Enrique Dussel, Il sistema-mondo e l'etica della liberazione
Per chi non lo sapesse, Enrique Dussel è uno dei più importanti e lucidi
pensatori contemporanei: un pensatore del sud del mondo, dove si pensano
concretamente cose decisive per tutti; un pensatore del sud del mondo,
quindi un militante antifascista in senso forte -globale, verrebbe da
dire-; un pensatore del sud del mondo, ed in particolare il pensatore che
ha elaborato con maggior profondità ed impegno la "filosofia della
liberazione".
Qui presentiamo un suo intervento che ci pare offra materia per una
riflessione necessaria ed urgente.
Non sarà lodata mai abbastanza l'attività della Piccola Editrice di Celleno
(VT), che affiancandosi all'edizione italiana di "Amanecer" (ora
purtroppo
interrotta) ed a tante altre attività di solidarietà con i popoli
dell'America Latina promosse dal Centro comunitario di Celleno e dalla
Fondazione Guido Piccini di Brescia, ha tanto contribuito a far conoscere
anche in Italia la riflessione e le esperienze latinoamericane più alte ed
originali e cariche di speranza e profezia.
Tra i libri che la Piccola Editrice ha pubblicato ci sono alcuni testi di
Boff e Casaldáliga, di Mires e di Dussel, e di tanti altri studiosi e
militanti, alcuni dei quali sono stati assassinati per aver lottato in
difesa dei diritti umani: da Gerardi a Ellacuria.
Ho avuto la fortuna di poter dare una mano a tradurre alcuni di questi
libri, ed ancora ne ringrazio Luciano Comini, animatore infaticabile della
Piccola. Ed è stato come traduttore che ho scoperto la profondità e
crucialità della riflessione di Fernando Mires (di cui sarebbe bene
tradurre in italiano tutte le opere), ed è stato come lettore dapprima, e
come traduttore poi, che ho potuto approfondire la riflessione di Enrique
Dussel, uno dei pensatori più lucidi di questi anni.
Se l'Italia non fosse immeschinita dal suo penoso provincialismo culturale,
che consente che al massimo si legga -come non plus ultra del pensiero
critico- quel che scrivono gli intellettuali francesi (unico antidoto
ammesso nel nostro mercato editoriale a fronte dell'onnipresente barbarie e
banalità della pubblicistica con pretese intellettuali statunitense),
ebbene, l'opera di Dussel sarebbe una lettura da portar nelle scuole e
nelle università. Invece lo conoscono pressoché solo quelli che hanno avuto
la fortuna di sapere che alcune delle cose più importanti della riflessione
contemporanea sono solo nei libri della Queriniana (e non penso solo a
Moltmann e Gutierrez, ad esempio la collana del "Giornale di teologia"
è
una miniera inesauribile e indispensabile di nutrimento teorico ed etico e
politico), e che hanno trovato le altre poche opere di Dussel tradotte in
italiano dalla Cittadella, dalla Piccola, e recentemente dalla
Manifestolibri.
Nel 1998 ho tradotto per la Piccola un interessante volume di autori vari,
curato da Heinz Dieterich, su Globalización, exclusión y democracia en
América Latina, Editorial Joaquín Mortiz, México 1997; la traduzione
italiana è apparsa nel 1999 col titolo Globalizzazione, esclusione e
democrazia in America Latina (e mi permetto di raccomandarne la lettura
anche per altri saggi ed interventi che il volume contiene). Per contattare
la Piccola Editrice: via Roma 5, 01022 Celleno (VT), tel. e fax
0761/912591, e-mail: cen.am.pe@pronet.it.
Ho rinunciato, e me ne scuso, a rivedere la traduzione (spero non vi siano
fraintendimenti gravi, o troppi refusi); purtroppo in questo periodo ho
poco tempo, e del resto l'intento di questa nuova e liimitata pubblicazione
è solo di mettere a disposizione di tutti gli interessati un materiale che
offra alcuni densi spunti e funga da invito a più ampie letture dell'opera
di Dussel.
Al testo premetto una breve notizia biobibliografica.
Peppe Sini
responsabile del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo
Viterbo, 26 luglio 2000
Notizia biobibliografica su Enrique Dussel
Profilo biografico: nato in Argentina nel 1934, ha studiato a Madrid,
Parigi, Friburgo, Magonza. Dottore in filosofia e teologia, è docente
all'Università Nazionale Autonoma del Messico. Impegnato per i diritti
umani e dei popoli, nel 1975 in Argentina è sfuggito miracolosamente ad un
attentato.
Opere di Enrique Dussel: segnaliamo particolarmente Etica comunitaria,
Cittadella, Assisi 1988; (a cura di), La Chiesa in America Latina,
Cittadella, Assisi 1992; Storia della Chiesa in America Latina (1492-1992),
Queriniana, Brescia 1992; Filosofia della liberazione, Queriniana, Brescia
1992; L'occultamento dell'"altro", La Piccola, Celleno 1993; Un Marx
sconosciuto, Manifestolibri, Roma 1999.
Enrique Dussel: Modernità, globalizzazone ed esclusione
In questa relazione (1) intendiamo esaminare la questione della Modernità.
Effettivamente ci sono due paradigmi della Modernità.
a) Il primo, in un orizzonte eurocentrico, propone che il fenomeno della
Modernità sia esclusivamente europeo, e che si vada sviluppando dal
Medioevo e si diffonda successivamente in tutto il mondo (2). Weber pone il
"problema della storia mondiale" con il quesito enunciato così:
"Quale concatenamento di circostanze ha condotto al fatto che sul suolo
dell'Occidente (3) e solo qui, si producessero fenomeni culturali che
-almeno così come noi (4) siamo soliti rappresentarceli- si sono trovati in
una direzione evolutiva di significato e validità universali?" (5).
L'Europa avrebbe avuto, secondo questo paradigma, caratteristiche
eccezionali interne, che le hanno permesso di superare essenzialmente per
la sua razionalità tutte le altre culture. Filosoficamente, nessuno come
Hegel espone questa tesi sulla Modernità:
"Lo Spirito Germanico è lo Spirito del Nuovo Mondo, il cui fine è la
realizzazione della Verità assoluta (der absoluten Warheit), come
autodeterminazione (Selbstbestimmung) infinita della libertà, che ha per
contenuto la sua propria forma assoluta (ihre absolute Form selbst)" (6).
Ciò che richiama l'attenzione è che lo Spirito dell'Europa (germanico) è la
Verità assoluta che si determina o realizza da se stessa senza dover nulla
a nessuno. Questa tesi, che chiamerò il "paradigma eurocentrico" (in
opposizione al "paradigma mondiale"), è quella che si è imposta non
solo in
Europa o negli Stati Uniti, ma in tutto il mondo intellettuale, anche della
periferia mondiale. Come abbiamo detto, la divisione pseudoscientifica
della storia in Età Antica (come antecedente), Medioevo (epoca
preparatoria) ed Età Moderna (Europa) è una organizzazione ideologica e
deformante della storia. La filosofia, l'etica, ha bisogno di rompere con
questo orizzonte riduttivo per poter aprire la riflessione all'ambito
"mondiale", planetario; questo è ormai un problema etico di rispetto
per le
altre culture.
La cronologia ha la sua geopolitica. La soggettività moderna si sarebbe
sviluppata spazialmente, secondo il paradigma eurocentrico, dall'Italia del
Rinascimento alla Germania della Riforma e dell'Illuminismo, verso la
Francia della Rivoluzione francese (7). Si tratterebbe dell'Europa centrale.
b) Il secondo paradigma, in un orizzonte mondiale, concepisce la Modernità
come la cultura del centro del "sistema-mondo" (8), del primo
sistema-mondo
-attraverso l'incorporazione dell'Amerindia (9)-, e come risultato della
gestione (management) della suddetta centralità. Ovvero, la Modernità
europea non è un sistema indipendente autopoietico, autoreferenziale, bensì
una parte del sistema-mondo, il suo centro. La Modernità, allora, è
mondiale; comincia dalla costituzione simultanea della Spagna con
riferimento alla sua "periferia" (la prima di tutte, propriamente
parlando,
è l'Amerindia: il Caribe, il Messico e il Perù). Simultaneamente, l'Europa
(con una diacronia che ha un antecedente pre-moderno: le città italiane del
Rinascimento e il Portogallo) andrà costituendosi in "centro" (con un
potere super-egemonico che dalla spagna passa all'Olanda, all'Inghilterra e
alla Francia...) su una periferia crescente (l'Amerindia, il Brasile e le
coste africane degli schiavi, la Polonia nel secolo XVI (10); il
consolidamento dell'America Latina, l'America del Nord, il Caribe e le
coste dell'Africa, l'Europa orientale nel XVII secolo (11); l'Impero
ottomano, la Russia, alcuni regni dell'India, il Sud-est asiatico e la
prima penetrazione nell'Africa continentale verso la prima metà del XIX
secolo (12) ). La Mondernità, allora, sarebbe per questo paradigma mondiale
un fenomeno proprio del "sistema" che combina centro e periferia; non
è un
fenomeno di un'Europa come sistema indipendente, ma di un'Europa come
centro. Questa semplice ipotesi cambia assolutamente il concetto di
Modernità, della sua origine, del suo sviluppo e la sua crisi attuale; e
con ciò anche il contenuto della tarda-modernità o postmodernità.
Inoltre sosteniamo una tesi che condiziona la precedente: la centralità
dell'Europa nel sistema-mondo non è frutto solo di ua superiorità interna
accumulata nel Medioevo europeo rispetto alle altre culture, ma anche
l'effetto del semplice fatto della scoperta, conquista, colonizzazione e
integrazione (sussunzione) dell'Amerindia (fondamentalmente), che darà
all'Europa il vantaggio relativo determinante sul mondo ottomano-musulmano,
l'India o la Cina. La Modernità è il frutto e non la causa di questo
evento. Successivamente, la gestione (management) della centralità del
sistema-mondo permetterà all'Europa di trasformarsi in qualcosa come
l'"autocoscienza" (la filosofia moderna) della storia mondiale, e
molti
valori, invenzioni, scoperte, tecnologie, istituzioni politiche, etc., che
attribuisce a se stessa come sua produzione esclusiva, sono in realtà
effetto della ridislocazione dell'antico centro dello stadio III del
sistema interregionale verso l'Europa (seguendo la via diacronica dal
Rinascimento al Portogallo come antecedente, verso la Spagna, e
successivamente verso le Fiandre, l'Inghilterra...). Anche il capitalismo è
il frutto, e non la causa, di questa congiuntura di mondializzazione e
centralità europea nel sistema-mondo. L'esperienza umana di 4500 anni di
relazioni politiche, economiche, tecnologiche, culturali del "sistema
interregionale", sarà allora egemonizzata dall'Europa -che mai era stata
centro, e che nei suoi tempi migliori arrivò solo ad essere periferia-. Lo
slittamento si svolge dall'Asia centrale verso il Mediterraneo orientale, e
dall'Italia, più precisamente da Genova, verso l'Atlantico. Con
l'antecedente del Portogallo, si inizia propriamente con la Spagna, dinanzi
all'impossibilità che la Cina possa tentare di giungere attraverso
l'Oriente (il Pacifico) verso l'Europa, e integrare così l'Amerindia come
sua periferia.
