dal "manifesto", 28 Ottobre 2000

Kosovo, un voto pulito. Etnicamente
Oggi elezioni municipali nella regione ancora jugoslava (accordi di pace e
risoluzione Onu 1244) ma ormai, grazie a Kouchner e alla Nato, avviata a
un'indipendenza contesa con le armi dai leader albanesi, Rugova e Thaqi
TOMMASO DI FRANCESCO - SANDRO PROVVISIONATO

Quando tra domenica e lunedì si concluderà la conta dei voti per le elezioni
municipali di oggi, 28 ottobre, in Kosovo, in fondo alle urne la comunità
internazionale troverà le solite due illusioni di sempre: quella degli
albanesi che mirano in blocco a un'immediata indipendenza e l'altra nutrita
dai 240 mila serbi, rom e componenti delle altre comunità scacciati dalla
provincia, la grande speranza del ritorno.
Due illusioni che questa tornata elettorale, fortemente voluta dal
plenipotenziario dell'Onu, Bernard Kouchner, finirà per rendere ancora più
velenose e incancrenite. La riunione di fuoco, finita tra urla e minacce,
svoltasi giovedì sera a Pristina tra lo stesso amministratore dell'Onu
Bernard Kouchner e alcuni rappresentanti della comunità albanese la dice
lunga sulle gravi contraddizioni che attraversano la società kosovara. Tema
dello scontro: la questione delle bandiere da esporre sui seggi elettorali.
Kouchner voleva solo quelle dell'Onu e dell'Osce, i suoi interlocutori anche
quella rossa con l'aquila nera dell'Albania. Alla fine la scelta è stata
molto poco draconiana: dentro i seggi le insegne delle due organizzazioni
internazionali, fuori le bandiere di tutte le comunità, quelle serba ed
albanese comprese. Risultato: albanesi ancora più infuriati.
Ma c'è un ulteriore rischio ben celato dentro le urne kosovare: quello di
una ulteriore lacerazione in seno alla stessa comunità albanese nella quale
continuano a scontrarsi - senza alcuna possibilità di mediazione - due
anime: una moderata, disarmata e intimidita raccolta attorno a Rugova e
l'altra ultranazionalista, armata e violenta che fa riferimento al capo
politico dell'Uck, Hashim Thaqi. Il paradosso è che entrambe queste due
opzioni della politica kosovara puntano, senza sfumature, all'uscita della
provincia dalla Federazione jugoslava, anche quella nuova del neo-presidente
jugoslavo Voijslav Kostunica, entrambe hanno uno slogan elettorale scritto
con le stesse parole ("Indipendenza, libertà e democrazia"), entrambe
vogliono un Kosovo etnicamente pulito dai serbi. Ed è proprio questa
identità di vedute ad aver generato tra loro uno scontro violentissimo per
l'occupazione del potere.
In questo momento gli uomini di Thaqi, raccolti in quella finzione
internazionale che è il Tmk, cioè il corpo di protezione civile (ma armato)
albanese, hanno già di fatto occupato manu militari le principali
municipalità kosovare, eliminando, spesso assassinandoli, molti degli
esponenti rugoviani. Un responso elettorale favorevole a Rugova non
servirebbe certamente a scalzarli dai loro posti di autoproclamati sindaci e
amministratori - pure coperture formali per continuare i propri traffici e
pratiche estorsive a danno dei loro stessi connazionali.
Anche l'atteggiamento assunto dallo stesso Thaqi nel comizio di giovedì a
chiusura della campagne elettorale è un capolavoro di ambiguità: la stampa
internazionale ha strombazzato la notizia che il capo supremo degli
estremisti kosovari rinunciava al progetto più volte sbandierato della
Grande Albania. In realtà Thaqi, con la perfidia evocata dal suo nome di
battaglia, "Gjarper" (Serpente), ha soltanto sostituito il concetto di
"unificazione nazionale albanese", con quello di "integrazione nazionale
albanese". Dove sia la differenza è difficile capirlo, specie quando Thaqi
continua a rivendicare al Kosovo la valle di Presevo che si trova dentro i
confini della Serbia.
Dentro questo infernale caos kosovaro che vede ormai espulse, emarginate o
nella migliore delle ipotesi assediate nelle loro minuscole enclave tutte le
altre comunità, emergono con evidenza le responsabilità del Signore del
Kosovo: Bernard Kouchner.
L'ex studente comunista del maggio francese ha infatti una serie di colpe
precipue: ha di fatto avviato un processo di indipendenza del Kosovo senza
conoscerne bene lo sbocco concreto e soprattutto, in aperta violazione del
mandato internazionale conferitogli, quello della pacificazione, non ha
saputo tenere a bada i mastini della pulizia etnica albanese che, nei fatti,
hanno reso la provincia etnicamente purissima, con oltre due terzi della
popolazione non albanese fuggita e quasi mille persone (serbi, rom, goranci,
ma anche albanesi considerati "collaborazionisti") massacrate.
Kouchner si è mosso con in testa poche idee, ma molto confuse. Cercando di
ricreare un indispensabile tessuto giudiziario - senza alcuna presenza di
magistrati internazionali - ha puntato solo sul vecchio corpo dei giudici
albanesi, lo stesso che adesso, nel giro di un paio d'ore, processa e mette
in libertà gli stessi estremisti albanesi colpevoli di atroci delitti.
Lo stesso discorso vale per la scelta di introdurre il marco tedesco al
posto del dinaro jugoslavo come moneta ufficiale, un provvedimento che ha
nei fatti ufficializzato i traffici clandestini e il sistema del riciclaggio
in corso. Un elenco che potrebbe continuare all'infinito: le dogane
formalmente affidate agli sprovveduti militari della Kfor - sotto il cui
naso entrano e escono carichi di contrabbando - ma gestite pochi chilometri
dentro i confini da gruppi di uomini armati dell'Uck, in divisa da Tmk, che
impongono tasse e tariffe da loro personalmente incamerate; le
privatizzazioni e gli espropri in atto che continuano a favorire la legge
del più forte; la confusione degli assetti proprietari scatenatasi attorno
alle ricche miniere di Trepka, solo formalmente ancora di proprietà della
Jugoslavia.
E come dimenticare la base militare costruita dagli Stati uniti, a Bondsteel
(Urosevac), a ridosso della Serbia, collegata con un ponte aereo a una
equivalente in Bulgaria, una sorta di cintura di ferro destinata a stringere
la zona centrale balcanica e che ipotizza una lunga permanenza americana
nell'area. Una serie di aperte violazioni, insomma, sia degli accordi di
Kumanovo del giugno 1999 che posero fine alla guerra, sia della risoluzione
1244 dell'Onu che esclude categoricamente l'indipendenza del Kosovo.
Con la convocazione delle elezioni di oggi Kouchner è convinto di mettere
una ciliegina sull'immangiabile torta del lavoro fin qui condotto da lui e
dalla comunità internazionale. Poi, a urne chiuse, lascerà il suo incarico,
ma potrà sempre dire di essere stato lui l'artefice di una parvenza di
democrazia in Kosovo. Una democrazia che ha ancora il sapore del sangue,
l'odore dell'intimidazione, il gusto dell'odio e il puzzo della criminalità
e del fascismo.

