Enrico Chiavacci, quando l'economia uccide...

Alla metà degli anni '80 la pubblicazione del tomo 3/1 della Teologia
morale di Enrico Chiavacci (Teologia morale e vita economica, Cittadella,
Assisi 1986) costituì un notevole contributo all'elaborazione ed alla
diffusione di una cultura della pace (della solidarietà, della liberazione,
dei diritti umani). Ricordo che subito mi parve che la sintesi che
proponeva Chiavacci (e la bibliografia su cui si appoggiava) fosse di
particolare penetrazione, efficacia, utilità, e da allora non persi
occasione per consigliarne la lettura ad amici e compagni di lotta (spesso
provocando qualche moto di sorpresa, poiché a chi mi chiedeva qualche libro
utile per la lotta concreta contro il riarmo, contro l'imperialismo e per
la liberazione dei popoli suggerivo come fondamentali anche gli scritti di
uno psichiatra come Franco Basaglia, e addirittura un trattato di
teologia...). E ricordo che impegnati a Viterbo lungo gli anni '80 e '90 a
contrastare la penetrazione del potere mafioso nell'alto Lazio ed in
particolare impegnati nella denuncia delle complicità politiche, economiche
e finanziarie con i poteri criminali, spesso ripetemmo un lucido
ragionamento di Chiavacci. Cosicché si può dire che da un bel po' di tempo
Chiavacci è uno dei nostri autori, di quelli di cui si fa uso sia per
riflettere sia nell'azione.
Solo più tardi avemmo occasione di sentirlo parlare, essendo stato più di
una volta invitato negli ultimi anni a tener conferenze a Viterbo
nell'ambito delle encomiabili attività formative degli obiettori di
coscienza della Caritas. Una di queste conferenze qui riproponiamo.
La conferenza tenuta da Enrico Chiavacci a Viterbo il 10 gennaio 1995 (che
qui si presenta riprendendola dall'opuscolo realizzato dagli obiettori di
coscienza della Caritas di Viterbo che ne riproduce la registrazione non
rivista dall'autore) faceva parte del ciclo "Quando l'economia uccide" che,
dopo l'incontro del 10 gennaio su "Un mondo ridotto a mercato. I paradossi,
le perversioni, le iniquità e l'insostenibilità etica dell'economia
mondiale" (relatore appunto Enrico Chiavacci, docente di teologia morale
presso l'Istituto Teologico Fiorentino), è proseguito con l'incontro del 20
gennaio su "Diritti dell'uomo o diritti dell'economia? Quale visione di
uomo e di progresso c'è dietro l'attuale modello di sviluppo?" (relatori:
Giuliana Martirani, docente di Geografia Economica all'Università di Napoli
e presidentessa del MIR; ed Achille Rossi, filosofo, collaboratore de
"L'altrapagina", periodico di Città di Castello); con l'incontro del 24
gennaio su "L'economia nella dottrina sociale della Chiesa" (relatore
Fiorino Tagliaferri, allora vescovo di Viterbo); per concludersi con
l'incontro del 27 gennaio su "Quando l'economia uccide... bisogna cambiare.
Idee e proposte, concrete e percorribili, per una eventuale via d'uscita
dal vicolo cieco dell'attuale economia mondiale" (relatori:
l'indimenticabile Alexander Langer; Giulio Battistella, del movimento
"Beati i costruttori di pace"; Paola Moreschini, consulente legale della
Associazione Italiana Difesa Consumatori e Ambiente).
La trascrizione ovviamente può contenere degli errori dovuti a
fraintendimento della registrazione, il lettore è pregato di tenerne conto.
Vorrei ringraziare una volta di più l'ottimo Sandro Ercoli, responsabile
della formazione degli obiettori di coscienza in servizio civile presso la
Caritas diocesana di Viterbo: e non solo per avermi fornito a suo tempo gli
atti di quel ciclo di conferenze su supporto magnetico ed avermi
autorizzato a riprodurli ed usarli ancora, ma soprattutto per aver
organizzato quello ed altri analoghi cicli di conferenze con altrettanto
illustri relatori come momento centrale delle attività formative che con
gli obiettori di coscienza della Caritas realizza di anno in anno (e vorrei
associare in questo ringraziamento anche don Roberto Burla e Mario Di
Marco).
Al testo della conferenza premettiamo una breve notizia biobibliografica.

Peppe Sini
responsabile del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo

Viterbo, 25 luglio 2000

Notizia biobibliografica su Enrico Chiavacci
Profilo biografico: docente di teologia morale allo Studio Teologico
Fiorentino, membro della Commissione dei diritti dell'uomo di Pax Christi
International, Enrico Chiavacci è una delle figure più autorevoli della
cultura della pace e della nonviolenza.
