Franco Fortini, "ironia che resiste, e contesa che dura"

1. Presento qui in primo luogo un breve testo di Franco Fortini che, grazie
alla cortesia dell'autore, già pubblicai nel 1990 in un opuscolo dal titolo
Una voce: comunismo.
In una nota introduttiva scrivevo allora:
Il testo che qui offriamo alla riflessione è un articolo pubblicato per la
prima volta sull'inserto settimanale satirico dell'"Unità", poi recuperato
dal suo autore nell'ultimo libro che ha dato alle stampe: Extrema ratio,
presso Garzanti. E saranno opportune alcune considerazioni su come Fortini
lo presenta nel libro.
Innanzitutto il libro si apre con una critica ai contesti che banalizzano
la forza di verità delle parole: "quel che credo di dover dire ho
difficoltà a scriverlo sui mezzi ordinari di comunicazione, come giornali o
settimanali. Perché l'effetto "contesto" è sempre più forte. Supponendoti
circondato da pregiudizi e avversioni, rispondi accrescendo l'aspetto
irsuto della sintassi. Col risultato di virare verso il "caso", il bizzarro
elemento indolore di un panorama dove c'è posto per tutti".
In particolare nel presentare l'articolo Fortini lo fa precedere da una
nota in cui testualmente afferma: "Giornalisti di un supplemento
dell'"Unità" mi avevano chiesto di dire in quaranta righe che cosa
intendessi per Comunismo. La domanda mi era parsa indicativa dei tempi:
amano volgere in gioco quel che è troppo doloroso assumere in serietà.
Ma è giusta richiesta. Fuor dei nemici e degli avversari, nessuno definisce
più il Comunismo. Le quaranta righe erano una sfida, come una scommessa
metrica. Accettai e lavorai per due giorni. Non collaboro all'"Unità" (...)
Ma questa volta mi richiedeva, dal quotidiano, un supplemento umoristico.
Mi pareva bene che quel mio pezzo comparisse tra le vignette, mascherato.
Mandai ottanta, non quaranta righe. Le trascrivo qui perché credo che
abbiano qualche interesse, dopo quel che si è scritto sull'argomento nella
scorsa annata e in questa".
Si capisce quindi che anche la nostra estrapolazione muta quel testo, è
altro pubblicarlo in quel libro, altro in quel foglio, altro qui. E
preghiamo il lettore di queste note che ne tenga conto.
A questo va subito aggiunta una seconda osservazione, sullo stile di
Fortini. Sempre in Extrema ratio l'autore enuncia con chiarezza che usa un
linguaggio consapevolmente distanziante; citiamo ancora: "Sembra che ce la
metta tutta per rendermi odioso. Eppure non è nelle intenzioni. E' che solo
scrivendo in una lingua più morta del vero mi riesce di evitare la
familiarità, la contiguità, l'atteggiamento suasorio (...). E' non troppo
segreta persuasione che la distanza stabilita da lingua e sintassi possa
indurre uno straniamento nei confronti dell'ovvio discorso della
pubblicistica quotidiana. Quello che taluni prosatori arcaizzanti fanno
oggi per non dover pagare nessun dazio di responsabilità civile, lo faccio
io per provocare a qualche responsabilità e coinvolgimento. Devo dirlo
perché lo credo, anche se non giustifica davvero i vezzi inutili, che
meglio direi smorfie, della mia scrittura".

2. Nel novembre del 1999, a cinque anni dalla scomparsa di Franco Fortini,
inviai ad alcuni giornali delle lettere per contribuire a ricordarlo e
rendere omaggio alla sua nobile figura di uomo e di poeta. Ignoro se
qualcuno di quei giornali abbia pubblicato le mie missive; oggi qui vorrei
riproporle al lettore che potesse essere interessato. Riproduco qui i testi
come li scrissi e inviai allora, solo omettendo il paratesto ed alcune
brevi notizie biobibliografiche su Fortini che in qualche caso avevo
aggiunto. Il testo 4 non inviai ad alcuno: mi sembrò allora che potesse
essere frainteso e interpretato non come una testimonianza e un omaggio, ma
come una sorta di goffo tentativo di sfruttare l'occasione per parlare di
sé. Il testo 7 recava l'indicazione del quotidiano su cui apparve
l'articolo di cui si cita un passo, che era il giornale cui indirizzavo la
mia lettera; ho pensato di omettere qui quell'indicazione segnando
l'omissione con il simbolo [...]. Il lettore scuserà le inevitabili
ripetizioni.

Premetto una breve notizia biobibligrafica.