Vediamo le premesse dell'argomentazione.
1. Dispiegamento del sistema-mondo. La Spagna "moderna" del XVI
secolo
Consideriamo lo svolgimento della storia mondiale a partire dalla rottura,
per la presenza turco-ottomana, dello stadio III del sistema
interregionale, che nella sua epoca classica aveva avuto Bagdad come centro
(dal 762 al 1258 d.C. come abbiamo visto), e la trasformazione del sistema
interregionale nel primo sistema-mondo, il cui centro si situerà fino ad
oggi nel Nordatlantico. Questo cambio di centro del sistema avrà la sua
preistoria dal XIII al XV secolo d.C., e prima del crollo dello stadio III
del sistema interregionale, ma il nuovo stadio IV o sistema-mondo si
originerà propriamente a partire dal 1492. Tutto quanto accaduto
anteriormente in Europa era pur sempre un momento di un altro stadio del
sistema interregionale. Quale stato originò il dispiegamento del
sistema-mondo? La nostra risposta è: quello che poté annettersi
l'Amerindia, e con essa come trampolino o "vantaggio relativo", andar
accumulando una superiorità inesistente sul finire del XV secolo.
a) Perché non la Cina? La ragione è molto semplice, e vogliamo definirla
fin dall'inizio. Alla Cina (13) fu impossibile scoprire l'Amerindia
(impossibilità non tecnologica, ovvero di fattibilità empirica, bensì
storica e geopolitica): non poteva interessarle tentare di andare verso
l'Europa via est, perché il "centro" del sistema interregionale (nel
suo
stadio III) si trovava ad ovest, nell'Asia centrale ovvero in India. Andare
verso un'Europa completamente periferica? Non poteva essere un obiettivo
del commercio estero cinese.
In effetti, Cheng Ho, tra il 1405 e il 1433 effettuò con successo sette
viaggi al centro del sistema (giunse in Sri Lanka, in India, e sino in
Africa orientale (14) ). Nel 1479 Wang Chin cercò di fare lo stesso, ma gli
furono negati anche gli archivi del suo predecessore. La Cina si chiuse
entro i suoi confini e non cercò di fare quel che, in quello stesso
momento, realizzava il Portogallo. La sua politica interna -forse per la
rivalità dei mandarini nei confronti del nuovo potere degli eunuchi
commercianti (15) - impedì la sua espansione commerciale estera, ma essa
per essere realizzata avrebbe dovuto essere diretta verso ovest per
raggiungere il centro del sistema. I cinesi si diressero verso est,
giunsero fino all'Alaska, e pare fino alla California o ancora più a sud,
ma non trovando nulla che potesse interessare i loro mercanti, e
allontanandosi sempre più dal centro del sistema interregionale,
abbandonarono definitivamente l'impresa. La Cina non è stata la Spagna, per
ragioni geopolitiche.
Tuttavia dobbiamo farci ancora una domanda per confutare l'"evidenza"
antica, che si è rinforzata dopo Weber: la Cina era inferiore culturalmente
all'Europa nel secolo XV? Secondo gli studiosi (16) non era inferiore né
tecnologicamente (17), né politicamente (18), né dal punto di vista del
mercato e dell'economia, e tantomeno per il suo umanesimo (19). C'è un
certo riflesso condizionato in questa domanda. Le storie delle scienze e
tecnologie occidentali non prendono attentamente in considerazione il fatto
che il "salto", il boom tecnologico europeo, comincia a relaizzarsi
nel XVI
secolo, ma solo nel XVII mostra i suoi effetti moltiplicatori. Si confonde
la formulazione del nuovo paradigma teorico moderno (XVII secolo) con
l'origine della Modernità, senza lasciare il tempo per la crisi del modello
medioevale. Non si coglie che la rivoluzione scientifica -per dirla con
Kuhn- parte già da una Modernità iniziata, anteriore, come frutto di un
"paradigma moderno" (20). Pertanto, nel secolo XV (se non
consideriamo
quindi le invenzioni europee posteriori) l'Europa non ha alcuna superiorità
rispetto alla Cina.
Lo stesso Needham si lascia trascinare dal riflesso condizionato quando
scrive: "Il fatto è che lo sviluppo spontaneo autoctono della società
cinese non produsse alcun cambiamento drastico analogo al Rinascimento e
alla rivoluzione scientifica dell'Occidente" (21).
Definire il Rinascimento e la rivoluzione scientifica (22) come se fossero
un medesimo avvenimento (mentre l'uno inizia nel XIV secolo, e l'altro
propriamente solo nel XVII secolo) dimostra la distorsione di cui abbiamo
parlato. Il Rinascimento è in effetti un avvenimento europeo di una cultura
periferica dello stadio III del sistema interregionale. La "rivoluzione
scientifica" è il frutto della formulazione del paradigma moderno, che
ebbe
bisogno di più di un secolo di Modernità per la sua apparizione.
Pierre Chaunu scrive: "Alla fine del XV secolo, nella misura in cui la
letteratura storica ci permette di comprenderlo, il Lontano Oriente come
entità comparabile al Mediterraneo [...] non risulta sotto nessun aspetto
inferiore, almeno superficialmente, rispetto al Lontano Occidente del
continente euroasiatico" (23).
Ripetiamo: perché non la Cina? Perché si trovava nell'Estremo Oriente del
sistema interregionale, e mirava verso il centro: verso l'India ad
Occidente.
b) Perché non il Portogallo? Per la stessa ragione. Cioè perché si trovava
nell'Estremo Occidente dello stesso sistema interregionale, e perché mirava
ancora e sempre verso il centro: verso l'India ad Oriente. La proposta di
Colombo (tentar di raggiungere il centro passando a Occidente) per il re
del Portogallo era tanto stravagante, come stravagante era per Colombo
proporsi di scoprire un nuovo continente (giacché tentò sempre e solo, e
non poté concepire altra ipotesi, di andare verso il centro dello stadio
III del sistema interregionale (24) ).
Come abbiamo visto, le città rinascimentali italiane sono l'estremo
occidentale (periferico) del sistema interregionale, che misero nuovamente
in relazione dopo le Crociate (che fallirono nel 1291) l'Europa
continentale con il Mediterraneo. Le Crociate devono essere considerate
come un tentativo frustrato di collegarsi con il centro del sistema,
contatto che i turchi hanno interrotto. Le città italiane, specialmente
Genova (che era rivale di Venezia che era presente nel Mediterraneo
orientale), tentavano di aprire il Mediterraneo occidentale all'Atlantico,
per giungere nuovamente al centro del sistema passando a sud dell'Africa. I
genovesi misero tutta la loro esperienza nella navigazione e il potere
economico della loro ricchezza per aprirsi quel cammino. Furono i genovesi
che occuparono le Canarie nel 1312 (25), sono loro che investono in
Portogallo e lo appoggiano nella costruzione della sua potenza navale.
Fallite le Crociate, non potendo contare sull'espansione della Russia
attraverso la tundra (i russi avanzando tra i boschi ghiacciati del nord
giungeranno nel XVII secolo al Pacifico e all'Alaska) (26), l'Atlantico era
l'unica porta europea per giungere al centro del sistema. Il Portogallo, la
prima naziona europea già unificata nell'XI secolo, trasforma la
Reconquista (27) contro i musulmani nell'inizio di un processo di
espansione mercantile atlantica. Nel 1419 scoprono l'arcipelago di Madera,
nel 1431 le Azzorre, lo Zaire nel 1482, nel 1498 Vasco de Gama arriva in
India (il centro del sistema interregionale). Nel 1415 occupano la Ceuta
africano-musulmana, nel 1448 El-Ksar-es-Seghir, nel 1471 Arzila.
Ma tutto questo è la continuazione del sistema interregionale la cui
connessione sono le città italiane: "Nel XIII secolo i genovesi ed i
pisani
appaiono per la prima volta in Catalogna: nel XIII secolo, quando arrivano
per la prima volta in Portogallo, gli italiani si sforzano di attrarre i
popoli iberici nel commercio internazionale [...] Nel 1317 la città e il
porto di Lisbona sono già un grande centro del commercio genovese" (28).
Un Portogallo con contatti con il mondo isalmico, con numerosi marinai
(agricoltori espulsi da un'agricoltura estensiva), con un'economia
monetaria, in "connessione" con l'Italia, aprì nuovamente l'Europa
periferica al sistema interregionale. Non cessò per questo di essere
periferia, né i portoghesi poterono ottenere di uscire da quella
situazione, giacché il Portogallo poté cercare di dominare lo scambio
commerciale nel mare degli Arabi (l'oceano Indiano) (29), ma mai poté
pretendere di produrre le mercanzie dell'Oriente (le tele di seta, i
prodotti tropicali, l'oro a sud del Sahara, etc.). Cioè era una potenza
intermediaria e sempre periferica dell'India, la Cina o il mondo musulmano.
Con il Portogallo siamo nell'anticamera, ma non ancora nella Modernità, né
nel sistema-mondo (il IV stadio del sistema che si originò, perlomeno, tra
l'Egitto e la Mesopotamia).
c) Perché è la Spagna che inizia il sistema-mondo, e con esso la Modernità?
Per la stessa ragione che lo impediva alla Cina e al Portogallo. Poiché la
Spagna non poteva andare verso il centro del sistema interregionale che si
trovava in Asia centrale, ovvero in India, attraverso l'Oriente (giacché i
portoghesi l'avevano anticipata e detenevano diritti di monopolio), né
attraverso l'Atlantico a sud (lungo le coste dell'Africa occidentale, fino
al Capo di Buona Speranza scoperto nel 1487), ebbene, restava alla Spagna
una sola opportunità: andare verso il centro, verso l'India, attraverso
l'Occidente, passando da ovest, attraversando l'Oceano Atlantico (30).
Pertanto la Spagna "si imbatte" nell'Amerindia, la trova senza averla
cercata, e con ciò entra in crisi tutto il "paradigma medioevale"
europeo
(che è il paradigma di una cultura periferica, l'estremo occidente dello
stadio III del sistema interregionale), e si inaugura, lentamente ma
irreversibilmente, la prima egemonia mondiale, dell'unico sistema-mondo che
si è dato nella storia planetaria, che è il sistema moderno, europeo nel
suo centro, capitalista nella sua economia.