Opere di Enrico Chiavacci: l'opera fondamentale ci sembra la sua Teologia
morale, di cui sono sin qui usciti quattro tomi, presso la Cittadella di
Assisi; si vedano anche: Proposte morali tra l'antico e il nuovo,
Cittadella, Assisi 1973; Invito alla teologia morale, Queriniana, Brescia
1995; e con Massimo Livi Bacci, Etica e riproduzione, Le Lettere, Firenze
1995; una raccolta di saggi, conferenze e interventi sulla pace è Dal
dominio alla pace, La Meridiana, Molfetta 1993. Alcuni suoi ampi e profondi
interventi recenti possono esser letti nelle ultime annate della rivista
"Rocca".

Enrico Chiavacci: Un mondo ridotto a mercato
L'idea di pace espressa da Gesù agli apostoli il giorno della resurrezione
e nelle beatitudini, non era solamente l'assenza di guerra. Il concetto di
pace in tutta la Bibbia è lo "shalom", sia nell'Antico che nel Nuovo
Testamento. Esso indica sempre l'ordine voluto da Dio, la percezione della
volontà divina, così come traspare da tutta la Scrittura.
Si può riassumere il concetto di pace in due punti fondamentali. Il primo,
come fine di ogni forma di oppressione, di dominio, di prevaricazione
dell'uomo sull'uomo: e questo è il punto fondamentale. Il secondo, come
fraternità universale, cioè una convivenza nella solidarietà. Il termine
solidarietà oggi ha perso di significato, per questo si preferisce il
termine  "corresponsabilità": ognuno di noi è qui per gli altri, non prima
per sé e quel che avanza per gli altri. Ognuno di noi è chiamato al mondo
da Dio per vivere con gli altri e per gli altri. In questo senso si possono
cogliere due significati: uno è il  dovere morale, impegno contro ogni
stato di cose oppressive, il secondo è questa fraternità universale che non
conosce frontiere, né di lingua, né di razza, né di religione, tantomeno
frontiere politiche create da uomini. In questo senso non esiste il
concetto di frontiera, di limite, di voler bene a questi e non a quegli
altri: Cristo è morto per tutti. Questa e molte forme dell'oppressione
dell'uomo sull'uomo, per i  bisogni e le urgenze della solidarietà,
dell'esercizio di una vera corresponsabilità, variano però nella storia,
perché è la condizione storica concreta a cambiare continuamente. Se oggi
siamo arrivati, con gli strumenti tecnici che abbiamo, a certe
distribuzioni di potere e di forza è perché siamo giunti ad una situazione
del tutto nuova nella storia dell'umanità.
L'oppressione dell'uomo sull'uomo oggi ha forme planetarie e strutture
planetarie, con forme di oppressione e con relative strutture che coprono
tutta la famiglia umana. Quando, ad esempio, uno Stato fa la sua guerra,
tutti gli altri Stati sono interconnessi in qualche modo perché facenti
parte di un unico sistema. Queste forme, queste strutture oppressive che
oggi sono spaventose perché governano l'intera famiglia umana, sono
fondamentalmente tre: l'oppressione politico-militare,  che si esercita
attraverso armi, guerre e stati sovrani che combattono fra di loro;
l'oppressione economica; l'oppressione mediale che dagli ultimi venti anni
si esercita attraverso i mezzi di comunicazione di massa. Il discorso è
complesso, e, soprattutto, bisogna allargarlo oltre i confini italiani
perché le strutture hanno dimensioni ormai planetarie, cosicché i problemi
italiani, anche se gravissimi, devono essere intesi in un quadro di
oppressione planetaria, decisa da pochi centri di potere. Ecco allora che
si pone il problema di comprendere quali siano queste forme oppressive e di
vedere come si può reagire ed impegnarsi sulla terra per diminuire, ridurre
fino ad eliminare questa tragica oppressione.
E' vero che "l'economia uccide". Se ci furono 20-30 milioni di morti nella
seconda guerra mondiale oggi ci sono 40-50 milioni di morti l'anno solo per
stenti, fame e miseria. Per non parlare poi delle centinaia di milioni di
persone che negli stenti e nella miseria ci vivono. Questa situazione è
emersa negli anni Settanta ed ora è veramente tragica. Solo conoscendo e
cercando in qualche modo di spiegare i meccanismi di questo sistema
economico che uccide, possiamo poi combatterlo. Soprattutto è necessario
conoscere le forme di oppressione dell'uomo sull'uomo nel campo
dell'economia che sono fallimento delle idee di pace.
Oggi i 4/5 della famiglia umana vivono in povertà e i 2/3 in miseria
assoluta. Questa tragica realtà è stata descritta per la prima volta nel
famoso Rapporto Brandt realizzato nel 1980 da una commissione paritetica di
studiosi, economisti, sia di paesi ricchi che di paesi poveri, presieduta
da Willy Brandt. Da allora le condizioni non sono cambiate, nonostante
siano passati più di 14 anni. E ancora vale la considerazione che Brandt
faceva in quegli anni: l'umanità in realtà non è una sola famiglia umana,
ma sono due che vivono in condizioni abissalmente diverse.
