Giulio Maccacaro

Il diritto alla salute

Giulio Maccacaro: partigiano, medico, scienziato, intellettuale
democratico, militante del movimento dei lavoratori. La sua figura, la sua
esperienza, le sue ricerche e le sue riflessioni, costituiscono un punto di
riferimento per tutti coloro che ritengono di doversi impegnare per la
dignità umana, per la dignità di ogni essere umano, e quindi per il diritto
di ogni essere umano alla solidarietà.
Scrivevamo, ripresentando questo testo di Giulio Maccacaro in opuscolo nel
1991: "Pubblicando ancora una volta (...) questa illuminante relazione di
Giulio Maccacaro, pronunciata in apertura del convegno costitutivo di
Medicina Democratica tenutosi a Bologna il 15-16 maggio 1976, pensiamo di
offrire un'occasione di riflessione sui fondamenti della nostra lotta, ed
uno strumento analitico, e un orizzonte progettuale, invero necessari a
fronte dell'attacco politico, sociale e culturale che il sistema di potere
sta conducendo in Italia contro il diritto alla salute, contro gli spazi di
democrazia e verità conquistati a prezzo di dure lotte dagli oppressi e dal
loro movimento.
Cosa non è successo nei quindici anni che da quelle parole ci separano! Ed
esse oggi costituiscono, ci pare, a un tempo un documento in certo senso
storico, e uno specchio del presente, degli interrogativi e delle lotte nel
presente da porre e condurre.
E' in corso, ed è a tutti evidente, un'azione incalzante, percussiva, e
senza scrupoli condotta, da parte del sistema di potere che in questo paese
effettualmente domina, la quale mira allo smantellamento del diritto alla
salute, delle strutture pubbliche, della partecipazione popolare; che mira
a fare della salute e della medicina occasione di speculazione, potere,
privilegio e oppressione feroci. E questo con laide manovre, con
sgangherati sofismi, ma con determinazione ferrea: sa quel che vuole il
sistema del profitto, come il lupo della favola di Fedro.
Per resistere abbiamo bisogno anche, di fronte alla raffica di menzogne
delle agenzie del rimbambimento, di fronte alla narcosi e all'amnesia in
tanti indotte, di riesporre le vere ragioni della lotta che ancora è la
nostra. Per questo fine le parole di Maccacaro ancora ci sembrano nitide e
dure, come le pietre che infrangono ed edificano.
Insegnamento, ammonimento, che avremmo vergogna se dimenticassimo".

Un altro decennio è passato e l'aggressione al diritto alla salute, lo
smantellamento del welfare state, hanno proceduto vieppiù. Ricordare oggi
cosa stabiliva la legge di riforma sanitaria del 1978 conquistata dalle
lotte sociali degli anni sessanta e settanta par quasi esercizio di
archeologia ed ha suono di beffa, tanto quelle verità paiono remote, quei
diritti sono stati ridotti a rovine, a ruderi di un'epoca in cui non si
aveva paura di affermare che ogni essere umano ha diritti inalienabili, e
tra essi il diritto alla salute e all'assistenza.
Giulio Maccacaro: le sue riflessioni sulla scienza, il suo lavoro di
medico, il suo impegno diretto per ogni buona causa: e quanto avremmo
bisogno di persone come lui oggi, che occorre contrastare la mercificazione
totalitaria della ricerca scientifica come della sanità; oggi che il
diritto all'assistenza sempre più è negato, e dal welfare si sta tornando
alla più cruda speculazione sulla sofferenza. Forse mai come oggi tanto
l'area della scienza quanto l'area dei servizi sono state asservite alla
logica della massimizzazione del profitto, al delirio di onnipotenza,
all'irresponsabilità dei nuovi apprendisti stregoni, alla prepotenza dei
poteri economici che tutto stritolano per distillarne ricchezza.
Le parole di Maccacaro, il suo esempio, costituiscono ancora un forte
appello politico e morale, uno strumento analitico ed interpretativo, una
proposta d'azione comune per difendere e promuovere concretamente i diritti
di tutti gli esseri umani.
Al testo di Maccacaro premettiamo una breve notizia biobibliografica.

Peppe Sini
responsabile del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo

Viterbo, 22 luglio 2000

Notizia biobibliografica su Giulio A. Maccacaro
Profilo biografico: Giulio Alfredo Maccacaro è nato a Codogno nel 1924,
ancora studente prese parte alla Resistenza; medico, docente universitario,
noto in campo internazionale per le sue ricerche di microbiologia, genetica
e biometria, ha dedicato un'intensa attività alla costruzione di una
medicina democratica. Ha collaborato, fondato e diretto importanti riviste
e collane editoriali. E' scomparso nel 1977.
Opere di Giulio A. Maccacaro: Per una medicina da rinnovare. Scritti
1966-1976, Feltrinelli, Milano 1979 (che contiene anche una bibliografia
completa); cfr. anche: a cura di G. A. Maccacaro e di A. Martinelli,
Sociologia della medicina, Feltrinelli, Milano 1977; ed AA. VV., La salute
in fabbrica, Savelli, Roma 1974.