Peppe Sini
responsabile del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo

Viterbo, 21 luglio 2000

Notizia biobibliografica
Profilo biografico: poeta e saggista tra i maggiori del Novecento, Franco
Lattes (Fortini è il cognome della madre) è nato a Firenze nel 1917,
antifascista, partecipa all'esperienza della repubblica partigiana in Val
d'Ossola. Nel dopoguerra è redattore del "Politecnico" di Vittorini; in
seguito ha collaborato a varie riviste, da "Comunità" a "Ragionamenti", da
"Officina" ai "Quaderni rossi" ed ai "Quaderni piacentini", ad altre
ancora. Ha lavorato nell'industria, nell'editoria, come traduttore e come
insegnante. E' stato una delle persone più limpide e più lucide (e per
questo più isolate) della sinistra italiana, un uomo di un rigore morale ed
intellettuale pressoché leggendario. E' scomparso nel 1994.
Opere di Franco Fortini: per l'opera in versi sono fondamentali almeno le
raccolte complessive Poesie scelte (1938-1973), Mondadori; Una volta per
sempre. Poesie 1938-1973, Einaudi; Versi scelti. 1939-1989, Einaudi; cui si
aggiungano l'ultima raccoltina Composita solvantur, Einaudi, e postuma la
serie di Poesie inedite, sempre presso Einaudi. Testi narrativi sono Agonia
di Natale (poi riedito col titolo Giovanni e le mani), Einaudi; e Sere in
Valdossola, Mondadori, poi Marsilio. Tra i volumi di saggi, fondamentali
sono: Asia Maggiore, Einaudi; Dieci inverni, Feltrinelli, poi De Donato;
Tre testi per film, Edizioni Avanti!; Verifica dei poteri, Il Saggiatore,
poi Garzanti, poi Einaudi; L'ospite ingrato, De Donato, poi una nuova
edizione assai ampliata col titolo L'ospite ingrato. Primo e secondo,
presso Marietti; I cani del Sinai, Einaudi; Ventiquattro voci per un
dizionario di lettere, Il Saggiatore; Questioni di frontiera, Einaudi; I
poeti del Novecento, Laterza; Insistenze, Garzanti; Saggi italiani. Nuovi
saggi italiani, Garzanti (che riprende nel primo volume i Saggi italiani
apparsi precedentemente presso De Donato); Extrema ratio, Garzanti;
Attraverso Pasolini, Einaudi; Breve secondo Novecento, Piero Manni. Si veda
anche l'antologia fortiniana curata da Paolo Jachia, Non solo oggi, Editori
Riuniti.
Di recente sono stati pubblicati i testi di alcune conversazioni
radiofoniche: Franchi dialoghi, Piero Manni; Dialoghi col Tasso, Bollati
Boringhieri; Le rose dell'abisso, Bollati Boringhieri.
Opere su Franco Fortini: in volume cfr. AA. VV., Uomini usciti di pianto in
ragione, Manifestolibri, Roma 1996; Alfonso Beradinelli, Fortini, La Nuova
Italia, Firenze 1974; Romano Luperini, La lotta mentale, Editori Riuniti,
Roma 1986; Remo Pagnanelli, Fortini, Transeuropa, Jesi 1988. Su Fortini
hanno scritto molti protagonisti della cultura e dell'impegno civile;
fondamentali sono i saggi fortiniani di Pier Vincenzo Mengaldo.

* * *

Franco Fortini, Comunismo

"Termine con cui si designano dottrine che propugnano e descrivono una
società basata su forme comunitarie di produzione ovvero di produzione e
consumo, in alternativa a società basate su forme di proprietà privata
ovvero di distribuzione e di consumo diseguali. Possesso comune della terra
e dei mezzi di produzione, lavoro per tutti, regolazione pianificatrice dei
bisogni e delle funzioni [...] parte integrante di tali dottrine è
l'educazione comune, pubblica, di tutti gli individui".
[Enciclopedia Garzanti]

