Zanardelli in Basilicata 14 - 30 settembre 1902
Cronaca di un viaggio
Per una provincia la più vasta, la più impervia, la più derelitta d'Italia
UN UOMO E UN POLITICO AMICO DEL SUD
Assolutamente
negato ad ogni forma di compromesso, Giuseppe Zanardelli
fu uomo della Sinistra storica, schiettamente portato ad un rinnovamento, in
senso democratico, dei costumi, della societá, delle
leggi e dell'economia sempre e solo nell'unitá dello
Stato. Nato a Brescia il 26 dicembre 1826, frequentó la facoltá di
giurisprudenza a Pavia. Nel 1848, scoppiati i moti liberali di
Lombardia, prese parte alle dieci giornate della sua cittá.
Rifugiatosi inToscana, nel
1851 tornava a Brescia, reinserendosi attivamente tra i gruppi liberali e
patriottici, e dedicandosi al giornalismo. Nel 1859 fu costretto ad espatriare
in Svizzera, fissando dimora a Lugano. Di qui, scoppiata la seconda guerra di indipendenza, tornó in Italia, incon trandosi con Giuseppe Garibaldi e arruolandosi nei suo
"Cacciatori delle Alpi”. Eletto deputato nel 1860, in Parlamento siederá ininterrottamente fino alla morte.
Uomo, come si é detto, della Sinistra storica, fu ministro dei Lavori Pubblici, degli Interni (1878) e di Grazia e Giustizia (188183 e 188791). Dal 1892 al 1894, durante il Ministero Giolitti, fu per la prima volta Presidente della Camera. Lo sarebbe stato per altre due volte. Nel 1897 tornó ad essere ministro di Grazia e Giustizia durante il Ministero Rudini. Nel 1900, a Monza, sotto il pugnale dell'anarchico Bresci, cadeva il re Umberto I. II nuovo reVittorio Emanuele III, dopo la caduta del governo Saracco, consapevole che alla guida del paese ci voleva un uomo di sicura fede democratica, liberale e di grande prestigio, pensó di chiamare il vecchio Zanardelli, giá settantacinquenne, alla formazione del nuovo governo. Era il febbraio del 1901. Nel settembre 1902 il vecchio Presidente intraprendeva il suo viaggio per la Lucania/Basilicata. Alcuni mesi dopo, nell'ottobre del 1903, a seguito di contrasti interni ed esterni, soprattutto con l'Austria, e anche per le sue non buone condizioni di salute, rassegnava le dimissioni da Primo Ministro, Aveva settantasette anni. Ritiratosi nella sua villa di Maderno, moriva il giorno dopo Natale, il 26 dicembre 1903, compianto da tutti, anche da coloro che l'avevano avversato.
Convinto
che il Paese avesse bisogno di un grande rinnovamento,
pur non essendo socialista, Zanardelli fu attento al
grido di dolore che si levava dagli strati sociali piú
umili e dalle lande affamate del Paese, disperate e desiderose di giustizia. Perció fu sempre contrario a qualunque forma di politica antioperaria e repressivamente
poliziesca. Questo fu il motivo per cui non volle mai
collaborare con i governi della Destra storica. E tuttavia, quando gli stessi
governi della Sinistra dimostrarono anch'essi intolleranza o forme di immoralitá amministrativa,
seppe prendere le distanze anche da essi, rassegnando le dimissioni. Lo fece
nel 1882, protestando contro il trasformismo inaugurato da Depretis;
la stessa cosa fece sotto il governo Rudini.
Fu
naturalmente avverso al Pelloux e alla sua politica
reazionaria e autoritaria, contro cui pronunzió forti e
vibranti accuse. Fu lui ad eliminare, dal codice penale, la pena di morte; fu lui a sancire la libertá di sciopero,
riunione e associazione; e fu ancora lui ad abolire il dazio sulla farina e a
introdurre una rigorosa normativa
sul lavoro minorile e femminile.
Tentò persino l'introduzione del
divorzio, presentando apposito disegno di legge.
