Dal "manifesto" del 27 novembre 2001
Recessione 2001
Dati Usa molto chiari: il terzo millennio comincia malissimo

FRANCESCO PICCIONI

E' ufficiale. La parola evocata come uno spettro dagli economisti durante tutto il 2001, è stata finalmente pronunciata: recessione. Che l'economia statunitense avesse il fiato più che corto, lo si era visto (e detto e scritto) da molto più tempo; da quando, insomma, la "bolla speculativa" aveva rivelato i primi buchi, lasciando milioni di risparmiatori a piangere su azioni che valevano ogni giorno di meno.
Ora se ne può parlare come di un fatto, non di un rischio. L'"autorizzazione" viene dal National Bureau of Economic Research (Nber), un'associazione no profit di ricercatori accademici Usa. Sempre loro, inoltre, smantellano l'alibi delle Twin towers (e del Pentagono, sempre dimenticato nel computo dei danni dell'11 settembre) come "causa" della recessione. La cui data d'inizio è fatta risalire a marzo. Secondo la convenzione comunemente accettata si può parlare di recessione quando per due trimestri consecutivi la crescita economica è negativa. "Tecnicamente", quindi, si può ancora far finta che la recessione non sia accertata, visto che il secondo trimestre di quest'anno segnava un misero +0,4%, ma pur sempre un segno positivo, mentre il terzo si è chiuso con uno 0,4% negativo (che già si ammette verrà rivisto in peggio, a -0,8),. E' la strada, un po' comica, scelta ieri da Lawrence Lindsay, consigliere economico della Casa bianca, che interrogato sull'analisi del Nber rispondeva: "Non lo so, è una questione statistica. Non lo sapremo per molti mesi". A uno così, forse, sarebbe bene evitare di chiedere consigli. Ma anche il segretario del Tesoro, Paul O'Neill, ha accuratamente evitato di pronunciare la parola maledetta nel corso di dichiarazioni tutte improntate all'ottimismo ufficiale: "la ripresa è alle porte", come va ripeteendo da quasi un anno.
Gli analisti del Nber, a scanso di equivoci, si servono di quattro diversi indici per fotografare la recessione: occupazione, produzione industriale, commercio all'ingrosso e al dettaglio. E per diversi mesi hanno registrato "un calo significativo dell'attività economica in generale". Il livello dell'occupazione, infatti, ha iniziato a calare nel mese di marzo; la produzionee industriale aveva raggiunto il picco a settembre dell'anno scorso, per declinare poi in modo costante. Ciò, comunque, non ha abbattuto i redditi delle famiglie né, conseguentemente, il livello della loro "fiducia". Il basso prezzo del petrolio, se si manterrà intorno ai 18 dollari attuali, potrebbe significare a sua volta un incremento dell'1% del Pil. Di qui, anche per il Nber, la speranza che recessione duri, tutto sommato, abbastanza poco.
L'attuale recessione, comunque, è la nona del dopoguerra. La prima, e la più breve, fu quella del '49; ne seguì a breve una più grave (tre trimestri, nel '53-'54), seguita dagli anni del boom (anche italiano, pur se un po' sfalsato nei tempi). La recessione del '60-'61 e poi quella del '69-'70 segnano il decennio del ritrovato protagonismo sociale; quella del '73-'75 facilitò la caduta di Nixon e la vittoria del Vietnam. Quelle dell''80-'81 segna l'avvio della "restaurazione liberista" e l'ultima, nel '90-'91, sembra solo una breve interruzione nella marcia trionfale dell'american way of life. Questa arriva dopo il più lungo periodo di crescita nella storia moderna. Iniziata a monte di una guerra senza limiti e senza durata, non è detto che debba svolgersi secondo i dettami (o le speranze) della "scuola di Chicago".