Il combattimento per il comunismo è già il comunismo. E' la possibilità
(quindi scelta e rischio, in nome di valori non dimostrabili) che il
maggior numero di esseri umani - e, in prospettiva, la loro totalità -
pervenga a vivere in una contraddizione diversa da quella oggi dominante.
Unico progresso, ma reale, è e sarà il raggiungimento di un luogo più alto,
visibile e veggente, dove sia possibile promuovere i poteri e la qualità di
ogni singola esistenza. Riconoscere e promuovere la lotta delle classi è
condizione perché ogni singola vittoria tenda ad estinguere la forma
presente di quello scontro e apra altro fronte, di altra lotta, rifiutando
ogni favola di progresso lineare e senza conflitti.
Meno consapevole di sé quanto più lacerante e reale, il conflitto è fra
classi di individui dotati di diseguali gradi e facoltà di gestione della
propria vita. Oppressori e sfruttatori (in Occidente, quasi tutti;
differenziati solo dal grado di potere che ne deriviamo) con la non-libertà
di altri uomini si pagano l'illusione di poter scegliere e regolare la
propria individuale esistenza. Quel che sta oltre la frontiera di tale loro
'libertà' non lo vivono essi come positivo confine della condizione umana,
come limite da riconoscere e usare, ma come un nero Nulla divoratore. Per
dimenticarlo o per rimuoverlo gli sacrificano quote sempre maggiori di
libertà, cioè di vita, altrui; e, indirettamente, di quella propria.
Oppressi e sfruttati (e tutti, in qualche misura, lo siamo; differenziati
solo dal grado di impotenza che ne deriviamo) vivono inguaribilità e
miseria di una vita incontrollabile, dissolta ora nella precarietà e nella
paura della morte ora nella insensatezza e non-libertà della produzione e
dei consumi. Né gli oppressi e sfruttati sono migliori, fintanto che
ingannano se stessi con la speranza di trasformarsi, a loro volta, in
oppressori e sfruttatori di altri uomini. Migliori cominciano ad esserlo
invece da quando assumono la via della lotta per il comunismo; che comporta
durezza e odio per tutto quel che, dentro e fuori degli individui, si
oppone alla gestione sovraindividuale delle esistenze; ma anche
flessibilità e amore per tutto quel che la promuove e la fa fiorire.
Il comunismo in cammino (un altro non esiste) è dunque un percorso che
passa anche attraverso errori e violenze, tanto più avvertiti come
intollerabili quanto più chiara si faccia la consapevolezza di che cosa gli
altri siano, di che cosa noi si sia e di quanta parte di noi costituisca
anche gli altri; e viceversa. Il comunismo in cammino comporta che uomini
siano usati come mezzi per un fine che nulla garantisce invece che, come
oggi avviene, per un fine che non è mai la loro vita. Usati, ma sempre
meno, come mezzi per un fine, un fine che sempre più dovrà coincidere con
loro stessi. Ma chi dalla lotta sia costretto ad usare altri uomini come
mezzi (e anche chi accetti volontariamente di venir usato così) mai potrà
concedersi buona coscienza o scarico di responsabilità sulle spalle della
necessità o della storia.
Chi quella lotta accetta si fa dunque, e nel medesimo tempo, amico e nemico
degli uomini. Non solo amico di quelli in cui si riconosce e ai quali, come
a se stesso, indirizza la propria azione; e non solo nemico di quanti
riconosce, di quel fine, nemici. Ma anche nemico, sebbene in altro modo e
misura, anche dei propri fratelli e compagni e di se stesso; perché non
darà requie né a sé medesimo né a loro, per strappare essi e se stesso agli
inganni della dimenticanza, delle apparenze e del sempreuguale.
Dovrà evitare l'errore di credere in un perfezionamento illimitato; ossia
che l'uomo possa uscire dai propri limiti biologici e temporali. Questo
errore, con le più varie manipolazioni, ha già prodotto, e può produrre,
dei sottouomini o dei sovrauomini; egualmente negatori degli uomini in cui
ci riconosciamo. Ereditato dall'Illuminismo e dallo scientismo, depositato
dalla cultura faustiana della borghesia vittoriosa dell'Ottocento,
quell'errore ottimistico fu presente anche in Marx e in Lenin e oggi
trionfa nella maschera tecnocratica del capitale. Quando si parla di un al
di là dell'uomo, è dunque necessario intendere un al di là dell'uomo
presente, non un al di là della specie. Comunismo è rifiutare anche ogni
sorta di mutanti per preservare la capacità di riconoscersi nei passati e
nei venturi.
Il comunismo in cammino adempie l'unità tendenziale tanto di eguaglianza,
fraternità e condivisione quanto quella di sapere scientifico e di sapienza
etico-religiosa. La gestione individuale, di gruppo e internazionale,
dell'esistenza (con i suoi insuperabili nessi di libertà e necessità, di
certezza e rischio) implica la conoscenza delle frontiere della specie
umana e quindi della sua infermità radicale (anche nel senso leopardiano).
Quella umana è una specie che si definisce dalla capacità (o dalla
speranza) di conoscere e dirigere se stessa e di avere pietà di sé. In
essa, identificarsi con le miriadi scomparse e con quelle non ancora nate è
un atto di rivolgimento amoroso verso i vicini e i prossimi; ed è allegoria
e figura di coloro che saranno.
Il comunismo è il processo materiale che vuol rendere sensibile e
intellettuale la materialità delle cose dette spirituali. Fino al punto di
sapere leggere nel libro del nostro medesimo corpo tutto quel che gli
uomini fecero e furono sotto la sovranità del tempo; e interpretarvi le
tracce del passaggio della specie umana sopra una terra che non lascerà
traccia.

* * *

Alcune lettere a giornali e riviste
per ricordare Franco Fortini a cinque anni dalla scomparsa

