dal "manifesto" del 18 maggio 2000
Il sigillo in serbo
Milosevic chiude con una operazione di polizia i
media dell'opposizione
TOMMASO DI FRANCESCO
C
Centinaia di poliziotti hanno fatto irruzione alle 2 di notte nell'edificio dove hanno la
sede Studio B, Radio b2-92 (che utilizza le frequenze dello studio
televisivo per trasmettere), il giornale indipendente Blic, la radio degli studenti
di Otpor Index. Chiusa in serata anche la radio di Pancevo. A Belgrado la polizia
ha subito impedito a tutti i dipendenti degli organi d'informazione di entrare nel
palazzo. Radio B2-92, nonostante tutto ha ripreso a trasmetter via satellite e su
Internet.
Si tratta di un fatto gravissimo. "Finalmente" accade a Belgrado quello che
l'Occidente ha voluto che accadesse e che ha lungamente preparato, fidando, naturalmente,
sulla prevedibile protervia di Slobodan Milosevic. E' gravissimo perché, differentemente
da quello che si è copiosamente scritto, a Belgrado fino a ieri mattina c'era ancora lo
stato di diritto. Milosevic governava, perché eletto, sostenuto poi fino al 24 marzo del
1999 anche dall'Occidente (dalla sua ascesa agli accordi di Dayton, fino al sostegno
elettorale contro i Radicali di Seselj nel 1997). Ora sarà più legittimo parlare di
regime. Giacché non era mai accaduto prima in tutta la storia della Jugoslavia e della
Serbia che venissero chiusi, occupati militarmente o comunque limitati media
dell'opposizione - finora c'erano state multe gravi, e l'unica eccezione era rappresentata
dallo stato d'emergenza, da tutti accettato, sotto i bombardamenti della Nato, quando, va
ricordato, Studio B, prestò i ripetitori alla tv di stato distrutta dai missili
atlantici. E' dunque una discesa grave verso uno scontro diretto tra serbi. Se non è
ancora, per fortuna, la guerra civile - per evitare la quale si sono mossi contro tutti i
falchi, pare senza risultato, sia i moderati del potere che quelli dell'opposizione - ne
è comunque l'anticamera.
Ora l'opposizione alza il tono. Già ieri sera migliaia di persone hanno protestato
davanti la sede del Comune a Belgrado e la polizia ha duramente caricato i diecimila
dimostranti. Vuk Obradovic, presidente dei socialdemocratici, riprendendo la denuncia di
Dragan Kojadinovic, direttore di Studio B che ha parlato di "primo passo verso
lo stato d'emergenza", ha accusato: "Il provvedimento del governo introduce lo
stato d'emergenza e la dittatura in Serbia". Per Ognjen Pribicevic, portavoce di
Draskovic, il provvedimento "avrà gravi conseguenze sul futuro politico del
paese", e Zarko Korac, presidente dell'Unione socialdemocratica rincara la dose:
"Il potere ha deciso di rinunciare all'ultima forma di democrazia parlamentare".
Come si è arrivati a questa precipitazione che "sconvolge" l'Occidente, tanto
che ieri sera il responsabile del settore comunicazione dell'Osce, Freimut Duve, si è
chiesto "come sia possibile che uno stato europeo possa agire in una forma
autoriritaria di questo tipo all'inizio del XXI secolo?!", mentre il commissario
europeo Chris Patten deplorando la repressione dei media d'opposizione ha dichiarato:
"Solo un regime determinato a tagliare la Serbia completamente fuori dal resto
dell'Europa, può concepire di comportarsi in questa maniera". Entrambi dimentichi
della guerra in Europa, "contro uno stato europeo", e di quel che possono aver
prodotto anni e anni di sanzioni quanto ad isolamento; e dimentichi, fatto più tragico,
delle continue richieste, venute a ripetizione negli ultimi tre mesi proprio
dall'opposizione, perché le sanzioni, che colpiscono solo la popolazione civile e non
certo il potere, venissero tolte. E' stato Jiri Dienstbir, inviato speciale dell'Onu nei
Balcani a ricordare recentemente che a favore di Milosevic gioca poi sia l'irrisolta
questione di che fine fa lo status del Kosovo (il 20 giugno c'è la verifica degli accordi
di Kumanovo), sia il fatto che Milosevic "appare di fronte all'opinione pubblica del
suo paese l'unico che, nonostante il durissimo embargo, ricostruisce il paese"
bombardato dalla Nato.
