dal "manifesto" del 27 Aprile 2000

Stelle e strisce sul Caspio
Per il controllo delle risorse energetiche del Caucaso e dell'Asia centrale sono scese in campo le grandi potenze. Gli Stati uniti faranno di tutto per vincere la partita
SERGIO FINARDI

Alla fine del marzo 2000, davanti alla platea del Council of Foreign Relations (Cfr), organismo che dentro un marasma di affiliazioni di diversa origine vede rappresentato nei suoi più ristretti cerchi il cuore degli interessi imperiali degli Stati Uniti e dei suoi "valori" (in dollari ovviamente), il ministro Usa dell'Energia, Bill Richardson, ha riaffermato un giudizio già più volte espresso dalla leadership statunitense. L'Asia centrale e la regione caspico-caucasica sono di importanza strategica per gli Stati uniti, in particolare per l'approvigionamento energetico loro e dei loro alleati. Gli Stati uniti, ha detto Richardson, dovranno fare di tutto per assicurare che la regione avanzi verso scelte che siano adatte a promuovere quella libertà che "e' mancata per così tanti anni". Un obiettivo così importante per l'America da meritare l'opera incessante di due esperti, i consiglieri molto speciali del presidente per le questioni caspico-energetiche, Richard Morningstar e John Wolf - infaticabili tessitori di accordi tra i paesi dell'area e di connessioni tra questi ultimi e il più ampio corso delle strategie Usa.
Un più ampio corso che è ben definito in un articolo di qualche tempo fa ("La politica statunitense verso l'Asia centrale e il Caucaso meridionale") del generale William E. Odom, oggi al centro di studi sulla "sicurezza nazionale" dello Hudson Institute di Washington ed ex-direttore della National Security Agency: "In altre parole, la scomparsa della minaccia sovietica non ha reso obsoleto il sistema di sicurezza guidato dagli Stati uniti e creato per contenerla.
Al contrario rimane straordinariamente importante per altri obiettivi che non sono sempre chiaramente valutati. L'idea diffusa che la fine della Guerra fredda abbia rimosso il bisogno di una leadership degli Stati uniti nelle tre aree strategiche [Europa, Giappone/Corea, Golfo Persico, ndr.] è pericolosamente sbagliata. In certa misura anzi essa è divenuta anche più importante proprio per il collasso dell'Unione sovietica. Questo è certamente vero nel Transcaucaso e nell'Asia Centrale".

Tanto vero che Adrian W. Burke, della Logistica del Corpo dei Marines - collezionista di incarichi operativi nei maggiori teatri di impegno Usa - è ancora più preciso e chiaro nel sommario conclusivo di un puntuale saggio ("Una strategia regionale statunitense per il Bacino caspico"), scritto per l'ultimo numero del 1999 della Strategic Review, dello U.S. Strategic Institute di Boston.
"Il presidente - scrive Burke - ha specificato gli indirizzi della politica nazionale per la regione del Caspio nel documento 'National Security Strategy' [del 30 ottobre 1998, ribaditi nei due più recenti documenti, ndr].L'insieme dei campi energetici della regione Asia centrale-Medio oriente contiene la più grande concentrazione mondiale di riserve di idrocarburi e merita l'attenzione statunitense. Assicurare alle compagnie statunitensi la leadership nello sviluppo delle risorse della regione e azzerare l'influenza russa ed iraniana sull'esplorazione e sviluppo dei campi energetici, nonché sulle direttrici delle pipelines per l'esportazione costituisce la base di quella politica. Al fine di mantenere la sua influenza nel bacino del Caspio, gli Stati uniti devono coinvolgere i capi di stato regionali, cooperare con i settori economici americani interessati, promuovere la cooperazione militare e rispondere alle sfide complesse poste dai problemi dell' accesso e della sicurezza energetica."
Sebbene il termine "azzerare" non compaia ovviamente nel documento clintoniano dell'ottobre 1998, Burke ha certamente buone ragioni nell'usarlo per sintetizzare il senso delle indicazioni presidenziali e per farne la base delle sette "raccomandazioni" che rivolge ai responsabili della politica Usa nell'area, ivi compresi i comandi militari che hanno in carico la supervisione della regione e la cooperazione con gli apparati della difesa dei paesi ex Urss.
