Materiali per una cultura della pace e della dignità umana:
Alexander Langer, la fratellanza e la dolcezza

"Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto"

Sono passati cinque anni da quando Alex Langer ci ha lasciato, ed ancora
non mi capacito che non ci sia più; ma certo veramente è scomparso, perché
altrimenti di fronte alle nefandezze cui in questi ultimi anni abbiamo
assistito, primo tra i primi lo avremmo veduto levarsi, profeta disarmato,
a difendere gli oppressi e l'umanità, ad interporre se stesso, il suo
fragile corpo, la sua mite parola, tra la furia e le vittime.
Sono passati cinque anni, da quando Alex ci ha lasciato. E ci pesano come
macigni. Ma lo ricordiamo, ed il suo ricordo ci è grato, e ci persuade
ancora ed ancora all'impegno, alla resistenza nonviolenta, alla lotta
nonviolenta, all'edificazione nonviolenta; a cercar di dare una mano ai
"mediatori, costruttori di ponti, saltatori di muri, esploratori di
frontiera", per un'umanità fraterna di liberi ed eguali.
Ripubblicando il seguente intervento di Alex Langer in un opuscolo nel 1998
scrivevamo:  "Il testo che riproduciamo in questo opuscolo è la
trascrizione di una conferenza tenuta da Alexander Langer a Viterbo il 27
gennaio 1995.
La conferenza fu tenuta nell'ambito di un ciclo di incontri dal titolo
generale Quando l'economia uccide, promosso dagli obettori di coscienza
della Caritas e dalla Caritas diocesana di Viterbo, con il patrocinio del
Comune.
Quel ciclo di conferenze, che costituì un momento alto di riflessione e
testimonianza, si articolò nei seguenti incontri: 10 gennaio: "Un mondo
ridotto a mercato", relatore Enrico Chiavacci; 20 gennaio: "Diritti
dell'uomo o diritti dell'economia?", relatori Giuliana Martirani, Achille
Rossi; 24 gennaio: "L'economia nella dottrina sociale della Chiesa",
relatore Fiorino Tagliaferri; 27 gennaio: "Quando l'economia uccide...
bisogna cambiare", relatori Alexander Langer, Giulio Battistella, Paola
Moreschini.
Il testo dell'intervento di Langer lo riprendiamo dal fascicolo fotostilato
degli Atti del ciclo di conferenze curato dagli stessi obiettori
trascrivendo la registrazione degli interventi, trascrizione che non fu
rivista dai relatori. Abbiamo corretto alcuni refusi dovuti ad evidente
fraintendimento, in alcuni casi dubbi abbiamo lasciato il testo così come
trascritto negli atti.
Alex parlò a braccio, ed ovviamente riprese temi e formule che gli erano
abituali, rifletteva ad alta voce ancora una volta su cose che gli stavano
a cuore; parlò con semplicità e passione, con la mitezza che gli era
propria.
Con questa piccola pubblicazione abbiamo voluto contribuire alla ulteriore
diffusione di quelle parole, quei ragionamenti; altrove abbiamo detto dei
motivi, come dire: più personali, della nostra gratitudine nei suoi
confronti.
Ringraziamo di tutto cuore Sandro Ercoli, responsabile della formazione
degli obiettori di coscienza in servizio civile presso la Caritas di
Viterbo nonché principale artefici dei cicli di incontri per una cultura
della pace e della solidarietà che da qualche anno gli obiettori e la
Caritas tengono a Viterbo con la partecipazione di illustri relatori; lo
ringraziamo per averci permesso di ripubblicare la trascrizione
dell'intervento di Alexander Langer, ma soprattutto per aver promosso
questa ed altre iniziative".
Qualche mese prima, sul finire del 1997, avevo raccolto in un opuscolo
quattro ricordi, dedicati ad altrettanti -se posso permettermi questa
espressione, avendo goduto della loro benevolenza e del loro aiuto in
momenti ed iniziative che non mette conto citare qui- "maestri e compagni":
Ernesto Balducci, Alexander Langer, Primo Levi, Sergio Turone; il testo
dedicato a Langer lì incluso, e qui ripreso, era già apparso sul
settimanale viterbese "Sotto Voce" del 20 luglio 1995 con il titolo Per
Alex Langer.