1. Cosa sia poesia: nel ricordo di Franco Fortini
Nel marzo di quest'anno [1999], la guerra ancora non era scoppiata, il
centro sociale occupato di Viterbo ospitò il concerto di un valoroso poeta
e musicista uruguayano, Juan Baladán Gadea, che subì molti anni di
detenzione sotto la dittatura.
Mi fu chiesto di dire alcune parole di presentazione di Juan e di un suo
libro di versi; conclusi all'incirca così quel mio discorsetto, nel quale
m'illudo che la lezione di Fortini sia presente, e che vorrei proporre alla
vostra attenzione come piccolo contributo ad un comune omaggio al poeta di
Una volta per sempre.
Cosa sia poesia a dire il vero proprio non so dire: so che è tecnica
attraverso cui la lingua dice più di quanto non dica negli scambi verbali
banali e alienati della comunicazione quotidiana, e nei messaggi e i
comandi del potere e del consumo, della manipolazione e della menzogna. So
che poesia è parola che unisce e che libera, uno strumento che ci rende
uguali, che ci provoca a pensare, a riconoscerci, ad "allargare l'area
della coscienza" come diceva il buon vecchio Allen Ginsberg. So che poesia
è ricerca di verità, di quella semplicità, quella autenticità, "che è
difficile a farsi".
E so che il termine "poesia" è una parola antica che all'origine
significava il fare, la creazione, e la parola creazione rinvia ad un atto
di evocazione di ciò che non è facendolo apparire per mera virtù di parole:
io dico la parola pioggia ed ecco che la pioggia appare nella mente di chi
mi ascolta, anche se l'oggetto pioggia materialmente qui può anche non
esserci; e se posso forzare l'esempio: chi dice la parola luce, fa la luce
(e chi non ricorda quell'inizio: Sia fatta la luce, e la luce fu).
Ma so anche che creazione rinvia a creatura, a quella percezione creaturale
della nostra identità e storia: il nostro dolore, il nostro essere esposti
al dolore, alla malattia, alla morte, alla violenza del mondo e degli
uomini; il nostro essere impastati di fango e tormento...
E poi la poesia è anche memoria: lotta contro l'oblio, lotta contro la
morte: penso a Elias Canetti, certo: che vedeva il nesso sanguinario tra il
potere e la morte, ed attribuiva alla cultura il compito di lottare contro
la morte, e quindi contro il potere; penso alla riflessione di Jankélévitch
sul dovere di non dimenticare le vittime della violenza; penso alle culture
orali e alle tecniche mnemoniche e formulari; penso alla poesia a braccio
ed al nostro Alfio Pannega...
E vedete, lungo questo ragionamento, poesia politica e poesia d'amore
vengono a convergere, e vengono a convergere la poesia come musica e la
poesia come ragionamento.
E' possibile anche una poesia senza immagini, senza sperpero di visioni e
metafore, di assoluta concentrazione: e qui penso come ad esempio
insuperato a quell'A se stesso di Leopardi, terribile dichiarazione di
disperazione assoluta, concentrata in un pugno di versi senza un'immagine,
senza una luce: l'unica cosa concreta che vi è nominata, una sola volta, è
il fango, per dire che "fango è il mondo". E per concludere invitando se
stesso a disprezzare tutto, ma è un disprezzo che ancora lotta, che ancora
protesta, che ancora contesta il potere e il dolore e l'ingiustizia:
"...Omai disprezza/ Te, la natura, il brutto/ Poter che, ascoso, a comun
danno impera,/ E l'infinita vanità del tutto". Ma questo disprezzo di tutto
è un grido di battaglia, un appello alla lotta, e l'ultima poesia di
Leopardi sarà appunto quella Ginestra i cui ultimi versi neppure poté
scrivere con le sue mani, poté solo dettare, dal letto di morte, all'amico
con cui viveva: quella poesia, La ginestra, io ho sempre pensato che sia un
manifesto politico che per me ha contato non meno di quello di Marx ed
Engels.
Insomma, che diamine è questa poesia? Propongo due conclusioni:
1. La poesia è quella cosa che deve essere fatta da tutti (come diceva un
poeta ottocentesco e gridarono dai tetti i surrealisti), è la felicità di
rompere il muro del silenzio e della solitudine, è la capacità che ha la
voce di restituirci il mondo, è l'uso della parola per metterci in contatto
con gli altri, la possibilità di riconoscersi umani tra gli umani.
2. Ha scritto una e più volte Franco Fortini del nesso poesia-rivoluzione,
di come la poesia facendo un uso formale (esatto e gioioso, libero e ricco)
della lingua sia prefigurazione di un analogo uso formale (esatto e
gioioso, libero e ricco) della vita: la poesia allusivamente ci dice di
quella vita che ha finalmente forma, una vita finalmente decisa e plasmata
da noi, quindi libera; e felice, perché assunta in pienezza, che è la vita
per la quale lottiamo; una vita che alcuni di noi chiamiamo comunismo, o
nonviolenza, che è il nome che diamo alla liberazione dell'umanità, che non
è un traguardo del futuro ma esiste in quanto noi oggi lottiamo. Lo sapeva
Franco Fortini: la lotta per il comunismo è  già il comunismo. Lo sapeva
Mohandas Gandhi: tra i mezzi con cui si lotta ed i fini per cui si lotta,
vi è lo stesso rapporto che unisce il seme e la pianta.
Ogni volta che si condivide il pane noi siamo compagni, ogni volta che
diciamo no all'ingiustizia noi siamo portatori di giustizia, ogni volta che
rifiutiamo la menzogna noi costruiamo verità; ogni volta che stringi una
mano e che accarezzi un volto, la felicità umana è lì, lì è il senso della
nostra lotta, lì è il nostro progetto di società futura: di un'umanità di
eguali, di diversi che si rispettano come tali e che come tali si
riconoscono uguali in diritti e dignità.
Il sentimento di questa umanità di eguali (se preferite: il presentimento
del comunismo, la felicità avvenire del comunismo, ma anche il comunismo
fatto presente) io lo ho vissuto una sera in questo luogo cantando insieme
l'Internazionale di Fortini. Ecco, in quel gesto forse anche ridicolo di
tante voci più o meno intonate che si univano tratte dalla poesia e dalla
musica a riconoscersi vive e consonanti e fraterne, io trovo una ragione di
vita e di speranza. Di un amore che vince la solitudine.

