From: "Chierico Navigante"

dal "manifesto" del 29 Febbraio 2000

KOSOVO
Dietro le grandi manovre balcaniche dell'Alleanza
Le pressioni dell'Uck sulla Nato per sfondare i confini della Serbia
- ADRIATICUS -


I l segretario generale della Nato, l'inglese lord Robertson, ha dichiarato
domenica alla Bbc che le forze di pace in Kosovo (Kfor) dovranno rimanere
ancora a lungo sul campo, data la difficoltà di ricomporre in tempi brevi il
profondo baratro che odii e violenze hanno scavato tra le due comunità.

Robertson smentisce così clamorosamente quanto egli stesso aveva asserito
solo tre giorni prima al Consiglio degli ambasciatori dell'Alleanza, e cioè
che la situazione (in particolare a Mitrovica) era tornata sotto controllo.
Su questa base, e nonostante le insistenze del generale Clark, comandante in
capo delle forze in Europa, i partners Nato e in particolare gli Usa,
avevano potuto lasciar cadere per il momento le sue pressanti richieste di
rafforzare il contingente con almeno altri 2000 uomini. Clark richiedeva
infatti di utilizzare contingenti dalle riserve strategiche per il cui
ingresso in Kosovo da sud, attraverso il territorio macedone, aveva già
avviato trattative con Skopije.

L'impiego dei rinforzi, in realtà, più che per Mitrovica si rendeva a suo
parere urgente per rafforzare il fianco orientale, lungo la linea di
demarcazione e la zona cuscinetto tra Kosovo e Serbia, in particolare
adiacente alla regione dove opera il contingente Usa acquartierato nella
megabase di Bondsteel (Orahovac) e a Gjilane. E' infatti in questa zona,
all'interno della Ground Safety Zone (Gsz), larga cinque chilometri dentro
il territorio serbo, e in particolare nel quadrilatero costituito dalle tre
municipalità di Prescevo, Bujanovac, Medveda, abitato in stragrande
maggioranza da circa 80.000 albanesi, che si è aperto un nuovo e
pericolosissimo fronte di guerriglia.

Preparata da tempo, la strategia degli ultras kosovaro-albanesi, che vede
ormai indissolubilmente alleate strutture operative della narco-mafia e
dell'ex Uck (che oggi veste i panni della protezione civile Mtk), si
prefigge il controllo di questi territori, che già vengono chiamati il
"Kosovo orientale". La regione infatti si trova all'incrocio tra Serbia,
Kosovo e Macedonia, e rappresenta una posizione strategica ideale lungo
l'asse del principale "corridoio balcanico" dell'eroina che dall'Asia,
attraverso la Turchia e la Bulgaria, arriva in Europa e quindi prosegue
anche verso gli Usa, con un mercato che tira centinaia di miliardi di
dollari all'anno.

Secondo il piano kosovaro la Nato dovrà essere forzata a intervenire per
garantire la sicurezza delle comunità albanesi contro le rappresaglie delle
squadracce di Milosevic alle provocazioni (sanguinose, come quella di sabato
in cui una pattuglia di poliziotti serbi è stata attaccata in prossimità di
Bujanovac) che manipoli dell'ex Uck sferrano all'interno del territorio.

La determinazione degli irriducibili kosovari che operano a partire dalla
zona sotto controllo Usa è provata anche dall'assasssinio domenica, in pieno
centro di Gnjilane, del medico serbo Josip Vasic, esponente dei moderati che
ancora si battono per una convivenza multietnica. Sembra anche che sia
ripresa la raccolta di fondi all'estero per finanziare una ripresa anche più
vasta delle attività.

Nonostante le provocazioni kosovare trovino sintonia in analoghe
infiltrazioni che il regime di Belgrado alimenta nel nord del Kosovo,
contribuendo a creare una situazione esplosiva, l'ipotesi dell' Uck di
coinvolgere la Nato nel cosiddetto "Kosovo orientale", con gli stessi
meccanismi che hanno permesso il suo determinante controllo sulla stragrande
maggioranza del territorio affidato al mandato Kfor, ha poche probabilità di
funzionare.

La sostanziale differenza è, in questo caso, che la Nato non ha, né dovrebbe
avere, il potere di intervenire nelle Ground Safety Zone: né lo vorrebbero
in ogni caso la maggioranza dei suoi membri, visto il clima di
ingovernabilità in cui già è precipitata la missione in Kosovo, e la
crescente vanificazione del suo mandato di pacificazione multietnica.

Proprio per questo preoccupa ancora di più l'annuncio di "manovre" Natoin
Kosovo dal 24 marzo al 10 aprile.

Tutte cose che il generale Clark sa benissimo, così come sa delle mire
kosovare sul territorio serbo, tanto da trattare con chi le pratica; infatti
la scorsa settimana era a Tirana per chiedere ai leader kosovari Thaqi e
Xhaferri (capo degli albanesi di Macedonia) di tenere a bada i loro, non
facendosi prendere la mano da "avventurismi romantici" e lasciando alla Nato
il compito di occuparsi delle bande di Milosevc.

Le raccomandazioni di Clark non hanno avuto molto effetto, da cui le sue
richieste di rinforzi che a questo punto dovrebbero cercare di parare
provocazioni sanguinose a 365 gradi e ora direttamente rivolte alla Kfor
stessa. E' comunque in un'atmosfera di costernazione che i membri
dell'Alleanza hanno dovuto constatare l'emergere di questo nuovo pasticcio,
mentre si ripropone la catastrofe annunciata del Montenegro con lo
schieramento di truppe scelte federali, con dotazioni di artiglieria
pesante, in prossimità della frontiera che, nello spirito dei recentissimi
accordi regionali tra Tirana e Podgorica, doveva riaprirsi in questi giorni.

La situazione è ulteriormente complicata dal fatto che la catena del comando
Kfor dovrebbe passare, da aprile e per sei mesi, dalla Nato agli Eurocorps,
ovvero alla neonata alleanza militare europea. Così oltre agli impegni
finanziari per il Patto di stabilità dovrà toccare (ma per quanto?) agli
europei assicurare una strategia anche militare per garantire la stabilità
stessa.

A questo punto un chiarimento - per i governi europei e per l'Italia - per
capire la linea dominante della politica statunitense nella regione, si
impone. E' quella economica e lungimirante del consigliere speciale per i
Balcani del presidente Clinton, ambasciatore Sklar, o è quella sempre più
ambigua e pasticciona del generale Clark?