Opere su Giulio A. Maccacaro: si veda il fascicolo monografico a Maccacaro
dedicato della rivista "Sapere", n. 798, marzo 1977; ed in volume: AA. VV.,
Attualità del pensiero e dell'opera di G. A. Maccacaro, Cooperativa Centro
per la salute "Giulio A. Maccacaro", Milano 1988.
Indirizzi utili: "Medicina democratica", via Venezian 1, 20100 Milano, o
anche: via dei Carracci 2, 20149 Milano, o anche: c. p. 814, 20100 Milano.
Centro per la salute "Giulio A. Maccacaro", Castellanza (VA).

Giulio Maccacaro: Medicina Democratica, movimento di lotta per la salute

In nessuna delle altre occasioni -accademiche, scientifiche o politiche- in
cui ebbi il compito di svolgere una relazione introduttiva, ho sentito su
di me pesare tanta responsabilità e dentro di me vibrare tanta emozione.
Perché siamo convenuti qui affinché qualcosa che supera ogni nostra persona
nasca, viva e cresca: qualcosa che abbiamo sentito prima esprimersi come
speranza progettuale e poi urgere come volontà perentoria da un sempre più
largo, diffuso, articolato, motivato comando di base: la costituzione di
"Medicina Democratica, movimento di lotta per la salute". E poiché ogni
comando di base, quando spontaneo e autentico come questo, non è oblazione
ai vertici ma volontà di partecipazione, noi siamo qui per obbedirgli con
tutta la lealtà, la dedizione e lo spirito unitario di cui siamo capaci.
Siamo qui noi ma non per noi, compagni ma per altri compagni, tanti ma per
i ben più tanti che attendono da Medicina Democratica non solo un messaggio
responsabile ma anche un'azione efficace per la salute e la integrità di
chi è oggetto di sfruttamento, emarginazione e repressione, onde questi ne
emerga con tutto il suo diritto e la sua capacità di porsi quale soggetto
politico primario.
Infine, siamo qui anche per gli altri -per gli amici che ci osservano e ci
interrogano, per i nemici che ci temono ma non ci sfidano- ed a tutti e con
tutti vogliamo fare chiarezza.
Vogliamo dire, anzitutto, "perché ora" e "perché così" si apre il convegno
costitutivo di Medicina Democratica. Questa è un'ora di crisi profonda del
nostro paese: crisi economica, politica ed istituzionale. Una crisi che non
ci è affatto oscura nelle sue cause e ci è ben chiara nei suoi effetti.
Per quanto riguarda le cause essa nasce da:
1) la dipendenza diretta e indiretta dal comando imperialista che
-attraverso il sistema delle multinazionali il cui potere non riconosce più
né i confini politico-geografici né quelli di regime- aspira dai paesi
subalterni capitali e profitti esportandovi continuamente le sue
contraddizioni, le sue crisi e costringendoli a pagare il costo umano,
ambientale ed economico del suo sfruttamento di rapina: fin dove e fin
quando il rischio politico non supera il prelievo effettuato. Oltre questo
limite abbiamo conosciuto altrove e abbiamo sentito incombere su di noi le
soluzioni più violente. Oggi sentiamo che altre ci minacciano: ma non tutti
hanno chiaro che il golpe tecnocratico verso il quale qualcuno vorrebbe
avviare l'Italia è diverso da quello militare soltanto per l'uso della
divisa;
2) la inadeguatezza storica del capitalismo italiano che, incapace di
sviluppare persino il modello d'impresa e il sistema di investimento già
praticati da altre società e in altre economie del secolo scorso, si è
trattenuto ancora in questo dopoguerra alla pigra avidità della rendita
parassitaria, scaricando nel finanziamento di Stato tutta la sua avidità di
profitto e speculando non sulle sue capacità imprenditoriali ma su un
selvaggio prelievo di plusvalore dalla forza-lavoro;
3) l'indegnità criminosa della dirigenza democristiana e satellite che,
dietro lo schermo scientemente artefatto e mistificante
dell'interclassismo, non ha saputo per sei lustri esprimere alcun esercizio
di governo ma solo gestione di un potere delegato dai gruppi del più
arrogante e ottuso privilegio: di classe, di casta e di arma, di corpi
separati e di corruttori riuniti, contro i lavoratori e le loro
organizzazioni. Questo per le cause.
Per quanto riguarda gli effetti, la stessa crisi:
1) produce un deterioramente delle condizioni di vita e di lavoro della
classe operaia e delle masse popolari, attraverso la perdita di potere
d'acquisto dei salari, la precarietà dell'occupazione, la insufficienza
della casa, l'impoverimento della vita;
2) determina un obiettivo decadimento di salute attraverso la
intensificazione dello sfruttamento, la diffusione del lavoro nero, il
conseguente incremento della nocività, il deterioramento delle strutture
socio-sanitarie;
3) rinvia (ancorché pretestuosamente, se si pone mente alla volontà
negativa manifestatasi in congiunture di altro segno) ogni ipotesi
credibile di riforma dell'assetto sanitario del paese che sia intesa al
benessere della collettività e non, come avviene, alla speculazione,
statalmente partecipata o mutualisticamente mediata, del capitale
finanziario, industriale e farmaceutico.