Questa Etica della Liberazione [il libro di Dussel di cui il presente
saggio costituisce un capitolo, nonché la proposta che con esso l'autore
formula -ndt-] mira a situarsi esplicitamente (sarà forse la prima
filosofia pratica che lo tenta esplicitamente?) nell'orizzonte di questo
sistema-mondo moderno, tenendo in considerazione non solo il centro (come
esclusivamente ha fatto la filosofia moderna da Descartes ad Habermas,
filosofia che pertanto ha avuto una visione parziale, provinciale,
regionale dello svolgimento etico-storico), ma anche la sua periferia (e
pertanto si ottiene una visione planetaria della vicenda umana). Tale
questione storica non è aneddotica o meramente informativa, ma ha un
significato filosofico strictu sensu. Abbiamo già trattato il tema
inizialmente in un'altra opera (31). In essa mostravamo l'impossibilità
esistenziale di Colombo, un genovese del Rinascimento, di convincersi che
ciò che aveva scoperto non era l'India. Nel suo immaginario navigava sempre
lungo le coste della Quarta Penisola asiatica (quella che Heinrich aveva
disegnato cartograficamente a Roma nel 1489 (32) ), sempre vicino al
"Sinus
Magnus" (il Gran Golfo dei greci, mare territoriale della Cina) mentre -in
realtà- attraversava i Caraibi. Colombo morì nel 1506 senza aver superato
l'orizzonte dello stadio III del sistema interregionale (33), che non poté
mai oltrepassare. Non poté superare soggettivamente il sistema
interregionale -con una storia di 4500 anni di trasformazioni, a partire
dall'Egitto e dalla Mesopotamia- e aprirsi al nuovo stadio del
sistema-mondo. Il primo che sospettò un nuovo (l'ultimo nuovo) continente,
fu Amerigo Vespucci nel 1503, ed a causa di ciò egli è stato,
esistenzialmente e soggettivamente, il primo "moderno", il primo che
dispiegò l'orizzonte del "sistema asiatico-afro-mediterraneo" come
sistema-mondo, che includeva per la prima volta l'Amerindia (34). Questa
"rivoluzione" della visione del mondo [Weltanschauung],
dell'orizzonte
culturale, scientifico, tecnologico, politico, ecologico ed economico, è
l'origine della Modernità, a partire da un paradigma mondiale e non
meramente eurocentrico. Nel sistema-mondo l'accumulazione nel centro è per
la prima volta accumulazione su scala mondiale (35). Nel nuovo momento del
sistema tutto cambia qualitativamente e radicalmente, e si modifica anche
all'interno dello stesso "sottosistema periferico" europeo
medioevale.
L'avvenimento fondativo fu la scoperta dell'Amerindia (36) nel 1492. La
Spagna è preparata per essere il primo stato moderno (37), attraverso la
scoperta comincia ad essere il centro della sua prima periferia
(Amerindia), organizzando così l'inizio del lento spostamento del centro
dell'antico stadio III del sistema interregionale (la Bagdad del XIII
secolo) cominciato col collegamento prima con il Portogallo e adesso con la
Spagna, più esattamente con Siviglia. Immediatamente si rovescia a Siviglia
la ricchezza genovese e italiana. L'"esperienza" del Mediterraneo
orientale
rinascimentale (e attraverso essa quella del mondo musulmano, dell'India e
perfino della Cina) si collega così con la Spagna imperiale di Carlo V (che
giunge fino all'Europa centrale dei banchieri di Asburgo, fino alle Fiandre
di Anversa e poi di Amsterdam, con la Boemia, l'Ungheria, l'Austria e
Milano, e specialmente con il Regno delle due Sicilie (38), del sud
dell'Italia, fino alla Sicilia, la Sardegna, le Baleari e le numerose isole
del Mediterraneo). Per il fallimento economico del progetto politico
dell'"Impero-mondo" l'imperatore Carlo V abdica nel 1557; avrà quindi
luogo
il sistema-mondo del capitalismo mercantile, industriale ed attualmente
transnazionale.
Prendiamo come esempio un livello di analisi, tra i molti che potrebbero
essere presi in considerazione -non vorremmo esser criticati dagli
economisti per l'esempio adottato-. Non è casuale che venticinque anni dopo
la scoperta delle miniere d'Argento del Potosí nell'Alto Perù e di
Zacatecas in Messico (1546) -da cui arriveranno in Spagna un totale di
18.000 tonnellate d'argento dal 1503 al 1660 (39)-, e grazie alle prime
rimesse di quel metallo prezioso, la Spagna potesse pagare, tra altre
campagne dell'Impero, la grande armata che sconfisse i turchi nel 1571 a
Lepanto, e con ciò dominasse il Mediterraneo come connessione con il centro
dell'antico stadio del sistema. Tuttavia, il Mediterraneo era morto come
cammino dal centro verso la periferia occidentale, perché l'Atlantico stava
trasformandosi nel centro del nuovo sistema-mondo (40).
Scrive Wallerstein: "L'oro e l'argento erano cercati come oggetti
preziosi,
per il loro consumo in Europa e ancor più per il commercio con l'Asia, ma
erano anche una necessità per l'espansione dell'economia europea" (41).
Abbiamo letto, tra molte carte e lettere inedite dell'Archivio Generale
delle Indie a Siviglia, questo testo del primo luglio 1550, scritto e
firmato in Bolivia da Domingo de Santo Tomás: "Saranno quattro anni che,
per finire di perdere questa terra, si scoprì una bocca dell'inferno (42)
attraverso la quale ogni anno si immola una gran quantità di gente, che la
cupidigia degli spagnoli sacrifica al suo dio che è l'oro (43), ed è una
miniera d'argento che si chiama Potosí" (44).
Il resto è fin troppo noto. La colonia spagnola delle Fiandre sostituirà la
Spagna come potenza egemonica del centro del recente sistema-mondo -si
libera dalla Spagna nel 1610-. Siviglia, il primo porto moderno (in
collegamento con Anversa), dopo più di un secolo di splendore, cederà il
posto ad Amsterdam (45) (città in cui Descartes nel 1636 scriverà il
Discorso sul metodo [Le Discours de la Méthode], ed in cui vivrà Spinoza
(46) ), potenza navale, della pesca, artigiana, dove fluisce l'esportazione
agricola, di grande perizia nei più diversi rami produttivi; città che
finisce, tra altri aspetti, per superare Venezia (47). Dopo più di un
secolo la Modernità mostrava ormai in questa città una definitiva
fisionomia propria: il suo porto, i canali che come vie commerciali
giungevano alle case dei borghesi, commercianti che usavano i loro terzi e
quarti piani delle loro abitazioni come magazzini, da cui tramite gru
imbarcavano direttamente le merci nelle navi; mille dettagli di una città
capitalistica (48). Dal 1689 l'Inghilterra disputerà l'egemonia all'Olanda,
e finirà per imporre la sua -e tuttavia dovrà sempre condividerla con la
Francia almeno fino al 1763- (49).
L'Amerindia, frattanto, costituisce la struttura fondamentale della prima
Modernità. Dal 1492 al 1500 si colonizzano circa 50.000 kmq (nei Caraibi e
sulla terra ferma, dal Venezuela a Panama) (50). Nel 1515 si giunge a
300.000 kmq con circa 3 milioni di amerindi dominati. Verso il 1550 più di
2 milioni di kmq (che è un'estensione maggiore di tutta l'Europa centro del
sistema), e più di 25 milioni (facendo una valutazione bassa) di indigeni
(51), molti dei quali sono integrati a sistemi di lavoro (con l'encomienda,
la mita, le fattorie, etc.) che producono valore (nel senso stretto del
termine, usato da Marx) per l'Europa centro del sistema. Dal 1520 bisognerà
aggiungere gli schiavi delle piantagioni provenienti dall'Africa (circa 14
milioni fino all'epoca finale dello schiavismo nel XIX secolo, includendo
Brasile, Cuba e Stati Uniti). Questo enorme spazio e relativa popolazione
darà all'Europa, centro del sistema-mondo, il vantaggio relativo e
definitivo rispetto al mondo musulmano, all'India e alla Cina.
Pertanto nel XVI secolo: "La periferia (Europa orientale ed America
spagnola) utilizzava lavoro forzato (schiavitù e lavoro obbligatorio [degli
indios] in coltivazioni per il mercato [mondiale]. Il centro utilizzava,
sempre di più, mano d'opera libera" (52).
Ai fini di quest'opera filosofica ci interessa indicare soltanto che è
all'interno del sistema-mondo che nacquero le "formazioni sociali
periferiche" (53): "La forma delle formazioni periferiche dipenderà,
infine, ad un tempo dalla natura delle formazioni precapitalistiche
aggredite e dalle forme dell'aggressione esterna" (54).
Esse saranno,alla fine del XX secolo, le formazioni periferiche
latinoamericane (55), quelle dell'Africa bantu, quelle del mondo musulmano,
dell'India, del sudest asiatico (56) e della Cina; a cui si dovrebbe
aggiungere parte dell'Europa orientale prima del crollo del socialismo
reale.
(Si veda lo schema 1 [In questa riedizione lo schema è riprodotto in calce
al testo, prima delle note -ndr-]).
2. La Modernità come gestione (management) della "centralità"
mondiale e la
sua crisi attuale
Giungiamo così alla tesi centrale di questi due primi capitoli. Se la
Modernità fosse, ed è questa la nostra ipotesi, il frutto della gestione
(management) della "centralità" del primo sistema-mondo, dobbiamo
allora
riflettere su cosa questo significhi.
Si deve prender coscienza che vi sono, all'origine, almeno due Modernità:
a) in primo luogo la Modernità spagnola, umanista, rinascimentale, legata
ancora all'antico sistema interregionale della cristianità mediterranea e
musulmana (58). In essa verrà concepita la gestione (management) del nuovo
sistema-mondo sulla base del paradigma dell'antico sistema interregionale.