Comunque il comportamento repressivo dei media non si giustifica certo con le sole
sanzioni, anzi si presenta come un grave, forse irreparabile, errore dello stesso
Milosevic. Altri fattori hanno contribuito, offrendo ulteriori pretesti per l'iniziativa
repressiva. In primo luogo la divisione dell'opposizione, che ha determinato un
"punto di vista" ambiguo su fatti di sangue che si sono succeduti a ritmo
impressionante. Ad un Dragoslav Avramovic, presentato finora come il "premier"
alternativo di tutta l'opposizione sia per la sua popolarità in patria come ex direttore
della Banca centrale jugoslava, sia come uomo legato alle esperienze del Fondo monetario e
quindi accettato dagli Stati uniti e dall'Occidente, si è via via contrapposto un sempre
più estremista Vuk Draskovic, nazionalista-monarchico moderato , soprattutto dopo il
tentativo, fallito, di attentato alla sua persona nell'ottobre '99. Per Avramovic
"l'opposizione jugoslava deve trattare con Milosevic e offrirgli un'amnistia,
risolvendo diversamente il contenzioso con il Tribunale dell'Aja, se si vuole evitare un
bagno di sangue e se si vuole la sua uscita indolore dal potere". Per Draskovic
invece, che ha parlato in piazza a Belgrado lunedì, dopo l'assassinio di Bosko Perosevic,
uomo di Milosevic, premier della Vojvodina e capo dei socialisti di quella regione,
"le forze armate e al polizia devono cominciare la disubbidienza civile contro
Milosevic", e il portavoce dell'opposizione Vladan Batic che ha ammonito:
"Milosevic, hai preso il potere con le armi, ma te ne andrai con i proiettili".
Con quale reazione tra l'esercito jugoslavo, che si considera al di sopra delle parti e
che è da tutti rispettato perché "ha difeso il paese", è facile immaginare.
Ma il clima è indubbiamente precipitato a seguito dei delitti eccellenti degli ultimi 4
mesi e mezzo, in un viluppo che potremmo definire da "connection montenegrina",
vista l'origine, a partire da Milosevic, di quasi tutti i personaggi coinvolti. Dopo
l'uccisione di Zeliko Raznatovic "Arkan", famigerato capo nazionalista -
affarista e mafioso negli ultimi anni legato al leader montenegrino Milo Djukanovic - si
è scatenata una guerra per bande contrapposte e vendette che ha visto cadere fra gli
altri tre uomini chiave di governo: Pavle Bulatovic, ministro della difesa, Zika Petrovic,
direttore della compagnia aerea di bandiera Jat e amico personale di Milosevic, infine il
premier di Vojvodina Perosevic, legatissimo anche lui al presidente jugoslavo. Qualcuno, e
non da solo, ha fatto terra bruciata intorno a lui; e non si può dimenticare che questa
strategia è in qualche modo cominciata con il tentativo - non confermato dal governo
francese, ma provato dai media di Parigi - di assassinare proprio Milosevic con una
iniziativa occidentale. In una situazione in cui la stessa stampa indipendente, ora
stupidamente imbavagliata, aveva cominciato a raccontare della presenza dei Servizi
segreti con "infiltrati mercenari serbi" proprio in Serbia. Era stata l'agenzia
indipendente Beta, fortunatamente non ancora chiusa, a raccontare martedì che
l'arresto del presunto criminale di guerra, Dragan Nikolic, non era avvenuto in Bosnia ma
presso Belgrado ad opera di un "gruppo di mercenari serbi", arrestati ieri notte
dalla polizia.