dal "manifesto" del 30 Dicembre 2000

Zuppa di mercurio
Altissime dosi del metallo tossico rilevate nelle carcasse di delfini morti in Adriatico
ALESSANDRO ZERO - VENEZIA

Il mare più sfruttato dell'intero pianeta si trova in casa nostra e ora si scopre che è anche il più inquinato. E' infatti l'Adriatico il bacino con in più alto rapporto tra imbarcazioni da pesca registrate rispetto alla cubatura delle sue acque. In pratica rispetto alla massa d'acqua qui ci sono più reti da pesca calate e più pescato che arriva sulle nostre tavole. Il primo allarme era venuto dalle vongole alla diossina. La risposta fu: la laguna è inquinata, basta mangiare il pesce di mare per non correre rischi. Tutto bene fino a quando quest'estate gli esperti del Centro studi cetacei di Milano hanno cominciato ad analizzare le carcasse dei delfini che si erano spiaggiati sulla costa tra Caorle e Chioggia, mammiferi che abitano in mare quindi e non in laguna, morendo in poche ore.
La ricerca, terminata in questi giorni e pubblicata dalla Nuova Venezia, ha rivelato come nel loro grasso siano state trovate quantità di mercurio, un metallo pesante ed estremamente tossico indicatore ideale dell'inquinamento industriale, in quantità tale da uccidere tranquillamente un uomo, anzi, come hanno specificato i ricercatori, qualsiasi altro essere vivente. Tranne appunto i delfini, che sono sopravvissuti proprio grazie al loro grasso, che "stoccava" i veleni. Il problema è che i delfini sono al vertice della catena alimentare, cioè mangiano tutti i pesci e molluschi senza esserne mangiati: proprio come l'uomo. E nei delfini trovati morti lungo le spiagge adriatiche oltre a mercurio e rame sono state trovate centinaia di altre sostanze i cui effetti sull'uomo sono ancora sconosciuti e la cui provenienza è incerta. "C'è un solo aggettivo - spiega Michele Pierotti, responsabile per il Veneto del Centro studi cetacei - per definire la concentrazione di veleni e pesticidi trovati in questi delfini rispetto ai valori riscontrati in altre zone del pianeta: allucinanti".
Ma oltre alla quantità preoccupa la qualità delle sostanze trovate. "Di tantissime sostanze trovate in questi delfini non sappiamo nulla in termini di effetti sull'uomo - spiega Paolo Perlasca dell'ufficio di Venezia del Wwf - ma è preoccupante vedere l'alta percentuale di pop, vale a dire gli inquinanti organici di sintesi persistenti, tutti provenienti dalle lavorazioni di Porto Marghera, sostanze bandite da 20 anni negli Stati Uniti e che qui invece si continua a riversare in acqua". Dai 70 scoli autorizzati provenienti dal Petrolchimico finiscono in acqua ogni anno 6,4 tonnellate di pop, tra cui diossine, furani, idrocarburi policiclici aromatici, esaclorobenzene. E dai fondali verrebbero rilasciati mercurio (oltre 50 tonnellate finora censite in laguna), zinco (6.100), cromo (2.700), piombo (2.300). Senza contare che fino a pochissimi anni fa la Montedison aveva l'autorizzazione a scaricare in mare aperto, cioè di fronte alle spiagge che ogni estate accolgono milioni di persone, i famosi "gessi industriali", fanghi che racchiudevano gli scarti di tutte le lavorazioni. Questo senza contare che in queste zone si scaricano i maggiori fiumi (Po, Adige, Sile e Piave) che attraversano la pianura padana e che raccolgono pesticidi (vietati ma che potranno essere smaltiti solo in decenni) e anticrittogamici. E se si aggiunge che a pochi chilometri da Venezia, a Ravenna, esiste un altro petrolchimico i cui scarichi finiscono direttamente in mare il quadro è quasi definitivo.
Si completa solo se si pensa che due anni fa, partendo dalle nostre basi, sopra queste acque si svolse la più grande operazione aerea dalla fine della seconda guerra mondiale. E qualcuno ricorderà come nei primi venti giorni di guerra contro la federazione jugoslava i generali della Nato fossero imbarazzati per il maltempo sulla Serbia, che impediva agli aerei di sganciare i loro carichi di morte sulle città. Se si pensa che i jet non possono atterrare armati e che quindi tutte le bombe sono state obbligatoriamente scaricate in mare resterà comunque ancora difficile poter calcolare la quantità di veleni come il mercurio (per i sistemi di guida jpds delle bombe "intelligenti") oppure l'uranio impoverito (essenziale per le bombe "antipista d'atterraggio" con cui vennero distrutti gli aeroporti jugoslavi) presenti negli ultimi 24 mesi in queste acque, caso strano proprio il periodo da cui si è registrata l'impennata nelle morti dei delfini.
Finora i governi italiani (D'Alema e Amato) hanno solo potuto riconoscere che la Nato in realtà ha fornito mappe dei siti di rilascio completamente sballate (e questo nella migliore delle ipotesi), che i nostri vertici militari sostengono di non sapere che tipi di bombe siano state usate sulla Jugoslavia (dichiarazione alla procura di Venezia del comandante italiano della base di Aviano) e che la nostra marina militare, impegnata nella tanto sbandierata "operazione di bonifica" non aveva la tecnologia adatta al recupero delle bombe, cioè alla reale bonifica delle acque. I cacciamine italiani hanno potuto fare l'unica cosa che sapevano e che gli scienziati avevano chiesto di non fare: hanno fatto brillare le bombe lì dove le hanno trovate, rilasciando definitivamente in mare tutte le sostanze in esse contenute. Sostanze che potremo conoscere solo attraverso le carcasse di altri delfini prossimi venturi.