Vale a dire che la Spagna amministra (manage) la centralità come dominio
attraverso l'egemonia di una cultura integrale, una lingua, una religione
(di qui il processo di evangelizzazione che subirà l'Amerindia); come
occupazione militare, organizzazione burocratico-politica, espropriazione
economica, presenza demografica (con centinaia di migliaia di spagnoli o
portoghesi che abiteranno per sempre l'America Latina), trasformazione
ecologica (attraverso la modifica della fauna e della flora), etc. Si
tratta del progetto dell'"Impero-mondo", di cui Wallerstein segnala
che
fallisce con Carlo V (59).
b) In secondo luogo, la Modernità dell'Europa anglo-germanica, che inizia
con l'Amsterdam delle Fiandre, e che è considerata frequentemente come
l'unica Modernità (questa è l'interpretazione di Sombart, Weber, Habermas,
o degli stessi postmoderni, il che produrrà un "errore riduzionista"
che
occulta il senso della Modernità, e perciò il significato della sua attuale
crisi). Questa seconda Modernità, per poter gestire (to manage) l'enorme
sistema-mondo che di colpo si apre alla piccola Olanda (60), che da colonia
spagnola si trova adesso al centro del sistema-mondo, deve creare o
incrementare la sua efficienza per semplificazione. E' necessario
realizzare un'astrazione (favorendo il quantum a svantaggio della
qualitas), che lasci fuori molte variabili valide (variabili culturali,
antropologiche, etiche, politiche, religiose; aspetti che sono validi anche
per l'europeo del XVI secolo), che non permetterebbero una adeguata,
"fattibile" (61) o tecnicamente possibile gestione (management) del
sistema-mondo (62). Questa semplificazione della complessità (63) comprende
la totalità del "mondo della vita" (Lebenswelt), del rapporto con la
natura
(nuova posizione ecologica o tecnologica, non teleologica), dinanzi la
propria soggettività (nuova autocomprensione della soggettività), dinanzi
alla comunità (nuova relazione intersoggettiva e politica), e, in sintesi,
un nuovo atteggiamento economico (pratico-produttivo).
La prima Modernità spagnola, rinascimentale ed umanista, ha prodotto una
riflessione teorica o filosofica della più grande importanza, che non è
stata neppure percepita dalla "filosofia moderna" (che è la filosofia
della
sola "Seconda Modernità"). Il pensiero teorico filosofico del XVI
secolo ha
rilevanza attuale perché è il primo, e l'unico, che visse ed espresse
l'esperienza originaria nel tempo della costituzione del primo
sistema-mondo. Pertanto, sulla base delle "risorse" teoriche di cui
si
disponeva (la filosofia scolastica musulmano-cristiana e quella
rinascimentale-umanistica) la questione etico-filosofica centrale fu la
seguente: Che diritto ha l'europeo di occupare, dominare e amministrare (to
manage) le culture recentemente scoperte, militarmente conquistate, e che
stanno venendo colonizzate? Dal XVII secolo, la "Seconda Modernità"
non
mise mai in discussione la sua coscienza (Gewissen) con queste domande (cui
peraltro si era già risposto de facto): da Amsterdam, Londra o Parigi (nei
secoli XVII, XVIII ed in seguito) l'eurocentrismo (superideologia che
fonderà la legittimità, valida senza "falsificazioni" possibili,
della
dominazione del sistema-mondo) non sarà ormai posto in questione mai più,
fino alla fine del XX secolo -quando sarà messa in discussione, tra gli
altri movimenti, anche da parte della Filosofia della Liberazione-.
Abbiamo toccato la questione in un'altra opera (64). Qui ricorderemo solo
l'assunto generale. Bartolomé de Las Casas mostra nelle sue numerose opere,
usando una straordinaria strumentazione teorica e documentaria, fondando
razionalmente ed accuratamente i suoi argomenti, che la costituzione del
sistema-mondo come espansione europea in Amerindia (annuncio
dell'espansione in Africa e in Asia) non ha alcun diritto; è una violenza
ingiusta, e non può avere validità etica alcuna.
"Due sistemi generali e principali hanno usato quelli che là sono passati,
che si chiamano cristiani, per estirpare e far sparire dalla faccia della
tera quelle miserande nazioni. Un sistema: attraverso ingiuste, crudeli,
sanguinarie e tiranniche guerre. L'altro: dopo aver ucciso tutti quelli che
avrebbero potuto anelare o sospirare o pensare alla libertà, o di uscire
dai tormenti che pativano, come i signori del luogo e gli uomini valorosi
(perché comunemente non lasciano in guerra che restino in vita se non le
donne e i bambini), oprimendo i superstiti con la più dura ed aspra servitù
in cui giammai né uomini né bestie poterono esser posti. La causa per cui i
cristiani hanno ucciso e distrutto tante e tali e tanto infinito numero di
anime, è consistita solamente nell'avere per fine ultimo l'oro, ed il
riempirsi di ricchezza in pochi giorni, per l'insaziabile cupidigia e
ambizione che hanno avuto" (65).
Successivamente la filosofia non porrà più questa problematica, che si
mostrò ineludibile solo all'origine dell'imposizione del sistema-mondo.
Invece per l'Etica della Liberazione questa questione è oggi -e sempre-
fondamentale.
Nel XVI secolo, quindi, si stabilisce il sistema-mondo intorno a Siviglia,
e la filosofia pone in questione, a partire dal precedente paradigma
filosofico, la prassi della dominazione, ma non arriva a formulare un nuovo
paradigma. Tuttavia, non si deve confondere l'origine del nuovo paradigma
con l'origine della Modernità. La Modernità comincia più di un secolo prima
(1492) del momento in cui si formula il paradigma -per esprimerci come
Thomas Kuhn- adeguato alla sua propria nuova esperienza. Se osserviamo le
date della formulazione del nuovo paradigma moderno, potremmo concludere
che essa avviene nella prima metà del XVII secolo (66). Ebbene, questo
nuovo paradigma si accorda alle esigenze di efficienza, "fattibilità"
tecnologica o governativa della gestione (management) di un sistema-mondo
enorme e in espansione, è l'espressione di un necessario processo di
semplificazione, attraverso la "razionalizzazione", del mondo della
vita,
dei suoi sottosistemi (economico, politico, culturale, religioso, etc.). La
"razionalizzazione" indicata da Werner Sombart (67),Ernst Troeltsch
(68) o
Max Weber (69) è effetto e non causa. D'altra parte gli effetti di questa
razionalizzazione semplificatrice per rendere gestibile (manageable) il
sistema-mondo, sono forse più profondi e negativi di quanto Habermas o i
pstmoderni (70) immaginino.
La soggettività corporea musulmano-medioevale è semplificata: la
soggettività è postulata come un ego, un io, di cui Descartes scrive:
"Cosicché questo io, cioè la mia anima, per cui sono quel che sono, è
interamente distinta dal corpo ed è ancor più facile da conoscere che il
corpo, dacché se non ci fosse corpo non cesserebbe di essere l'anima che
è"
(71).
Il corpo è una mera macchina, res extensa del tutto estranea all'anima (72).
Lo stesso Kant scrive: "L'anima umana dovrebbe essere considerata come
legata nella vita presente a due mondi (zweien Welten) insieme: di questi
mondi, finché forma con il corpo un'unità personale, non sente se non il
mondo materiale (materielle); al contrario, come membro del mondo degli
spiriti (als ein Glied der Geisterwelt) [senza corpo] riceve e propaga le
pure influenze delle nature immateriali" (73).
Questo dualismo -che Kant applicherà all'etica, in quanto le
"massime" non
devono avere motivi empirici o "patologici"-, si collega
successivamente
alla negazione dell'intelligenza pratica, rimpiazzata da una ragione
strumentale che si occuperà della gestione (management) tecnica,
tecnologica (l'etica scomparirà dinanzi ad una intelligenza more
geometrico) della Critica del Giudizio. E' qui che la tradizione
conservatrice (come quella di Heidegger) non ha tralasciato di percepire la
soppressione semplificatrice della complessità organica della vita,
rimpiazzata da una tecnica della "volontà di potenza" (critica
sviluppata
da Nietzsche e Foucault).
Galileo, con tutto l'ingenuo entusiasmo di una grande scoperta, scrive:
"La
filosofia è scritta in questo grandissimo libro, che continuamente ci sta
aperto innanzi a gli occhi (io dico l'Universo), ma non si può intendere se
prima non s'impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri ne' quali è
scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangolo,
cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a
intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un
oscuro laberinto" (74).
Già Heidegger ha detto che la "posizione mathematica" (75) dinanzi
agli
enti è un tenerli per conosciuti già da prima (negli assiomi della scienza,
per esempio) e mettersi solo ad usarli. Non si "apprende" un'arma,
per
esempio, bensì si apprende a far "uso" di essa, perché già si sa cosa
sia:
"Le mathemata sono le cose, in quanto le introduciamo nella conoscenza,
introducendole nella conoscenza attraverso ciò che di esse è già noto
precedentemente, il corpo in quanto materialità, la pianta in quanto
vegetalità, l'animale nella sua animalità" (76).
La "razionalizzazione" della vita politica (burocratizzazione),
dell'impresa capitalistica (amministrazione), della vita quotidiana
(ascetismo calvinista o puritano), la decorporalizzazione della soggetività
(con i suoi effetti alienanti tanto del lavoro vivo -esaminati nella
critica di Marx-, quanto nelle sue pulsioni -analizzati da Freud-), la
non-eticità di ogni gestione economica e politica (intesa solo come
ingegneria tecnica), la soppressione della ragione pratico-comunicativa
sostituita dalla ragione strumentale, l'individualità solipsista che nega
la comunità, etc., sono esempi di diversi momenti negati dall'indicata
semplificazione apparentemente necessaria per una gestione (management)
della centralità del sistema-mondo che l'Europa si trovò perentoriamente a
realizzare. Capitalismo, liberalismo, dualismo (svalutando la corporeità),
strumentalismo (il tecnologismo della ragione strumentale), etc., sono
effetti della manipolazione (management) di quella funzione che rese
l'Europa il centro del sistema-mondo. Effetti che si costituiscono in
mediazioni, in sistemi che finiscono per totalizzarsi. Il capitalismo,
mediazione di sfruttamento ed accumulazione (effetto del sistema-mondo), si
trasforma poi in un sistema indipendente che, a partire dalla sua stessa
logica autoreferenziale ed autopoietica, può distruggere l'Europa, la sua
periferia, e tuto il pianeta. E questo è ciò che Weber osserva, ma in modo
riduttivo. Ovvero, comprende parte del fenomeno, ma non tutto l'orizzonte
del sistema-mondo. In effetti, il procedimento formale di semplificazione
per rendere gestibile (manageable) il sistema-mondo produce sottosistemi
formali razionalizzati che successivamente non hanno regole interne di
autoregolazione dei propri limiti nella stessa Modernità, che potrebbero
ricondurli al servizio dell'umanità. E' in questo momento che sorgono le
critiche da dentro il centro (e dalla periferia, come la nostra) contro la
Modernità stessa. Adesso si attribuisce alla ratio tutta la causalità
colpevole (in quanto "ragione" [Verstand] oggettiva che fissando
disintegra), da Nietzsche a Heidegger, o con i postmoderni -la colpevolezza
si anticiperebbe fino a Socrate (Nietzsche) o a Parmenide (Heidegger). In
effetti, le semplificazioni moderne, (il dualismo di un ego-anima senza
corpo, la ragione strumentale teleologica, il razzismo della superiorità
della propria cultura, etc.) hanno molte somiglianze con la semplificazione
che lo schiavismo greco produsse nel sistema interregionale II. La
Weltanschauung [visione del mondo] greca si addiceva all'uomo moderno -non
fu senza complicità che i romantici tedeschi resuscitarono i greci (77). Il
superamento-recupero (sussunzione) della Modernità significherà considerare
criticamente tutte queste riduzioni semplificatrici prodotte fin dalle sue
origini -e non solo alcune di esse, come immagina Habermas-. La più
importante delle citate riduzioni, insieme a quella della sogettività
solipsistica senza comunità, è la negazione della corporeità della suddetta
soggettività -ciò a cui si legano le critiche alla Modernità sviluppate da
Marx, Nietzsche, Freud, Foucault, Lévinas e dall'Etica della Liberazione,
come vedremo nel corso di questa opera-.
