Il dovere dell'America per Timor Est
                                 
                          di NOAM CHOMSKY

CI SONO tre buone ragioni per cui gli Stati Uniti farebbero bene a preoccuparsi di Timor Est. La
prima è che fin dall'invasione da parte dell'Indonesia nel dicembre '75, Timor Est ha vissuto alcune
fra le peggiori atrocità dell'era moderna. La seconda è che il governo degli Usa ha giocato un ruolo
decisivo in questa escalation di violenza e quindi potrebbe rallentarla o interromperla con relativa
facilità.

NON è necessario bombardare Giakarta o imporre delle sanzioni economiche. A Washington
sarebbe bastato ritirare l'appoggio al suo cliente indonesiano e informarlo che il gioco era finito. Il
ragionamento resta valido poiché la situazione sta arrivando al punto di svolta: questa è la terza
ragione.
Il presidente Clinton non ha bisogno di istruzioni per procedere. Nel maggio 1998 il segretario di
stato, Madeleine Albright, chiese al presidente indonesiano Suharto di dimettersi e di procedere a
una "transizione democratica". Qualche ora più tardi Suharto trasferiva la sua autorità a un
vicepresidente da lui stesso nominato. Anche se i rapporti di causa-effetto non sono così semplici, gli
eventi mostrano di quale natura siano i legami fra i due paesi. Porre fine alla tortura a Timor Est non
sarebbe stato più difficile del far dimettere il dittatore dell'Indonesia.
Non molto tempo prima, il governo Clinton aveva salutato Suharto come "uno dei nostri", fedele al
precedente stabilito nel 1965, quando il generale prese il potere e il suo esercito massacrò l'unico
partito politico di massa del Paese (il PKI, un partito d'ispirazione comunista che contava un vasto
appoggio popolare) e ne smantellò la base in "uno dei peggiori assassini di massa del XX secolo".
Secondo un rapporto della CIA questi massacri possono paragonarsi a quelli di Hitler, Stalin e Mao.
Morirono centinaia di migliaia di indonesiani, per la maggior parte contadini senza terra. La
"carneficina di massa" fu salutata in Occidente con grande euforia. Le multinazionali arrivarono di
corsa in questo "paradiso degli investitori" dove non c'era altra barriera se non la rapacità della
famiglia al governo. E per oltre 20 anni Suharto fu celebrato dai media come un "moderato" dal
cuore benevolo.
Suharto rimase uno dei preferiti dell'Occidente fino a quando incominciò a perdere il controllo e
commise i primi errori, dimostrandosi titubante nel somministrare le amare ricette del Fondo
Monetario Internazionale. Fu allora che arrivò da Washington il richiamo in favore di "una transizione
democratica", la cui origine non era certamente il rifiuto dell'Indonesia a consentire che il popolo di
Timor Est godesse del diritto all'autodeterminazione che era stato ratificato dal Consiglio di Sicurezza
dell'ONU e dal Tribunale de L'Aia. Risultò inutile che il Consiglio di Sicurezza dell'ONU ordinasse
all'Indonesia di ritirarsi. Il fallimento è spiegato dall'allora ambasciatore degli USA presso le Nazioni
Unite, Daniel Patrick Moynihan. Nelle sue memorie egli evoca con orgoglio di aver reso "inoperante
ogni misura presa dal Consiglio...visto che gli Stati Uniti desideravano che le cose andassero come
sono andate" e di aver "lavorato in questa direzione". Egli stesso ci spiega come "andarono le cose":
nel giro di qualche mese furono ammazzati 60.000 abitanti di Timor Est, equivalenti in proporzione ai
morti subiti dall'Unione Sovietica nella Seconda Guerra mondiale.
Il massacro andò avanti, arrivando alla quota massima con l'aiuto delle nuove armi fornite dal
governo Carter. Il totale dei morti al momento è di 200.000, che in proporzione al numero di abitanti
è il più alto dall'Olocausto. Nel 1978 la Gran Bretagna, la Francia e altri Paesi desiderosi di
procurarsi qualche vantaggio furono lieti di accodarsi agli Stati Uniti. Le proteste in Occidente furono
minime.
Nel 1989 l'Australia firmò un trattato con l'Indonesia per lo sfruttamento del petrolio "nella provincia
indonesiana di Timor Est", una regione che gli esperti più seri considerano economicamente poco
vantaggiosa e che dimostrava così di non esercitare l'autodeterminazione. Il trattato fu messo in atto
