Da "Liberazione" del 10 novembre 2000

Il rischio di una Costituzione regressiva per un superstato in gestazione è ormai reale
Diritti sulla Carta

Il Consiglio europeo di Colonia decise il 3 e 4 giungo 1999 che una Carta dei diritti fondamentali sarebbe stata elaborata e proclamata nel dicembre 2000 prima della revisione del Trattato di Amsterdam e prima della nuova fase di allargamento dell’Ue. Il Consiglio europeo di Tampere definì poi (il 15 e 16 ottobre 1999) la composizione dell’istanza incaricata di elaborare la Carta, composta appunto da rappresentanti dei Capi di Stato e di governo e dei Parlamenti nazionali, dai rappresentanti della Corte di giustizia europea, del Comitato economico e sociale, del Comitato delle Regioni. Fin dalla prima riunione (17 dicembre 1999), i 63 redattori che si sono chiamati “Convenzione” hanno avuto reali difficoltà a trovare il filo del discorso. Per forza di cose, essendo stati posti come ineludibili i tre postulati seguenti: 1) il mandato del Consiglio europeo di Colonia limita i lavori a ciò che permette il Trattato e ognuno sa che il Trattato dell’Unione europea contiene disposizioni sociali estremamente restrittive. E’ concepito in maniera tale che nulla possa ostacolare la circolazioni delle merci, dei beni e servizi e dei capitali. 2) la Segreteria del Presidium considera che la Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1951 costituisce uno standard minimo e che «la Carta non può segnare una regressione dalla Convenzione del ’51 com’è interpretata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo». D’altra parte, la Convenzione stessa non contiene che i diritti civili e politici. Fu redatta in un clima di dibattiti appassionati che ebbero come effetto che i diritti sociali e culturali, iscritti nella Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo della Nazioni unite del 1948, furono rigettati. 3) infine, per quanto concerne i diritti sociali, la Segreteria del Presidium impone un argomento formidabile: «I diritti da garantire non sono della stessa natura. Esistono diritti che sono chiaramente esigibili. Altri, per essere messi in opera, esigono un’azione dell’Unione, azione nel cui quadro il legislatore dispone d’un largo potere discrezionale. (...) Occorre quindi riflettere su ciascun diritto, al fine di determinare se esso può essere esigito o se può essere formulato in maniera tale che lo sia. Certi diritti dovranno essere definiti come principi politici». Quest’esigenza è stata sostenuta dalle dichiarazioni di numerosi parlamentari europei: «Non si possono fare promesse che non si potrà mantenere». Un leit motiv risuonava nei corridoi della Convenzione: «Questa Carta è il gatto che si morde la coda».
Il Preambolo Ci fu subito qualche brontolio quando durante le prime sedute alcuni membri della Convenzione proposero articoli che garantivano i diritti sociali così come sono sanciti nelle Costituzioni e nelle legislazioni nazionali. I conservatori e i liberisti, invece, intimavano «Il Trattato! Nient’altro che il Trattato». Gli altri azzardavano ancora, evocando «l’opinione pubblica» che non avrebbe capito. L’argomento produsse un certo effetto. I membri della Convenzione hanno optato insieme per un capitolo «Solidarietà». Hanno cercato un compromesso confezionando qualche articolo che poteva illudere all’integrazione dei diritti sociali nella Carta, proprio mentre indicavano le restrizioni che li rendono non effettivi. Mentre i diritti civili e politici, protetti dalla Convenzione del ’51, valgono logicamente per «Tutti», quelli del Capitolo «Solidarietà» sono presi nella rete d’una frase che comincia per: «L’Unione riconosce e rispetta...» e d’una litania finale «... secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario e dalle pratiche e legislazioni nazionali». Ci si interroga adesso sulla decisione del Consiglio europeo. Renderà o no vincolante questa Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea? Per i conservatori e gli ultraliberisti che hanno rifiutato i diritti soicali, la risposta è si, il prima possibile. Presentata al Consiglio europeo di Biarritz del 13 e 14 ottobre 2000, la decisione della sua proclamazione ufficiale dovrà essere presa dalle 3 istituzioni europee a Nizza il 7 e 8 dicembre 2000. Il cantiere della Carta sarà chiuso. Il Consiglio europeo - come spinto da una forza irresistibile e suprema - si impegnerà in fretta e in furia in un processo d’allargamento con l’obiettivo di estende l’Unione europea a 27 Stati. Parallelamente, ci sarà «l’assestamento finale» dell’Unione economica e monetaria per i 12 paesi della zona euro. Dal 1° al 15 gennaio 2002, 50 miliardi di monete e 14 miliardi di biglietti in euro rimpiazzeranno le monete e i biglietti in monete nazionali. Nel 2003, sarà costituito un primo esercito europeo, con una forza di 180mila militari. E, dal momento che sarebbe pericoloso concepire un esercito e una moneta senza Stato, diversi Capi di Stato e di governo giudicano urgente porre le fondamenta d’una Costituzione europea per decretare un Super Stato di diritto superiore alle Costituzioni nazionali. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea - che è stata l’oggetto d’un compromesso indegno ma salutata come una grande vittoria da molti, istituzionalizzata e proclamata in pompa magna, è dunque chiamata a diventare il preambolo della Costituzione europea.
