dal "manifesto" del 30 dicembre 2000
Usura, una legge tradita
GALAPAGOS
L'
La legge anti-usura fu varata per colpire quelli che a Roma si chiamano
"cravattari", ma i principali imputati sono diventate le banche, alle quali è
altrattanto difficile mettere la manette e praticamente impossibile convincerle a assumere
atteggiamenti non predatori verso chi ricorre al credito in una posizione che non è certo
di equilibrio dal punto di vista negoziale.
Salvo pochissime banche che accettarono immediatamente di rinegoziare i tassi superiori a
quello usurario, la quasi totalità degli istituti di credito chiuse la porta in faccia a
chi chiedeva l'applicazione della nuova legge. Eppure il tasso di usura (che viene
ricalcolato ogni tre mesi) non è certo un tasso amichevole (fino al luglio '97 era al
16%) e l'adeguamento progressivo non avrebbe comportato eccessivi costi alle banche che
nel fratempo facevano provvista a tassi ridicolarmente bassi, con la possibiltà di
estinguere anticipatamente i prestiti obbligazionari per loro particolarmente onerosi.
Questo significa che le banche in questi anni si sono finanziati a tassi variabili (in
discesa) ma hanno seguitata a pretender tassi fissi.
La risposta del governo a questa stato di cose è stata desolante. Di fatto ha negato la
sentenza della Cassazione, ma al tempo stesso ha decretato che, vista la discesa
fortissima dei tassi negli ultimi anni, i contratti stipulati prima dell'entrata in vigore
della legge anti-usura sono diventati "eccessivamente onerosi". Soluzione: è
stato fissato un nuovo tasso-soglia del 12% che non ha alcun legame con l'attuale tasso di
usura e che sarà applicato solo per il futuro. Un bel regalo alle banche che il
governatore di Bankitalia (che conoscendo le sue controllate era stato l'unico a
pronunciarsi in passato sui rischi dei tassi di usura) ha immediatamente apprezzato. Certo
il governo ha messo le mani avanti garantendo che la legge è ampiamente modificabile.
L'impressione, però, è che la lobby delle banche sia molto più potente della demagogia
della destra sociale di Alemanno o di quella populista del senatore Di Pietro.