Una sola nota per così dire filologica vorrei aggiungere qui, per
giustificare una correzione nel testo della trascrizione dell'intervento di
Langer a Viterbo: nelle precedenti edizioni avevamo seguito la trascrizione
fatta da chi aveva sbobinato la registrazione, che nella descrizione del
primo tipo di idoli, quelli del foro, aveva inteso che "erano quelli del
peccato"; a me pareva di ricordare che Alex avesse detto "del mercato",
formula che era anche più coerente con il contesto; in questa nuova
edizione, pur non avendo avuto modo di riascoltare la registrazione, e pur
senza aver ritrovato altri testi di Langer che mi confortassero nella mia
lettura, mi sono permesso di correggere il testo secondo il mio ricordo,
del quale mi sono venuto sempre più convincendo.
Ai testi premetto una breve notizia biobibliografica.

Peppe Sini
responsabile del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo

Viterbo, 26 luglio 2000

Notizia biobibliografica su Alexander Langer
Profilo biografico: Alexander Langer è nato a Sterzing (Vipiteno, Bolzano)
nel 1946, e si è tolto la vita nella campagna fiorentina nel 1995.
Promotore di infinite iniziative per la pace, la convivenza, i diritti,
l'ambiente. Per una sommaria descrizione della vita così intensa e delle
scelte così generose di Langer rimandiamo ad una sua presentazione
autobiografica che è stata pubblicata col titolo Minima personalia sulla
rivista "Belfagor" nel 1986 (poi ripresa in La scelta della convivenza,
vedi sotto).
Opere di Alexander Langer: Vie di pace. Rapporto dall'Europa, Arcobaleno,
Bolzano 1992; dopo la sua scomparsa sono state pubblicate due belle
raccolte di interventi: La scelta della convivenza, Edizioni e/o, Roma
1995; Il viaggiatore leggero. Scritti 1961-1995, Sellerio, Palermo 1996.
Segnaliamo inoltre: Scritti sul Sudtirolo, Alpha&Beta, Bolzano 1996; Die
Mehrheit der Minderheiten, Wagenbach, Berlin 1996; Più lenti, più dolci,
più profondi, suppl. a "Notizie Verdi", Roma 1998.
Opere su Alexander Langer: per il momento, a nostra conoscenza, vi è solo
una monografia complessiva in volume: Roberto Dall'Olio, Entro il limite.
La resistenza mite di Alex Langer, La meridiana, Molfetta 2000. Del resto
si sta ancora procedendo alla raccolta di tutti gli scritti e gli
interventi (Langer non fu scrittore da tavolino, ma generoso suscitatore di
iniziative e quindi la grandissima parte dei suoi interventi è assai
variamente dispersa). Si veda comunque almeno il fascicolo monografico di
"Azione nonviolenta" di luglio-agosto 1996; l'opuscolo di presentazione de
La Fondazione Alexander Langer - Stiftung, suppl. a "Una città", Forlì (per
richieste: tel. 0543/21422; fax 0543/30421), ed il nuovo fascicolo edito
dalla Fondazione nel maggio 2000 (per richieste: tel. e fax
0039/0471/977691). La Casa per la Nonviolenza di Verona ha pubblicato un
CD-Rom su Alex Langer (per informazioni: tel. 045/8009803; fax 045/8009212;
e-mail: azionenonviolenta@sis.it).