Per tutto ciò, il concetto che si ha della Modernità determina, come è
evidente, la pretesa della sua realizzazione (come in Habermas), o il tipo
di critiche (come quelle dei postmoderni). In generale, tutta la disputa
tra razionalisti e postmoderni non supera l'orizzonte eurocentrico. La
crisi della Modernità (avvertita già, come abbiamo segnalato
frequentemente, da Nietzsche o Heidegger) si riferisce ad aspetti interni
all'Europa. Il "mondo periferico" parrebbe essere un passivo
spettatore di
una tematica che non lo tocca perché è "barbaro", pre-moderno o
semplicemente perché deve essere "modernizzato". Cioè, la visione
eurocentrica riflette nel problema della crisi della Modernità soltanto i
momenti europeo-nordamericani (o anche giapponesi, oggi), ma minimizza
quelli della periferia. Rompere con questo "errore riduzionista" non
è
facile.Tenteremo qui di indicare il cammino di un tale superamento.
Se la Modernità inizia sul finire del XV secolo, con un processo
rinascimentale pre-moderno, e da lì si passa a quello propriamente moderno
in Spagna, l'Amerindia forma parte della Modernità fin dal momento della
conquista e della colonizzazione (il mondo meticcio in America Latina è
l'unico che ha la stessa età della Modernità (78) ), poiché è stato il
primo "barbaro" di cui la Modernità ha bisogno per sua definizione.
Se la
Modernità entra in crisi alla fine del XX secolo, dopo cinque secoli di
svolgimento, non avviene solo a causa dei momenti studiati da Weber o
Habermas, o da Lyotard o Welsch (79), occorrerà invece aggiungere quelli
propri di una descrizione "mondiale" del fenomeno della Modernità.
Per concludere: se ci situiamo, dunque, nell'orizzonte planetario, si
possono distinguere le seguenti posizioni di fronte alla problematica posta:
a) In primo luogo, la tesi "sostanzialista" desarrollista (80) (quasi
metafisica) che concepisce la Modernità come un fenomeno esclusivamente
europeo che si sarebbe espanso a partire dal XVII secolo verso tutte le
altre culture "arretrate" (posizione eurocentrica nel centro o
modernizzatrice nella periferia); la modernità è un fenomeno che deve
ancora finire di realizzarsi. Alcuni di coloro che assumono questa prima
posizione (per esempio un Habermas o un Apel), difensori della ragione, lo
fanno criticamente, poiché pensano che la superiorità europea non è
materiale, ma formale: grazie ad una struttura di domande critiche (81).
D'altra parte, la tesi complementare di quella precedente è la tesi
"nichilista", conservatrice, che nega alla Modernità qualità positive
(tesi
sostenuta da Nietzsche ad Heidegger, per esempio), e che propone
praticamente il suo annientamento senza uscita. I postmoderni assumono
questa posizione (nel loro attacco frontale alla "ragione" in quanto
tale;
con differenze nel caso di Lévinas (82) ), sebbene, paradossalmente,
difendano anche parte della prima posizione, a partire da un eurocentrismo
desarrollista ["sviluppista"]. I filosofi postmoderni sono ammiratori
dell'arte postmoderna, dei media, e sebbene affermino teoricamente la
differenza, non riflettono sulle origini di questi sistemi che sono frutto
di una razionalizzazione propria della gestione della centralità europea
del sistema-mondo, dinanzi alla quale sono profondamente acritici, e
pertanto non hanno possibilità di cercar di apportare alcuna alternativa
(culturale, economica, politica, etc.) valida per le nazioni periferiche,
né per i popoli o le grandi maggioranze dominate del centro e/o della
periferia.
b) In secondo luogo, difendiamo un'altra posizione a partire dalla
periferia, e considerando il processo della Modernità come la segnalata
"gestione" razionale del sistema-mondo. Questa posizione cerca di
recuperare il recuperabile della Modernità, e negare la dominazione e
l'esclusione nel sistema-mondo. E' dunque un progetto di liberazione della
periferia negata fin dall'origine della Modernità. Il problema non consiste
nel mero superamento della ragione strumentale (come per Habermas) o della
ragione terror dei postmoderni, bensì nel superamento dello stesso
sistema-mondo così come si è sviluppato fino ad oggi nel corso di 500 anni.
Il problema è l'esaurimento di un sistema di civilizzazione che giunge
alla sua fine ((84). Il superamento della ragione cinico-amministrativa
(amministrativa mondiale) del capitalismo (come sistema economico), del
liberalismo (come sistema politico), dell'eurocentrismo (come ideologia),
del maschilismo (nel campo della vita sessuale e dei rapporti tra i
generi), del predominio della razza bianca (razzismo), della distruzione
della natura (nell'ecologia), etc., suppone la liberazione di diversi tipi
di oppressi e/o esclusi. E' in questo senso che l'Etica della Liberazione
si definisce come trans-moderna (poiché anche i postmoderni sono
eurocentrici). La fine del presente sistema di civilizzazione si fa vedere
attualmente nei seguenti limiti assoluti del "sistema dei 500 anni"
-come
lo chiama Noam Chomsky-.
Questi limiti assoluti sono:
a) In primo luogo, la distruzione ecologica del pianeta. Fin dalla sua
origine la Modernità ha definito e reso la natura come un oggetto
"sfruttabile", al fine di aumentare il tasso di profitto (85) del
capitale:
"Per la prima volta la natura si converte in un mero oggetto per l'uomo,
in
cosa meramente utile; cessa di essere riconosciuta come un potere per sé"
(86).
Una volta costituita la terra come un "oggetto sfruttabile" in favore
del
quantum, del capitale, che può vincere tutti i limiti, tutte le barriere,
manifestando così "the great civilising influence of capital" [la
grande
influenza civilizzatrice del capitale], tocca alla fine il suo limite
insuperabile, quando esso stesso, il capitale, si dimostra il suo proprio
limite, la barriera insuperabile per il progresso etico-umano, e stiamo
arrivando a quel momento:
"L'universalità a cui il capitale tende incessantemente, incontra
impedimenti nella sua stessa natura, i quali in una certa tappa dello
sviluppo del capitale faranno sì che si riconosca proprio esso come la più
grande barriera che si frappone a questa tendenza e, conseguentemente,
porteranno alla abolizione del capitale per mezzo di se stesso" (87).
Essendo la natura per la Modernità solo un mezzo di produzione, va incontro
al destino di essere consumata, distrutta, e, inoltre, accumulando
geometricamente sulla terra i suoi rifiuti si giunge a porre in pericolo la
riproduzione o sopravvivenza della stessa vita. La vita è la condizione
assoluta del capitale; la sua distruzione distrugge anche il capitale. A
questo a situazione siamo arrivati. Il "sistema dei 500 anni" (la
Modernità
o il capitalismo) si trova di fronte al primo limite assoluto: la morte
della vita nella sua totalità, a causa dell'uso indiscriminato di una
tecnologia antiecologica costituita progressivamente a partire dal solo
criterio della gestione quantitativa del sistema-mondo nella Modernità:
l'aumento del tasso di profitto. Ma il capitale non può autolimitarsi.
Diviene in quanto tale il pericolo supremo per l'umanità.
b) Il secondo limite assoluto della Modernità è la distruzione della stessa
umanità. Il "lavoro vivo" è l'altra mediazione essenziale del
capitale in
quanto tale; il soggetto umano è l'unico che può "creare" nuovo
valore
(plusvalore, profitto). Il capitale che vince tutte le barriere richiede
ogni volta più tempo assoluto di lavoro; quando non può superare questo
limite, allora aumenta la produttività attraverso la tecnologia; ma questo
aumento diminuisce la necessità di lavoro umano; così c'è una umanità
esuberante (disoccupata). Il disoccupato non guadagna salario, denaro; ma
il denaro è l'unica mediazione nel mercato attraverso cui si possano
acquistare merci per soddisfare i bisogni. In ogni modo il lavoro non
impiegabile da parte del capitale aumenta (aumenta la
disoccupazione).Aumenta così la proporzione dei soggetti costretti alla non
solvibilità (88) -tanto nella periferia come nel centro-. E' la povertà, la
povertà come limite assoluto del capitale. Si tratta della "legge della
Modernità": "Questa legge produce un'accumulazione di miseria
proporzionale
all'accumulazione di capitale" (89).
Il sistema-mondo moderno non può superare questa contraddizione essenziale.
L'Etica della Liberazione riflette filosoficamente a partire da questo
orizzonte planetario del sistema-mondo; da questo doppio limite che
configura una crisi terminale di un processo di civilizzazione: la
distruzione ecologica del pianeta e l'estinzione nella miseria e nella fame
della maggioranza dell'umanità. Dinanzi a questi due fenomeni correlati di
tali dimensioni planetarie, apparirebbe ingenuo e persino ridicolo,
irresponsabile e complice, irrilevante e cinico, il progetto di tante
scuole filosofiche (tanto nel centro, ma ancor peggio nella periferia, in
America Latina, Africa e Asia) racchiuse nella "torre d'avorio" dello
sterile accademismo eurocentrico.
Già nel 1968 Marcuse aveva scritto, riferendosi ai paesi opulenti del
tardo-capitalismo: "Quale è il prezzo che si deve pagare per tutti i beni
ricevuti, il prezzo di questa comoda servitù, di tutti questi vantaggi,
prezzi che si fanno pagare a gente che sta molto lontano dalla metropoli ed
è lontanissima dalla sua opulenza. La società opulenta ha coscienza di ciò
che sta facendo, di come sta propagando il terrore e la schiavitù, di come
sta lottando contro la liberazione in tutte le aree del globo?" (90).
c) Il terzo limite della Modernità è l'impossibilità di sussumere le
popolazioni, le economie, le nazioni, le culture che attaccò
aggressivamente fin dalla sua origine, che escluse dal suo orizzonte e che
abbandona nella miseria. E' tutto il tema dell'esclusione dell'alterità
dell'America Latina, dell'Africa e dell'Asia, e della loro indomabile
volontà di sopravvivenza. Torneremo sul tema, ma non vogliamo qui
tralasciare di indicare che il sistema-mondo globalizzatore giunge a un
limite in cui comincia l'esteriorità dell'Alterità dell'Altro, luogo di
"resistenza" e dalla cui affermazione come rimedio parte il processo
di
"negazione della negazione" della liberazione.