Mac Namara, che era il Ministro statunitense della Difesa ai tempi della
guerra in Vietnam, parlava di questo come di una vera faglia che divide
l'umanità in due, con una distanza terribile da una parte all'altra. Fu
definito come "Nord" la parte ricca, 1/3 - 1/4 dell'umanità, che è composto
dall'Europa, Russia compresa, Stati Uniti e Canada, Giappone, Australia e
Nuova Zelanda. Tutto il resto è stato chiamato "Sud" del mondo. Questa
distinzione tra Nord e Sud ha quindi un suo terribile fondamento.
Nel '92 il Prodotto Interno Lordo - Prodotto Nazionale Lordo (PIL-PNL)  pro
capite del Nord era intorno ai 20-22 mila dollari l'anno e fino ad oggi non
c'è alcuna variazione sostanziale. Per PIL-PNL pro capite si intende tutto
quello che viene prodotto in qualunque forma all'interno di uno stato per
un anno, espresso in dollari e diviso per gli abitanti. Quindi è mediamente
più del salario, perché vi sono compresi servizi, strade, giustizia,
esercito e tutto quello che viene in qualche modo prodotto e valutato in
dollari. E' un indicatore abbastanza approssimato, ma comunque attendibile.
In questo contesto ora non ha molto interesse approfondire la differenza
tra PIL e PNL.
In America Latina, invece, il Brasile aveva nel '92 un PIL pro capite di
2200 dollari e nel '94 di 2450,  cioè esattamente un decimo dei paesi del
Nord nonostante il Brasile sia considerato un Paese ricco. In Honduras si
abbassa a 850 dollari l'anno. In tutta l'America Latina il maggiore PIL
pro capite si trova a Cuba, nonostante la dittatura di Castro.
In Africa la situazione è spaventosa: nell'Africa Centrale il PIL pro
capite scende addirittura a 100-200 dollari l'anno. Ciò vuol dire che una
persona deve vivere con mezzo dollaro al giorno.
L'Africa, tranne il Nord e il Sud Africa, è tutta in queste condizioni
spaventose. Una situazione analoga si trova in Asia, dove, tranne
l'eccezione delle cosiddette "quattro tigri", cioè Hong Kong, Singapore,
Sud Corea e Taiwan che hanno una alta produzione, il Bangladesh ha 180-200
dollari, mentre il Pakistan, l'India e la Cina si attestano sui 400 dollari
ciascuna, ossia un dollaro al giorno o poco più. Ci sono comunque. Il
problema grave, specifico dell'America latina, è la distribuzione della
ricchezza, ossia il rapporto tra quanta ne possiede il 20% più povero della
popolazione (il "quintile" più povero), e quanta ne possiede il 10% più
ricco. In Brasile nel '92 questo rapporto era 2 a 46, ora è 1,4 a 51, cioè
aumenta la ricchezza che va nelle mani del 10% più ricco e diminuisce
quella che va nelle mani del 20% più povero. Per comprendere meglio: mentre
in Europa, e nei Paesi del Nord, il rapporto fra il decimo più ricco e il
quintile più povero va da 1 a 4, a 1 a 5, invece nel Sud  lo stesso
rapporto  va da 1 a 20, 1 a 30 all'interno di uno stesso Paese. Utilizziamo
il Brasile come esempio perché è un Paese considerato ricco, in cui in
questo momento molti corrono ad investire da cui ne risulta una immagine di
floridità economica. Il meccanismo è questo, simile in tutta l'America
Latina. Il Brasile ha 150 milioni di persone con un PIL di 300-340 miliardi
di dollari l'anno, cioè un po' sopra i 2000 dollari l'anno per persona. Ma
di questi 300 miliardi di dollari, 150 vanno a 15 milioni di persone, e
quegli altri 150 agli altri 135 milioni di persone. Di queste ultime poi il
20%, cioè 30 milioni di persone, vivono con le briciole. Ecco, questa è la
florida economia del Brasile: 30 -40 milioni di persone ( all'incirca la
popolazione francese) ricche, ma il resto sta sempre peggio.
Considerando un altro indicatore socio-economico quale la mortalità nel
primo anno di vita per 1000 bambini, ossia i bambini che muoiono nel primo
anno di vita su mille nati (senza poi considerare quelli che  muoiono anche
negli anni successivi), si ha che nel Nord la media è sotto il 10/1000. In
tutti i Paesi dell'America Latina (eccetto Cuba, che ha una media simile a
quelle europee), la media è invece circa 60/1000. In Africa la mortalità
media è circa 150/1000.