Se queste note sono del tutto inadeguate per un discorso, anzi non sono
intese come un discorso sulla crisi che stiamo vivendo, però bastano a
riaffermare che questa crisi non è affatto (come nessuna è mai)
complessiva, interclassista, accomunante, egualitaria: non è affatto una
catastrofe che si abbatte quale un'oscura calamità naturale su un intero
paese: questo o altri che sia. Ma è un'ulteriore aggressione di cui sono
identificabili i mandanti e gli esecutori, i destinatari e le vittime: è
l'aggressione più dura sferrata dal padronato nazionale e internazionale
contro la classe lavoratrice italiana, come quella più politicamente
maturata e organizzata, creativa e combattiva, nel sistema di controllo e
di egemonia dell'imperialismo capitalista.
Questa aggressione, anche se ha forme più manifeste di incidenza politica
ed economica, per ciò stesso va oltre e colpisce pesantemente, come ho
appena accennato, in tutto ciò che è "salute" individuale e collettiva
aggravando le minacce, moltiplicando le offese, disarmando le difese.
Questo ho detto come breve premessa per sottolineare che la nascita "ora"
di "Medicina Democratica" non è casuale né coincidentale, ma sembra a noi
dettata da una precisa tempestività in rapporto e alla gravità della
situazione già presente e all'importanza della consultazione già imminente.
Ma questa affermazione, che credo condivisa da tutti i compagni, resterebbe
una premessa incompiuta ove non fosse subito detto e chiarito che Medicina
Democratica sarebbe nata ora ed ormai anche se questa crisi non fosse
stata; anche se questa congiuntura non si fosse data.
La gestazione del nostro movimento è più lunga e complessa, se ne possono
rintracciare antecedenti e premesse su un arco di tempo assai lungo; ma
certamente non è scorretto ritenere decisive e significative le lotte
studentesche e operaie degli ultimi anni Sessanta e dei successivi.
Da allora sono venuti maturando e affrontandosi due processi di enorme
portata e di opposto segno: la medicalizzazione della politica e la
politicizzazione della medicina: la prima come scelta della classe del
capitale, la seconda come scelta della classe del lavoro.
Ne parleremo ancora quando il movimento vorrà veramente approfondire
l'analisi di questi processi e il senso di questi termini, ormai entrati e
discussi nel dibattito internazionale.
Ne parlammo già in quel memorabile convegno sulla salute che si svolse a
Firenze nel 1973 e le individuammo allora come linee di uno scontro entro
il quale ognuno avrebbe dovuto fare presto la sua scelta. Cosicché ora
sarebbe abbastanza semplice dire che, nella chiarezza e nella crudezza di
quello scontro, "Medicina Democratica" è la nostra scelta e che perché
questa scelta si compisse e diventasse premessa di un movimento nel
movimento era naturale giungere alla costituzione di Medicina Democratica.
Sarebbe semplice ma sarebbe insufficiente. Dobbiamo sviluppare qualche
riflessione ulteriore che ci permetta di individuare -e naturalmente
discutere- una linea chiara e ferma che attraversi i principali problemi in
cui si articola la lotta per la salute e quindi l'impegno di Medicina
Democratica: una linea che di volta in volta, di problema in problema,
misuri la coerenza delle nostre scelte, confermi la solidarietà del nostro
impegno, individui la chiarezza dei nostri obiettivi (quella chiarezza che
sola può far giustizia di ogni residuo settarismo e di qualsiasi
sopraggiungente parrocchialità).
Dobbiamo anzitutto riflettere sul concetto di salute per dire subito che
non hanno qui molto rilievo, perché ci sono semplicemente ovvie, le
definizioni di salute individuale, ancorché autorevolmente formulate come
quella dell'Organizzazione mondiale della sanità.
Naturalmente -ma anche questo è ovvio- ognuno di noi è impegnato, come
operatore sanitario o come compagno di milizia o come membro della
collettività, al soccorso più efficace, alla dedizione più generosa per la
liberazione dell'altro dalla sofferenza comunque vissuta, per la promozione
del suo benessere psichico e fisico comunque personalizzato. Ma il nostro
pensiero e la nostra azione si impegnano ben oltre: su quella salute che va
privilegiata nella sua dimensione collettiva e cui occorrono, quindi, una
dottrina e una pratica politica.
Si tratta, cioè, di affermare oggi -come non fu mai in passato- la
centralità della lotta per la salute nello scontro di classe. E l'esattezza
di questa affermazione -assolutamente generalizzabile ad ogni ambito
sociale- appare con lampante evidenza nella realtà della fabbrica
riverberando da questa su tutto il territorio. La fabbrica infatti è non
solo il luogo dove si realizzano insieme ed in massimo grado la
concentrazione della nocività e la spoliazione di salute -quale estremo e
preciso portato di una scienza lungamente votatasi, nel comando borghese,
alla organizzazione detta, appunto, "scientifica" del lavoro- ma è ancora
il luogo dove il movimento operaio ha chiarito a sé e agli altri che la
lotta collettiva per la salute collettiva investe tutto il modo di
produzione e lo contesta proprio in ciò di cui è più geloso: la sua falsa
-o deviata- razionalità.
