
nostra unione con lui, in occasione della sua morte, che soprattutto dalle
sue parole e dalle sue opere abbiamo appreso a considerare come l'apertura
del "muro del pianto", della buia barriera della morte.
Perché qualunque siano attualmente le nostre diverse prospettive
ideologiche, esistenziali, religiose o non religiose (e così,
coerentemente, pratiche e politiche), una cosa abbiamo tutti, credo, da lui
imparata: la scontentezza profonda della realtà a tutti i suoi livelli, la
certezza dei suoi limiti e dei suoi errori profondi, la volontà di
trasformarla, di aprirla, di liberarla.
E' qui che il ricordo e il dolore si tramutano in una tensione che ci
unisce con Aldo nella sua più vera presenza attuale, nella sua non caduca
presenza in noi e nella storia, e ci riempie di un sentimento e di una
volontà quale egli ci chiede e ci domanda con tutta la sua vita e la sua
opera più persuasa di combattente per una verità non immobile e ferma, ma
profonda ed attiva, concretata in quella prassi conseguente di cui egli
sosteneva proprio in questi ultimi giorni, parlando con me, l'assoluto
primato. Il morto, il crocifisso nella realtà, come egli diceva, suggerisce
infatti insieme e il senso della nostra limitatezza individuale in una
realtà di per sé ostile e crudele (quante volte abbiamo insieme ripetuto i
versi di Montale con il loro circuito chiuso: la vita è più vana che
crudele, più crudele che vana!) e la nostra possibilità o almeno il nostro
dovere di tentare di spezzare, di aprire quella limitatezza, di trasformare
la realtà, dalla società ingiusta e feroce alla natura indifferente alla
sorte dei singoli e al loro dolore. Lì è il punto in cui convergono tutte
le folte componenti del pensiero originalissimo di Capitini: il tu e il
tu-tutti, il potere dal basso e di tutti, la nonviolenza, l'apertura e
l'aggiunta religiosa. Lì convergono in una profonda spinta rinnovatrice le
idee, le intuizioni (tese da una forza espressiva che tocca spesso la
poesia), gli atteggiamenti pratici di Capitini.
Non accettare nessuna ingiustizia e nessuna sopraffazione politica e
sociale, non accettare la legge egoistica del puro utile, non accettare la
realtà naturale grezza e sorda, e opporre a tutto ciò una volontà persuasa
del valore dell'uomo e delle sue forze solidali e arricchite dalla
"compresenza" attiva dei vivi e dei morti, tutte immesse a forzare ed
aprire i limiti della realtà verso una società e una realtà resa liberata e
fraterna anzitutto dall'amore e dalla rinuncia alla soppressione fisica
dell'avversario e del dissenziente, sempre persuadibile e recuperabile nel
suo meglio, mai cancellabile con la violenza.
Di fronte a questo sforzo consapevole ed ai modi stessi della sua
attuazione e della sua configurazione precisa alcuni di noi possono essere
anche dissenzienti o diversamente disposti e operanti, ma nessuno che abbia
compreso l'enorme portata della lezione di Capitini può sfuggire a questo
nodo centrale del suo pensiero, nessuno può esimersi di dare ad esso
adesione o risposta, tanto esso è stringente, perentorio, come perentoria è
insieme la lezione di intransigenza morale e intellettuale di Capitini, la
sua netta distinzione di valore e disvalore, la severità del suo stesso
amore, pur così illimitatamente aperto e persuaso del valore implicito in
ogni essere umano.
Proprio per questo amore aperto e severo, questa nostra unione in lui e con
lui -in presenza della sua morte- non può lasciarci così come siamo di
fronte alle cose e di fronte a noi stessi, non può non tradursi in un
impegno di suprema lealtà, sincerità, volontà di trasformazione.
Capitini fu un vero rivoluzionario nel senso più profondo di questa grande
parola: lo fu, sin dalla sua strenua opposizione al fascismo, di fronte ad
ogni negazione della libertà e della democrazia (e ad ogni inganno
esercitato nel nome formale ed astratto di queste parole), lo fu di fronte
ad ogni violenza sopraffattrice, in sede politica e religiosa, così come di
fronte ad ogni tipo di ordine e autorità dogmatica ed ingiusta (qualunque
essa sia), lo fu persino, ripeto, di fronte alla stessa realtà e al suo
ordine di violenza e di crudeltà. Questo non dobbiamo dimenticare, facendo
di lui un sognatore ingenuo ed innocuo, e sfuggendo così alle nostre stesse
responsabilità più intere e rifugiandoci nel nostro cerchio
individualistico o nelle nostre abitudini e convenzioni non soggette ad una
continua critica e volontà rinnovatrice.
Forse non a tutti noi si aprirà il regno luminoso della realtà liberata e
fraterna nei modi precisi in cui Capitini la concepiva e la promuoveva, ma
ad esso dobbiamo pur tendere con appassionata energia.
Solo così il nostro compianto per la tua scomparsa, carissimo, fraterno,
indimenticabile amico, diviene concreto ringraziamento e la risposta alla
tua voce più profonda: solo così non ti lasceremo ombra fra le ombre o
spoglia inerte e consumata negli oscuri silenzi della tomba, e proseguiremo
insieme, severamente rasserenati -come tu ci hai voluto- nel nostro
colloquio con te, con il tuo tu-tutti, attuandolo nel nostro faticoso e
fraterno impegno di uomini fra gli uomini, come tu ci hai chiesto e come tu
ci hai indicato con il tuo altissimo esempio".