L'economia uccide? Certo che uccide. Quando poi parliamo di fame nel mondo
intendiamo questo: rispetto al minimo valore di calorie necessario per
vivere, calcolato dalla FAO, nel Nord c'è sempre una disponibilità
sovrabbondante, mentre in tutti i Paesi del Sud (eccetto Cuba dove, per la
sua politica economica, nonostante tutto, la gente non muore di fame), e in
tutta l'Asia (eccetto l'Indonesia, dove per ragioni climatiche ci possono
essere 2 o 3 raccolti l'anno), è sempre sotto il minimo FAO. Se poi si
considerano altri problemi quali l'alfabetizzazione, la situazione
demografica ed energetica, il quadro diventa sempre più tragico.
Questa non è una situazione occasionale: la Bosnia, la Cecenia, la Somalia,
cosÏ come gran parte della famiglia umana, vivono questa come situazione
normale di vita. Quindi non è una condizione congiunturale, derivante cioè
da un terremoto, un'esplosione di un vulcano, una carestia, ma è una
situazione strutturale.
Questa realtà, quotidiana ormai da decenni e che rimarrà attuale per la
maggior parte della famiglia umana per altri decenni, ci dovrebbe
commuovere più di tante catastrofi naturali. Questa situazione strutturale,
stabile, è il prodotto di un sistema economico planetario, che trova in
essa il suo punto di equilibrio. Questo stato di cose fu denunciato nel
1980, 15 anni fa, e da allora niente è stato messo in opera a nessun
livello, né governativo, né dall'ONU, per modificare la situazione che è
rimasta tale e quale a quella che era 15 anni fa. Anzi, in alcuni casi è
peggiorata.
E' opportuno spiegare in breve che cose vuol dire economia: essa è
sostanzialmente ogni attività umana di qualunque specie che mira a produrre
beni di tutti i tipi capaci di servire (di venire incontro) a certi
bisogni. I beni economici possono essere ad esempio i servizi sanitari, le
agenzie di viaggio, le telecomunicazioni, le poste, le lezioni, i libri, le
automobili, le bombe, ecc. Queste produzioni, a differenza di 30 anni fa,
avvengono oggi su scala mondiale, cioè i singoli componenti sono prodotti
in Paesi diversi e in particolare dove conviene farli, per disponibilità di
materie prime o di lavoro qualificato o di manodopera a basso costo.
Il sistema produttivo è unico nel mondo intero.
Ma c'Ë un altro aspetto del problema: l'aspetto R-D, Research and
Development  (Ricerca e Sviluppo). Ogni prodotto nuovo ha bisogno di una
ricerca di base specializzata, di uno studio, di un disegno, di un
prototipo, poi di prove e di sperimentazioni fino a che non si arriva ad
una produzione in serie. In genere questi sono processi di anni che
richiedono capitali sterminati e che si possono fare a costi estremamente
alti solo in pochissimi centri specializzati al mondo, unici posti in cui
quindi si può fare la ricerca e lo sviluppo. Ad esempio, l'unica grande
centrale dove si possono sperimentare i locomotori prototipi è in
Cecoslovacchia,  e non ce ne sono altre al mondo. Così è per le medicine
come per tutte le altre cose.
Ma il problema più grave è il problema finanziario: non si produce nulla
senza capitale e i capitali si prendono in banca. Spesso l'istituto
finanziario che presta capitali è una banca che a sua volta è una società
con dei soldi e degli azionisti. Gli azionisti, in genere, sono poi anche
le società finanziarie di grado superiore, di secondo livello, che non
producono nulla e non danno soldi a nessun produttore, ma servono solo a
controllare le finanziarie che poi danno i soldi agli imprenditori. Quindi
le società finanziarie si arricchiscono solo spostando capitali. Mentre un
imprenditore arricchisce anche una Banca e produce qualcosa, a questo
secondo livello (oltre il quale ce ne è spesso un terzo, un quarto, ecc.)
non c'è più nessun interesse a che cosa si produce e come si produce. La
finanziaria pura che gestisce solo capitale non è interessata e non vuole
nemmeno sapere cosa produce l'impresa o chi finanzia la banca. L'unico
interesse di una vera finanziaria di alto livello è di produrre il massimo
profitto possibile esclusivamente trasferendo capitali da un tipo di
investimento ad un altro solo in cerca del massimo profitto; e non c'è
altra logica che questa.
Queste sono cose che accadono tutti i giorni a Roma, Zurigo, Milano, nei
centri di brokeraggio, cioè dove si fanno le grandi transazioni economiche,
dove passano velocissimi tutti i dati di tutti i possibili investimenti nel
mondo, dove si sposta in tempo reale capitale da una parte all'altra della
Terra, da una banca ad un'altra o da un istituto ad un altro, anche solo
per alcune ore. Oggi tutte le banche, o quasi, sono telematizzate e questo
significa che i soldi appena depositati possono essere subito dopo
investiti da qualche altra parte del mondo. Si può spostare qualche
migliaio di miliardi nel giro di 2 o 3 minuti da Hong Kong a Francoforte o
a Milano, così come si può decidere di abbattere una valuta. Questi
movimenti avvengono poi per decisioni di privati investitori, di
grossissime ed enormi concentrazioni di capitali privati, senza che nessun
governo possa farci assolutamente nulla, perché non sono controllabili.