Quella razionalità asservita quanto più si dichiara oggettiva, che ne
alimenta e vorrebbe legittimarne la pretesa a porsi come modello per la
gestione della società in tutte le sue articolazioni: dalla struttura
urbana all'organizzazione dei servizi, dalla scansione dei tempi al dettato
dei consumi, dalla scuola e per ogni altro dove sociale fino alla sanità:
recuperando, infine, da questa sanità modi e strumenti per dare una
risposta preformata e normalizzante, quindi contenitiva ed infine
repressiva, ad una domanda che nasce da un malessere classificato come
patologico ma autenticamente esistenziale (sociale).
E' il controllo sociale che cerca di rinchiudere un problema di relazione,
cioè strutturale, nella malattia dell'individuo, cioè accidentale, per
separare il lavoratore dalla sua classe e la classe dalla sua coscienza.
A questa luce che ci viene di là, dalla fabbrica, dove è più chiaro e più
duro il confronto tra capitale e lavoro, dove il movimento operaio ha
combattuto per la sua e per l'altrui liberazione -come sentiremo tra poco
nel discorso di reali avanguardie- la salute collettiva va intesa per
quello che è e che conta: valore totalizzante di altri valori, assunzione
in una lotta di altre lotte, affermazione nella pratica di una corretta
priorità politica. La salute collettiva non è, quindi, soltanto la somma di
benesseri individuali né di individuali riscatti dalla malattia, proprio
perché identifica nel privato del benessere e nel malessere del sociale i
disvalori che la contraddicono.
Su questo primo punto -sulla salute collettiva come condizione e sostanza
di quella individuale- Medicina Democratica non lascia spazio ad equivoci
teorici e ne deriva precise indicazioni pratiche. Se in una occasione
ulteriore la nostra analisi avrà ulteriore ampiezza ed approfondimento, già
ora ci è dato, per coerenza alla premessa, dichiarare il nostro impegno,
globalmente politico e specificamente sanitario, contro:
1) la ristrutturazione e le nuove forme di organizzazione capitalistica del
lavoro e della società,
2) la campagna sull'assenteismo che tende ad occultare la rapina di salute
collettiva continuamente perpetrata sulla classe del lavoro,
3) la teorizzazione delle "compatibilità" che cerca di riproporre e
recuperare la subordinazione di tale salute alle esigenze del profitto,
4) la consegna al capitale pubblico, privato e misto della progettazione,
organizzazione e gestione dei presidi sanitari;
e il nostro impegno per:
a) il ritiro ad ogni livello della delega sanitaria,
b) l'autogestione di base della tutela della salute,
c) la lotta ad ogni tipo di emarginazione,
d) la nascita e lo sviluppo di forme di governo popolare e di democrazia
diretta con particolare riguardo allo specifico socio-sanitario.
Queste indicazioni, che saranno riprese e documentate negli interventi
previsti e in quelli attesi, già ci portano a considerare altri punti oltre
il primo e subito un secondo: quello della partecipazione che è il fattor
comune degli impegni ora detti. Conviene dedicargli qualche attenzione
perché la nostra linea si chiarisca oltre e a fronte dell'uso e dell'abuso
che l'esercizio dei poteri ne ha fatto in questi anni, mistificando per
partecipazione ciò che partecipazione non era.
Ancora una volta vorrei fare riferimento alle lotte e alle conquiste del
movimento operaio ma vi rinuncio serenamente perché altri compagni ne
diranno: diranno come un nuovo modo di intendere la partecipazione nasca
proprio da ciò che io mi limito a ricordare e mi trattengo dall'illustrare:
la liberazione della soggettività, l'emergenza del gruppo omogeneo, la sua
assunzione di funzioni politiche, sanitarie e scientifiche.
Voglio soltanto sottolineare come, dal già detto primato della salute
collettiva, discenda che se una sociologia medica d'altro tempo ha definito
la malattia come perdita di partecipazione oggi siamo arrivati ad intendere
la perdita di partecipazione come sostanza di malattia. Però noi crediamo
che alla partecipazione autentica non basti mai l'articolato di una legge
ma occorra sempre l'impegno di una lotta: che si sviluppa continuamente
nell'identificazione dei suoi obiettivi, che si accresce progressivamente
nell'allargamento del suo campo, che non riconosce limiti a questo campo né
ammette che esista l'ultimo di quegli obiettivi. Questo non è un discorso
estremista nel senso deteriore dell'insinuazione che di solito accompagna
tale termine, ma è anche un discorso meditatamente estremista se è vero
come credo che in medicina e per Medicina Democratica l'unico e sacrosanto
estremismo è la salute collettiva e che questa non può darsi senza
partecipazione. Allora vogliamo definire questa partecipazione -sempre con
riferimento preciso alla tematica di questo convegno e di questo movimento-
sia in positivo sia in negativo secondo l'insegnamento del più grande
rivoluzionario: "Quali sono i nostri nemici e quali sono i nostri amici?