Indirizzi utili: Associazione Pro Europa, Lauben 48 via Portici, c. p. 396,
Bozen 39100 Bolzano, tel. e fax: 0471/977691, e-mail: proeuropa@dnet.it;
Fondazione Alexander Langer Stiftung, via Portici 49 Lauben, 39100
Bolzano-Bozen, tel. e fax 0039/0471/977691; e-mail:
foundation@alexanderlanger.it; sito in rete: http://www.alexanderlanger.it

1. Alexander Langer: Quando l'economia uccide... bisogna cambiare
Vorrei innanzitutto fare un ricordo per tutti significativo: oggi, in tutto
il mondo, si svolge il ricordo dell'olocausto di Auschwitz e forse molte
crisi di umanità che oggi stiamo affrontando ci richiamano anche a questo
abisso nel quale non un solo popolo, ma la comunità, la nostra comunità
europea civilizzata ed industrializzata, è precipitata. Il ricordo di
Auschwitz, in questi giorni, forse sta proprio a significare, per ognuno di
noi, che mai più questo possa accadere.
Una delle grandi difficoltà di oggi è quella di trovare, non solo buone
ragioni o valide cause in cui impegnarsi, ma anche ragioni perché questo
impegno abbia un senso, non solo di testimonianza o per mettere a posto la
coscienza. Il punto di partenza è proprio questo: il riconoscimento di una
reale grande difficoltà.
Ci sono oggi molti fatti scoraggianti e, guardando alle guerre, alla fame,
all'enorme dislivello che aumenta tra ricchi e poveri, una persona potrebbe
scoraggiarsi in anticipo ancor prima di cominciare ad impegnarsi. Ci sono
tanti fatti scoraggianti per chi è, ad esempio, impegnato sui temi
ambientali e che, in particolare, di fronte alla natura di oggi, constata
come la velocità della distruzione è talmente superiore ai tempi della
ricostruzione: ci sarebbe voglia di disperare. Pensiamo a quanto tempo ci
vuole per far crescere un albero e in quanto poco tempo si abbatte, a
quanto tempo ci è voluto per formare le nostre riserve e quanto ci è voluto
perché i nostri mari si riempissero e come in molti casi oggi li abbiamo
già vuotati. Insomma, se si confrontano i tempi della distruzione e i
tempi, viceversa, della manutenzione e della ricostruzione, ci sarebbe da
scoraggiarsi. Credo ci siano poi anche altre ragioni che ci impongono degli
interrogativi, senza peraltro che si possano trovare a tutti delle risposte
soddisfacenti.
Guardiamo per esempio a come è oggi l'Italia.
L'Italia venti anni fa era considerato il Paese più politicizzato, il Paese
con la più alta partecipazione civica e passione politica del mondo, non
nel senso di tifoseria, ma di alta partecipazione, di attivazione civica,
di intensità. Guardiamo invece a cosa siamo arrivati oggi: da un lato la
degenerazione della politica ad affari, a procacciamento di posti, di
vantaggi, di interessi, e dall'altro, verificatosi negli ultimi mesi, il
trionfo della politica-spettacolo. Io penso che le ragioni del dubbio e
anche qualche volta di un certo sconforto, siano presenti. Tanto più se si
guarda a quanto sia difficile poi costruire una alternativa che abbia senso.
Oggi siamo di fronte a  numerose ed a notevoli crisi di molti dei grandi
orizzonti, delle grandi ideologie o ideali, di ciò che in qualche modo dava
un senso positivo all'azione, all'impegno, dava insomma motivazioni,
sostegno, speranza e spiegazione al mondo di quel che si faceva e sembrava,
per questo, indicare un indirizzo. Credo che queste crisi attraversino un
po' tutti i campi, perché mi pare che sia in crisi, allo stesso grado e
allo stesso tempo, l'idea del progresso. Per esempio a me sembra difficile
definirsi oggi progressisti senza autoironia così come sono fortemente in
crisi le varie idee di nazione: guardiamo a che cosa portano oggi i vari
nazionalismi. Al tempo stesso sono in crisi le esperienze sovranazionali:
guardiamo la crisi ad esempio delle Nazioni Unite, la loro impotenza e
scarsa credibilità, ma guardiamo anche ad altre grandi idee, grandi ideali,
comprese le religioni, compresa la fede nel mercato.
Ecco, tutto ciò è fortemente in crisi.