C'è quindi un enorme flusso di capitali che si sposta attraverso Internet,
attraverso reti telematiche, e nessun governo può farci assolutamente
niente;  e lo stesso flusso di capitali non è d'altra parte affatto
interessato a che cosa si farà di quel capitale: non interessa se può
servire a produrre armi o produrre medicine, o quali medicine produrre, o a
produrre droga, o a produrre beni culturali, ecc.. L'unico interesse è,
come detto, mettere i soldi dove si trova il massimo profitto possibile. La
realtà tragica con cui dobbiamo fare i conti è questa: la struttura
finanziaria non è interessata in alcun modo a cosa si produce, né a
sovvenire ai bisogni dei più poveri perché i poveri hanno pochi soldi e
quindi, essendoci poco vantaggio economico, in genere non si investe per
produrre cose che servono ai poveri. Le società finanziarie cercano solo di
massimizzare il profitto e non possono fare altro che questo, non possono
fare diversamente, perché altrimenti uscirebbero immediatamente dal giro
del mercato e sarebbero perdute. Quindi il concetto di sviluppo che nasce è
esclusivamente quantitativo, e non tanto in termini di massimizzazione
della produzione, ma di massimizzazione del profitto che viene dal prodotto.
Succede quindi che i veri bisogni essenziali dei più poveri non vanno
nemmeno sul mercato, non diventano nemmeno domanda di vendita perché i
poveri non hanno soldi per comprare e così nessuno produce per i poveri.
Per chi si produce quindi, per chi si aumenta la produzione? Per chi ha
soldi per pagare.
Il mondo intero è ormai governato in questo modo, è un fenomeno planetario.
E in questo sistema finanziario non esiste nemmeno un posto preciso dove
avviene la regolazione del sistema economico-finanziario mondiale. Prima
c'era la borsa di Londra, di New York; oggi no, perché le transazioni si
operano attraverso sistemi di comunicazione di massa, attraverso i
microchips, attraverso l'informatica e quindi, in realtà, non si sa chi
siano i veri detentori del potere economico. Questi operano nel
cyberspazio, nello spazio virtuale e non c'è più modo di andare a
controllare dove sono, in che Stato sono e quali sono le loro centrali di
potere. Così tutte queste concentrazioni di capitale sono spaventose. Non
si sa dove siano e non si può individuare chi le gestisce. Una cosa sola è
certa: che vengono sempre gestite per massimizzare il profitto ottenuto
attraverso il passaggio di capitale da una parte all'altra del mondo.
Ci vuole poco a fare una società e non sapere di chi è. Si prendono ad
esempio tre persone e si fa una società di comodo in Lussemburgo, davanti
ad un notaio. Vi si dà un capitale, si fa un consiglio di amministrazione
fatto di tre burattini che non contano niente e la gestione della società
si manda alle Bahamas, alle Antille o ad Hong Kong, o dove difficilmente
può essere controllata dalla centrale europea. La società è così registrata
in Lussemburgo, la parte operativa è ad Hong Kong, e in qualche parte, in
qualche modestissimo studio notarile di Hong Kong, c'è una carta in cui
questi tre burattini dicono che rinunciano a tutti i loro beni ed interessi
della società in favore dei veri padroni. Nessuno saprà mai in quale
cassetto polveroso di quale stanzetta di quale notaio di Hong Kong o di
Nassau è nascosta quella carta. Quindi nessuno saprà chi controlla tutto
questo sistema, ed il sistema ovviamente è uno. E questo unico sistema è in
un equilibrio che è legato al concetto di mercato. Il mercato è il luogo
dove ciascuno cerca di fare gli affari meglio che può.
Tradizionalmente nel mercato c'era un'esigenza di chi vendeva le cose e
un'esigenza di chi le comprava, ed il punto di incontro di queste due
esigenze si chiamava, e si chiama ancora, il punto di equilibrio del
mercato. Tutto questo va bene finché il mercato è fra soggetti che hanno
mediamente le stesse potenzialità economiche; perché, se uno va sul mercato
e può dettare il prezzo, gli equilibri non esistono più per tutti, ma
esistono solo per chi decide il prezzo. Tutti si appellano oggi al
Neoliberismo, ma quando Adam Smith parlava di mercato libero non parlava
del mercato che c'è oggi: parlava del mercato all'interno dell'Inghilterra
(non ha mai sognato un mercato di capitali e di merci con l'estero), fra
gente che relativamente aveva sì poteri, ma non eccessivi.