Questa è una questione di primaria importanza per ogni rivoluzione".
I nemici della partecipazione sono almeno tre: l'autorità, l'efficienza e
la provvidenzialità. Nell'ambito del nostro impegno a definirci come
Medicina Democratica l'autorità cui opponiamo la partecipazione è
identificata come quella che -indossati i panni della competenza,
separatasi nella tecnica, costituitasi come corporazione, legittimatasi
come ordine- si pone di fatto quale esecutrice dei comandi di un potere che
la sovrasta e che, pagatala con ruoli e privilegi, ne fa lo strumento più
insidioso ed efficace del controllo sociale nelle forme della
medicalizzazione. Per tutto ciò essa pretende: il diritto di un sapere
separato, la consegna di un uomo oggettivato, l'esercizio di un
insindacabile potere. Questo è un nemico della partecipazione.
Un altro nemico è l'efficienza che in un sistema dato è sempre una domanda
del potere costituito. Essa si avvale della voluta e perpetrata confusione
con l'efficacia. Cui corrisponde un'altra consapevole e consumata
confusione tra funzione e funzionamento. La funzione di ogni sistema è
definita dai suoi fini, il funzionamento dai suoi modi.
Noi vogliamo che la funzione dell'istituzione sanitaria sia rivolta
interamente alla promozione e alla difesa della salute collettiva, come la
abbiamo già definita, e che il suo funzionamento sia giudicato soltanto a
misura della capacità di adempimento di tale funzione.
L'istituzione sanitaria è, invece, ordinata all'ottimizzazione di se
stessa, del suo vantaggio economico, delle sue autorità di comando, del suo
plesso di potere. Pertanto nell'occultamento di una profonda divergenza
della sua funzione dai fini sociali cui dovrebbe rendere e misurare il suo
servizio, riconosce ogni primato al funzionamento e converte la totale
perdita di efficacia in una ulteriore domanda di efficienza. Non è questa
la sede per esempi che sono innumeri e noti: avremo presto un'altra
occasione in cui discuteremo a lungo -nel riscontro reale, nel dettaglio
specifico, struttura per struttura, servizio per servizio- questo problema
dei rapporti, in medicina, tra funzionamento e funzione, tra efficienza ed
efficacia.
Qui ci basta riconoscere e ricordare che è in nome dell'efficienza del
funzionamento per una mentita efficacia della funzione che la
partecipazione popolare è sempre stata sistematicamente esclusa -come è
esclusa la madre del bambino ricoverato, come è esclusa la consapevolezza
del paziente abusato, come è esclusa la realtà della sofferenza sociale-
dalla gestione della cosa sanitaria, dalla possibilità di intervenire per
indicarle fini nuovi, ulteriori impegni, più vere destinazioni.
Il terzo nemico della partecipazione è la provvidenzialità. E qui il nostro
discorso si sposta dal luogo sanitario al governo sanitario, rivolgendosi
francamente anche a chi ne porta responsabilità locali in un quadro
politico alternativo a quello nazionale.
C'è un modo che non vogliamo nemmeno discutere di intendere tale
responsabilità: come occasione di potere, tessitura di clientele, pretesto
di corruzioni: è il modo "democristiano" per antonomasia.
Ma c'è un altro modo che è pure antipartecipatorio. E' di chi -ente o
persona, ma più spesso il primo che la seconda- si ritiene investito del
compito e titolare della capacità di anticipare la domanda sociale di
salute, di presentirla prima che sia espressa, di immaginarla prima che sia
concepita, infine di provvedere ad essa prima che si sia consapevolizzata.
Con un termine corrente ciò si chiama anche "paternalismo" ma ritengo più
corretto definirlo "provvidenzialità". Perché così mi pare meglio indicato
quel modo di mettersi in rapporto con la realtà che prescinde dal suo
ascolto; quell'attitudine a disporre risposte preformate che prescindono
dalla formazione delle domande; quell'interpretazione del mandato
amministrativo che infine determina una richiesta cui si consente soltanto
di conformarsi all'offerta.
Medicina Democratica è contro tutto ciò -l'autorità ma non soltanto perché
è inautorevole, l'efficienza ma non soltanto perché è inefficace, la
provvidenzialità ma non soltanto perché è improvvida- è contro tutto ciò
perché tutto ciò è contro la partecipazione e Medicina Democratica è un
movimento partecipatorio di base non solo perché da questa base è nata ma
perché vuole continuare a restarci: per raccogliere, assecondare,
collegare, moltiplicare, potenziare onde siano infine vincenti, tutte
quelle lotte che, in specifici diversi -dalla fabbrica al territorio, dalla
scuola all'ospedale, dal quartiere all'istituzione, dalla casa alla
caserma- la soggettività di base viene conducendo per la salute, anche
individuale, ma assunta in quella collettiva.