É
in questo quadro che si inserisce la sua attenzione
per il Sud e le popolazioni meridionali. Proprio mentre andavano di moda le
pericolose teorie lombrosiane, di chiara
significazione razzista, da Montalbano lonico ebbe a pronunziare, in
termini assolutamente chiari e inequivocabili, le seguenti parole:
«Un'impressione [...] voglio senza ambagi esprimere
intiera, ed é che fui veramente edificato della nobile attitudine di queste
popolazioni [...]. Ció mostra quanto sia più alto il sentire di queste popolazioni e conferma ció che dissi a Napoli sulla natia bontá
delle popolazioni meridionali». Ció spiega la
coraggiosa decisione di affrontare, a settantasei anni, il faticoso viaggio di
ricognizione per la Provincia di Lucania/Basilicata,
a seguito della discussione, in Parlamento, di una interpellanza
del socialista Ettore Ciccotti, il 28 aprile 1902, e
a seguito di due interventi, sempre in Parlamento, degli onorevoli Pietro Lacava e MicheleTorraca, il 20
giugno 1902.
IL VIAGGIO, GIORNO DOPO GIORNO
II viaggio, giorno dopo giorno II lungo viaggio cominció in treno speciale, con partenza da Roma alle ore
8,30 del 14 settembre, giorno di domenica.
Alle ore 14,30 dello stesso giorno, il convoglio entrava in Napoli. II giorno
dopo, 15 settembre, il Presidente partiva per Capri e, quindi, nel pomeriggio,
alle ore 19,30, raggiungeva Sorrento, dove passó la
notte. II 16 settembre, da Sorrento raggiungeva il Comune di
Meta, da cui rientrava verso mezzogiorno, per poi raggiungere, nel pomeriggio,
Massa Lubrense e l'Eremitaggio di Sant'Agata.
Da Sorrento, la sera stessa, si imbarcava per tornare
a Napoli. La popolazione gli dedicó
la famosa canzone Torna a Surriento. Da Napoli partiva
il giorno dopo, 17 settembre, alle ore 7,55, sempre in treno, per raggiungere, in giornata, la provincia di Lucania/Basilicata.
Dopo Eboli, a Sicignano, ad
accogliere il Presidente si fecero trovare alcuni parlamentari lucani, tra i
quali un ruolo primario svolgeva l'on. Pietro Lacava, certamente il piú
autorevole fra tutti. Da Sicignano il treno raggiunse
Lagonegro. Era ancora il 17 settembre, ore 17. II
giorno dopo, 18 settembre, fu il primo giorno passato nella Provincia di Lucania/Basilicata. II Presidente,
inaspettatamente, dichiaró di voler ricevere
liberamente quanti avessero voluto presentarsi da lui. "Tale decisione raccontano le cronache fu simpaticamente e favorevolmente commentata
[...]. Tutto il paese fu m festa e straordinariamente animato. II tempo era
bello". 1 paesani, quasi increduli, indossarono
"il loro caratteristico costume". Di tutti gli incontri il Presidente prese diligente nota per iscritto. Quindi, a piedi, volle fare il giro del paese. Si rese conto
che, per avere conoscenza analitica dei fatti e delle situazioni, forse doveva
prolungare di qualche giorno il suo viaggio. Lo disse al giornalista Sestini, della "Tribuna". Lo stesso 18 settembre,
alle ore 13,50, partiva per Montesano, ritornando per
un tratto in Campania. "Al passaggio del lungo corteo di carrozze, chiuso
da una grande carrozza carica di bagagli, accorrevano
dai campi e dai rari casolari i contadini attoniti, stupiti, salutando. Quasi
tutti [...] avevano l'aspetto emaciato, il colore
terreo; si vedeva bene, purtroppo, che quella gente
si nutriva poco e male".
