DAL "MANIFESTO" DEL 12 DICEMBRE 2001
La mucca
La maggioranza degli italiani ha ripreso a
frequentare le macellerie. Le notizie di riscontro di positività all'encefalopatia
spongiforme bovina (Bse) si susseguono con regolarità (con l'ultimo episodio di Reggio
Emilia siamo a 42 casi confermati su 403.000 test eseguiti), ma non destano più
interesse, tanto meno scalpore. Ed è un atteggiamento che riguarda tutta l'Europa, non
solo l'Italia: nella stessa Gran Bretagna, dove la vicenda Bse ha assunto le dimensioni
della tragedia economico-zootecnica, i consumi di bistecche e filetti sono praticamente
tornati ai livelli pre-crisi.
Merito delle misure di prevenzione adottate o della mancata esplosione dei casi della
variante umana della Bse, come alcuni epidemiologi avevano pronosticato? Più
semplicemente, forse, si tratta di un'altra vittoria della cultura dell'impossibilità del
rischio zero nel campo alimentare (e quindi dell'inutilità di perseguire quest'obiettivo)
che la potente lobby dei produttori, ben sostenuta da scienziati allineati, si sforza di
inculcarci da anni. In ogni caso, si deve prendere atto che nel settore dell'allevamento
bovino è cambiato pochissimo: la produttività ad ogni costo continua a farla da padrone,
mentre la sanità pubblica è in difficoltà nel garantire i controlli. Emblematico il
settore dei mangimi dove, alla faccia di tutte le roboanti dichiarazioni d'intenti, si
continuano a trovare tracce delle proibitissime farine di carne. Anche l'impiego degli
ormoni per ingrassare i vitelli è ripreso in sordina e da alcune ricerche eseguite
dall'università di Torino emergono dati impressionanti delle patologie genitali che si
riscontrano in capi regolarmente macellati.
Ma, tornando alla Bse, anche la gigantesca e costosa operazione dei controlli a tappeto su
tutti i capi macellati di età superiore ai 24 mesi, avviata per rassicurare i
consumatori, offre più di un motivo di perplessità. Il test post-mortem, attualmente in
uso, presenta tutti i limiti delle analisi pre-cliniche in quanto è in grado di svelare i
capi affetti da Bse solo tre-quattro mesi prima del manifestarsi dei segni della malattia.
In altre parole, rivela i bovini malati e non gli infetti. Inoltre, secondo i tecnici,
eseguire le prove su animali giovani è inutile perché è dimostrato che il riscontro di
positività in capi di età inferiore ai tre anni è evento eccezionale. Una capillare
operazione di risanamento degli allevamenti è comunque avvenuta alla chetichella: nei
primi mesi dell'anno sono stati macellati e distrutti (e rimborsati) decine di migliaia di
vacche da latte a fine carriera, senza eseguire alcun test. Una specie di tolettatura,
targata Ue, che aveva un duplice scopo: da un lato far piazza pulita di tutti i capi
sospetti e dall'altro rivitalizzare il mercato della carne, alleggerendo l'offerta.
In ogni caso, il problema della Bse nelle stalle da latte pare destinato ad esaurirsi nel
giro di qualche anno per motivi fisiologici. La carriera delle campionesse da latte,
sottoposte ad un intenso sfruttamento è infatti breve: in media 5-6 anni. Questo rapido turn
over dovrebbe quindi consentire di rinnovare in poco tempo l'intero patrimonio,
confinando nel limbo della sporadicità la presenza della Bse. Il relativo silenzio
mediatico sui nuovi casi ha anche attutito le polemiche sugli abbattimenti. Mentre
all'inizio, pur fra le contestazioni dei Cobas del latte, era passata la linea di
eliminare tutti i capi presenti nelle aziende colpite da Bse, successivamente, grazie
anche a una pilatesca posizione del ministero della salute, in molte regioni sta
prevalendo la linea dell'abbattimento selettivo: in pratica, vengono macellati e distrutti
solo i capi che, in base all'età, hanno condiviso gli stessi fattori di rischio del capo
risultato positivo. Un messaggio ambiguo lanciato ai consumatori ed anche in
contraddizione con le stesse regole del mercato, ormai orientato a richiedere la
certificazione di "Bse free" per tutte le produzioni bovine.
Dal canto loro i consumatori, dopo le dure prese di posizione sull'onda dell'emotività
generalizzata che aveva accompagnato nei primi mesi dell'anno la vicenda mucca pazza,
paiono aver dimenticato la Bse. Non a caso assistono indifferenti al proliferare di
centinaia di marchi di garanzia sulla carne bovina, espressione di un dispersivo localismo
che è anche drammatico indicatore dell'assenza di una seria politica di qualità del
nostro comparto agro-alimentare. Nonostante in tutta Europa la sicurezza sanitaria
continui a essere il primo requisito richiesto ad un alimento, da noi la qualità si fa
soprattutto a parole. Cambiare modo di produrre in zootecnia non è facile: occorrono
investimenti finalizzati per correggere gli attuali indirizzi produttivi e una sanità
pubblica forte, in grado di garantire reali controlli e non solo il ritornello "è
tutto sotto controllo". In zootecnia, come negli altri comparti agricoli, esiste da
sempre una forte dialettica tra i produttori, che vogliono la semplice legittimazione
dell'esistente, e le esigenze di tutela della salute, messa a continuo rischio dalle
spinte di mercato, tutte tese a ridurre i costi ed a introdurre qualunque tipo di
tecnologia che consenta di raggiungere questo obiettivo. Non va infatti dimenticato che
mucca pazza è figlia dell'esasperazione produttiva che induce a qualsiasi tipo di abuso.
La stessa questione del biologico richiede un'attenta riflessione. Attualmente incide poco
sulla salute, poco sul mercato e non offre sufficienti garanzie. E talvolta tradisce il
suo significato più autentico di ripensamento del modo di produrre e di gestire
l'ambiente. Il biologico dovrebbe rappresentare una svolta post industriale e non pre
industriale: prendere il meglio della tradizione innestandovi utili elementi di modernità
(commercializzazione, comunicazione, forti garanzie sanitarie). Per far questo non basta
affidarsi al volontarismo, ma servono progetti pubblici di grande ampiezza. Esattamente il
contrario di quanto sta facendo la politica attuale che si preoccupa di far revocare il
veto alla "fiorentina", senza domandarsi perché le nostre razze bovine da
carne, in testa a tutte proprio la Chianina, viaggino spedite verso l'estinzione.
*responsabile sanità regione Piemonte