Per ipotizzare una via di ricostruzione bisogna fare uno sforzo per
sgomberare il campo da alcuni idoli. Non parlo di idoli come false
divinità, ma di idoli in senso più modesto, come veniva detto dal filosofo
illuminato Bacon. Egli aveva individuato degli idoli che, per comodità,
voglio richiamare. Questo faciliterà l'esposizione non solo rispetto a ciò
che può fare il potere, il mercato, il governo, i sindacati o altri, ma
anche a quello che tocca ad ognuno di noi fare: è molto importante capire a
quale ispirazione, orientamento ci sentiamo impegnati.
Bacon aveva utilizzato questi quattro tipi di idoli: quelli del foro,
quelli del teatro, quelli della tribù e quelli della caverna.
Quelli del foro erano quelli del mercato.
Io credo che oggi gli idoli del mercato siano ampiamente presenti nell'idea
che il fine supremo della vita sia quello di fare soldi. Questo ci viene
quasi quotidianamente propinato dalla televisione, dai concorsi a premi,
dall'idea che comunque la vita è una lotteria e che in particolare il primo
premio, o comunque che i premi vincenti, siano quelli che portano molti
soldi. Tutto sembra poter essere trasformato in soldi compresi gli organi,
la creatività intellettuale, ogni surrogato di solidarietà che può essere
pagato, dall'assistenza all'anziano alla maternità, fino all'utero in
affitto. Da questo punto di vista, l'idea dei soldi e della ricchezza come
obiettivo riconosciuto ed unificante è oggi un po' il primo di questi
idoli, e, se non riusciamo a preparare il terreno in un'altra direzione,
assai difficilmente è immaginabile anche la costituzione di una alternativa
civile.
Il secondo, quello del teatro, mi pare non ci voglia molto a comprenderlo.
Siamo oggi, molto più che ai tempi di Bacon, in una società dell'immagine,
ed è una constatazione sufficientemente realistica dire che oggi sembra che
solo ciò che esiste a livello di immagine ha diritto di cittadinanza. Io
credo che oggi, tra i requisiti per un cambiamento per un'alternativa
civile, etica, sociale, una condizione di grande importanza sia quella di
sfuggire alla frenesia e alla sudditanza dell'immagine. Credo, per esempio,
che chi opera in politica ed in altri enti pubblici, sa benissimo che anche
la migliore idea non serve se poi non viene riconosciuta o se più
semplicemente viene deformata. La concorrenza sull'immagine e per
l'apparire sulla stampa e sulla televisione fa parte quindi di un certo
senso del mestiere.
Credo però che una costruzione di alternativa sia possibile solo da parte
da chi, non solo si sia appunto liberato dall'idolo del foro, cioè del
denaro e del mercato, ma anche di questo dell'immagine. Altrimenti non c'è
dubbio, e lo vediamo in questa fase politica, che tutto, tutto verrà
sottoposto alla utilizzabilità sul piano dell'immagine, della
spettacolarità, della finzione, insomma della non-verità.
Sostanzialmente quindi, se si vuole lavorare in un cambiamento, occorrono
ambiti, persone, comunità che in qualche modo incoraggino anche chi sia
stanco della dittatura dell'immagine, cioè che incoraggino per esempio chi
non è servo dell'immagine televisiva o della stampa, sia che si tratti di
magistrati o che si tratti di vescovi, sia che si tratti di sportivi o che
si tratti di medici. Sappiamo che nel momento in cui l'esercizio di una
funzione, l'esercizio di una partecipazione civile o di qualunque altra
cosa, si svolge sotto il condizionamento dell'idolo del teatro e della
sceneggiata, allora è pressoché impossibile la reale partecipazione e il
peso della gente, e la stessa verità in tanti ancora sarà assente.
Il terzo tipo di idolo di cui parlava Bacon, riferendosi a tempi un po'
diversi, è quello della tribù, cioè quello dell'appartenere alla tribù.
