Jean-Marie Muller, la nonviolenza è lotta

I lavori di Jean Marie Muller hanno il pregio della chiarezza.
Hanno anche il pregio di non pretendere di essere esaustivi, ma di suscitare
nuove riflessioni, di "aprire il dibattito" sulle formulazioni e sulle
proposte che avanzano, formulazioni e proposte sulle quali spesso il lettore
sente di aver da aggiungere altro,  a sostegno o in contraddittorio. E sono
questi i libri che ci piacciono di più, quelli che ci invitano a schierarci
in modo non acritico, quelli che ci provocano a replicare, ad approfondire,
a cercare ancora.
Di alcuni suoi testi e di alcune sue formulazioni abbiamo fatto più volte
uso nel corso degli anni in incontri di formazione: nel centro sociale
occupato "Valle Faul" di Viterbo; con obiettori dell'Arci, della Caritas e
di alcuni enti locali; con insegnanti e studenti di varie scuole (sia in
assemblee nel corso di occupazioni, sia in corsi di educazione alla pace);
qui di seguito riportiamo alcune sintesi ed alcuni estratti.
Ai testi seguenti premettiamo una breve notizia biobibliografica.

Peppe Sini
responsabile del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo

Viterbo, 11 agosto 2000

Notizia biobibliografica su Jean-Marie Muller
Profilo biografico: è nato nel 1939 a Vesoul in Francia, docente,
ricercatore, tra i più importanti studiosi del pacifismo e delle alternative
nonviolente, oltre che attivo militante nonviolento e fondatore del  MAN
(Mouvement pour une Alternative Non-violente).
Opere di Jean-Marie Muller: Strategia della nonviolenza, Marsilio, Venezia
1975; Il vangelo della nonviolenza, Lanterna, Genova 1977; Significato della
nonviolenza, Movimento Nonviolento, Torino 1980; Metodi e momenti
dell'azione nonviolenta, Movimento Nonviolento, Perugia 1981; Lessico della
nonviolenza, Satyagraha, Torino 1992; Simone Weil. L'esigenza della
nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Vincere la guerra, Edizioni
Gruppo Abele, Torino 1999.
Opere su Jean-Marie Muller: non conosciamo monografie italiane su Muller,
ovviamente di lui si parla nei libri concernenti la nonviolenza. Si veda
inoltre il volume del MAN (Mouvement pour une Alternative Non-violente), Una
nonviolenza politica, Movimento Nonviolento, Perugia 1977.
Indirizzi utili: "Azione Nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
045/8009803, e-mail: azionenonviolenta@sis.it

1. Da Jean-Marie Muller, Significato della nonviolenza (una sintesi)
Questo opuscolo, Jean-Marie Muller, Significato della nonviolenza, Edizioni
del Movimento Nonviolento, Torino 1980, costituisce una sintetica e
stimolante presentazione della nonviolenza come proposta di lotta.
Il testo di Muller è del 1974, la traduzione italiana è arricchita da una
introduzione di Matteo Soccio che descrive la figura dell'autore, da una
bibliografia essenziale in italiano, e da un indirizzario che, anche se non
più utilizzabile vent'anni dopo, è un commovente elenco di amici della
nonviolenza italiani che hanno continuato a dare buona prova.
Il testo è scandito in brevi paragrafi ognuno con un suo titolo, il che
facilita la lettura (anche se non sempre questa forma espositiva è la
migliore). Di questa scansione ci serviremo liberamente nella sintesi
dell'opuscolo che di seguito proponiamo con qualche nostro minimo commento.
1. Partire dai fatti: "non saremmo seri nella nostra riflessione sulla
nonviolenza se non prendessimo sul serio la violenza"; si tratta di
comprenderla: "essa è molto spesso la ricerca di soluzioni concrete a dei
problemi concreti", pertanto: "non potremmo accontentarci di una pura e
semplice condanna di tutte le violenze quali che siano, da qualsiasi
direzione provengano, ponendoci al di sopra della mischia e richiamandoci ad
una innocenza che non può essere di questo mondo". Si tratterà quindi di
esaminarla rigorosamente, per contrastarla efficacemente nel modo più
rigoroso, appunto con la lotta nonviolenta.
2. La violenza è distruzione: "non bisogna lasciarsi ingannare -scrive
Ricoeur-. Il volto della violenza, il fine che essa persegue implicitamente
o esplicitamente, direttamente o indirettamente, è la morte dell'altro". Il
richiamo alla riflessione di Ricoeur ci pare assai pertinente, e vorremmo
aggiungere anche l'Elias Canetti di Massa e potere (un'opera fondamentale).
