il manifesto, 13 novembre 2002
Rivolta studentesca a Kabul
Nell'anniversario della caduta dei taleban, la protesta degli
studenti repressa nel sangue
GIULIANA SGRENA
A segnare l'anniversario della fuga dei taleban da Kabul non saranno i
festeggiamenti, ma lo scoppio della prima rivolta studentesca da oltre vent'anni a questa
parte e i funerali delle vittime (due o quattro, a seconda delle fonti) della repressione.
Ma a finire sotto terra sono anche molte speranze suscitate dalla fine del regime dei
taleban. A scatenare la protesta di centinaia di studenti, iniziata lunedì e continuata
anche ieri, sono le pessime condizioni di vita nei dormitori dove vivono i ragazzi
provenienti dal sud e dall'est dell'Afghanistan, in maggioranza di etnia pashtun. Mancanza
di acqua, di cibo, ore di attesa per il pasto alla fine del digiuno di Ramadan, poi salta
anche la luce - l'elettricità è ancora un lusso a Kabul - e il dormitorio, che peraltro,
come alcune facoltà universitarie, si trova nella zona sudoccidentale della città,
quella devastata dagli scontri tra le varie fazioni dei mujahidin all'inizio degli anni
novanta, esplode di rabbia. Repressa dalla polizia - quella addestrata dai contingenti
stranieri presenti a Kabul, anche l'Italia aveva addestrato truppe antisommossa - con
idranti e con le armi. I poliziotti hanno fatto fuoco uccidendo alcuni studenti e
ferendone altri. Volevano impedire ai giovani di raggiungere il centro della città, dove
si trovano i ministeri. Ieri, finalmente, una delegazione degli studenti è stata ricevuta
da rappresentanti del ministero dell'educazione.
Il cibo manca, l'elettricità anche e i prezzi sono alle stelle. I vantaggi dell'arrivo
dei dollari portati o dai paesi donatori o dalle organizzazioni internazionali non vanno
sicuramente a beneficio degli studenti. La presenza delle forze internazionali - militari
dell'Isaf, funzionari dell'Onu e operatori delle Ong, oltre a giornalisti diminuiti dopo
il boom dello scorso anno - beneficia un numero estremamente limitato di persone che
percepiscono uno stipendio in dollari. L'afghano ha dovuto essere sostituito con la nuova
moneta forte che ha tolto tre zeri alla vecchia: ora un dollaro equivale a 40 afghani.
I soldi arrivati sono inferiori a quelli previsti, tanto che il bilancio di alcuni
ministeri - come quello delle donne, manco a dirlo il primo ad essere sacrificato - sono
stati tagliati, per ora la ricostruzione è affidata soprattutto all'iniziativa privata
tutta funzionale alla presenza straniera. Non esiste nessuna industria, la principale
risorsa del paese continua ad essere la coltivazione del papavero: nel 2001, l'Afghanistan
è tornato ad essere il primo produttore di oppio a livello mondiale. I profughi rientrati
che avevano qualche soldo l'hanno investito nel bazar, chi non ce l'aveva sta tornando
indietro, in Pakistan, dove non sarà senz'altro ben accetto.
In questa situazione non può certo sorprendere che si acuiscano i conflitti sociali e che
esplodano in rivolte. Tanto più che questi conflitti si innestano in rivalità etniche
tutt'altro che sopite: i pashtun si sentono mal rappresentati nel governo centrale che pur
essendo guidato da Hamid Karzai, della loro stessa etnia, viene ritenuto dominato dai
tagiki dell'Alleanza del nord. Del resto la forte presenza americana è riuscita ad
imporre un compromesso tra i vari signori della guerra ma non a raggiungere una
pacificazione.
Anzi, con i bombardamenti si provocano solo ulteriori conflitti: il malcontento e
l'ostilità crescente delle popolazioni colpite, vittime degli «effetti collaterali»
della guerra al terrorismo di al Qaeda. Ed è in questo contesto che si troveranno ad
agire anche i 1.000 alpini che l'Italia invierà in Afghanistan. E mentre il grosso delle
forze Usa e britanniche si sposta verso l'Iraq, la Germania e l'Olanda hanno chiesto il
supporto Nato all'Isaf schierata a Kabul, come forza di peacekeeping, ma che il presidente
Karzai - con qualche appoggio occidentale - vorrebbe estesa ad altre province.
E mentre Karzai è volato negli Stati uniti per ritirare un premio per aver promosso la
libertà in Afghanistan, a Kabul la polizia spara sugli studenti e un tribunale ha
confermato la condanna a morte, emessa lo scorso ottobre, contro uno dei signori della
guerra più feroci, Abdullah Shah, mentre gli altri continuano a farsi la guerra tra di
loro.
L'inizio del Ramadan ha peraltro ridato vigore alle forze più fondamentaliste ancora al
potere: la Corte suprema del governo islamico di transizione ha deciso la chiusura di
tutti i cinema del paese durante il mese sacro. Mentre l'autoproclamatosi governatore di
Herat ha deciso di vietare i festeggiamenti dei matrimoni nei ristoranti per evitare che
le donne possano ballare con gli uomini. Un compito arduo spetta al comitato incaricato
della stesura della nuova costituzione che dovrebbe conciliare la sharia con la
democrazia.