Se io oggi uso questa immagine mi riferisco fortemente ad una intesa di
spirito quasi tribale, etnico, nazionalistico, e, comunque vogliamo
chiamarla, di una ipervalutazione del noi: noi che abbiamo lo stesso colore
di pelle, noi che apparteniamo alla stessa nazione, noi che tifiamo la
stessa squadra, noi che pratichiamo la stessa religione.
In questo smodato ed esagerato bisogno di bandiere vi sono bandiere di
identificazione e di compattazione, vi sono bandiere contro qualcuno,
bandiere che dovrebbero obbligare chi non vuole stare in un campo a
scegliere e a delimitarsi, e quindi anche a contrapporsi a qualcun altro.
Io credo che oggi anche la ripresa della crisi di ideali internazionalisti
o sovranazionali, comunque di affratellamento di popoli, porta ad una forte
emergenza di idoli della tribù e mi pare che sia una delle cose che
impediscono la costruzione di alternative più pacifiche e più civili.
Il quarto di questi idoli che voglio citare, abusando di Bacon, è quello
della caverna.
Bacon diceva che l'uomo, la specie umana, non ha una conoscenza piena delle
cose. Egli ha una conoscenza velata che deriva dal nostro essere finiti e
limitati. Bacon diceva che l'uomo è come se stesse in una caverna e vede
passare alle sue spalle le cose delle quali in realtà ne vede solo l'ombra,
e quindi è vittima in un certo senso di questa illusione ottica, di questa
sua ridotta percezione.
Tra le illusioni ottiche della caverna di cui siamo oggi particolarmente
vittime e particolarmente esposti, c'è una illusione di onnipotenza. In
questo senso oggi il  "diventerete come Dio" è più forte che in ogni altro
tempo che l'umanità abbia mai vissuto. Si pensi che oggi appunto non solo
si teorizza, ma si pratica, la stessa costruzione artificiale di vita,
della natura ed in generale delle fonti energetiche, dell'equilibrio
termico o di qualunque cosa. Si pensa che attraverso una
artificializzazione della natura, della vita, del pianeta intero, si
riesca, con fughe in avanti, a risolvere i problemi ed a puntare su una
ulteriore crescita, un'ulteriore arbitraria soddisfazione di presunti
bisogni.
Questo è il quarto dei grandi idoli che rendono appunto difficile oggi il
cambiamento. Qualcuno lo ha chiamato il Faustismo, richiamando l'idea di
poter fare tutto, facendo anche il patto con il diavolo, fino alla
ri-creazione dell'uomo secondo i propri desideri.
Io penso che per costruire un mondo oggi più sostenibile, termine con il
quale intendo molte cose, bisogna prima riuscire ad affrancarsi da questi
idoli e la cosa non è facilissima perché tutto tenderebbe a spingere nella
direzione opposta.
Cosa potrebbe voler dire un mondo più sostenibile? Oggi si parla, anche nei
documenti dell'ONU, di sviluppo più sostenibile, e, al di là del nome
tecnologico, una lettura realistica potrebbe voler dire "continuiamo come
prima, ma cerchiamo di moderarci un po'". Però, al di là di questa lettura,
è importante capire che la nostra civiltà, così come appare, non è
compatibile con la natura perché, se continuassimo solo con questa
produzione di rifiuti, non ci basterebbe il pianeta che abbiamo. La stessa
cosa si potrebbe dire per l'energia e per tutti gli altri campi.
Tutto questo, accanto ai molti paradossi della vita economica, della vita
sociale, della vita ecologica, credo che ci obblighi ad un cambiamento di
rotta. Io cerco di individuare solo alcune strade possibili, non un
affresco di come potrebbe essere il nuovo mondo, perché mi pare che non si
possa avere un affresco del genere. Ci sono però alcune cose che si possono
già dire.
Una è la forte rivalutazione e rivitalizzazione delle comunità locali.
