From: "Chierico Navigante"
manifesto del 7/12
KOSOVO VENTIDUE MORTI, SOTTO GLI OCCHI DELLA KFOR-NATO, NELL'ULTIMA
SETTIMANA. E SIAMO A PIU' DI 400
Una guerra chiamata pace
Lamberto Dini: "In Kosovo è in atto una pulizia etnica al contrario, da
parte degli albanesi" Il rapporto Osce denuncia la violenza dell'Uck e
ammette: i paramilitari serbi scatenati dopo i raid Nato
- ESTER NEMO -

I l Kosovo sta vivendo una nuova fase di pulizia etnica, stavolta ai danni
delle etnie non albanesi. "Tutti i rapporti che riceviamo vanno in questa
direzione - dice a chiare lettere Lamberto Dini a Bruxelles - lo stesso
rappresentante dell'Onu Kouchner lo conferma e non ci sono i mezzi per farvi
fronte". E' l'ammissione italiana del fallimento. "L'Uck - per Dini - ha
messo in piedi un'amministrazione parallela che tassa la popolazione e si
arroga poteri che non ha". Il ministro degli esteri italiano si è detto
"colpito dalla vicenda di un villaggio del nord Kosovo da cui sono stati
cacciati tutti i croati che lo abitavano da 700 anni". Insomma, è violenza
quotidiana. Solo nell'ultima settimana in Kosovo i morti sono stati 22. Un
risultato sconfortante dopo sei mesi di complice protettorato della
Kfor-Nato. Lo ammette lo stesso portavoce del contingente internazionale:
"Sembra di essere tornati indietro", commenta Roland Lavoie. La situazione è
molto grave, tanto che il ministro degli esteri inglese, Robert Cook, ha
invitato gli albanesi a "porre fine alle uccisioni di serbi e a collaborare
con le istituzioni internazionali", ma da Pristina gli operatori
internazionali denunciano che la comunità albanese protegge con l'omertà i
colpevoli di assassinii, linciaggi e rapimenti.

E' un caos internazionale. Per discutere di Kosovo il segretario della Nato,
l'angloamericano George Robertson, incontrerà Kofi Annan a New York e
giovedì a Roma il "nostro" D'Alema: chissà se il presidente del Consiglio
ripeterà la denuncia di Dini? Il fallimento della politica atlantica è tale,
che non è più possibile nascondere la sostanziale assenza di qualsiasi
prospettiva, che non sia militare. La tragedia dei nuovi profughi, 260.000
tra serbi, rom e albanesi "collaborazionisti" e dei tanti rapiti, rimanda al
destino del Kosovo (indipendente, provincia serba, con o senza Milosevic o
che cosa?), al necessario rientro di questi nuovi disperati, al rispetto
degli accordi di pace. Sul destino di questi profughi l'Osce tace, come tace
l'Onu, che "parla" di aiuti e intanto nasconde l'embargo che affama i civili
in Serbia.

In questo contesto è arrivato ieri il rapporto dell'Osce sulla violazione
dei diritti umani in Kosovo. In parte per rinverdire la memoria delle
atrocità subite dagli albanesi - una memoria che, visti i risultati, rischia
ormai di essere debole come giustificazione della guerra aerea della Nato:
la sua inefficacia e miopia sono sotto gli occhi di tutti. In parte con
importanti denunce e sorprese, ma anche con contraddizioni. E' un rapporto
ponderoso, 900 pagine, denso di racconti di testimoni, di profughi. Non
"diretto", dunque, giacché deve scontare un'assenza sul campo, in Kosovo,
non marginale: dalla fine di marzo alla fine di giugno. Non aggiunge nulla a
quanto già sapevamo sulle atrocità commesse dai paramilitari serbi ai danni
degli albanesi e sulla strategia di espulsione degli albanesi, ma evidenzia
con chiarezza anche le responsabilità dell'Uck e i crimini commessi dai
separatisti albanesi. Impossibile ormai negarli. E anche se l'Osce si sforza
di dichiarare che i due momenti dell'ultimo anno in Kosovo non possono
essere "paragonati", dato che le violenze serbe erano "organizzate e
sistematiche", mentre quelle albanesi sarebbero da attribuire "al desiderio
di vendetta", l'intero rapporto è un paragone continuo e, insieme, la
denuncia più forte mai fatta finora contro l'Uck ha seguito una tattica
"deliberata nelle espulsioni dei serbi", nelle violenze "mirate" a
terrorizzare gli anziani serbi e, soprattutto, nell'eliminazione di "quegli
albanesi" non allineati all'Uck. Sono stati colpiti anche quei serbi che,
per professione o scelta politica, erano dei ponti tra le due comunità. Un
intero capitolo del rapporto, inoltre, è dedicato alla sorte dei rom,
attaccati dall'Uck in quanto ritenuti collaboratori dei serbi. La logica
delle azioni è dunque la stessa, da un lato e dall'altro.

Altra contraddizione del rapporto: nemmeno un accenno alle conseguenze sui
civili dei bombardamenti della Nato sul Kosovo. L'Osce afferma che il
periodo preso in considerazione è quello che va dall'ottobre del 1998
all'ottobre del 1999, un anno esatto, in cui c'è però "il" buco
significativo: dal 23 marzo al 27 giugno, cioè la durata della campagna
aerea della Nato (iniziata il 24 marzo). Proprio in questo periodo gli
osservatori dell'Osce erano stati abilmente ritirati dalla direzione
americana della missione (ricordate William Walker?) dopo la "provocazione"
di Rambouillet, anzi il loro ritiro segnò il via libera ai raid Nato.
Autoevacuati in Macedonia e Albania, hanno "raccolto le testimonianze di
circa 2700 profughi". In Kosovo e in Serbia, intanto, le bombe della Nato
colpivano obiettivi civili del tutto ingiustificati (ricordate i famosi
"effetti collaterali", le cluster bomb sulle città, i missili all'uranio
impoverito, le tante stragi?). Di tutto ciò non si fa menzione, sebbene
l'Osce precisi che rientra nelle sue competenze "monitorare le violazioni
delle regole di guerra". Eppure, rivela lo stesso rapporto, gli abusi e le
violenze dei paramilitari serbi sono aumentate "in modo esponenziale" dopo
l'inizio dei bombardamenti Nato, avviati appena 4 giorni dopo il ritiro
della missione Osce, anche se "il trend era in crescita" - ma la missione
Osce nei suoi rapporti dal Kosovo non parlò mai di pulizia etnica fino al 24
marzo quando, appunto, si ritirò per dare spazio ai raid della Nato.