Giuliano Pontara, le ragioni della nonviolenza

I materiali che di seguito presentiamo consistono in estratti, sintesi ed
adattamenti da scritti di Giuliano Pontara, di cui abbiamo fatto uso nel
corso di training di addestramento alla nonviolenza (in preparazione di
azioni dirette nonviolente, come quella delle mongolfiere per la pace ad
Aviano nel 1999), in attività di educazione alla pace nelle scuole, ed in
incontri di formazione con obiettori di coscienza in servizio civile.
Giuliano Pontara è il più importante studioso italiano di Gandhi, e con la
sua opera di ricercatore, di docente e di militante ha grandemente
contribuito alla diffusione della nonviolenza e agli studi sulla pace.
Agli estratti seguenti premettiamo una breve notizia biobibliografica.

Peppe Sini
responsabile del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo

Viterbo, 10 agosto 2000

Notizia biobibliografica su Giuliano Pontara
Profilo biografico: nato a Cles (Trento) nel 1932, antimilitarista, rifiutò
il servizio militare e preferì emigrare, vivendo e lavorando in Svezia dal
1953; docente di filosofia all'Università di Stoccolma, impegnato nella
peace research e nei movimenti nonviolenti, tra i massimi studiosi di etica,
da anni anima anche l'esperienza dell'Università per la pace a Rovereto.
Opere di Giuliano Pontara: Se il fine giustifichi i mezzi, Il Mulino,
Bologna 1974; Il satyagraha, Movimento Nonviolento, Perugia 1983; Filosofia
pratica, Il Saggiatore, Milano 1988; Antigone o Creonte. Etica e politica
nell'era atomica, Editori Riuniti, Roma 1990; Etica e generazioni future,
Laterza, Roma-Bari 1995; La personalità nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1996; Guerre, disobbedienza civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo
Abele, Torino 1996; Breviario per un'etica quotidiana, Pratiche, Milano
1998. Ha curato (premettendovi un importante saggio introduttivo)
l'antologia di scritti di Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza,
Einaudi, Torino (nel 1996 ne è apparsa una nuova edizione in una collana
economica).
Opere su Giuliano Pontara: non conosciamo monografie in volume su Pontara;
si vedano però i volumi che raccolgono gli atti di incontri e dibattiti cui
anche Pontara ha preso parte con importanti relazioni: AA. VV., Marxismo e
nonviolenza, Lanterna, Genova 1977; AA. VV., Nonviolenza e marxismo,
Libreria Feltrinelli, Varese 1981.
Indirizzi utili: UNIP, Università per la pace, via Tartarotti 9, 38068
Rovereto (TN), tel. 0464/424288, fax 0464/424299, e-mail: iupip@inf.unitn.it

1. Da Giuliano Pontara, Nonviolenza (per la critica radicale della violenza)
Elenchiamo alcune ragioni essenziali per cui occorre essere rigidamente
contro la violenza. Citiamo da Giuliano Pontara, voce Nonviolenza, in
AA.VV., Dizionario di politica, Tea, Torino 1992:
1. il primo argomento "mette in risalto il processo di escalation storica
della violenza. Secondo questo argomento, l'uso della violenza (...) ha
sempre portato a nuove e più vaste forme di violenza in una spirale che ha
condotto alle due ultime guerre mondiali e che rischia oggi di finire nella
distruzione dell'intero genere umano";
2. il secondo argomento "mette in risalto le tendenze disumanizzanti e
brutalizzanti connesse con la violenza" per cui chi ne fa uso diventa
progressivamente sempre più insensibile alle sofferenze ed al sacrificio di
vite che provoca;
3. il terzo argomento "concerne il depauperamento del fine cui l'impiego di
essa può condurre (...). I mezzi violenti corrompono il fine, anche quello
più buono";
4. il quarto argomento "sottolinea come la violenza organizzata favorisca
l'emergere e l'insediamento in posti sempre più importanti della società, di
individui e gruppi autoritari (...). L'impiego della violenza organizzata
conduce prima o poi sempre al militarismo";
5. il quinto argomento "mette in evidenza il processo per cui le istituzioni
necessariamente chiuse, gerarchiche, autoritarie, connesse con l'uso
organizzato della violenza, tendono a diventare componenti stabili e
integrali del movimento o della società che ricorre ad essa (...). "La
scienza della guerra porta alla dittatura" (Gandhi)".