Io credo che oggi una delle vie del risanamento passa attraverso la
rivitalizzazione ed il rafforzamento delle radici, anche delle pluralità
delle radici. Quando dico radici non parlo di realtà biologica, ma,
sostanzialmente, di ciò che ci permette di sentirci a casa, di ciò che ci
permette di sentirci parte di generazioni, di storia, di tradizione, di
cultura, anche di prospettiva di senso. Credo che oggi ci sia un forte
bisogno di rafforzare le radici e, siccome su questo bisogno si specula con
tante forme di integralismo, la comunità locale deve essere la ragionevole
alternativa su cui coltivare le radici senza abusi ideologici.
Coltivare le radici vuol dire fare quello che noi tanto ammiriamo nei
cosiddetti popoli indigeni, che vivono da custodi della terra in cui
stanno. Da questo punto di vista oggi qualunque politica si proponga
un'alternativa deve fortemente rivalutare la dimensione locale, che porterà
poi a rivalutare la dimensione del vicinato, delle vicinanze, del
radicamento, per restituirgli un senso.
Radicamento non vuol dire che uno deve concentrarsi egoisticamente sul
proprio territorio o che sarà obbligato a vivere sempre nello stesso posto,
anche perché in ogni caso la nostra civiltà obbligherà sempre più persone
ad andare via, ad emigrare, per necessità, per poter migliorare la propria
vita e per altro ancora. Però se oggi non si riscoprono le radici, ho paura
che si è molto più esposti a qualunque soluzione totalitaria, a qualunque
inganno televisivo, agli idoli sopra esposti.
Serve quindi la rivalutazione della comunità locale dove comunità non vuol
dire solo unità amministrativa, non vuol dire solo un quadratino sulla
carta geografica, ma vuol indicare qualcosa che è cresciuto, che poi si
modifica ma che ha dei legami.
Penso invece che la frase ormai molto usata, del pensare globalmente ed
agire localmente, è fondamentale, ed oggi nessuno può fingere di non sapere
che qualsiasi scelta facciamo a livello locale ha delle ripercussioni
globali molto forti: i prodotti che compriamo cominciano ad essere quelli
che rifiutiamo, quelli che versiamo nel rigagnolo sotto casa hanno delle
conseguenze anche altrove, il motore acceso della macchina ha conseguenze
anche globali, i sacchetti di plastica hanno conseguenze anche altrove,
eccetera. Il fatto che utilizziamo dei detersivi più rispettosi dell'aria e
dell'acqua ha conseguenze globali. Anche delle piccole scelte quali
l'andare in bicicletta e non in macchina hanno conseguenze un po' su tutto
e non solo sui nostri polmoni.
Un altro settore importante di rigenerazione è la assoluta necessità di
agire per una politica, per una cultura e una amministrazione per la
convivenza tra diversi. Non esistono più, e se mai esistevano, non
esisteranno più soprattutto nelle città, ma anche nelle campagne, realtà
perfettamente omogenee dal punto di vista etnico, culturale.
Siamo cioè in un mondo molto più mescolato di quanto magari non ci piaccia,
però abbiamo solo due alternative di fondo: o puntare, chiamiamola pure
così, sull'epurazione etnica, cioè creare una forte omogeneità, e questo
significa usare violenza, reprimere, cacciare via, sterminare, ghettizzare;
oppure sviluppare l'arte della convivenza.
Io credo che lo sviluppo dell'arte della convivenza, tra etnie, tra Nord e
Sud, tra noi diversi, tra professioni, tra persone con diverso colore della
pelle, tra lingue, culture, eccetera, è oggi una delle condizioni
fondamentali per il riequilibrio e per la conservazione della stessa pace.
Penso che a questo proposito sia molto importante dire che la convivenza
non è in contrasto con la politica del luogo, perché il luogo è ospitale
anche con chi ha diverso colore della pelle o parla una lingua diversa se
sa rispettosamente inserirsi.
Io credo che al di là dei grandi disegni che si possono fare, oggi un punto
di svolta verso un'alternativa di ricostruzione, che è forse possibile, mi
pare che possa sintetizzarsi abbastanza bene intanto con una parola molto
comune che io chiamerei la semplicità. Credo cioè che oggi ci sia molto
bisogno di una svolta verso la semplicità, da molti punti di vista. E
quando dico semplicità non lo dico per negare che il mondo è complesso,
anzi, le semplificazioni sarebbero pericolosissime.