2. Ancora un tentativo di dire di Franco Fortini
Valgano le note seguenti come un piccolo contributo ad un comune omaggio a
Franco Fortini, scomparso cinque anni fa, maestro di poesia e di morale per
molti di noi.
Mi è difficile scrivere su Franco Fortini, autore e simbolo che ha contato
così tanto nella mia formazione che tante volte ho cercato di scriverne,
altrettante mi sono sentito paralizzato.
Avviene così per le cose, le vicende, le figure che ci sono troppo
prossime, quelle da cui meno facilmente riusciamo a distanziarci, poiché le
sentiamo -il cielo mi perdoni- come una parte di noi, ed ogni nominazione
appare impudica e comunque sfocata, un tradimento, un traviamento,
un'illusione dello sguardo.
Eppure quest'uomo io non l'ho mai incontrato; gli unici contatti diretti
che ho avuto con lui consistono di una minima corrispondenza, senza
convenevoli e di argomenti direi non personali ma legati all'impegno
politico (i suoi scarni biglietti gelosamente conservo: aveva una scrittura
bella come immagino possa essere quella di un calligrafo orientale).
Eppure: della sua opera e delle sue posizioni, e del suo finanche nevrotico
appartarsi e rissare, e della sua voce precisa di sguardo e di toni, non
solo mi sono nutrito, ma ho fatto in certo qual modo una pietra di
paragone. Ho pensato sovente che occorresse scrivere e ragionare ed agire
come faceva Fortini, e per le ragioni di Fortini, e come Fortini disposti a
pagarne il prezzo. Ed ancor oggi quando leggo o rileggo qualcosa di lui che
non mi persuade (il che invero mi accade assai di rado) ne provo un
pungente rammarico, come di un errore da me stesso commesso.
Non tutta la sua poesia mi è congeniale: trovo anche colà molto farro, di
certe volute poco colgo, e laddove è squisito e dottissimo confesso
francamente che nella mia penosa ignoranza sento che vi è molto e che poco
ne intendo, ma quel poco molto mi piace. E ci sono suoi versi, anzi:
sequenze di versi, che molte volte ho riletto e  cantato tra me con vivida
luce, e talora finanche con gioia profonda e inesausta.
Ma la sua prosa di ragionamento e di polemica, quei discorsi morali ad un
tempo confessione ed esistenza, linea politica e giudizio storico, quello
scrivere con un lessico ed una sintassi ed un impianto di figure retoriche
e metafore come sciabolate che sostengono un pensiero di rigoroso procedere
e di persuaso e commosso esortare, che tu dici "questa è certo la voce di
Fortini", in cui lucidità e passione si sostengono e senti la lingua che
quasi scricchiola sotto lo sforzo, e la macchina del pensiero è un argano
che s'attenta e s'innalza a voler muovere il mondo, quell'opera di
moralista e di militante non solo resta tra i monumenti delle lettere del
Novecento, ma ogni volta che la rileggi nuovamente ti impone evidenze
altrimenti nascoste e doveri che si preferirebbe per stanchezza eludere:
una materialistica e storica critica della ragion pratica. Le mani di
Radek; I cani del Sinai.
Quando penso a persone integre, penso a Simone Weil, a Primo Levi, a Franco
Fortini.
Quando penso al senso della lotta cui anch'io come molti ho dedicato più
che qualche ritaglio del tempo della mia vita, penso alle ragioni che
Franco Fortini sapeva dire con voce ferma e sobria, e con impeto giammai
fanatico, con indignazione cosciente. Aveva fortissimo, nitido il senso del
limite e dell'errore, della contraddizione.
La contraddizione: e il rifiuto della contemplazione atterrita.
Il nodo di verità ed errore: e la generosità personale, leopardianamente
senza illusioni e nondimeno generosità piena.
La poesia e il comunismo come analogo movimento istitutivo di forma e
dignità: nell'arte, nella vita. La poesia che nella lingua prefigura quella
verità e felicità di cui gli uomini sono capaci, e che deve trovare
adempimento nel mondo, nella vita.
Un atteggiamento pedagogico di scienziato della società, di critico delle
istituzioni e delle ideologie, e di antico maestro di verità: scienza e
sapienza, nel costituirsi in coscienza, tradizione e rottura; e nel
confliggere (conflittare, come amava scrivere lui) delle contraddizioni
ineludibili e pure trasferibili a piani superiori di chiarezza, di verità.
Ed un impegno di intellettuale e di militante, che quanto più disinganna
tanto più è ortativo alla lotta contro l'ingiustizia: per dirlo con un suo
verso: ironia che resiste, e contesa che dura.
Sapeva guardare l'abisso del dolore senza vertigine, con indignazione e
pietà; mai disse la parola disonesta, sempre pensò ad aiutare gli uomini.