Sintetizzate, le sette raccomandazioni recitano: 1) rapida definizione della questione relativa allo stato "legale" del Caspio; 2) pieno supporto alla realizzazione della condotta Baku (Azerbaigian)-Ceyan (Turchia sud-orientale) e di una condotta transcaspica dal grande campo petrolifero kazako di Tengiz (Caspio nordorientale) verso occidente, cosa che avrebbe il pregio secondo Burke di mettere fuori gioco le possibili vie controllate da Iran e Russia; 3) "limitare la penetrazione economica russa nella regione", ma "permettere" alla Russia una "limitata" esplorazione petrolifera del Caspio settentrionale [bontà sua, dato che sarebbe anche territorio russo o se si vuole dagestano, ceceno e calmucco], l'esportazione del petrolio kazako e la cooperazione sul tema dell'assetto legale del Caspio; 4) gli Stati Uniti "dovrebbero incoraggiare la Turchia a diventare un leader regionale (...). la Turchia è il migliore alleato degli Stati uniti e una punta della difesa statunitense contro Russia ed Iran; 5) "l'influenza iraniana e le sue potenzialità devono essere tenute sotto controllo [...ma] continuare a tenere isolato l'Iran potrebbe essere controproducente; 6) gli Stati uniti devono tollerare la presenza cinese nella regione, presenza che sembra legata più a preoccupazioni difensive che a ritorni economici; al tempo stesso, date le riserve petrolifere cinesi già provate, le compagnie statunitensi hanno buone opportunità di assistere la Cina nel loro sfruttamento e contribuire a rinsaldare i legami tra i due paesi; 7) il Pakistan dovrebbe essere "coltivato" come strumento di contenimento dell'influenza regionale iraniana: "il Pakistan è la scelta migliore come concorrente dell'Iran"; "Il Pakistan può offrire una via indiscutibilmente più diretta per il petrolio dal Caspio all'Oceano Indiano" che evita fra l'altro "uno dei più sensibili punti di passaggio marittimo del mondo, lo Stretto di Hormuz". Infine il territorio del Pakistan "è già un possibile punto di passaggio per l'esportazione del gas kazako e soprattutto uzbeko".
Le sette raccomandazioni strategiche di Burke si coniugano poi con alcune altre più squisitamente militari. In primo luogo, Burke nota che i paesi della regione sono stati raggruppati incongruamente e in modo differente dai vari ministeri statunitensi interessati (Dipartimento di stato, Difesa, Commercio, Energia), così da creare approcci e strategie di contatto differenti. Ad esempio il Dipartimento di stato continua ad avere un gruppo unico (regione russa) per tutti i paesi dell'ex-Urss, mentre la Difesa - tra il 1998 e il 1999 - ha inserito Azerbaigian, Georgia, Armenia, Ucraina e Bielorussia nell'area di responsabilità Eucom (Comando europeo) e Turkmenistan, Kazakistan, Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan nell'area di responsabilità del Centcom (Comando centrale) - con gli ultimi due paesi immessi perché potenziali vie di transito per le condotte verso Pakistan, India e Cina.
Una unificazione degli approcci, ma soprattuto una divisione dei paesi della regione secondo reali affinità (soprattutto di carattere culturale e linguistico) e secondo le scelte di campo espresse (sostanzialmente filo-americane o meno), è per Burke la soluzione che può permettere di coordinare meglio la divisione del lavoro "militare" nella regione. L'enfasi sulle caratteristiche "linguistico-culturali" contiene in sé già tutto un programma, si tratti dell'area centro-asiatica o di quella balcanica.
In secondo luogo, Burke sostiene che gli Stati Uniti dovrebbero assumere come centro focale della loro strategia militare nella regione un maggior coinvolgimento nel Centrasbat (Central Asian Combined Peacekeeping Battalion), considerato il successo delle manovre congiunte del 1997 con lo stesso Centrasbat (formato con contingenti russi, kazaki, uzbeki e kirghisi).