Il mercato di Smith, teorizzato dal liberismo, è un mercato in cui, per
principio, nessuno deve avere tanto potere da poter da solo modificare il
prezzo che trova sul mercato. Questa è la definizione di tutti i testi di
economia. Quando il mercato è mondiale questo non succede piò perché è
chiaro che ci sono tre o quattro centri di potere che hanno la possibilità
di determinare da soli il prezzo del mercato. Oggi questo mercato a livello
planetario, fra paesi poverissimi e debolissimi e paesi estremamente forti,
non ha più senso perché vince sempre ed inevitabilmente il più forte e
perde inevitabilmente il più debole. Questa è l'economia di mercato che ci
si vuole vendere come mercato libero.
Il mercato libero consiste in questo: se un Paese povero ha una
monocoltura,  il suo prodotto lo compriamo noi, Paesi ricchi, al prezzo che
decidiamo noi. E a quel prezzo, qualunque esso sia, il Paese povero deve
vendere per forza perché non ha altro per campare. Quando poi con quei
pochi dollari presi vuole comprare manufatti da noi (perché nei paesi
poveri di manufatti se ne fanno pochi) il prezzo glielo facciamo ancora
noi. Cioè i Paesi poveri devono vendere al prezzo che il mercato del Nord
impone perché non hanno altrove dove vendere, e devono comprare al prezzo
che il mercato del Nord impone. Questo viene chiamato simpaticamente
"mercato libero".
Consideriamo, come esempio, l'evoluzione dell'industria manifatturiera dal
secolo scorso al nostro secolo. A partire dalla metà del secolo scorso il
prodotto manifatturiero nei Paesi poveri si è ridotto a zero, e solo ora si
sta riprendendo per quei pochi paesi del Pacifico che stanno crescendo
rapidissimamente, ma a caro prezzo. Questo significa che la gente di tutti
i Paesi poveri, se vuole comprare un manufatto, normalmente lo deve
comprare in dollari e per avere i dollari deve vendere, per forza di cose,
tutto quello che può produrre da esportare (agricoltura, miniere, ecc.).
Siccome gli unici compratori sono i Paesi ricchi, sono questi ultimi a fare
sempre il prezzo senza possibilità di trattative.
Un controllo di questo indicatore si ha considerando il consumo di energia.
Il consumo dell'energia è la condizione per produrre manufatti, perché
senza l'energia non si produce nulla. L'energia serve a produrre ed ai
trasporti.
I maggiori consumatori di energia sono gli Stati Uniti, la Germania, il
Giappone, la Francia, l'Italia, l'Inghilterra; poi ci sono Taiwan e Sud
Corea, che fanno parte di quell'eccezione di cui si parlava prima; dopo
questi due si arriva ad un consumo di energia ridicolo (l'energia per
persona è tradotta nella tipica unità di misura di tonnellate di petrolio
equivalenti). Il consumo di energia per persona va dai 7-8 tonnellate
equivalenti negli Stati Uniti, ai 3,5-4,5 in Europa, ai 2,5 in Sud Corea.
Dopo si passa al Cile a circa 1, e poi all'India, Cina, Pakistan, Indonesia
e Brasile attorno a 0,7. Questo è un indicatore importantissimo perché fa
capire subito quale è la condizione del mercato. Questi ultimi Paesi, con
questa disponibilità di energia, non potrebbero produrre nemmeno se
volessero. E siccome la parte di famiglia umana che ha pochissima energia
disponibile costituisce la grande maggioranza dei Paesi del mondo, se si
volesse aumentare anche di poco, di qualche kilowatt a testa, l'energia
disponibile per loro, senza comunque far loro raggiungere i nostri livelli,
si produrrebbe nell'atmosfera un inquinamento d'aria insopportabile che in
vent'anni diventerebbe irrespirabile e ammazzerebbe tutta l'umanità. Tanto
più che il rendimento energetico dei Paesi più poveri e meno alfabetizzati
è molto più basso di quello dei Paesi ricchi, ossia i primi consumano
necessariamente più energia per avere lo stesso risultato, perché se ad
esempio nel Nord si rompe l'iniettore di un diesel normalmente si porta ad
accomodare alla filiale Fiat o Mercedes o altro, mentre nel Sud possono
solo cercare di aggiustarlo con il martello, e non ci riescono. Ci sono
fumi orribili  in tutti i Paesi poveri. Bisognerebbe quindi aumentare di
molto l'energia a disposizione di questa grande maggioranza dell'umanità
per avere un minimo di rendimento energetico in più: e questo è impossibile
a farsi e, se non si vuol morire tutti, bisogna stare cosÏ.
Quando si parla di "fame nel mondo" non si parla quindi solo di un fenomeno
episodico, ma si parla di un fenomeno cui non si rimedia con i pacchi dono,
con i sussidi o con gli aiuti economici. E' proprio un modo di concepire,
di controllare tutta la vita economica nella sua complessità di produzione,
distribuzione, ricerca, scambio, investimenti, ecc., che produce
inevitabilmente queste conseguenze. Questa è la tragedia.
