Quasi 30 anni in Burkina Faso, e 20 da Parroco. Misura e qualità dell'Uomo e del Sacerdote figlio di S. Camillo, la dà la popolazione Burkinabé che appena si è diffusa la voce è accorsa a migliaia alla Parrocchia a piangere il "suo Parroco", anche se, da tre mesi aveva lasciato l'incarico. I Confratelli ci comunicavano telefonicamente che erano almeno diecimila. Il Barro la dice "innomable". E questi ne scrive il motivo: "Il P. Celestino ha inciso profondamente con l'intensità della sua fede e della sua sensibilità e con la generosità del suo cuore che lo faceva partecipare alle prove dei suoi fedeli e di quanti bussavano alla sua porta. "Quanti hanno partecipato alle sue celebrazioni possono testimoniare l'entusiasmo e la gioia nella celebrazione dei matrimoni, e la dolorosa emozione che viveva per un funerale. Questi li terminava piangendo coinvolgendo spesso anche chi assisteva, tanto era profondo e sincero quanto diceva e sentiva. "Coinvolgendo parenti e tanti benefattori italiani il P. Celestino moltiplicava i suoi atti caritativi che andavano dal semplice sostegno alimentare al prendere in carico l'impegno della scolarizzazione di alunni delle prime classe e di studenti di scuole superiori. "In breve si può dire che il P. Celestino Di Giovambattista è stato nella Parrocchia S. Camillo quello che fu Mgr. Joanny Thevenoud per la Chiesa Burkinabé". Noi non conosciamo la loro storia, ma certamente l'accostamento è di grande valore. Ecco chi era il nostro Confratello nella testimonianza di Persona al di sopra di parte e testimone oculare.
Non mi meraviglia, quindi, la popolare ed oceanica manifestazione di dolore e di stima del popolo burkinabé, sensibilissima alla condivisione. Piangono un "padre buono" perduto, è vero ma già lo sentono un efficace "protettore dal Cielo". E' stata la pressione del popolo di Ouagadougou che ha fatto decidere di accogliere il suo espresso desiderio di rimanere con il "suo popolo" anche dà morto. E così è stato seppellito nel recinto della Parrocchia S. Camillo, nelle adiacenze del tempietto dedicato all'Immacolata Madre di Dio, all'ombra del 'baobab" che significa "albero dei mille anni", e che è un po' il simbolo del Sahel. |
Padre Celestino mi perdonerà di questa partecipazione a chi lo piange oggi. Mai finora, ne ho parlato o scritto, anche se credo di non essere il solo a conoscere questo bellissimo momento, che tutti brameremmo di godere. Ma è perché la sua "memoria" duri "mille anni" come il "baobab” che protegge con la sua ombra il riposo dei suoi resti mortali. Nel suo "reportage" San Evaristo Barro scrive che "in attesa che le circostanze di questo crimine vengano chiarite, la domanda che tutti si pongono è di conoscere come sia stato possibile che un detenuto possa avere a portata di mano un'arma, sì bianca ma così mortale" ; Noi ci siamo chiesti subito quale fosse stata la causa scatenante. Lo hanno detto un folle! Ma bene, ma di quale follia affetto? Il Barro, senza citare la sua fonte, scrive che in sostanza dal primo interrogatorio della Polizia è emerso questo: "Ce sont ces gens là qui ont fait souffrir nos grands-parents . Ma chi è questa "gente" che ha fatto soffrire i suoi antenati?
Solo una profonda fede in Dio può farci accettare questo drammatico epilogo di un "Uomo buono". A Padre Celestino è stato riservato il ruolo della "vittima sacrificale", dello "agnello innocente che con il suo sangue doveva lavare i presunti peccati sociali e le prevaricazioni di altri. Non si vuole anticipare alcuna, valutazione che spetta ad altri competenti in materia. Ma ci risuonano le parole scritte e dette da Giovanni Paolo Il nella "NOVO Millennio Ineunte", là, quando alludendo alla Celebrazione del Giubileo per "una grande schiera di santi e di martiri" del millennio concluso, afferma che la testimonianza autentica di un figlio della Chiesa, che si proietta nella santità, meglio esprime il Mistero della Chiesa ed è “Messaggio eloquente che non ha bisogno di parole, essa rappresenta al vivo il Volto di Cristo... E' una eredità da non disperdere, da consegnare a un perenne dovere di gratitudine e a un rinnovato proposito di imitazione” (n. 7). |