3. Le tre violenze: di seguito Muller riprende la nota distinzione delle
"tre violenze" nel loro rapporto genealogico così come indicato da Helder
Camara, il grande vescovo brasiliano, eroico difensore dei diritti umani che
ci ha abbandonato da poco.
a) la prima violenza è la violenza delle situazioni di ingiustizia;
b) "la seconda violenza è quella che nasce dalla rivolta degli oppressi
quando essi tentano di liberarsi dal giogo dell'oppressione che li schiaccia";
c) "la terza violenza è la violenza della repressione, essenzialmente legata
alla violenza d'oppressione per mezzo della quale i ricchi ed i potenti
spezzano i movimenti di liberazione dei poveri".
Dom Helder Camara, e padre Balducci riprendendone la riflessione,
esprimevano opposizione a tutte le violenze, ma ovviamente spiegavano che
ciò che occorreva innanzitutto era abolire la prima violenza, abolita la
quale le altre sparivano di conseguenza. Sulla stessa linea di pensiero
Muller nota che "se la nonviolenza condanna e combatte innanzitutto la
violenza degli oppressori, essa però viene a rimettere in questione anche la
violenza degli oppressi. Liberare i poveri, vuol dire anche liberarli dalla
loro violenza". Sulla stessa linea di riflessione Giuliano Pontara rilevava
che i sostenitori della nonviolenza non si limitano a condannare la
violenza, ma praticano e propongono la nonviolenza come una forma di lotta
concreta ed efficace contro la violenza. Vorremmo aggiungere questa
definizione: la nonviolenza è una teoria-prassi di liberazione che
degnifica, ovvero umanizza, chi ne partecipa nel suo stesso farsi.
4. La necessità del conflitto e la gestione nonviolenta dell'aggressività:
al riguardo Muller svolge alcune considerazioni ispirate a concretezza e
coscienza di alcune acquisizioni fondamentali del pensiero del Novecento.
Muller è esplicito: "non si tratta di reprimere l'aggressività dell'uomo, ma
di metterla in opera", aggiungendo che non è fatale che l'aggressività si
manifesti con la violenza, bisogna saperla disciplinare, controllare,
utilizzare in modi più costruttivi della violenza. l'aggressività va
incanalata affinché si manifesti in creatività, solidarietà, impegno per la
dignità, la giustizia, la verità.
Inoltre, passando dal piano psicologico a quello sociologico: "bisogna
dunque accettare questa realtà del conflitto", anzi: la strategia della
nonviolenza promuove il conflitto contro l'ingiustizia. Chi pretende di
cancellare il conflitto dalla società, propugna una società totalitaria.
5. L'importanza dei mezzi: "non è soltanto un problema morale, è anche un
problema di efficacia. Una delle caratteristiche della nonviolenza è
precisamente di affermare che, se la scelta dei mezzi viene dopo (è seconda)
rispetto al fine da conseguire, non è tuttavia secondaria, è anzi essenziale
alla effettiva realizzazione di quel fine. Gandhi diceva: il fine è nei
mezzi come l'albero nel seme".
E Muller propone di esaminare il significato della nonviolenza ponendoci
successivamente a tre livelli diversi:
a) il livello personale;
b) il livello delle relazioni interpersonali;
c) il livello delle relazioni sociali e politiche.
6. Sul piano personale: "la violenza è il segno di una certa assurdità del
destino umano", la nonviolenza ci colloca in "un dinamismo della speranza
che ci libera dalla fatalità della violenza". E citando ancora Ricoeur:
"Colui che chiama crimine un crimine è già sulla via del senso e della
salvezza".
7. Sul piano delle relazioni interpersonali è la scelta del dialogo rispetto
alla violenza. A noi pare assolutamente evidente che solo sulla scelta del
ripudio della violenza si può fondare una società giusta.
8. Sul piano delle relazioni sociali e politiche, Muller evidenzia che la
nonviolenza è azione, impegno morale che si concretizza nella pratica, ed
incisivamente scrive che "l'azione nonviolenta è una prova di forza".
"Un'azione nonviolenta non è una dimostrazione d'amore. Essa è molto più
precisamente una dimostrazione di forza. La nonviolenza, non è l'amore, ma
piuttosto la ricerca di tecniche e di metodi di lotta compatibili con
l'amore, compatibili con il rispetto della verità". Si potrebbe dir
diversamente, e si potrebbe discutere la forzatura e l'ellissi, ma il senso
è chiaro. La nonviolenza è lotta, lotta come amore e amore come lotta.