Schema 1
[Premessa del curatore di questa pubblicazione: essendo il testo presente
diffuso via internet in formato "solo testo" per renderlo leggibile
dal
maggir numero possibile di interlocutori, non possiamo riprodurre qui lo
schema che Dussel propone, per il quale rinviamo all'edizione a stampa del
libro; segnaliamo tuttavia i termini di esso riproducendone qui le parti
testuali senza i grafici (che ovviamente sono indispensabili per una
corretta intellezione)].
Un esempio della struttura centro-periferia nel "centro" e nella
"periferia" coloniale (XVIII secolo)
Periferia latinoamericana:
- Comunità indigene e di schiavi
- Repubblica di criollos
Centro europeo:
- Spagna, Portogallo, etc.
- Olanda, Inghilterra, etc.
Note: frecce a: dominazione ed esportazione di beni manifatturieri; frecce
b: trasferimento di valore e sfruttamento del lavoro; A: potenze
"centrali"; B: nazioni semiperiferiche; C: formazioni periferiche; D:
sfruttamento del lavoro indigeno e degli schiavi; E: comunità indigene; F:
comunità etniche che mantengono una certa esteriorità rispetto al
"sistema-mondo" (57).
Note
1. Questa relazione è parte del secondo capitolo di una Etica della
liberazione che stiamo elaborando. Alcuni riferimenti a questioni trattate
nel capitolo primo si spiegano per questo.
2. Come una "sostanza" che viene inventata in Europa e si espande in
tutto
il mondo. E' una tesi metafisico-sostanzialista e "diffusionista".
Contiene
un "errore riduzionista".
3. "Auf dem Boden" significa: all'interno del suo orizzonte
regionale.
Intendiamo provare che in Europa si compì uno sviluppo come "centro"
di un
"sistema mondiale" nella Modernità, e non come un sistema
indipendente
"solo-da-sé" e come il frutto di un mero sviluppo interno, come
pretende
l'eurocentrismo.
4. Questo "noi" sono, precisamente, gli europei
"eurocentrici".
5. In Max Weber, 1956, p. 340.
E continua: "Né l'evoluzione scientifica, né
quella artistica, né quella dello stato, né quella economica, condussero su
quelle vie di razionalizzazione (Rationalisierung) che risultarono proprie
dell'Occidente" (Ibid., p. 351). Per ciò Weber si confronta con i
babilonesi che non matematizzarono l'astronomia, come invece fecero i greci
(ma Weber non sa che i greci questo lo appresero dagli egiziani); o fa
riferimento al fatto che la "scienza" sorse in Occidente piuttosto
che in
India, Cina, etc.: ma dimentica di citare il mondo musulmano, da cui
l'Occidente latino apprese nell'aristotelismo l'atteggiamento
"sperimentale", empirico (come i francescani di Oxford, o Marsilio da
Padova), etc. Si potrebbe sempre dimostrare la falsità di [ovvero
"falsificare" in senso popperiano -ndt-] ciascun argomento
grecocentrico ed
eurocentrico di Weber, se prendiamo il 1492 come ultima data di
comparazione tra la pretesa superiorità dell'Occidente e le altre culture.
6. Hegel, Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte [Lezioni sulla
filosofia della storia], 1971, vol. 12, p. 413.
7. Seguendo Hegel, in Habermas, 1988, p. 27 (edizione spagnola, p. 29).
8. Il "sistema-mondo" o sistema mondiale è lo stadio IV dello stesso
sistema interregionale del continente asiatico-afro-mediterraneo, ma ora
-correggendo la concettualizzazione di A. G. Frank- effettualmente
"mondiale". Cfr. Frank, 1990. Si consultino inoltre sul problema del
"sistema-mondo": Abu-Lughod, 1989; Brenner, 1983; Hodgson, 1974;
Kennedy,
1987; Mc Neill, 1964; Modelsky, 1987; Mann, 1986; Stavarianos, 1970;
Thompson, 1989; Tilly, 1984; Wallerstein, 1974 e 1984.
9. Su questo punto, lo abbiamo già detto, siamo d'accordo con A. G. Frank
di chiamare "sistema-mondo" le fasi anteriori del sistema (che per
questo
abbiamo chiamato "sistema interregionale").
10. Wallerstein, 1974, I, cap.
6.
11. Ibid., II, capp. 4 e 5.
12. Ibid., III, cap. 3.
13. Si veda Lattimore, 1962; Rossabi, 1982. Per la comprensione della
situazione del mondo nel 1400 si veda Wolff, 1982, pp. 24 sgg.
14. Sono stato a Masamba ed ho osservato nel museo di questa città portuale
del Kenia porcellana cinese nelle bacheche, così come vistosi orologi e
altri oggetti della stessa provenienza.
15. Vi è un'altra ragione della sua mancata espansione esterna: l'esistenza
di "spazio" nei territori confinanti con l'impero, il che occupò
tutte le
sue forze nella "conquista del Sud" per mezzo della nuova
coltivazione del
riso e nella sua difesa "dal Nord" barbaro. Si veda Wallerstein,
1974, I,
pp. 80 ss. (ed. in lingua spagnola), con buoni argomenti contro
l'eurocentrismo di Weber.
16. Per esempio Joseph Needham, 1961, 1963 e 1965. Tutto questo in
riferimento al timone delle navi, che i cinesi conoscevano dal I secolo d.
C. Sono noti l'uso della bussola, la carta, la polvere da sparo ed altre
scoperte cinesi.
17. Forse l'unico svantaggio fu costituito dalla caravella portoghese
(inventata nel 1441) per navigare nell'Atlantico (che non era necessaria
nell'Oceano Indiano) e dal cannone. Quest'ultimo, certo spettacolare,
tuttavia di fatto all'infuori delle battaglie navali non ebbe effetto reale
in Asia fino al XIX secolo. Carlo Cipolla, 1965, alle pp. 106-107 scrive:
"Le armi da fuoco cinesi furono almeno ugualmente valide di quelle
occidentali, se non migliori".
18. La prima burocrazia (con alto grado di razionalizzazione weberiana
della politica) è la struttura mandarinale come istituzione statale di
esercizio del potere. I mandarini non sono nobili, né guerrieri, né membri
di un'aristocrazia plutocratica o commerciale; sono in senso stretto
un'élite burocratica, i cui esami di ammissione alla carriera si basavano
esclusivamente sulla conoscenza della tradizione culturale e delle leggi
dell'impero cinese.
19. William de Bary segnala che l'individualismo di Wang Yang-ming, nel XV
secolo, in cui si esprimeva l'ideologia della classe burocratica,
costituiva una weltanschauung tanto avanzata quanto quella del Rinascimento
europeo (Bary, 1970).
20. In numerosi esempi, Thomas Kuhn (Kuhn, 1962) situa l'inizio della
rivoluzione scientifica moderna, frutto dell'emersione di un nuovo
paradigma, praticamente in coincidenza con l'opera di Newton (XVII secolo).
Non studia approfonditamente l'impatto che poterono avere sulla scienza,
nella "comunità scientifica", nel secolo XVI, dopo la strutturazione
del
primo "sistema-mondo", fatti come la scoperta dell'America, la
sfericità
della terra provata empiricamente dal 1520, etc.
21. Needham, 1963, p. 139.
22. A. R. Hall colloca la rivoluzione scientifica a partire dal 1500 (cfr.
Hall, 1954).
23. Pierre Chaunu, 1955, vol. 8/1,
p. 50.
24. Colombo sarà di fatto il primo moderno, ma non esistenzialmente
(poiché
nella sua visione del mondo continuò sempre ad essere un rinascimentale
genovese: un membro di un'Italia periferica del "sistema
interregionale"
III). Cfr. Taviani, 1982; O' Gorman, 1957.
25. Cfr. Zunzunegui, 1941.
26. La Russia non era ancora integrata come "periferia" nello stadio
III
del sistema interregionale (e tantomeno rispetto al sistema-mondo moderno
fino al XVIII secolo, con Pietro il Grande e la fondazione di Pietroburgo
sul Baltico).
27. Già nel 1095 il Portogallo ha il rango di regno. In Algarve, nel 1249,
la Reconquista termina con questo regno. Enrico il Navigatore (1394-1460)
riunisce come un mecenate la scienza cartografica, astronomica e le
tecniche di navigazione e della costruzione delle navi, provenienti dal
mondo musulmano (con cui è in contatto tramite il Marocco) e dal
Rinascimento italiano (attraverso Genova).
28. Wallerstein, I, p. 71 (edizione spagnola). Cfr. Verliden, 1953; Rau, 1957.
29. Cfr. Chaudhuri, 1985.
30. Il mio ragionamento potrebbe sembrare lo stesso di quello di Blaut,
1992, pp. 28 sgg., ma è distinto. Non è che la Spagna fosse geograficamente
"più vicina" all'Amerindia. No. Non si tratta di un problema di
distanze.
E' questo e molto di più. Il fatto è che la Spagna doveva passare per
l'Amerindia, non solo perché era più vicina (il che certamente contava,
soprattutto rispetto alle grandi culture asiatiche, sebbene non nel caso
della turco-musulmana che giungeva al Marocco), bensì perché era il cammino
obbligato verso il "centro" del "sistema" -questione che
Blaut non tratta-.
Inoltre, e d'altra parte, la mia tesi è diversa anche da quella di André
Gunder Frank (Blaut, 1992, pp. 65-80), poiché per lui il 1492 costituisce
solo un cambiamento secondario interno dello stesso sistema-mondo. Ma se si
intende che il "sistema interregionale", nella sua tappa anteriore al
1492,
era lo stesso sistema, ma ancora non lo era come sistema "mondiale",
il
1492 acquista più importanza di quella che Frank gli concede. Sebbene il
sistema sia lo stesso, c'è un salto qualitativo (che, tra gli altri
aspetti, costituisce l'origine del capitalismo propriamente detto, salto
qualitativo a cui Frank nega importanza, per negar precedente rilevanza a
concetti come "valore" e "plusvalore" e, così, attribuire
la qualificazione
di "capitale" alla "ricchezza" [valore d'uso con
possibilità virtuale di
porsi come valore di scambio, ma non come capitale] accumulata negli stadi
I-III del sistema interregionale). E' una questione teorica cruciale.
31. Dussel, 1995.
32. Cfr. Dussel, 1995, appendice 4, in cui compare la mappa della Quarta
Penisola asiatica (dopo quelle arabica, indiana e della Malacca),
certamente prodotto di navigazioni di genovesi, in cui l'America del Sud è
una penisola addossata al sud della Cina. Questo spiega perché il genovese
Colombo ritenesse che l'Asia (America del Sud = quarta penisola a sud della
Cina) non fosse tanto lontano dall'Europa.