Il diritto al lavoro Il risultato sarebbe una “Costituzione” con premienza di diritti, ma senza obblighi sociali: il diritto al lavoro, il diritto ad un reddito minimo, il diritto ad una retribuzione equa, il diritto all’alloggio, la libertà degli organi d’informazione e il loro pluralismo, il diritto all’accesso ai servizi d’interesse generale non sono infatti garantiti nell’Unione europea. Il diritto di sciopero non è riconosciuto a livello dell’Unione. Una volta di più, l’Ue dimostra la sua capacità di smantellare le costruzioni sociali. Il processo d’elaborazione di questa Carta poteva essere considerato utile se avesse apportato garanzie giuridiche ai diritti sociali inscritti nelle Costituzioni e legislazioni nazionali di fronte allo sviluppo delle competenze dell’Unione nel campo del mercato, della messa in opera della moneta unica e dei criteri vincolanti del Patto di stabilità, della sicurezza, della Difesa. Ma non se n’è fatto niente. Questo processo è stato al contrario sfruttato per procedere alla sottrazione dei diritti sociali dall’ordine giuridico. Il modo con cui sono stati aggirati il diritto al lavoro, il diritto al reddito, il diritto all’alloggio, è inaccettabile. Gli autori della Carta hanno sottilmente trasformato il diritto al lavoro in diritto a lavorare nel capitolo “Libertà”: «Tutti hanno diritto a lavorare e ad esercitare una professione liberamente scelta o accettata» (articolo 15). Così, i datori di lavoro e gli Stati non hanno più obblichi, se non di lasciare ciascuno libero di lavorare... o di crepare di fame! L’inscrizione del diritto a lavorare nel capitolo “Libertà” è stato giustificato in questo modo: «Il testo sopprime il diritto di prestazione». Ciò che, chiaramente, rimette in causa le regole sui sussidi di disoccupazione.
Il diritto al reddito e all’alloggio Il testo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea è molto ambiguo e pernicioso. Dice: «Al fine di lottare contro l’esclusione sociale e la povertà, l’Unione riconosce e rispetta il diritto ad un sostegno sociale e ad un sostegno all’alloggio destinati ad assicurare un’esistenza degna a tutti coloro che non dispongono di risorse sufficienti, secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario e dalle legislazioni e pratiche nazionali». Quest’ultima frase non comporta alcuna garanzia dal momento che le modalità stabilite dal diritto comunitario favoriscono gli obiettivi di liberalizzazione del mercato e i criteri drastici di convergenza per la moneta unica, obbligando gli Stati a ridurre la «generosità» (sic!) rilevata nelle legislazioni e pratiche nazionali. Quanto all’inizio dell’articolo, esso traduce il rigetto del principio d’universalità dei diritti e l’assenso ad elevare la povertà e l’esclusione a male necessario, a legge imprescrittibile della natura, dal momento che i diritti sociali sono, al contrario, l’espressione della volontà umana di affrancarsi dalla miseria e dall’esclusione. I membri della Convenzione avevano d’altra parte esaminato i rischi. Essi hanno dunque agito in tutta ludicità. Ecco, tra gli altri, un contributo scritto dal rappresentante del governo francese, Guy Braibant: «Rifiutare d’inscrivere un diritto esistente significherebbe che si è pronti ad ammettere la sua sparizione dall’ordine giuridico» (26 maggio 2000).
Funzionaria della Commissione europea e animatrice della Rete delle Marce contro la disoccupazione in Belgio