In terzo luogo, gli Stati Uniti dovrebbero incoraggiare la Russia ad assumere più responsabilità nel Centrasbat, ma non al punto di permetterle di stabilire legami con i leader militari della regione che passino sopra gli Stati Uniti (Burke vuol forse dire che - nonostante il proliferare di"consiglieri" come Brzezinski - i "leader militari della regione" non sono proprio tutti culo e camicia con i ragazzi della Cia e del Pentagono e qualcuno potrebbe aver conservato qualche agendina con i nomi dei vecchi commilitoni dell'Armata rossa e del ministero degli Interni sovietico, insieme ai quali molti di loro si sono formati e hanno fatto carriera).
Infine, dovrebbe essere promosso un nuovo battaglione simile al Centrasbat, ma focalizzato sul Caucaso (Caucbat), "con la leadership della Turchia e l'inclusione di Georgia, Armenia e Azerbaigian" e dovrebbero essere incoraggiate "esercitazioni combinate turco-americane, con partecipazioni bilaterali o multilaterali degli altri paesi della regione", cosa che aumenterebbe l'interoperabilità e una maggior "stabilità e cooperazione" nella regione.
Sulla stessa rivista, un paio di numeri prima e all'indomani del bombardamento Nato sulla Yugoslavia, nel saggio "Il ruolo strategico dell'Europa nel Caucaso e nel Mar Nero", il comandante britannico Michael C. Evans (Royal Navy) scriveva: "Caucaso e Mar Nero diventano determinanti principali nell'equazione strategica petrolifera perché essi hanno in mano la chiave della distribuzione di petrolio e gas fuori dal bacino del Caspio e verso l'Europa. [...Comunque] anche senza il petrolio, la regione del Caucaso e Mar Nero è potenzialmente di enorme importanza.
E' la cerniera tra Est ed Ovest, tra Asia centrale ed Europa, e fa da divisorio tra l'influenza della Russia a nord e la potenza regionale emergente della Turchia e dell'Iran a sud. Mentre essa è in qualche modo geograficamente lontana dal centro dell'Europa, allo stesso tempo è troppo vicina al centro di gravità degli interessi europei per essere ignorata.Allo stesso tempo che i confini dell'Europa si espandono, con l'Unione Europea dal punto di vista economico e politico, con la Nato dal punto di vista militare, ugualmente si espande l'area che costituisce il suo più immediato esterno".
Questo "immediato esterno" è sfortunatamente giudicato tale anche dalla Russia, dalla Cina e dall'Iran. Dal 1992, ad esempio, una parte consistente degli strateghi della sicurezza nazionale russi si sono progressivamente orientati verso una politica "post-imperiale", secondo la definizione del suo primo teorico, Sergie Karaganov (già membro del Consiglio presidenziale di Yeltsin), in base alla quale "l'obiettivo della Russia deve essere un parziale reintegro dell'ex-Urss dentro un quadro più o meno confederale".
Così, in questi anni, i paesi della regione sono stati sollecitati a sottoscrivere, o hanno loro stesso promosso, i più diversi e contrastanti accordi, sia di carattere politico-militare che di carattere economico. Se negli anni passati si può dire che gli Stati Uniti abbiano raccolto i frutti di una forte pressione esercitata su tali paesi, più recentemente vi sono stati segni che Russia, Cina ed Iran hanno riguadagnato posizioni nell'area. Chi gioca e chi è giocato non è molto facile, in realtà, dirlo, nonostante la gran cassa che ogni potenza suona dopo ogni accordo.
Non si può tuttavia prescindere, come vedremo, dai pesi relativi dei vari paesi coinvolti nella vicenda e dal fatto che per forgiare nuove bilance di potenza nella regione sono le vecchie strategie ad essere ancora le più utili per le grandi potenze.
Scrive Ying-shih Yu in Commercio ed espansione nella Cina degli Han che fu Ch'ao Ts'o nel II sec. a.c. a creare per primo la strategia (accolta dall'imperatore Wen) d'usare i "barbari per attaccare i barbari". L'obiettivo? Proprio i "barbari degli stati occidentali", come gli Han chiamavano i popoli delle regioni della Cina occidentale e dell'Asia Centrale non ancora entrati nella sfera della "pax sinensis".
(1.continua)