3. Tre ricordi per Franco Fortini
Nel 1991 venni processato per l'attività di opposizione alla guerra del
Golfo: ebbi tante generose dichiarazioni di solidarietà, particolarmente
cara mi è quella di Franco Fortini, che cinque anni fa è scomparso e lascia
un ricordo incancellabile. Vi scriveva tra l'altro: "In mille occasioni,
anche orchestrate, si cerca di intimidire chunque non accetti la logica
delle 'loro' armi. La partecipazione delle forze armate italiane alla
guerra del Golfo è stata e rimane una vergogna. Ci sono anche le vergogne
legali. Ogni giorno. (...) per strofe improvvisate alla prima marcia della
pace Perugia-Assisi (Capitini) fui incriminato. Mi fai tornare giovane".
Ogni volta che rileggo quel biglietto le lacrime mi salgono agli occhi.
Quando Fortini morì, nel 1994, ci fu almeno una istituzione della
repubblica italiana che subito ebbe a rendergli omaggio (è cosa di cui
credo di aver memoria quasi solo io, non ebbe eco di stampa, e non so se
neppure lo scrissi mai ai suoi familiari): la notizia della morte apparve
sui giornali del 29 novembre, quel pomeriggio si svolgeva una seduta del
consiglio provinciale di Viterbo, essa si aprì con un mio ricordo di
Fortini ed un minuto di teso, commosso silenzio da parte dell'assemblea. Mi
sono chiesto spesso cosa ne avrebbe pensato l'autore de L'ospite ingrato:
se avrebbe trovato la cosa sciocca o bizzarra, o peggio ancora travisante,
narcotica; se se ne sarebbe infuriato o intenerito.
Un anno fa, nel vivo di una campagna contro la schiavitù in Italia, per i
diritti degli immigrati e quindi dell'umanità intera, nel centro sociale
occupato "Valle Faul" a Viterbo tenemmo un prolungato training di
addestramento alla lotta nonviolenta; tra altre cose leggemmo, discutemmo
insieme ed infine cantammo in coro l'Internazionale nel testo che Fortini
ci ha lasciato (Sull'aria dell'Internazionale, in Poesie inedite, Einaudi,
Torino 1997): di quella esperienza conservo un vivo commosso ricordo, di
felicità per il canto che ci affratellava, e di una felicità ulteriore, più
intima e più pungente, per essermi trovato con i miei compagni di lotta a
far uso, cosciente e concreto, di un'eredità che Franco Fortini ci aveva
lasciato.

4. Alcuni ricordi per Franco Fortini, a cinque anni dalla scomparsa
Cinque anni fa, il 28 novembre 1994, scompariva Franco Fortini: non solo
uno dei massimi poeti e critici della letteratura italiana del Novecento,
ma una persona di straordinario rigore intellettuale e morale, un antico
maestro di sapienza.
Vorrei offrire le notizie che seguono, e che ritengo poco note se non del
tutto sconosciute, come rinnovato atto di gratitudine e personale omaggio
all'autore di Verifica dei poteri, come minimo contributo al lavoro degli
studiosi ed al ricordo degli amici, e come invito a quanti non ne hanno
letto l'opera affinché lo facciano, ché molti ne caveranno tesori.
Lo avemmo autorevole compagno di lotta nella campagna di solidarietà con
Nelson Mandela (allora detenuto nelle prigioni del Sudafrica
dell'apartheid) che nel 1987 mi trovai a coordinare per l'Italia.
Ci permise nel 1990 di ristampare e diffondere, come opuscolo del nostro
"Centro di ricerca per la pace", un suo testo che in ottanta righe spiegava
le ragioni profonde e le concrete autentiche prospettive della lotta degli
oppressi: cosa fosse il comunismo (è una pagina la cui lettura farebbe un
gran bene alle menti di molti: oltre che in Una voce: comunismo, Edizioni
del Centro di ricerca per la pace, Viterbo 1990, la si trova anche in
Extrema ratio, Garzanti, Milano 1990, e Non solo oggi, Editori Riuniti,
Roma 1991 -qui in una lievemente diversa versione, e direi precedente-).
Nel 1991 scrisse una generosa dichiarazione di solidarietà quando fui
processato per l'opposizione alla guerra del Golfo: parole toccanti, che
non ho più dimenticato.
Nel novembre del 1994, il giorno successivo alla sua scomparsa il consiglio
provinciale di Viterbo gli rese omaggio con una commemorazione che ebbi
l'onore di pronunciare, seguita da un minuto di silenzio dell'assemblea
riunita.
Lo scorso anno ancora una volta facemmo uso della sua poesia (che è appunto
valore d'uso, e strumento di conoscenza e azione, e prefigurazione di una
socialità di liberi ed eguali) quando presso il centro sociale occupato
"Valle Faul" (nel corso di un training di formazione alla lotta nonviolenta
nell'ambito di una campagna contro la schiavitù in Italia), leggemmo,
discutemmo ed infine cantammo una sua poesia (Sull'aria
dell'Internazionale, in Poesie inedite, Einaudi, Torino 1997).
Era un uomo generoso e intransigente; la sua lucidità e la sua onestà gli
impedivano le compiacenze, le ipocrisie, i diplomatismi che tanto giovano,
come si dice, alla vita di società. Era perennemente indignato, ed aveva
ragione. Sempre scelse la parte degli oppressi, senza paternalismo e senza
ambiguità. Sapeva che siamo impastati di verità e di errore, e che chi non
si ribella alla violenza, all'ingiustizia, alla menzogna, è complice degli
assassini.