A questi argomenti ne vorremmo aggiungere altri due:
6. un argomento, per così dire, di tipo epistemologico: siamo contro la
violenza perché siamo fallibili, possiamo sbagliarci nei nostri giudizi e
nelle nostre decisioni, e quindi è preferibile non esercitare violenza per
imporre fini che potremmo successivamente scoprire essere sbagliati;
7. soprattutto siamo contro la violenza perché il male fatto è irreversibile
(al riguardo Primo Levi ha scritto pagine indimenticabili soprattutto nel
suo ultimo libro I sommersi e i salvati).
Agli argomenti contro la violenza Pontara aggiunge opportunamente un ultimo
decisivo ragionamento: "I fautori della dottrina nonviolenta sono coscienti
che ogni condanna della violenza come strumento di lotta politica rischia di
diventare un esercizio di sterile moralismo se non è accompagnata da una
seria proposta di istituzioni e mezzi di lotta alternativi. Di qui la loro
proposta dell'alternativa satyagraha o della lotta nonviolenta positiva, in
base alla duplice tesi a) della sua praticabilità anche a livello di massa e
in situazioni conflittuali acute, e b) della sua efficacia come strumento di
lotta" per la realizzazione di una società fondata sulla dignità della
persona, il benessere di tutti, la salvaguardia dell'ambiente.

2. Da Giuliano Pontara, Gandhismo (definizione del satyagraha)
Di Giuliano Pontara, uno dei maggiori studiosi e militanti italiani della
nonviolenza, sunteggiamo qui alcuni passaggi essenziali della voce Gandhismo
da lui scritta per il Dizionario di politica curato da Bobbio, Matteucci e
Pasquino, Utet, Torino, poi Tea, Milano. Nello stesso volume Pontara ha
steso altresì le voci Nonviolenza, Ricerca scientifica sulla pace,
Utilitarismo. Segnaliamo che Pontara è il curatore della fondamentale
antologia di scritti di Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi,
Torino, cui ha premesso una vasta ed approfondita introduzione.
La voce di dizionario di cui qui citeremo e riassumeremo alcuni punti
essenziali esordisce ricordando che Gandhi insistette sempre nell'affermare
che "non esiste qualcosa come il gandhismo", così rimarcando il carattere
aperto e sperimentale delle sue concezioni etiche, sociali e politiche, ed
il suo rifiuto di ogni forma di settarismo che si richiamasse al suo nome
(come è noto, non altrimenti Marx affermava di non essere marxista). Gandhi
non scrisse alcun trattato sistematico sulla sua concezione della
nonviolenza, la sua opera letteraria è fondamentalmente costituita di
migliaia di articoli giornalistici, lettere, appelli, sempre stesi con un
fine immediato ed interlocutori specifici; del resto la sua autobiografia
conferma questo carattere sperimentale della sua riflessione ed azione,
recando fin nel titolo esplicitamente l'espressione esplicativa di Storia
dei miei esperimenti con la verità.
Ovviamente dal complesso dell'opera gandhiana, palesemente asistematica (e
Pontara sottolinea una somiglianza in questo con l'opera gramsciana), è
possibile ricavare  alcuni elementi teorici originali, persistenti e
coerenti che grosso modo possiamo considerare particolarmente caratteristici
dell'elaborazione teorica e della proposta pratica gandhiana. Pontara
sottolinea particolarmente:
"a) la critica all'industrialismo in quanto tale, e non soltanto alla
variante capitalistica di esso;
b) la concezione di uno "stato nonviolento";
c) le idee sull'educazione fondata sulla partecipazione al lavoro
produttivo, soprattutto a quello manuale;
d) la sua filosofia dei conflitti di gruppo;
e) la sua concezione dei rapporti tra etica e politica;
f) la sua dottrina del satyagraha come modalità del tutto particolare della
lotta politica".