4. La carta ideologico-programmatica del Movimento Nonviolento
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunità mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del Movimento Nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della libertà di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio,
l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

5. Alcune lettere ai giornali per ricordare la figura di Capitini
Il 1999, pochi ne hanno avuto notizia, è stato anche il centesimo
anniversario della nascita di Aldo Capitini, l'illustre filosofo della
nonviolenza.
In un paese come l'Italia proclive a celebrare e festeggiare questo e
quello, è un buon segno che quasi tutte le istituzioni politiche e di
cultura, e gli apparati del consenso e della narcosi, si siano ricordati di
dimenticare Capitini.
Scomparso nel 1968, antifascista intransigente, straordinario promotore
della riflessione e della prassi nonviolenta, la figura e l'opera di Aldo
Capitini è ancora non addomesticabile e non falsificabile dalla vigente
barbarie, costretta pertanto al silenzio al suo cospetto.
Gli assassini ed i loro araldi e apologeti hanno ancora paura del
rivoluzionario nonviolento Aldo Capitini: mi pare davvero una buona cosa.
*
Questo drammatico anno che ormai si conclude è stato anche il centenario
della nascita di Aldo Capitini, il grande resistente, educatore, filosofo
della nonviolenza scomparso nel 1968.
E' sintomatico che un paese festaiolo e celebrativo come l'Italia quasi non
abbia ricordato uno dei suoi pensatori più alti ed originali di questo
secolo, una delle figure più limpide della sua vita non solo culturale, ma
civile e morale.
La figura, l'azione, la lezione dell'antifascista, del pacifista, del
rivoluzionario nonviolento Aldo Capitini è evidentemente inassimilabile sia
da parte di un sistema dei mass-media ordinato al consumismo e alla
barbarie, sia da un apparato accademico e della riproduzione sociale
eminentemente proteso al procacciamento di carriere e privilegi ed
all'apologia del pensiero unico del "disordine costituito".
Questa distanza, questa alterità, questa radicale contraddizione, è un buon
segno, direi.
*
Il 23 dicembre 1899 nasceva a Perugia Aldo Capitini, uno dei più grandi ed
originali pensatori italiani del Novecento.
Intransigente oppositore del fascismo, filosofo, educatore, promotore di
innumerevoli iniziative per la democrazia, la pace, la dignità umana:
ispirandosi a Francesco d'Assisi, a Kant, a Mazzini, a Gandhi, Aldo
Capitini è stato il vero e proprio apostolo della nonviolenza in Italia.
Apostolo della nonviolenza con la sua opera di studioso: i grandi libri da
Elementi di un'esperienza religiosa pubblicato da Laterza nel 1937, a Il
potere di tutti, edito postumo da La Nuova Italia nel 1969 (Capitini era
deceduto nel 1968 nella natia Perugia); apostolo della nonviolenza con la
sua opera di organizzatore: dai Centri di orientamento sociale (C.O.S.), al
Movimento Nonviolento; apostolo della nonviolenza con le sue innumerevoli
iniziative: dalla marcia per la pace Perugia-Assisi, alla rivista "Azione
nonviolenta" che tuttora si pubblica ogni mese.
Per ogni uomo che voglia essere persona onesta e costruttore di pace la
figura e l'opera di Aldo Capitini costituiscono un esempio e un appello.
*
Nella quasi completa indifferenza delle istituzioni culturali e nella
disattenzione dell'opinione pubblica e dei mezzi di comunicazione di massa,
lo scorso dicembre e trascorso il centenario della nascita di Aldo Capitini
(1899-1968), il grande pensatore perugino che fondamentali contributi ha
dato al pensiero religioso, all'impegno antifascista, alla costruzione
della democrazia, all'azione per la pace; il filosofo ed educatore che per
primo e meglio ha recato in Italia la lezione di Gandhi, riconnettendola
alle esperienze e riflessioni di Francesco d'Assisi e di Mazzini,
elaborando la nonviolenza come proposta teorica e pratica per affrontare i
problemi drammatici e urgenti del mondo.
Vorrei qui ricordarlo, e suggerire ai lettori di leggerne le opere:
capolavori di dottrina e di bontà.
*
Sei mesi fa, il 23 dicembre 1999, ricorreva il centenario della nascita di
Aldo Capitini, il grande pensatore, educatore, uomo di pace: l'apostolo
della nonviolenza in Italia.
Capitini è scomparso nel 1968 ma la sua lezione ha continuato a vivere e ad
ispirare tante persone di volontà buona, e sempre più mi sembra che alcune
sue concezioni siano assolutamente imprescindibili per affrontare con
limpidezza di sguardo, di animo e di condotta i compiti dell'ora.
Mi ha sorpreso che in un paese festaiolo come il nostro, il centenario di
uno dei più grandi protagonisti della riflessione e dell'impegno civile che
l'Italia abbia avuto nel Novecento, sia caduto nel generale silenzio: fatta
eccezione per pochissime lodevoli qualificate iniziative.
Ma forse la sorpresa è ingiustificata: la figura e la lezione di Aldo
Capitini sono ancora irriducibili alla cultura dominante ed alla fiera
delle vanità di cui consistono le attività pretesamente culturali di
istituzioni e mass-media dediti alla spettacolarizzazione, al consumismo, a
quella omologante e scotomizzante forma di cultura che Brecht chiamava
gastronomica.
Ed allora forse è, come dire, un segno dei tempi, che Capitini sia ancora
un clandestino.
Ma che almeno tra le persone che per la pace e la dignità vogliono
impegnarsi senza ambiguità e senza reticenze, ebbene, che si abbiano
occasioni per rievocarlo e per farlo conoscere a chi ancora non ne ha avuto
la fortuna.