5. Cinque anni fa scompariva Franco Fortini
Cinque anni fa, il 28 novembre 1994, scompariva Franco Fortini.
Era nato a Firenze nel 1917, laureato in giurisprudenza ed in lettere, nel
1944 prese parte all'esperienza della repubblica partigiana in Valdossola.
Redattore del "Politecnico" di Vittorini e collaboratore di varie
importanti riviste della sinistra critica; autore di memorabili traduzioni
del Faust di Goethe e di Timore e tremore di Kierkegaard, di Brecht e di
Simone Weil, di Kafka e del Dieu caché di Goldmann; la sua opera poetica e
saggistica è tra le più alte della letteratura italiana del Novecento.
Era un uomo di un rigore morale ed intellettuale adamantino.
E quindi scontroso, e tagliente; ogni menzogna, ogni vanità, ogni ipocrisia
lo feriva e indignava; detestava l'ingiustizia, e detestava altresì la resa
all'ingiustizia, e il compromesso vile, e quell'astuzia che è intelligenza
con e tra gli oppressori.
Era straordinariamente generoso della sua persona, del suo tempo, del suo
impegno; ed intransigente e infaticabile nel contrastare i poteri che
sfruttano, umiliano, alienano, divorano gli esseri umani.
Tra i moralisti di questo secolo la sua è stata una delle voci più limpide
ed aspre, una delle riflessioni più acute, acuminate; univa ad una
sconfinata cultura una vocazione profetica ed un sentimento fin lancinante
delle contraddizioni, della contraddizione.
Ha insegnato a generazioni di giovani un'etica della dignità e
dell'impegno, il rifiuto dell'inganno, la sollecitudine per l'umanità
dolente: l'arte, l'ascesi del dissenso e della rivolta.

6. Franco Fortini, a cinque anni dalla scomparsa
Il 28 novembre 1994 scompariva Franco Fortini. Era nato a Firenze nel 1917.
E' stato un grande letterato e un grande poeta. Un ponderoso volume di
saggi come Verifica dei poteri, uno smilzo libretto di poesie come
Composita solvantur, una traduzione come quella sua del Faust, sono tra le
cose più belle delle lettere italiane di questo secolo.
Ma soprattutto Fortini è stato in Italia il simbolo stesso
dell'intellettuale impegnato: con un rigore e una passione di verità
superiori a Sartre, a Brecht, a Vittorini. Costantemente dissenziente,
eretico, all'opposizione. Armato di un marxismo che è stato variamento
definito religioso, profetico, sapienziale, nutrito com'era di una cultura
vasta e profonda, e del tutto opposto alle versioni scolastiche ed
autoritarie. Costantemente in rivolta non solo contro ogni potere
oppressivo ed ogni ideologia dell'alienazione, ma anche contro ogni
immediatismo ed imbarbarimento, ogni lassismo politico e morale: vi era in
lui un che di pascaliano, e di leopardiano.
Tenacemente antiburocratico ed anticarrierista (simile anche in ciò a
quella Simone Weil che con le sue traduzioni fece conoscere in Italia);
collerico anche con gli amici ogni volta che vedeva o sospettava malafede,
menzogna, pusillanimità, compromesso, narcosi; la sua proverbiale perenne
indignazione e scontrosità era il pendant della sua autentica vocazione
pedagogica.
Negli scritti di nessun altro pensatore, moralista, militante, ho mai visto
mettere in valore con tale pienezza ed efficacia il ragionamento e
l'emozione ad un tempo: i suoi saggi più belli raggiungono un miracoloso
equilibrio di dialettica (come serrato impavido indagare le contraddizioni,
e come smascheramento della falsa coscienza fino a metterne a nudo le
materiali radici) e di persuasione (nel senso della voce profetica, della
parola che commuove, e nel senso di Michelstaedter e di Capitini).
Franco Fortini è scomparso or sono cinque anni, ne sento la lezione più
viva che mai.

7. Cinque anni fa ci lasciava Franco Fortini
Il 28 novembre del 1994 ci lasciava Franco Fortini.
Scrisse allora Cesare Garboli [...] (in un articolo che credo Fortini
avrebbe trovato frivolo e per questo imperdonabile ancorché intelligente)
che "aveva la rettitudine di Catone e tutte le virtù di Bruto. Ma era solo,
il più solo di tutti": tutto vero, è sbagliato solo quel "ma", che dovrebbe
essere sostituito con un "quindi".
Ma era poi davvero solo?
Era certo solo rispetto alle burocrazie del totalitarismo hard e di quello
soft; era certo solo rispetto ad un ceto intellettuale vogliosa di prebende
e di servitù; ed era solo anche rispetto a quei giovani che pensavano di
servirsene più che di ascoltarlo: e si vede che fine hanno fatto, tra
cattedre, redazioni e dirigenze (per non dire di chi dalle barricate è
finito in Parlamento a plaudire alla guerra).
Non era solo, e credo lo sapesse (direi che lo ha anche scritto, ad esempio
in un articolo dell'83 che intitolato Marxismo è incluso in Non solo oggi),
se si guarda ad un mondo più vasto e più umano dei salotti e degli uffici
ben arredati.
Della sua "collera contro la gerarchia" ha scritto Pietro Ingrao in un
intenerito ed intimo ricordo all'indomani della morte; dire che è stato un
grande poeta e un grande letterato, e un pensatore acuto e originale e un
moralista di vaglia, è persino superfluo; ma vorrei aggiungere che è uno
dei pochi scrittori leggendo le cui opere ti accorgi che non mente mai
(forse solo di Primo Levi e di altri pochissimi credo si possa dire
altrettanto).
E quando si sente battere sul tasto della sua fin leggendaria scontrosità e
del suo perenne dissentire, riducendolo quasi a stereotipo, sarà da
replicare che era un uomo appunto di un'integrità morale impareggiabile, di
candida generosità, di un intransigente impegno politico lucido e
coraggioso. La cui voce, il cui sguardo ci manca.