La parte più perspicua del testo è ovviamente la caratterizzazione della
specifica modalità di lotta nonviolenta che Gandhi definisce satyagraha,
"termine coniato da Gandhi che significa, all'incirca, modalità di lotta
caratterizzata dalla fermezza nella verità. Siffatta modalità di lotta è
definita da sei princìpi fondamentali. In tutta brevità essi sono i seguenti.
1) In una situazione conflittuale non si debbono porre obiettivi
incompatibili con la concezione etica che soggiace alla dottrina
nonviolenta: "E' impossibile praticare il satyagraha al servizio di una
causa ingiusta".
2) In una situazione conflittuale si deve impostare sin dall'inizio la lotta
in modo tale da non minacciare l'avversario nei suoi interessi vitali (la
vita, l'integrità fisica e psichica), scegliendo tecniche di lotta
deliberatamente volte a minimizzare le sofferenze che il conflitto può
comportare per la parte avversaria.
3) In una situazione conflittuale bisogna essere disposti a sobbarcarsi di
sacrifici che possono essere anche assai notevoli (...).
4) Il quarto principio del satyagraha prescrive di attenersi in ogni fase
del conflitto alla massima obiettività e imparzialità, di appellarsi alla
ragione cercando di comprendere i motivi e gli argomenti della parte
avversaria, di non operare nella clandestinità.
5) Un requisito fondamentale del satyagraha è quello di un impegno continuo
e costante in un programma costruttivo fondato in parte sulla individuazione
di fini sovraordinati, ossia tali che la loro realizzazione è nell'interesse
delle parti in conflitto ed è possibile soltanto mercè una certa
collaborazione tra di esse. Ciò serve a creare quel minimo di comunicazione
senza la quale una lotta di tipo satyagraha non è possibile (...).
6) Un ultimo principio fondamentale della lotta satyagraha è quello che
Gandhi chiamava "la legge di progressione dei mezzi": si può ricorrere a
forme più radicali di lotta nonviolenta soltanto dopo che quelle più blande
si sono mostrate chiaramente inefficaci.
Gandhi riteneva che i suoi "esperimenti" di lotta satyagraha in Sud Africa e
in India avessero dimostrato la validità delle tre seguenti ipotesi:
a) che con una dovuta preparazione e organizzazione è possibile portare
delle vaste masse a praticare forme di lotta che soddisfano in misura
notevole i requisiti del satyagraha;
b) che il metodo satyagraha costituisce una concreta ed efficace alternativa
alla violenza armata nella lotta per delle cause giuste;
c) che il satyagraha tende a bloccare, in forza di fattori morali,
psicologici e politici, la reazione violenta dell'oppositore, a condurre a
soluzioni accettate e costruttive dei conflitti, e di conseguenza ad una
riduzione massima della violenza nel mondo".

3. Da Giuliano Pontara, La personalità nonviolenta
Nel secondo capitolo che ha lo stesso titolo dell'intero volume: La
personalità nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996, Giuliano
Pontara evidenzia dieci qualità di quella che definisce la "personalità
nonviolenta" (contrapposta alla "personalità autoritaria"), qualità che così
elenca e descrive:
1. Il ripudio della violenza (su cui svolge un'analisi molto fine ed
articolata che qui non possiamo adeguatamente riassumere ma alla quale
rinviamo anche perché è assai caratteristica del modo di argomentare
dell'autore);
2. La capacità di identificare la violenza (ovvero di riconoscerla anche
laddove si presenti mascherata o cronicizzata; "la capacità di individuare
la violenza a tutti i livelli, da quello personale a quello istituzionale,
da quello individuale a quello strutturale, da quello internazionale a
quello intergenerazionale. Altrettanto importante è la capacità di
individuarla in tutte le forme che essa può assumere, e non soltanto in
quelle più appariscenti della violenza armata");
3. La capacità di empatia (ovvero di identificazione con gli altri e in