9. La strategia dell'azione nonviolenta: "il principio essenziale di questa
strategia è il principio di non-cooperazione; io lo chiamerei meglio:
principio di non-collaborazione. Esso si fonda sulla seguente analisi: la
forza dell'ingiustizia nella società deriva dalla complicità che la
maggioranza dei membri di questa società apporta a questa ingiustizia".  Ed
è davvero questo il cardine della proposta della nonviolenza: si tratta di
rompere la complicità.
10. Che fare:
10.1. L'analisi: innanzitutto occorre la denuncia dell'ingiustizia e
l'analisi della situazione concreta.
10.2. La protesta pubblica: quindi passare alla protesta pubblica (ma sempre
nelle azioni di protesta pubblica rispettare il principio della
"pacificazione della parola"); tra le azioni di protesta pubblica, lo
sciopero della fame è una delle più specifiche della nonviolenza (e qui
Muller segnala che lo sciopero della fame "non è nonviolento se diventa un
ricatto nei confronti dell'avversario").
10.3. L'azione diretta nonviolenta: dopo aver esaurito le possibilità del
dialogo, le possibilità del negoziato, bisogna passare all'azione diretta
nonviolenta.
Replicando ad una retorica diffusa, Muller scrive opportunamente: "Bisogna
dunque rovesciare i termini e non dire che il negoziato è un mezzo per
risolvere il conflitto, ma che il conflitto è un mezzo per risolvere il
negoziato. E' proprio perché il negoziato non è possibile che il conflitto è
necessario per rendere possibile il negoziato e per creare le condizioni  in
cui il dialogo e il negoziato saranno possibili".
11. I mezzi dell'azione diretta nonviolenta: qui Muller propone alcuni
esempi, ovviamente tutt'altro che esaustivi:
a) lo sciopero;
b) il boicottaggio;
c) la disobbedienza civile.
12. La violenza è l'arma dei ricchi: Muller è incalzante nella concretezza
delle sue argomentazioni: "la capacità di violenza degli oppressori sarà
sempre smisuratamente più grande della capacità di violenza degli oppressi".
13. La nonviolenza è possibile, allora essa è preferibile: "molti conflitti
si sono sviluppati in un crescendo di violenza dall'una e dall'altra parte;
non è facile, a partire di là, tentare di intravvedere una soluzione
nonviolenta. Ma noi potremmo almeno metterci d'accordo su questa ipotesi di
lavoro: se la nonviolenza è possibile, allora essa è preferibile".
Ed è detto magnificamente, e vorremmo aggiungere: se la nonviolenza è
possibile, allora essa è necessaria.
E si potrebbe dir anche: se la nonviolenza è necessaria, allora essa è anche
possibile.
E noi sappiamo che la nonviolenza è possibile. E noi sappiamo che la
nonviolenza è necessaria.

2. Da Jean-Marie Muller, Momenti e metodi dell'azione nonviolenta (uno schema)
L'opuscolo di Jean Marie Muller, Momenti e metodi dell'azione nonviolenta,
Edizioni del Movimento Nonviolento, Perugia 1981, riprende un capitolo
dell'ampia opera di Muller, Strategia della nonviolenza, Marsilio, Padova
1975, e precisamente il capitolo settimo (pp. 73-99).
E' un lavoro utile, che si affianca a quelli di Charles C. Walker (Manuale
per l'azione diretta nonviolenta), di Aldo Capitini (Le tecniche della
nonviolenza), di Alberto L'Abate (Addestramento alla nonviolenza), ed
all'opera fondamentale di Gene Sharp, (Politica dell'azione nonviolenta, in
tre volumi, presso le Edizioni Gruppo Abele).
Il testo di Muller si articola secondo la seguente scansione:
1. Analisi della situazione: "è essenziale che prima di decidere l'azione si
abbia una conoscenza esatta della situazione in cui s'inserisce
quell'ingiustizia che si vuole denunciare e combattere".
2. Scelta dell'obiettivo: "la scelta dell'obiettivo è essenziale poiché da
essa soltanto può dipendere la riuscita o l'insuccesso del movimento.
Converrà scegliere un obiettivo preciso, limitato e possibile".