Si pone così, naturalmente, il terzo punto sul quale occorre sviluppare
qualche riflessione ed è quello della soggettività per una definizione, ora
in positivo, della partecipazione. Ancora una volta è dall'esperienza e
dalla lotta di fabbrica che è emersa la soggettività del lavoratore
rivendicata ed affermata contro la volontà oggettivante del capitale.
Ma ancora una volta dalla fabbrica le conquiste del movimento operaio
incidono su tutto l'ambito sociale e ne reinterpretano e riqualificano la
realtà.
La soggettività di cui parliamo è una anche se, nell'uso ormai corrente
all'interno della tematica che ci è comune, le vengono attribuiti due
significati complementari: uno è in alternativa alla definizione
-cosiddetta obiettiva- della salute e dela malattia, del benessere e del
disagio, della nocività e del danno. Costituisce, quindi, la base di quel
ritiro della delega lungamente rilasciata al "tecnico" quale verificatore e
falsificatore di una sofferenza soggettivamente patita e dunque reale ma
che poteva essere negata, in conto della pretesa "obiettività" di una
scienza che non è retorico chiamare padronale.
Da questa rivendicata soggettività è nata la identificazione di un quarto
gruppo di fattori di nocività, è nata una ridefinizione del
benessere-malessere non più come conformità-difformità a modelli espressi
ed imposti dalla logica della produzione per il profitto, ma come vissuto
individuale e di gruppo del rapporto con le condizioni di lavoro e di vita.
L'altro significato di "soggettività", che si integra al primo, è, oltre i
limiti di ciò che può pur sempre essere ricondotto a una lettura medica,
l'affermazione di sé non solo come soggetto di salute ma come soggetto di
sanità capace di appropriazione e di autogestione della medesima.
E' su questa seconda soggettività che vorrei insistere ancora un poco per
dire che essa riconosce, abilita ed esprime -nel suo crescere
nell'esperienza senza la quale non si ha partecipazione e nel suo evolvere
a volontà collettiva senza la quale non si ha la trasformazione- una
pluralità di soggetti, che vanno dal singolo al gruppo, dal gruppo al
collettivo, dal collettivo alla classe, ma per ciascuno dei quali è
acquisito il diritto di porsi, all'interno dell'atto medico,
dell'istituzione sanitaria, dell'organizzazione assistenziale, in un
rapporto finalmente dialettico con tutto ciò che -strutture e persone- lo
avevano sin allora considerato l'oggetto di un rapporto analitico.
Questa è la straordinaria e nuova ricchezza che in questi anni è venuta
crescendo in quella base da cui ora si esprime Medicina Democratica.
E questo è stato il mio tentativo di contribuire al vostro dibattito
costruendo, pezzo a pezzo, quella che io credo sia la linea che connota il
nostro movimento -che lo farà capace di attraversare in chiarezza e
coerenza la molteplicità quasi innumere dei problemi che lo confrontano e
che ora vorrei così formulare: il primato politico della salute collettiva
come momento centrale della lotta di classe fondata su una reale
partecipazione capace di accogliere nella loro genuina espressione e
assumere a livello di integrazione ulteriore le molteplici soggettività
della base sociale.
Se questa linea è corretta (ma vostro ne è il giudizio) essa deve essere
capace di dare corrette e chiare indicazioni pratiche, così come deve
essere capace di sollecitare analisi ed approfondimenti ulteriori.
A questi secondi io credo che noi vogliamo impegnarci in vario modo e con
vari mezzi: costituiremo gruppi di studio per problemi specifici,
prepareremo nelle sedi più appropriate dibattiti e confronti, andremo entro
l'anno a un congresso ordinato sui temi e sulle tesi che saranno stati
oggetto di studio e discussione adeguati, secondo le indicazioni del
movimento. Questo convegno di oggi, del quale ho cercato di dire "perché
ora" e del quale mi si è incaricato di dire "perché così", nasce, dunque,
come convegno di fondazione e di presentazione. Nasce, dicevo all'inizio,
da una volontà anzi da una urgenza di incontro e di collegamento
chiaramente formulata dalla base.
E' allora parso giusto che fosse dedicato alla più libera e articolata
espressione di questa base, compatibilmente con le costrizioni imposte dal
tempo ma anche con i doveri imposti dalla responsabilità. Per questo il
comitato promotore ha creduto di assicurare alle diverse componenti
l'opportunità del loro contributo ed ha invitato tutti i compagni a far
convergere il loro.
Per questo io, incaricato di aprire il dibattito, ho cercato di individuare
-tra le molte e preziose indicazioni raccolte in questi mesi- una linea che
fosse di aggregazione per noi e di definizione per gli altri.
Per questo infine, mi sono trattenuto dall'entrare nei problemi che
emergeranno dagli interventi previsti, convinto tuttora di averne soltanto
interpretato la scelta comune, senza volerne anticipare le articolate
proposte.