primo luogo con quelli che soffrono di più);
4. Il rifiuto dell'autorità ("una persona nonviolenta ritiene che la
responsabilità per quello che fa non può essere addossata ad altri... fa
dunque propria la massima di don Milani: l'obbedienza, in quanto tale, non è
una virtù");
5. La fiducia negli altri (che si contrappone alla logica militare: "Uno dei
principi fondamentali della nonviolenza prescrive di impostare la conduzione
di un conflitto in modo tale da fare appello ai lati migliori di coloro che
ci si trova di fronte come oppositori, usando tecniche di lotta volte ad
ingenerare in un numero sempre maggiore degli individui che costituiscono il
gruppo oppositore una crescente fiducia nei confronti del gruppo
nonviolento. Si tratta di un continuo tentativo di sostituire la spirale
della sfiducia, propria della logica della violenza, con la spirale della
fiducia);
6. La capacità di dialogare, ovvero la disposizione al dialogo (qui Pontara
svolge una efficace perorazione in favore del principio fallibilista, di cui
riportiamo ampi stralci: "Un assunto che soggiace alla disposizione al
dialogo è l'accettazione del principio del fallibilismo. Questo principio ci
dice che siamo tutti esseri mortali con poteri di conoscenza limitati onde
nessuno può mai dirsi sicuro che quello che in un certo momento crede essere
vero, in effetti sia tale: può benissimo darsi che sia falso. Il
fallibilismo vale in primo luogo nel campo della scienza. Ma vale ugualmente
nel campo delle credenze etiche. I nostri giudizi morali possono infatti
essere distorti dai nostri piccoli interessi egoistici, o fondati su ipotesi
empiriche false o su informazioni incomplete. Possono anche essere fondati
su assunti di valore che non abbiamo visitato criticamente o tali per cui se
esaminati criticamente saremmo stati disposti ad abbandonare. (...) Il
fallibilismo in etica è profondamente compatibile con l'avere delle profonde
convinzioni morali (...). Un individuo fornito di una personalità
nonviolenta... non vorrà escludere a priori la possibilità di aver lui torto
e l'avversario ragione. Per questo egli rifiuta metodi di conduzione dei
conflitti che comportano la distruzione dell'avversario (...). Il
fallibilismo abbraccia anche le credenze religiose ed essere fallibilista in
religione è pur sempre compatibile con l'avere una profonda fede religiosa
(...). L'interiorizzazione del principio del fallibilismo è dunque uno dei
migliori vaccini contro tutte le forme di fanatismo...; è altresì
fondamentale per il buon funzionamento delle istituzioni democratiche e
costituisce un grande incentivo alla tolleranza (...). Il fallibilismo vale
nei confronti di tutti i giudizi, anche quelli in cui si articola il
fallibilismo stesso: non possiamo escludere che la credenza stessa per cui
siamo tutti fallibili in effetti sia falsa. Ben poco però induce a credere
che tale essa sia. Il contrario del fallibilismo è il dogmatismo");
7. La mitezza (che ovviamente si armonizzi con le altre qualità indicate);
8. Il coraggio;
9. L'abnegazione;
10. La pazienza.

4. Da Giuliano Pontara, Etica  e generazioni future
Pontara è autore di un bel libro introduttivo, chiaro ed essenziale, su
Etica e generazioni future, Laterza, Roma-Bari 1995. Il libro muove dalla
consapevolezza che "le possibilità che l'attuale generazione di adulti e
quelle immediatamente successive hanno di influire, nel bene e nel male, e a
livello globale, sulle generazioni future, anche su quelle che esisteranno
in un futuro remoto, parrebbero essere enormemente maggiori di quelle che
ogni altra generazione precedente abbia mai avute. Questo comporta che il
problema della nostra responsabilità nei confronti dei posteri assume
un'importanza molto maggiore che non quella che ragionevolmente poteva avere
per generazioni precedenti" (p. 6).