Non voglio significare l'idea manichea della massima semplificazione di
decidere chi è il buono e chi è il cattivo, con la quale le destre del
mondo a volte hanno successo, non dico quindi semplificazione o
semplicismo, dico proprio semplicità, che vuol dire sostanzialmente operare
una svolta nei nostri comportamenti, nelle scelte economiche che facciamo,
nelle scelte di come organizziamo la convivenza. Svolta che a mio giudizio
si potrebbe sintetizzare bene capovolgendo esattamente nel suo contrario il
motto dei giochi olimpici.
Il motto dei giochi olimpici ci spinge al massimo della competizione: "più
forte, più alto, più veloce". Io credo che la svolta verso la semplicità
può facilmente capovolgere questo.
Invece di dire più veloce probabilmente abbiamo bisogno oggi di una svolta
verso una maggiore lentezza (lentius).
Invece di dire più alto, che è poi il massimo della competizione, io credo
che possiamo puntare viceversa sul più profondo (profundius), cioè sul
valorizzare più le dimensioni della profondità che significa tante volte
rinunciare alla quantità, alla crescita, guadagnando in qualità.
E invece di più forte oggi possiamo cercare invece il più dolce, il più
mite (suavius): nei comportamenti collettivi ed individuali invece di
puntare alla prova di forza, al massimo della competizione, si punti, anche
in questo caso, sostanzialmente alla convivenza.
Più di duecento anni fa, Kant cercando di capire una regola generale che
potesse illuminare tutti, credenti e non credenti, su che cosa fosse giusto
fare, disse: "noi dobbiamo agire in modo tale che i nostri criteri di
comportamento possano essere anche i criteri di ciascun altro".
Io credo che oggi questa regola ha una comunicazione in più: oggi dovremmo
dire che, di per sé, ogni nostro comportamento, per essere equo, dovrebbe
teoricamente essere moltiplicabile per cinque miliardi, tali siamo gli
abitanti del mondo, e credo che allora molto presto ci accorgeremo che
molti dei nostri comportamenti non sono eticamente accettabili perché non
sono moltiplicabili per cinque miliardi.
[Trascrizione non rivista dall'autore]

2. Per Alex Langer
Aveva scritto in memoria di Petra Kelly: "Forse è troppo arduo essere
individualmente dei portatori di speranza: troppe le attese che ci si sente
addosso, troppe le inadempienze e le delusioni che inevitabilmente si
accumulano, troppe le invidie e le gelosie di cui si diventa oggetto,
troppo grande il carico di amore per l'umanità e di amori umani che si
intrecciano e non si risolvono, troppa la distanza tra ciò che si proclama
e ciò che si riesce a compiere".
Sotto un albicocco in pian dei giullari, nella soave campagna fiorentina,
Alex Langer ci ha lasciato.
In uno dei suoi ultimi scritti diceva: "Ad una visione dell'Europa e del
mondo incentrata su un'idea di sviluppo fatta di mercificazione,
competizione e crescita (citius, altius, fortius: più veloce, più alto, più
forte) vogliamo opporre un'alternativa rovesciando il motto olimpico: più
lentamente, più in profondità, con più dolcezza".
Era una persona buona e ragionevole, sensibile e rigorosa. Ricordo che ogni
volta che lo interpellammo nel corso degli anni (sempre vi era qualche
buona causa ed urgente, non siamo di quelli che mandano auguri) mai il suo
braccio, la sua voce mancò. E così lo ricorda chiunque lo conobbe, pronto
sempre a profondere il suo impegno solidale, contro la violenza anche la
più nascosta e subdola, per salvare il mondo che è uno e di tutti.
Il fardello che lo gravava, l'orrore dell'ora presente, la solitudine del
giusto, la sofferenza di non riuscire a contrastare il male come si
vorrebbe.
Resta che anche il suo carico quelli che restano l'hanno da portare. Non
sarà facile. È necessario.