Mi pare tuttavia che da quella linea le indicazioni che discendono siano
chiare e riconoscibili nel senso che Medicina Democratica
1) si impegna in una lotta per la salute che non separa il campo sanitario
da quello sociale ma li attraversa entrambi secondo una direttrice
fondamentale segnata dalla contraddizione di classe. E' rispetto a questa
direttrice che sa qualificarsi una nuova solidarietà tra il lavoratore alla
sanità e la sanità dei lavoratori: noi opereremo perché ciò avvenga;
2) si impegna ad operare per un radicale cambiamento degli attuali studi
medici nel senso di una articolata ma congiunta formazione di tutto il
personale sanitario orientandolo a:
a) saldare la pratica con la teoria,
b) mettere la prevenzione al primo posto,
c) priorizzare la medicina di base e di comunità,
d) attendere alla educazione sanitaria come premessa di partecipazione;
3) si impegna ad operare per la deistituzionalizzazione dell'assistenza e
per la territorializzazione dei servizi nel pieno e diretto controllo
popolare di tutta l'attività sanitaria, valorizzando da una parte i
consigli dei delegati, stimolando dall'altra i comitati sanitari di zona,
sostenendo e assistendo ogni forma spontanea di partecipazione di base,
proprio perché tale e perché in quanto tale, nella sua assunzione e
coscienza politica e collettiva della medicina è l'alternativa irriducibile
alla medicalizzazione della collettività e della politica;
4) riconosce e valorizza nella autogestione della salute non un riduttivo
"far da sé" e una rinuncia all'uso di ogni valido sussidio medico, ma
assume questo in un diverso comando politico come momento fondamentale per
la riaffermazione della soggettività, per il recupero di un rapporto
dialettico tra i soggetti dell'atto sanitario individuale e complessivo:
pertanto è impegnata ad un'ulteriore valorizzazione di tale soggettività
-che riconosce nell'insegnamento del movimento operaio e nella lotta dei
movimenti femministi- in ogni occasione ove sia negata e repressa (a breve
termine, per esempio, Medicina Democratica concluderà la elaborazione di
una legge di iniziativa popolare contro la sperimentazione sull'uomo e
promuoverà l'applicazione della carta dei diritti del bambino ricoverato in
ospedale);
5) rifiuta -per tutto quanto la sua linea dice in tema di salute
collettiva, di partecipazione e di soggettività- qualsiasi uso repressivo,
di controllo sociale, di emarginazione della devianza da parte della
medicina e dei suoi operatori, impegnandoli non solo a rifiutarlo ma a
contrastarlo in ogni modo;
6) rifiuta, conseguentemente ma intransigentemente, ogni ruolo limitativo o
condizionante della libertà della donna in ordine alle sue scelte di
generazione e di salute; solidarizza con i movimenti della sua liberazione
e intende operare perché a questo fine siano orientate la struttura e la
funzione dei consultori;
7) assume la responsabilità di promuovere e ottenere l'inserimento sociale
degli handicappati come soggetti di piena partecipazione e di assicurare
diretta collaborazione alla loro azione e alla più diffusa conoscenza dei
loro problemi;
8) impegna i suoi aderenti a dare senso e prassi alla concezione della
medicina come servizio per il popolo: quindi ad opporsi fino alla loro
estinzione ad ogni forma di arroccamento corporativo ed antipopolare
dell'ordinaismo medico, perché la sanità non sia -come è stata altrove- un
banco di prova generale del blocco di destra;
9) si impegna a cercare le solidarietà politiche e sindacali che
riconoscano negli obiettivi di Medicina Democratica reali obiettivi della
classe, ma anche a conservare a  se stessa le funzioni e i caratteri di
movimento autonomo di base, capace di accogliere e valorizzare
politicamente tutte le istanze e le iniziative che da tale base sono
espresse nelle diverse forme del suo articolarsi ed aggregarsi su obiettivi
individuati dalla volontà popolare;
10) intende compiere e ha già iniziato un lavoro di collegamento con
movimenti che in altri paesi -pur in una estrema diversificazione di metodi
e di prassi congrue alle diversità dei quadri istituzionali e di regime-
sviluppano azioni e conducono lotte per la riappropriazione e
l'autogestione della salute.
Questi dieci punti, compagni, non sono un decalogo. Sono soltanto alcuni
degli impegni -però chiari ed esplicati- ed altrettante scelte di azione
-però incidenti e coerenti- secondo la linea che ci siamo dati e che è
sintesi di quanto voi, non solo nelle assemblee di questi mesi, ma nelle
lotte di questi anni siete venuti esprimendo. Il dibattito ne arricchirà i
contenuti, ne aggiungerà di ulteriori, ne indicherà la priorità.
Così, avviandomi a concludere quella che non poteva essere che una
introduzione a un convegno di fondazione, che desse la parola a tutti senza
sottrarla a nessuno, vorrei sottolineare a chi ci ascolta la nostra piena
consapevolezza di un'altra crisi che, come quella ricordata all'inizio, è
oggi congiunturalmente clamorosa ma è da tempo strutturalmente deteriorata:
è la crisi di questa medicina contemporanea che, di giorno in giorno, si fa
sempre più assistenzialmente inefficace e socialmente repressiva.