Pontara delinea tre possibilità di incidere sulle generazioni future, anche
di un futuro remoto:
"a) è possibile incidere su quanti individui esisteranno in futuro - con lo
zero come limite inferiore, caso che si verificherebbe, ad esempio, in
seguito allo scoppio (magari per errore) di una guerra termonucleare che
ponesse fine all'umanità;
b) è possibile incidere su quali individui esisteranno in futuro: ciò non
soltanto in seguito agli sviluppi della scienza biomedica e dell'ingegneria
genetica, bensì anche in quanto (e come si vedrà meglio in seguito) le
scelte di certe linee di politica energetica, economica, sociale,
demografica, militare, ecc., hanno effetti tali per cui nessuno degli
individui che esisteranno tre-quattro secoli dopo che una certa linea
politica è stata scelta sarebbe esistito ove fosse stata mandata ad effetto
una qualche linea politica alternativa;
c) è possibile incidere sul tenore e la qualità della vita di vaste masse di
individui che esisteranno in futuro" (p. 15).
Stante questa situazione, si pone il problema della nostra responsabilità
morale verso le generazioni future, che Pontara articola così:
"1. Vi sono obblighi o doveri morali di natura generale che soggetti,
individuali o collettivi, esistenti in un qualsiasi periodo di tempo hanno
nei confronti di generazioni di individui i quali rispetto ad essi vivranno
nel futuro? (...)
2. Quali sono più precisamente gli obblighi generali cui si soggiace, e
possono essi trovare una spiegazione plausibile, vale a dire un fondamento
in una teoria etica sostenibile?
(...) 3. Quali obblighi più specifici si possono dedurre da quelli generali
per quanto riguarda la nostra responsabilità verso le generazioni a noi future?
(...) 4. Quali sono le misure educative, sociali, giuridiche, politiche -sia
a livello locale sia a livello globale, sia a livello di singoli stati sia a
livello internazionale- necessarie al fine di far rispettare gli obblighi
morali verso le generazioni future?" (pp. 15-16).
Al termine di una vasta, approfondita e problematica disamina di tutti i
nodi considerati, Pontara giunge alla formulazione di un approccio che
propone "alcune norme di morale intergenerazionale tra le quali vorrei
mettere in rilievo almeno le quattro seguenti:
N1. Non fare scelte che abbiano effetti irreversibili, o comunque la cui
reversibilità è molto difficile ed estremamente costosa;
N2. Massimizzare il tenore di vita sostenibile;
N3. Salvaguardare la biodiversità;
N4. Salvaguardare il patrimonio artistico, scientifico,culturale.
Il rispetto generale di queste norme parrebbe essere condizione necessaria
affinché alle generazioni future siano almeno lasciate aperte opzioni non
minori di quelle che hanno le generazioni oggi esistenti" (p. 160).
Il filosofo pone anche il problema delle misure giuridiche e politiche
necessarie affinché queste norme siano rispettate, ed evidenzia come ad
esempio la Costituzione italiana "non soltanto non contiene alcun  accenno a
diritti di generazioni future, ma non contiene nemmeno alcun accenno a
obblighi di salvaguardia dell'ambiente" (p. 161); ed esaminando il contesto
e le relazioni internazionali evidenzia la necessità di una svolta profonda.
"Chiudo con due osservazioni che sono ovvie, ma che vale la pena ribadire.
La prima è che bisogna stare in guardia contro l'errore di ritenere che ogni
stato, come oggi esiste, abbia obblighi soltanto o particolarmente forti nei
confronti delle generazioni future di propri cittadini. Infatti, come la
storia, anche più recente, ci insegna, gli stati sono istituzioni che
nascono, si modificano, spariscono. Non ha quindi molto senso parlare di
obblighi che lo stato ha soltanto nei confronti delle generazioni di propri
futuri cittadini. Il problema della responsabilità verso le generazioni
future è un problema globale, non nazionale.
La seconda osservazione che va ribadita è che una politica responsabile
(improntata, tra l'altro, alla osservanza dei dettami delle quattro norme
sopra messe in rilievo) nei confronti delle generazioni future è
necessariamente connessa con una politica responsabile nei confronti delle
generazioni oggi viventi nei paesi del Terzo mondo.
(...) E' quindi della massima importanza che i rapporti tra Nord e Sud siano
radicalmente ridimensionati: di questo ridimensionamento fa certamente parte
la cancellazione regolata dell'enorme debito del Terzo mondo che si aggira
sull'astronomica somma di 1.400 miliardi di dollari. E' una delle misure
necessarie per salvaguardare vitali interessi di generazioni future" (pp.
165-166).