da Rai news24 10/30/00 00:06
Kosovo. Vince Rugova, ma Kostunica non riconosce le elezioni
Belgrado, 30 ottobre
Le elezioni in Kosovo non sono valide. Lo ha detto ieri sera il presidente
jugoslavo Vojislav Kostunica, spiegando che Belgrado non puo' ritenere
valide le amministrative tenute in Kosovo sotto l'egida dell'Onu.

"La Jugoslavia non puo' riconoscere i risultati della consultazione e chiede
alla comunita' internazionale di pensare alla piena applicazione della
risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell'Onu", ha scritto Kostunica
in un comunicato diffuso in serata. Per il presidente le elezioni
"contribuiscono a legalizzare una società monoetnica che ha cominciato a
formarsi con la partenza dal Kosovo dei serbi e delle altre comunità non
albanesi".

Dopo la fine dell'intervento militare della Nato dello scorso anno e il
ritiro delle forze di sicurezza serbe dal Kosovo, gran parte dei civili
serbi sono stati costretti alla fuga dalle milizie albanesi, nonostante la
presenza della forza internazionale della Kfor. Quasi tutti quelli rimasti
hanno boicottato il voto. "I serbi non hanno partecipato alle elezioni - ha
ricordato Kostunica - e le nuove strutture amministrative locali verranno
create senza di loro".