L'inefficacia dell'assistenza è dimostrata da:
1) progressivo deterioramento, statisticamente documentabile, della salute
collettiva per l'incidenza crescente di tutte le malattie legate alla
nocività -dell'ambiente di lavoro, di abitazione, di alimentazione e di
vita- che è il portato inseparabile del modo di produzione capitalistico;
2) ricorrenza -frequente e dilagante- di patologie infettive che si
credevano e potevano essere state debellate;
3) vertiginoso incremento del consumo di farmaci in larga misura meramente
sintomatici e concretamente tossici;
4) emergenza di un diffuso malessere, socialmente determinato e
personalmente patito che investe larghi strati della popolazione indotta o
costretta a vivere come "disturbo mentale" ciò che è soltanto
"insopportabilità di vita".
La funzione repressiva è dimostrata da:
1) crescente trasferimento dei problemi sociali e personali
(conflittualità, trasgressione dei limiti di "norma", domanda di
soggettivazione, ecc.) in un'area di gestibilità istituzionale e di
silenziamento terapeutico;
2) avanzante tecnicizzazione dell'atto medico fino alla estinzione dei suoi
contenuti di rapporto interpersonale;
3) diffusione di false o inefficaci pratiche di prevenzione secondaria per
deviare la domanda di conversione del modo di produzione;
4) attribuzione al medico di nuovi compiti repressivi nei confronti del
comportamento infantile, se è un pediatra, del diritto di aborto se è un
ostetrico, del rifiuto del lavoro se è un fiscale, dell'uso di droga se è
un medico, della devianza se è uno psichiatra, della rivolta alla nocività
se è un medico del lavoro, e così via.
A questo ed oltre ci porta la "medicalizzazione della politica", e a questo
si oppone la scelta di Medicina Democratica che è "politicizzazione della
medicina".
Ciò significa, per noi e nei fatti, puntare su tutte le forme di
appropriazione e di autogestione che possono mettere la classe a soggetto
di una lotta per la salute che non cessi mai di essere, in quanto tale, una
lotta contro il sistema.
Non appartiene alla classe l'insidioso dilemma: o le riforme oggi o la
rivoluzione un'altra volta. Per la classe contano quelle riforme -meglio:
quelle conquiste- che fanno parte di una strategia per la rivoluzione.
Perché ciascuna di esse -se, oltre il suo valore assoluto, non fosse anche
un acceleratore del processo di mutazione strutturale- sarebbe soltanto
apparente e, alla fine, perdente.
Occorre, dunque, assecondare -ognuno all'interno del suo ruolo che è pur
sempre un ruolo interno- il processo di appropriazione da parte della
classe e delle masse 1) degli strumenti di conoscenza dei meccanismi di
profitto e di sfruttamento del capitale e 2) degli strumenti di
autocontrollo e di autogestione della salute.
Occorre dare ogni appoggio, ogni contributo -di forze, di idee, di
critiche- ai consigli di fabbrica, ai consigli di zona, ai comitati di
quartiere, ai collettivi e ai movimenti nei quali si esprime la volontà di
base delle masse, cui naturalmente si raccordano quei medici, quegli
studenti, quegli operatori sanitari di ogni grado e funzione, quegli
operatori sociali di vario ruolo e qualificazione, quei -più
comprensivamente- "tecnici della salute e per la salute" che abbiano fatto
una corretta scelta di classe e che si siano dati una pratica congruente.
Questo che dico, qui ed ora, è, con le stesse parole, l'impegno ed il voto,
il progetto e il proposito formulati negli anni addietro.
Ebbene, questo ora avviene perché da questa premessa, con questi connotati,
su questa linea nasce Medicina Democratica, movimento di lotta per la
salute. Nasce da una grande ricchezza di lotte, di esperienze, di volontà
collettiva e individuali che vogliono collegarsi per procedere insieme in
un'analisi che sia verificata e in una prassi che sia coordinata.
Nasce, deve nascere, fuori da ogni settarismo e da ogni subalternità.
Nasce, deve nascere, fuori da ogni pia illusione di farne una zattera di
salvataggio per annaspanti coscienze nel mare di questa o di quella
corporazione.
Nasce, deve nascere, fuori di ogni risibile velleità di farne un "partito
sanitario" o la proiezione sanitaria di questo o quel partito.
Nasce da uno scontro di classe per la vittoria di una classe, quella,
l'unica che -Marx ci ha insegnato- liberando sé libera anche gli altri
uomini.
E' un duro scontro, è tuttora una vittoria da conquistare: è una lotta cui
occorrono l'impegno di tutti noi, anche quello della lealtà di confronto,
della dialetticità di posizioni.
E' quindi questo un momento di grande e positiva tensione ma anche di grave
e riflessiva responsabilità. Io sento e penso che tutti i compagni debbano
sentire e riconoscere le dimensioni della nostra responsabilità: che è
quella di dar vita a un movimento che non si ripieghi sui problemi pur
autentici dei suoi aderenti ma si rivolga anche a quelli della popolazione
al cui servizio deve porsi, che si conquisti fin dall'inizio e conservi la
credibilità di fronte anche al giudizio più severo delle masse.
Che per loro -come già si intende e vede da ogni parte- ciò che oggi nasce,
sappia crescere per una lotta che sarà lotta di liberazione.