La
permanenza a Montesano duró
giusto il tempo necessario per incontrare il Sindaco e la Giunta; quindi, nel
pomeriggio, il Presidente parti per Moliterno, ove giunse in serata, "a traverso montagne
completamente brulle o assai mal coltivate, segno evidente della grande miseria
di quei contadini". Alloggió in casa dell'on. Lovito, un palazzo
storicamente importante, ove fu organizzata una cena
per venticinque coperti, con concertino di arpe e violini, suonati dai
"raminghi suonatori" viggianesi. Sembrava
tutta una festa Ma il Sindaco, accogliendo l'illustre ospite, disse una cosa
terribile: «Sig. Presidente, ti salutano ottomila moliternesi: tremila sono emigrati
in America; gli altri cinquemila si accingono a farlo». II giorno dopo, 19
settembre, intorno alle ore 13, Zanardelli partiva
per Corleto Perticara.
Durante il tragitto, ancora una volta, "era una malinconia grande vedere
una cosí vasta estensione di terreni spogli
completamente di rivestimento boschivo, brulli, senza
ombra di vegetazione, devastata dall'impeto dei torrenti straripanti per
difetto di opere idrauliche. Tranne che in prossimitá di qualche villaggio, mancavano ovunque traccie (sic) di vita umana!".
A
Corleto Perticara giungeva
nel tardo pomeriggio. II collegio elettorale era dominio
assoluto
del citato on. Pietro Lacava.
Perció l'arrivo del Presidente, ben preparato e ben
organizzato, avvenne piú che mai in un clima di
festa, tra case imbandierate, carabinieri a cavallo, fuochi pirotecnici, folle di uomini e persino signore a cavallo. A far gli onori di
casa c'era la signora Giulia Lacava, che riferiscono le
cronache "vestiva un bellissimo
abito di seta nera e sedeva tra l'on. Zanardelli e l'on. Carmine Senise, eroe delle mitiche giornate lucane del 1860, avendo
di fronte l'on. Lacava tra
l'on. Tommaso Senise e il Lichinchi".II giorno successivo, 20 settembre,
trascorse ascoltando le rappresentanze locali e quelle dei Comuni circostanti,
tutti del collegio Lacava. II Presidente, quasi con puntigliositá stando
a quanto si legge nella "Tribuna" "volle essere informato del numero delle
rispettive popolazioni, della proporzione dell'emigrazione, delle condizioni
sanitarie, delle acque potabili, dei mezzi di comunicazione, delle condizioni
dell'agricoltura, dei prodotti locali, dello stato finanziario delle
amministrazioni comunali, e a ciascuno chiese quali fossero le necessitá cui era piú urgente
provvedere.Tutti esposero i propri bisogni e
partirono gradevolmente meravigliati del grande interessamento strato dal
Presidente per queste popolazioni finora quasi considerate come non facenti
parte del Regno d'Italia".
Da
Corleto si parti il giorno dopo, cioé
il 21 settembre. La meta era Stigliano. Tra musiche e
mortaretti, lungo il tragitto, si inauguró
un nuovo tratto di strada che da Aciniello
incrociava, ad un certo punto, la strada provinciale di Stigliano.
Alla casa cantoniera "Scorciabuoi", a metá tragitto, fu dato il nome di "casa Zanardelli". A Gorgoglione un vecchio, cui il
Presidente chiese quali fossero i bisogni di quelle popolazioni,
«Eccellenza rispose sono tanti. Ma ció che importa é che anche voi preghiate Iddio per noi!».
A
Stigliano il Presidente fu ospitato nel ricco palazzo del barone Formica, in Piazza Castello. Colá ricevette i rappresentanti dei Comuni vicini, cioé Accettura e San Mauro Forte.
Tra un brindisi e l'altro, il Sindaco, cav. De Chiara, sottolineó soprattutto i pericoli di dissesto
idrogeologico, che mettevano a repentaglio la sopravvivenza del paese; chiese
anche un collegamento con la stazione ferroviaria di Grassano.