33. E' quel che denominiamo, filosoficamente, l'"invenzione" di
un'Amerindia vista come l'India, in tutti i suoi dettagli. Colombo,
esistenzialmente, non "scoprì" né si trovò in Amerindia,
"inventò" qualcosa
di inesistente: un'India al posto dell'Amerindia, che gli impedì di
"scoprire" ciò che aveva davanti ai suoi occhi. Cfr. Dussel, 1993a, cap. 2.
34. Questo è il senso del titolo "Dall'invenzione alla scoperta
dell'America" (cap. 2 della mia opera citata).
35. Cfr. Amin, 1970. Quest'opera, tuttavia, non è costruita sull'ipotesi
del "sistema-mondo". Parrebbe come se il mondo coloniale fosse uno
spazio
successivo e verso l'esterno del capitalismo europeo medioevale trasformato
"in" Europa nell'epoca moderna. La nostra ipotesi è più radicale: il
fatto
di scoprire l'America, di integrarla come "periferia", è un fatto
simultaneo e co-costitutivo del ristrutturarsi dell'Europa dall'interno
come "centro" dell'unico e nuovo sistema-mondo che è, solo adesso e
non
prima, il capitalismo (prima mercantile e poi industriale).
36. Abbiamo parlato di "Amerindia" e non di America, perché si
tratta,
durante tutto il XVI secolo, di un continente abitato dagli "indios"
(erroneamente denominato così per il riflesso che il "sistema
interregionale" nel suo stadio III produceva ancora nel nascente
"sistema-mondo" moderno: li si chiamò "indios" a causa
dell'India, "centro"
del sistema interregionale che scompariva). Il Nordamerica anglosassone
nascerà lentamente nel XVII secolo, ma sarà un avvenimento "interno"
di una
Modernità cresciuta in Amerindia; queste è la "periferia" originante
della
Modernità, costitutiva della sua prima definizione. E' l'"altra
faccia" del
fenomeno stesso della Modernità.
37. Unificata con il matrimonio dei re cattolici nel 1474, fondando subito
l'Inquisizione (primo apparato ideologico di stato per creare il consenso),
con una burocrazia del cui lavorìo si può prender visione dagli Archivi
delle indie (Siviglia) in cui tutto veniva dichiarato, contrattualizzato,
certificato, archiviato; con una grammatica della lingua castigliana (la
prima di una lingua nazionale in Europa) scritta da Nebrija, nel cui
prologo si ammoniscono i Re Cattolici sull'importanza per l'Impero di una
sola lingua; l'edizione della Bibbia poliglotta (in sette lingue) di
Cisneros, molto superiore a quella posteriore di Erasmo per il suo rigore
scientifico, il numero delle lingue e la qualità dell'edizione a stampa
prima della fine del XV secolo; con un potere militare che permette di
riconquistare Granada nel 1492; con la ricchezza economica degli ebrei, i
musulmani andalusi, i cristiani della riconquista, i catalani con le loro
colonie nel Mediterraneo, e i genovesi; con artigiani provenienti
dell'antico califfato di Cordova... la Spagna è lungi dall'essere nel XV
secolo il paese semiperiferico della seconda metà del XVII secolo -unica
visione con cui ricordano la Spagna i centroeuropei: un Hegel o un
Habermas, per esempio-.
38. La lotta tra la Francia e la Spagna di Carlo V, che esaurì entrambe le
monarchie con il collasso economico del 1557, si giocò soprattutto in
Italia. Carlo V giunge a tenere tre quarti della penisola. In questo modo
la Spagna trasferiva al suo suolo le connessioni con il "sistema"
attraverso l'Italia. Per questo tante guerre con la Francia: la ricchezza e
l'esperienza di secoli erano essenziali per chi aspirava ad esercitare la
nuova egemonia nel "sistema", ed a maggior ragione se era la prima
egemonia
"mondiale".
39. Ciò che produrrà un aumento straordinario dei prezzi in Europa, insieme
a un'inflazione del 1000% durante il XVI secolo. All'esterno questo
liquiderà la ricchezza accumulata nel mondo turco-musulmano, e inoltre
trasformerà dall'interno l'Idia e la Cina (cfr. Hamilton, 1948 e 1960;
Hammarström, 1957). Inoltre, l'arrivo dell'oro dall'Amerindia produsse
un'ecatombe continentale totale dell'Africa bantu, con il collasso dei
regni della savana subsahariana (Ghana, Togo, Dahomey, Nigeria, etc.) che
esportavano oro verso il Mediterraneo; per sopravvivere questi regni
aumentano la vendita di schiavi alle nuove potenze europee dell'Atlantico,
col che si produce lo schiavismo americano (cfr. Bertaux, 1972: "La tratta
degli schiavi"; Godinho, 1950; Chaunu, 1955, vol. VIII/1, p. 57; Braudel,
1946). Tutto l'antico "sistema interregionale" III è assorbito
lentamente
dal "sistema-mondo" moderno.
40. Tutte le potenze egemoniche posteriori saranno fino al momento presente
affacciate sulle sponde dell'Atlantico: Spagna, Olanda, Inghilterra (e in
parte la Francia) fino al 1945, ed attualmente gli Stati Uniti. Grazie al
Giappone, alla Cina e alla California negli USA, attualmente il Pacifico
appare per la prima volta come contrappeso -è forse la novità dell'ormai
prossimo XXI secolo-.
41. Wallerstein, 1974, I, p. 64 (ed. spagnola).
42. E' l'ingresso della miniera.
43. Questo testo mi ha reso consapevole da circa trent'anni del fenomeno
del feticismo dell'oro, del "denaro", del "capitale" (cfr.
Dussel, 1993b).
44. Archivio generale delle Indie (Siviglia), Charcas 313 (cfr. Dussel,
1970, p. 1: si tratta di parte della mia tesi di dottorato alla Sorbona nel
1967).
45. Wallerstein, 1974, I, pp. 234 sgg.: "Da Siviglia ad Amsterdam".
46. Si ricordi che Spinoza (Espinosa), che visse ad Amsterdam (1632-1677),
era di una famiglia "askenazita" del regno musulmano di Granada,
espulsa
dalla Spagna, e che si esiliò nella colonia spagnola delle Fiandre (in
Olanda).
47. Cfr. ibid., I, p. 482 (ed. spagnola).
48. Cfr. Wallerstein, 1974, II, cap. 2: "Egemonia olandese sul
sistema-mondo". Scrive lo storico: "C'è solo un breve periodo di
tempo in
cui una determinata potenza del centro può manifestare simultaneamente la
sua superiorità produttiva, commerciale e finanziaria su tutte le altre
potenze del centro. Questo effimero apogeo è ciò che chiamiamo egemonia.
Nel caso dell'Olanda, o Province Unite, questo momento si verificò
probabilmente tra il 1625 e il 1675" (p. 39, ed. inglese). Non solo
Descartes, ma anche Spinoza, come già abbiamo segnalato, costituiscono la
presenza filosofica di Amsterdam "centro" mondiale del sistema (e,
perché
no?, dell'autocoscienza dell'umanità nel suo "centro", che non è lo
stesso
che una mera autocoscienza europea).
49. Cfr. Wallerstein, II, cap. 6. Dopo questa data l'egemonia inglese sarà
ininterrotta, fatta eccezione per l'epopea napoleonica, fino al 1945,
quando l'Inghilterra la perde nei confronti degli Stati Uniti.
50. Cfr. Chaunu, 1969, pp. 119-176.
51. L'Europa aveva approssimatamente 56 milioni di abitanti nel 1500, e
82
nel 1600 (cfr. Cardoso, 1979, vol. I, p. 114).
52. Wallerstein, 1974, I, p. 144 (ed. spagnola).
53. Cfr. Samir Amin, 1974, pp. 309 sgg.
54. Ibid., p. 312.
55. Il processo coloniale termina nella sua gran parte all'inizio del XIX
secolo.
56. Il processo coloniale di queste formazioni termina, nella sua gran
parte, dopo la cosiddetta seconda guerra mondiale (1945), poiché la
superegemonia nordamericana non ha bisogno dell'occupazione militare né
della dominazione politico-burocratica (tipiche delle antiche potenze
europee, come la Francia o l'Inghilterra), ma solo della gestione della
dominazione della dipendenza economico-finanziaria nella sua fase
transnazionale.
57. Cfr. Dussel, 1983, vol. I,
1, pp. 223-241.
58. "Musulmana" significa qui ciò che vi era di più "colto"
e civilizzato
nel XV secolo.
59. Penso che necessariamente il modo di gestire (to manage) il nuovo
sistema mondiale coi metodi dell'antico doveva fallire, perché operava in
un quadro di variabili che lo rendeva ingovernabile. La Modernità era
cominciata ma non aveva ancora dato a se stessa il modo di gestire (to
manage) il sistema.
60. In seguito anche l'insulare Inghilterra dovrà gestire (to manage) il
sistema. Ambedue le nazioni avevano territori molto esigui, con ridotta
popolazione originaria, senz'altra capacità che "l'attitudine
borghese"
creativa dinanzi all'esistenza. Per la loro debolezza dovettero effettuare
un'enorme riforma della gestione (management) dell'impresa metropolitana
mondiale.
61. La "fattibilità" tecnica si trasformerà in un criterio di verità,
di
possibilità, di esistenza: il "verum et factum convertuntur" di Vico.
Cfr.
il cap. 4.5, più avanti.
62. La Spagna, ed anche il Portogallo col Brasile, intraprese come stato,
"impero-mondo", (con risorse militari, burocratiche ecclesiastiche,
etc.)
la conquista, evangelizzazione e colonizzazione dell'Amerindia. L'Olanda,
invece, fonda la "Compagnia delle Indie Orientali" (1602), e
successivamente quella delle "Indie Occidentali". Queste
"Compagnie" (come
le posteriori inglesi, danesi, etc.) sono "imprese" capitalistiche,
secolarizzate, private, che funzionano secondo la "razionalità" del
mercantilismo (e successivamente del capitalismo industriale). Questo
segnala la differente "amministrazione" (management) razionale
dell'impresa
delle Indie iberiche, e quella della "Seconda Modernità"
("sistema-mondo"
non amministrato [managed] da un "impero-mondo").
63. In ogni sistema la complessità si presenta munita di un processo di
"selezione" di elementi che permettano, dinanzi all'aumento della
stessa
complessità, di conservare l'"unità" del sistema rispetto al
contesto.
Questa necessità di selezione-semplificazione è sempre un "rischio"
(cfr.
Luhmann, 1988, pp. 47 sgg.).