3. Primi negoziati: "conviene entrare al più presto possibile in contatto
diretto con l'avversario, prima di portare la controversia sulla pubblica
piazza, allo scopo di tentare tutto ciò che è possibile per risolvere il
conflitto senza dover ricorrere alla prova di forza. Si tratta allora di far
conoscere ai rappresentanti della parte avversa le conclusioni a cui
l'analisi della situazione ha condotto e di far valere le rivendicazioni del
movimento precisando l'obiettivo che questo ha deciso di raggiungere. Sin da
questo momento è importante dar prova della più rigorosa cortesia nei
confronti dell'avversario. (...) Il clima che si instaurerà durante questi
primi negoziati determinerà in buona parte il clima di tutto il conflitto.
(...) Questi primi negoziati devono permettere alle due parti di conoscersi
meglio. (...) Ma dev'essere chiaro che il movimento non si accontenta in
nessun momento di promesse, ma che aspetta invece delle decisioni. Esso
accetterà di sospendere la sua azione solo quando avrà raggiunto un accordo
definitivo che metta fine al conflitto".
4. Appello all'opinione pubblica. "In seguito al fallimento dei primi
negoziati, bisognerà sforzarsi di far esplodere l'ingiustizia di fronte
all'opinione pubblica con tutti i mezzi di informazione di cui può disporre
il movimento".
Muller qui annota tra l'altro che "è molto importante mantenere l'iniziativa
dell'informazione e vigilare affinché il senso dell'azione non venga né
deformato né falsificato"; annota inoltre che "si tratta di mettere
l'opinione pubblica di fronte alle proprie responsabilità, ma non si tratta
di colpevolizzarla".
Muller indica quindi tutta una serie di metodi di manifestazione pubblica
(ovviamente riportando anche esempi storici significativi):
- comunicati;
- petizioni;
- sfilata;
- marcia;
- sciopero della fame limitato.
5. Invio di un ultimatum: "di fronte al fallimento degli ultimi tentativi di
negoziato, diventa necessario fissare all'avversario un ultimo termine al di
là del quale saranno date disposizioni di ricorrere all'azione diretta";
ovviamente l'ultimatum, ultimo tentativo di soluzione negoziata prima di
ricorrere all'azione diretta nonviolenta, dovrà essere reso pubblico.
6. Azioni dirette nonviolente: qui Muller propone la seguente classificazione:
6.1. Azioni dirette di non-cooperazione: e tra queste segnala (con dovizia
di riferimenti ad esperienze storiche di resistenza nonviolenta):
- l'hartal: un giorno di sciopero generale restando a casa;
- il rinvio di titoli e di decorazioni;
- lo sciopero;
- il boicottaggio:
- lo sciopero degli affitti;
- il rifiuto collettivo dell'imposta;
- l'obiezione di coscienza;
- lo sciopero della fame illimitato;
- lo sciopero generale.
6.2. Azioni dirette d'intervento: e tra queste Muller segnala:
- il sit-in;
- l'ostruzione (impedire col proprio corpo la circolazione su una via pubblica);
- l'usurpazione civile (nel proprio lavoro ignorare le istruzioni dall'alto
e seguire invece le indicazioni del movimento di resistenza);
- l'usurpazione delle funzioni governative e il governo parallelo: "quando
tutto un paese è abbandonato all'arbitrio di un governo che intende imporre
il dominio rinnegando tutti i princìpi della vita democratica, non si tratta
più soltanto di opporsi a una legge particolare, si tratterà di opporsi al
governo. Converrà perciò, allo scopo di bloccare i meccanismi del governo e
di paralizzarlo, estendere la disobbedienza civile alle leggi che, pur non
essendo di per se stesse ingiuste, servono nondimeno ai progetti del
governo". Allora "nella misura in cui la disobbedienza civile avrà potuto
essere organizzata su scala nazionale, i leader del movimento di resistenza
potranno essere considerati come rappresentanti dell'autorità legittima del
paese".
Ovviamente questo è solo un sunto che vale come invito a leggere l'intero
opuscolo, ed altrettanto ovviamente una lettura adeguata di questo opuscolo
richiederebbe la lettura integrale del libro di cui esso costituisce un
capitolo. Chi scrive queste righe ritiene che mai si debba correre il
rischio di ridurre le tecniche nonviolente a mere formule organizzative ed
operative, esse devono essere sempre coerenti a, e per così dire illuminate
da, scelte di valore, teoriche ed esistenziali, precise e rigorose, appunto
quell'insieme di scelte gnoseologiche, etiche e politiche su cui si fonda la
nonviolenza.