Il guaio è che questo succede anche da noi. Infatti da noi sta aumentando
la disoccupazione, e questo era previsto da dieci anni, perché le nuove
tecnologie servono a diminuire l'occupazione così come gli investimenti,
che in genere non servono ad aumentarla, ma ad investire in macchinari che
permettono di fare con un operaio quello che prima si faceva con cento
operai. Oggi si produce con sistemi a sempre più elevata tecnologia:  gli
operai e i posti più qualificati, cosÏ come i loro guadagni, crescono,
mentre quelli meno qualificati hanno una perdita terribile di guadagno
rispetto a quegli altri, perché valgono poco. Si sta aprendo una forbice
non solo nell'Italia, ma in tutta Europa, tutto il Nord, fra disoccupazione
e sottopagamento di tutti i lavoratori non altamente specializzati, e quei
pochi che invece sono altamente specializzati. Questa forbice creerà, li
sta già creando, guasti sociali anche da noi nel Nord, e non si può
cambiare una situazione così solo con provvedimenti temporanei. Questa
stessa situazione è altamente preoccupante perché tutti i lavoratori
"bottom" (la parte bassa della forbice) sono sostituibili con lavoratori
non specializzati presi dai Paesi poveri, preferibili solo perché prendono
salari più bassi.
Consideriamo ad esempio il costo del lavoro dei lavoratori impiegati nel
settore manifatturiero (cioè in tutti i settori fuorché l'agricoltura e le
miniere) e vediamo quali bugie vengono sfacciatamente dette dai nostri
padroni, anche in Italia. Per costo del lavoro intendiamo quello
complessivo per il datore di lavoro, cioè non solo lo stipendio, ma anche i
contributi, le assistenze, le pensioni, ossia inclusi tutti i costi "non
salario". In Germania questo costo è di  25 dollari l'ora, in Italia circa
di 15 dollari: è inutile quindi che si venga a dire di essere competitivi
riducendo i salari, perché l'Italia, dove il padrone paga 15 dollari l'ora,
già è più competitiva della Germania, dove ne paga 25.
Taiwan, Singapore, Sud Corea e Hong Kong, ossia le "quattro tigri" già
accennate, crescono economicamente, hanno grande potenziale economico e
sono oggetto di molti investimenti, ma l'operaio non arriva a percepire che
4-5 dollari l'ora (poi in effetti ne prende di meno perché questo è il
costo complessivo). E' chiaro allora che, per chi investe, conviene
produrre là. In Brasile poi si arriva a 2 dollari l'ora come costo globale
per il datore di lavoro. Questa è la tragedia umana che si sta sviluppando
e cresce continuamente: non conviene pagare i nostri lavoratori non
specializzati, conviene mandare a fare la produzione in Polonia,
Thailandia, Cina, India, Brasile, anche perché poi il costo del trasporto
del bene prodotto per unità è irrisorio. Nel Nord si crea sempre più
disoccupazione e salari bassissimi rispetto a lavoratori altamente
qualificati che hanno invece salari crescenti. E questo è solo uno degli
effetti boomerang di questo modello di sviluppo
La conclusione può essere questa: per i cristiani credenti, portatori di un
Vangelo che ci dice che la giustizia di Dio è sempre la giustizia verso il
povero, il più debole, e che bisogna scegliere tra Dio e ricchezza, i beni
terreni non dovrebbero avere nessun particolare significato, se non quello
di aiutarci a meglio servire il prossimo. L'unico significato dei beni
terreni per un cristiano non può essere che questo: prepararsi, avere gli
strumenti per servire gli altri. Invece oggi si vive in una logica
completamente opposta, per la quale l'aver di più, solo perché è di più, è
un fine in sé. Quando ad esempio si mettono i risparmi in un conto
corrente, in una banca, in buoni del tesoro, in fondi di investimento, si
cerca evidentemente ciò che dà il massimo dell'interesse possibile. Per poi
farci cosa, con questo interesse? Se uno è povero ci si compra da vivere,
ma se uno possiede già ed è abbastanza ricco, allora quello che ha di
interesse e di profitto serve a essere reinvestito per creare altro
profitto che servirà ancora a creare altro profitto, e cosÏ all'infinito.
Cioè il sistema è governato ormai dal valore in sé dell'avere di più, e
questo sembra sfuggire ad ogni prescrizione etica.
Siamo agli opposti del Vangelo che dice "Non si può servire due padroni" e
"Se non siete fedeli ad una ricchezza giusta chi vi darà la ricchezza vera?