subito dopo che l'esercito ebbe assassinato qualche centinaio di abitanti di Timor Est, e le compagnie
petrolifere si unirono al saccheggio senza che nulla suscitasse neanche due righe di commento da
parte della stampa.
Dopo 25 terribili anni si stanno compiendo dei passi che potrebbero portare alla fine degli orrori. Ma
l'esercito di occupazione indonesiano (TNI) si era già mobilitato per impedirlo. Il metodo scelto è
stato semplice: organizzare forze paramilitari che terrorizzassero la popolazione e al tempo stesso
"negare tutto". Fortunatamente gli osservatori stranieri hanno potuto constatare con i loro occhi come
i killer venissero armati e guidati dallo stesso TNI.
Alcuni rapporti degni di fiducia raccontano che i paramilitari sono sotto la direzione dei Kopassus,
famigerati corpi speciali organizzati sul modello dei berretti verdi e "leggendari per la loro crudeltà". Il
veterano corrispondente australiano David Jenkins osserva che "queste forze speciali continuarono
ad addestrarsi insieme a quelle regolari dell'Australia e degli Stati Uniti fino a quando il loro
comportamento non diventò motivo d'imbarazzo per i loro amici stranieri". Il Congresso degli Stati
Uniti vietò che gli assassini e i torturatori del Kopassus continuassero a ricevere addestramento
militare, ma il governo Clinton trovò il modo di aggirare il divieto, con grande irritazione del
Congresso ma scarse reazioni fuori da Washington. Il divieto del Congresso potrebbe essere più
efficace, ma senza un'inchiesta seria, come quelle che raramente vengono messe in piedi quando il
terrore è sponsorizzato dagli Stati Uniti, non ci possiamo sperare.
La conclusione a cui arriva Jenkins, ossia che i Kopassus rimangono "attivi come sempre" a Timor
Est, è suffragata da altri osservatori presenti in loco. "Molti di questi ufficiali dell'esercito hanno
frequentato negli Stati Uniti i corsi del programma International Military Education and Training
(IMET), ormai sospeso." scrive Jenkins. Le loro tattiche ricordano il programma Phoenix, applicato
dagli americani in Vietnam del Sud, che uccise decine di migliaia di contadini e buona parte dell'élite
della società sudvietnamita, nonché "quelle dei Contras in Nicaragua", dove vennero applicate lezioni
impartite dalla CIA che sarebbe superfluo commentare. Questi terroristi di stato "perseguitano non
soltanto gli indipendentisti più accesi ma soprattutto i moderati, quelli che esercitano un'influenza più
forte sulle loro comunità".
"Si tratta del Phoenix"...commenta una fonte ben informata di Jakarta, la quale aggiunge che ha per
scopo "terrorizzare chiunque: le ONG, la Croce Rossa, l'ONU e i giornalisti". Il piano sta avendo
non poco successo. Dal mese di aprile i paramilitari hanno scatenato un'ondata di atrocità e
assassini, uccidendo centinaia di civili (persino dentro alle chiese dove si erano rifugiati), incendiando
villaggi e racchiudendo migliaia di persone in campi di concentramento sulle montagne per obbligarle
a lavorare alla raccolta del caffè. "Vengono chiamati "immigranti interni"- dice una suora cooperante
australiana - ma in realtà sono schiavi in ostaggio alle milizie. Hanno detto loro che se voteranno per
l'indipendenza verranno uccisi". Il loro numero è stato stimato in circa 50.000.
Descrivendo le scene di terrore vissute in prima persona, il Vescovo Carlos Ximenes Belo, Premio
Nobel per la Pace, aveva chiesto l'intervento di una forza militare internazionale" che proteggesse la
popolazione dalla violenza indonesiana e consentisse lo svolgimento del referendum. Niente da fare.
Il panorama, come si vede, è particolarmente cupo, soprattutto se si considera l'atteggiamento degli
stati "illuminati". Ancora una volta serve a sottolineare un dato ovvio: nulla è cambiato, né da parte
dei potenti né da parte dei loro adulatori. Gli abitanti di Timor Est sono "vittime senza valore". Ad
alleviare le loro sofferenze o, più semplicemente, fare quel poco che basta per farle cessare, non si
favoriscono gli interessi di nessuna potenza. Senza una reazione forte da parte dell'opinione pubblica
occidentale, la vecchia storia continuerà a ripetersi, in Timor Est come altrove nel mondo.
copyright Mojo Wire
(Traduzione a cura del Gruppo Logos)


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