64. Cfr. Dussel, 1993a, cap. 5: "Critica del mito della Modernità".
Vi
furono nel XVI secolo tre posizioni teoriche dinanzi al fatto della
costituzione del sistema-mondo: 1) quella di Ginés de Sepúlveda, il
rinascentista e umanista moderno, che rilegge Aristotele e dimostra la
schiavitù naturale dell'amerindiano, da cui evince la legittimità della
conquista; 2) quella dei francescani, come Medieta, che tentano una
Cristianità amerindiana utopica (una "repubblica degli indios" sotto
l'egemonia della religione cattolica), propria del sistema interregionale
III, cristiano-musulmano; e 3) la posizione di Bartolomé de Las Casas,
l'inizio del controdiscorso critico all'interno della Modernità (che nella
sua opera del 1536, un secolo prima del Discorso sul metodo, intitolata De
unico modo, mostra che è l'argomentazione il mezzo razionale attraverso cui
attrarre l'amerindio alla nuova civilizzazione). Habermas, come vedremo più
avanti, non parla di questo "controdiscorso", e ritiene che tale
controdiscorso ha solo due secoli di storia, (ovvero si inizia con Kant).
La Filosofia della Liberazione, invece, pensa che questo controdiscorso si
origina nel XVI secolo (forse nel 1511 a Santo Domingo con Antón de
Montesinos), certamente con Bartolomé de Las Casas nel 1514 (cfr. Dussel,
1983, I, 1, pp. 17-27).
65. Bartolomé de Las Casas, Brevissima relazione sulla distruzione delle
Indie, in Casas, 1957, vol. V, p. 137. Ho collocato questo testo all'inizio
del volume primo della mia opera Per un'etica della liberazione
latinoamericana (Dussel, 1973), poiché sintetizza l'ipotesi generale
dell'Etica della Liberazione.
66. Frequentemente nelle storie della filosofia attuali, e soprattutto
nelle etiche, si fa un "salto" dai greci (da Platone e Aristotele) a
Descartes (1596-1630), che si trasferisce ad Amsterdam nel 1629 e vi scrive
il Discorso sul metodo, come abbiamo indicato sopra. Cioè si salta da Atene
ad Amsterdam. Nel frattempo sarebbero trascorsi venti secoli senza alcunché
di importante. Si comincia lo studio con Bacone (1561-1626), Keplero
(1571-1630), Galileo (1564-1642) o Newton (1642-1727). Un Campanella scrive
la Civitas solis [La città del sole] nel 1602. Tutto sembra situarsi
all'inizio del XVII secolo: il momento che ho chiamato il secondo momento
della Modernità.
67. Cfr. Sombart, 1902 e 1920.
68. Cfr. Troeltsch, 1923.
69. Cfr. Habermas, 1981, vol. I, II. Habermas insiste sulla scoperta
weberiana della "razionalizzazione", ma dimentica di chiedersi la
causa.
Credo che la nostra ipotesi vada più a fondo e più avanti: la
razionalizzazione weberiana (accolta da Habermas, Apel, Lyotard, etc.) è la
mediazione apparentemente necessaria di una semplificazione deformante
(della ragion strumentale) della realtà pratica, per trasformarla in
qualcosa di amministrabile (manageable), cioè gestibile, governabile, data
la complessità dell'immenso sistema-mondo. Non è solo l'amministrabilità
(manageability) interna dell'Europa, ma soprattutto l'amministrazione
(management) mondiale (centro-periferia). Il superamento tentato da
Habermas della ragion strumentale nella ragion comunicativa, non è
sufficiente, perché non sono sufficienti i momenti della sua diagnosi
sull'origine stessa del processo di razionalizzazione.
70. I postmoderni, in quanto eurocentrici, concordano approssimativamente
con la diagnosi weberiana della Modernità. Ed ancor più accentuano gli
aspetti razionalizzanti (mezzi di comunicazione, etc.), alcuni li
respingono sdegnosamente in quanto dogmatismi metafisici, ma altri li
accettano come fenomeni inevitabili e frequentemente come positivi.
71. Descartes, Le discours de la méthode [Discorso sul metodo], IV
(Descartes, 1953, p. 148).
72. Cfr. Dussell, 1974a (alla fine) e 1974b, cap. 2, par. 4. Le attuali
teorie delle funzioni cerebrali pongono definitivamente in questione questo
meccanicismo dualista (cfr. il cap. 3).
73. Kant, Träume eines Geistersehers [I sogni di un visionario] (1766),
par. 36; in Kant, 1968, II, p. 940.
74. Galilei, 1933, p. 232.
75. Cfr. Dussel, 1973b.
76. Heidegger, 1963, p. 74 (ed. spagnola).
77. Cfr. Martin Bernal, 1989, I, cap. V, pp. 224 sgg.
78. L'Amerindia e l'Europa hanno una storia pre-moderna, lcosì come
l'Africa e l'Asia. Solo il mondo ibrido, la cultura sincretica, la razza
meticcia latinoamericana, che nacque nel XV secolo (il figlio di Malinche e
Hernán Cortés potrebbe essere considerato il suo simbolo; cfr. Octavio Paz,
1950), ha 500 anni.
79. Cfr. tra gli altri: Lyotard, 1979; Rorty, 1979; Derrida, 1964, 1967a e
1967b; Marquart, 1981; Vattimo, 1985; Welsch, 1993; etc.
80. Questa parola spagnola (desarrollismo) che non esiste in altre lingue,
indica la "fallacia" di pretendere uno "sviluppo"
[desarrollo] (la parola
Entwicklung ha una stretta origine filosofica hegeliana) uguale per il
"centro" e la "periferia", non comprendendo che la
"periferia" non è
arretrata (cfr. Hinkelammert, 1970a e 1970b), cioè non è un prius [prima]
cronologico che aspetta uno sviluppo uguale a quelli dell'Europa o degli
Stati Uniti (come in un rapporto "bambino/adulto"), bensì è una
posizione
asimmetrica di dominato, una posizone simultanea di sfruttato (come nel
rapporto "signore libero/schiavo" [servo/padrone, nella corrente
traduzione
italiana della celebre figura hegeliana -ndt-]). L'"arretrato"
(bambino)
potrebbe seguire il cammino del "progredito" (adulto) e arrivare a
svilupparsi, mentre che lo "sfruttato" (schiavo) per quanto lavori
mai sarà
"libero" (signore), perché la sua propria soggettività dominata
include il
"rapporto" con il dominatore. I "modernizzatori" della
"periferia" sono
"desarrollisti" perché non avvertono che si deve superare la
relazione
stessa di dominazione su scala mondiale, come prerequisito per lo
"sviluppo nazionale". La globalizzazione non ha affatto estinto, in
alcun
modo, il problema "nazionale".
81. Cfr. Habermas, 1981, vol. I, 1, 2, da [2] a [4], e particolarmente la
discussione con P. Winch e A. MacIntyre.
82. Vedremo che Lévinas, "padre del pensiero postmoderno francese"
(da
Derrida in avanti), non è postmoderno né nega la ragione (cfr. più avanti
il cap. 4.2), fino alla totalizzazione della ragione (strumentale,
strategica, cinica, ontologica, etc.). La Filosofia della Liberazione,
dalla fine degli anni sessanta, studiò Lévinas per la sua critica radicale
della dominazione. Nell'introduzione alla mia opera Filosofia della
Liberazione (Dussel, 1977) indicavo che la Folosofia della Liberazione era
una filosofia "postmoderna" (p. 11), a partire dal "secondo
Heidegger", ma
anche a partire dalla critica della "ragione totalizzante" effettuata
da
Marcuse e Lévinas. Sembrerebbe che fossimo "postmoderni" ante
litteram, ma
in realtà eravamo critici dell'ontologia e della Modernità a partire dalla
"periferia", il che significava (e significa ancora) qualcosa di
molto
differente, che cercheremo di spiegare.
83. Finora i postmoderni continuano ad essere eurocentrici. Il dialogo con
le culture "diverse" è, per ora, una dichiarazione senza seguito.
Pensano
che la cultura di massa, i media (televisione, cinema, etc.) impatterà
sulle culture periferiche urbane fino ad anichilire le loro
"differenze".
Di modo che ciò che osserva Vattimo a Torino, o Lyotard a Parigi, tra poco
varrà per Nuova Delhi o Nairobi; e non trovano il tempo di analizzare la
dura irriducibilità dell'orizzonte culturale ibrido (che non è
assolutamente una esteriorità, ma che ancora per secoli non sarà
un'interiorità univoca nel sistema globalizzato) che riceve questi impatti
informativi.
84. Cfr. L'opera di Jameson, 1991, sulla logica culturale del
tardo-capitalismo come postmoderno.
85. Nel "socialismo reale" staliniano il criterio era la crescita del
tasso
di produzione -misurato in ogni modo da un valore approssimato di mercato
dei prodotti-). Si tratta dello stesso tipo di feticismo. Cfr.
Hinkelammert, 1984, cap. 4: "Il quadro categoriale del pensiero
sovietico"
(pp. 123 sgg.).
86. Marx, 1957, p. 313 (I, p. 362).
87. Ibid.
88. La pura necessità senza denaro non è mercato, è solo miseria, miseria
crescente ed inevitabile.
89. Marx, 1867, I, p. 588. Qui è opportuno ricordare una volta di più che
il Rapporto sullo Sviluppo Umano 1992 [Human Development Report 1992],
1992, dimostra in modo incontrovertibile che il 20% più ricco della terra
consuma oggi (come mai nella storia mondiale) l'82,7% dei beni (incomes)
del pianeta, mentre il restante 80% dell'umanità consuma solo il 17,3% dei
suddetti beni. Tale concentrazione è frutto del "sistema-mondo" di cui
stiamo parlando in questo capitolo.
90. Marcuse, 1968, ed. in lingua spagnola pp. 189-190.
Notizia sull'autore e sul testo
[Questa nota è ovviamente la traduzione di quella contenuta nel volume da
cui abbiamo ripreso il testo di Dussel]
Dottore in filosofia all'Università Centrale di Madrid e in storia alla
Sorbona di Parigi; dottore honoris causa all'Università di Friburgo
(Svizzera) nel 1981, e all'Università Maggiore di San Andrés a La Paz
(Bolivia) nel 1995. Professore-ricercatore dell'Università Autonoma
Metropolitana del Messico e del Centro di Studi Latinoamericani della
facoltà di Filosofia e Lettere della UNAM. Pubblicazioni: La produzione
teorica di Marx (1985); Etica comunitaria (1986); Verso un Marx sconosciuto
(1988); L'ultimo Marx (1990); L'occultamento dell'indio (1992), Storia
della filosofia e filosofia della liberazione (1994).
Relazione presentata al convegno internazionale: Globalizzazione,
educazione e democrazia in America Latina, Città del Messico (D.F.), 21-24
novembre 1995.