". Ricchezza che per i cristiani è solo il Signore ed il suo Regno, un
regno di giustizia, di fraternità, di aiuto reciproco. Noi siamo portatori
di questo Vangelo, ma noi nel mondo cristiano del Nord, e la parte Nord del
mondo è quasi tutta cristiana, in un modo o in un altro, abbiamo lasciato
maturare questa situazione. Questa è una tragedia enorme, è un fallimento
dell'annuncio del Vangelo di cui noi in qualche misura, sia pur piccola,
siamo anche responsabili. La ricchezza per noi non è mai un bene
desiderabile in sé. E' desiderabile solo per poter lavorare meglio, servire
e mettere a disposizione degli altri. Non è il fatto di avere introiti
robusti che è peccato, altrimenti tutti i ricchi andrebbero all'inferno. E'
che bisogna incominciare a investire laddove con certezza si sa che
líinvestimento non sarà in armi, in droga, ecc. Allora ecco che diventa
importante il Commercio Equo e Solidale, le MAG, e tutte queste iniziative
che sono esperienze interessanti anche se ancora piccolissime, bricioline
al confronto.
Questo Vangelo noi dobbiamo portarlo in un mondo in cui tutta la vita umana
in tutti i suoi aspetti è subordinata alla logica economica dominante, alla
logica del mercato, della prevalenza del più forte sul più debole, della
lotta per avere di più a spese degli altri. Oggi l'economia è fine a se
stessa e tutto il resto della convivenza è subordinato a questo fine
dell'economia, quando invece dovrebbe essere esattamente il contrario:
l'economia, l'attività economica non è un fine in sé, perché per l'essere
umano non é un fine in sé l'avere di più, e l'attività economica deve
essere sempre pensata a finalità non economiche. Il che non vuol dire
finalità antieconomiche, ma semplicemente altre finalità: quali l'essere
umano, lo sviluppo degli esseri umani, la cultura, la società, la vita
associata, la salute, che sono poi tutti beni essenziali. Lo sviluppo
globale dell'uomo consiste sì nell'avere beni disponibili, di avere una
certa libertà di usare dei propri soldi, dei propri guadagni, ma certamente
i beni essenziali per un minimo di dignità della persona umana devono
essere disponibili. Con questo sistema non sono disponibili: almeno due
terzi della famiglia umana sulla faccia della terra oggi non ha
disponibilità sufficiente di beni essenziali per il minimo di dignità di un
essere umano. La gente delle favelas o dell'Africa Centrale vive non solo
abbrutita totalmente per l'assoluta mancanza di beni, ma vive senza
speranze, perché non ha niente, non ha nessuna dignità, non sa nemmeno
perché è al mondo. E' una cosa spaventosa.
Questa è la condizione della maggior parte della famiglia umana. Sono
umiliati e offesi, da noi. E' gente senza speranze, senza dignità, senza
più niente. Bisognerebbe andarci qualche volta e, invece di andare in giro
per turismo, ci si potrebbe mettere d'accordo con un gruppo missionario e
fare un viaggio e vedere, viverci in mezzo, allora si capisce la realtà.
Basta andare in un posto e poi sono tutti uguali. Andare alla periferia di
Giacarta è come andare alla periferia di Rio de Janeiro o di Città del
Messico. Questa è la degradazione totale dell'essere umano ridotto a non
avere più nessun orizzonte di fronte a sé, nessuna speranza per i propri
figlioli, nessuna dignità di fronte agli altri.
L'attività economica dovrebbe essere indirizzata, come ha scritto Paolo VI
nella grande enciclica Populorum Progressio, allo sviluppo di tutto l'uomo,
globale, in tutte le sue componenti: questo è il compito enorme. Al numero
77 della Gaudium et Spes  viene descritta la nuova e nobilissima concezione
della pace, che consiste nel rendere più umana la vita di ogni essere umano
ovunque sulla faccia della terra". Questa è l'idea di pace che il Concilio
Vaticano II ci ha dato, e da un Concilio indietro non si torna. Ebbene, la
situazione attuale che noi "sponsorizziamo" con le nostre scelte, a volte
con il nostro stile di vita, con la nostra vastità di impegno sociale,
culturale, politico, tradisce completamente la nostra missione di essere
operatori di pace. E solo chi è operatore di pace, dice il Vangelo, sarà
chiamato figlio di Dio,  cioè colui che veramente segue la logica di suo
Padre. Questo è il figlio di Dio, quello che ragiona come il Padre, e solo
chi è operatore di pace lo è.
Il quadro presentato è dunque un quadro triste, sembra senza speranze, ma
non è vero, ci sono possibilità. Ci sono anche forze, non prevalenti in
questo momento, ma che comunque potranno prevalere prima o poi, ma certo
non succederà se tutti ce ne stiamo fermi a vedere quello che ci succede
attorno. Fermi a vedere la distruzione di speranze umane, di famiglie
umane. Questo impegno è possibile, è finalizzabile solo con scopi precisi
quali la testimonianza di vita personale, l'uso dei propri beni, l'impegno
nel sociale, l'impegno nella cultura, l'impegno nella politica. Non si può
far molto, ma qualcosa si può fare all'interno di uno Stato o di un governo
mettendo sempre al primo posto la preoccupazione per i miseri della terra.
Guai ad uscire da questo binario.
[Testo non rivisto dall'autore]