8. Il 28 novembre 1994 fa scompariva Franco Fortini, un ricordo
Cinque anni fa scompariva Franco Fortini. Era un grande poeta, e un grande
critico: delle istituzioni letterarie e politiche, della cultura e delle
ideologie. Era un carattere aspro di moralista, un fustigatore dei costumi
come lo avrebbero descritto Teofrasto e La Bruyère. Così esigente da sé,
così intransigente sui princìpi, era sollecito e generoso, prestava
ascolto, si sobbarcava all'impegno e alla discussione.
Vocazione di pedagogo burbero, e benefico, prendeva sul serio le persone
fino a rissarvi, sempre voleva migliorare il mondo. Sentiva l'impegno
politico come un naturale prolungamento della morale; sapeva che in origine
religione significa legame.
Erede di Marx e Leopardi, aveva la finezza di ragionamento dei grandi
cabbalisti, e della scuola di Francoforte, ed una scrittura tesa come solo
nella bibbia e nella tragedia greca.
Non si ingannava, non ingannava altrui. Ha insegnato a saper sostenere la
contraddizione, a non subire la fascinazione del male, a resistere sempre,
ad amare il vero e il bene, di quell'amore tormentoso che non si fa
illusioni, e che sa che nel nodo di verità ed errore, di male e di bene,
siamo tutti strozzati, e nondimeno occorre scegliere, e lottare perché
prevalga l'umano, il fraterno.
Tra gli uomini che ho avuto la fortuna di conoscere e di cui conservo grato
qualche segno di amicizia, Franco Fortini, come Primo Levi, è di quelli che
penso abbiano certamente reso il mondo migliore, e la prova empirica che
posso darne è che, oltre ad infiniti altri, hanno reso migliore anche me.

9. In memoria di Franco Fortini scomparso cinque anni fa
Il 28 novembre sono cinque anni che Franco Fortini è scomparso.
Era un grande poeta e un grande pedagogo, un autentico costruttore di pace.
Si scandalizzava dinanzi alla sofferenza e alla menzogna, si indignava di
fronte alla riduzione a merce della vita e dell'umanità.
Di sconfinata cultura, pensava la missione del dotto consistesse nell'esser
uomo tra gli umani, e nel dare il suo contributo, senza illusioni ma senza
cedimenti, ad un comune cammino che adempisse "l'unità tendenziale tanto di
eguaglianza, fraternità e condivisione quanto quella di sapere scientifico
e di sapienza etico-religiosa".
Come Primo Levi, come Aldo Capitini, come Rosanna Benzi, come Ernesto
Balducci, è stato un maestro di umanità e di opposizione intransigente alla
violenza che l'umanità nega.

10. Ricordando Franco Fortini, a cinque anni dalla scomparsa
Cinque anni fa, il 28 novembre 1994, scompariva Franco Fortini: non solo
uno dei massimi poeti e critici della letteratura italiana del Novecento,
ma una persona di straordinario rigore intellettuale e morale, un antico
maestro di sapienza.
Era un uomo generoso e intransigente; la sua lucidità e la sua onestà gli
impedivano le compiacenze, le ipocrisie, i diplomatismi che tanto giovano,
come si dice, alla vita di società. Era perennemente indignato, ed aveva
ragione. Sempre scelse la parte degli oppressi, senza paternalismo e senza
ambiguità. Sapeva che siamo impastati di verità e di errore, e che chi non
si ribella alla violenza, all'ingiustizia, alla menzogna, è complice dei
soverchiatori.

11. Per Franco Fortini, cinque anni dopo
Franco Fortini, scomparso il 28 novembre di cinque anni fa, è stato maestro
di rigore morale e intellettuale a più generazioni di militanti della
sinistra critica.
Ci ha insegnato a rileggere Marx e Leopardi attraverso Simone Weil e Franz
Kafka: il suo marxismo era del tutto depurato dalle scorie positiviste,
dalle illusioni di uno storicismo che era camuffamento della vecchia
provvidenza dei teologi, dai tratti meccanici ed autoritari che hanno fatto
il fallimento di generazioni di rivoluzionari, di organizzazioni, di
esperienze statuali, degenerati in dogma alienato, in ferocia inumana, in
totalitarismo.
Il suo materialismo era quello di Leopardi e di Feuerbach, antitetico a
quelli della vulgata marxista-leninista o dei ridanciani epigoni
dell'illuminismo ridotto a frivolezza; era, mi pare, un materialismo
limpido e inquieto, di chi aveva letto (e tradotto) Le dieu caché, e Timore
e tremore. Il materialismo non volgare, non crasso, non burocratico, di un
uomo di alta spiritualità, di un antico sapiente, nutrito di radici
ebraiche e temperie protestante, di Dante e Manzoni, dell'etica della
Resistenza.
Io lo penso, con Primo Levi e Günther Anders, con Mohandas Gandhi e
Virginia Woolf, con Hannah Arendt e Franco Basaglia, tra i punti di
riferimento ineludibili di chi voglia agire nel segno ed al fine della
dignità umana.