Poi, non contento, durante il pranzo che si tenne nella sala municipale, in
piena festa ebbe a dire, piú a sé stesso che agli
altri: «Voi [Presidente} non dimenticherete certamente le nostre miserie, i
nostri sentieri alpestri, le nostre campagne brulle e deserte, le nostre
montagne che franano, i nostri fiumi che straripano e ingoiano vittime e
saprete provvedere come sapranno ispirarvi il vostro senno di statista, il
vostro cuore di italiano e di patriota». Incalzó, su questo piano, il cav. Nicola
Salomone. Ma forse tanta insistenza dette
fastidio all'on. Pietro Lacava,
vero dio del luogo, che si senti come scavalcato da tanti interventi di uomini
a lui subalterni. Volle perció troncare con siffatte lamentationes, sicché, rivolgendosi al Presidente, dichiaró, con una secchezza che non ammetteva repliche:
«Dissi nella mia nativa Corleto che non si deve affaticarti con discorsi. Tu nel tuo viaggio hai
promesso di vedere, e dove le cose parlano ogni voce dev'esser
muta. Un'altra cosa qui non é muta: l'affetto spontaneo».
L'indomani
mattina, il 22 settembre, verso le ore 10, il Presidente prendeva la via per Montalbano lonico. Bisognava
passare per Craco, ove il corteo fece sosta. Guida e
mentore fu, questa volta, l'on. Materi,
che aveva preso il posto dell'on. Lacava.
Durante la sosta il Presidente ricevette Sindaci e
delegazioni di Montalbano lonico,
Ferrandina, Pisticci, Grottole, Bernalda e Salandra. Ogni delegazione gli consegnó, al solito, un memorandum di bisogni e cose
urgenti da fare. Si ripeté la richiesta di una ferrovia GrumoMateraFerrandinaPadula,
giá fatta altrove, e si chiesero provvedimenti per le
frane. Dal palazzo, ove ebbe luogo il pranzo (costato mille lire), il
Presidente si affacció, constatando
i danni che l'ultima frana aveva provocato al paese. "Ne rimase vivamente
impressionato". Al momento della partenza, come gli altri del seguito, a
mo' di viatico, anche il Presidente si ebbe la sua razione di chinino.
Cominciava la pericolosa traversata per il vasto "regno" della
malaria.
«La
strada si legge nella
"Tribuna" si svolge fra
nude ambe e terreni acquitrinosi assolutamente
deserti. [...]. Da ogni parte promontori di terreni
alluvionali, con traccie (sic) evidenti di
recentissime frane [...]. La pianura é poi anche piú
triste. II terreno argilloso, appena superficialmente smosso, é inadatto a
qualunque vegetazione; cosí che estensioni immense
[...] rimangono completamente
inoperose, senza che le rallegri una pianta, un sol filo d'erba [...]. Una
vecchia contadina, pallida, estenuata dalle febbri malariche, offri all'on. Zanardelli un canestro di
bellissima uva [...] che fu
divisa fra tutti i componenti la carovana».
Si
arrivava cosí a Montalbano lonico. II Presidente trovó
alloggio nel palazzo del barone Giuseppe Federici,
cognato dell'on. Donnaperna.
All'on. Materi si
sostituiva l'on. Michele Torraca,
rappresentante del collegio di Matera, che, da uomo di cultura e da informato
giornalista residente quasi stabilmente a Napoli, aperto perció
alle piú vaste problematiche del tempo, fece, forse,
il discorso piú impegnativo, piú
intelligente e piú originale che il Presidente avesse
ascoltato m quei giorni. In particolare, egli volle osservare che, prima ancora
che la sensibilitá personale, a
ispirare il viaggio del Presidente era stato "il [suo] sentimento
unitario" e patriottico.
Quel
viaggio, infatti, altro non era se non una mano stesa ai fratelli piú deboli, per innalzarli al livello delle popolazioni
italiche piú ricche, perché aggiunse con finezza il Torraca l'unitá economica e
civile dev'essere il "cemento" di quella
politica. II giorno dopo, 23 settembre, verso le 10, dopo aver ricevuto alcune
delegazioni, il Presidente prese la via di Policoro,
donde bisognava riprendere il treno, lasciato a Lagonegro,
e proseguire per Taranto. Bisognava attraversare l'Agri.
II Presidente lo fece, montando su un carro trainato da neri bufali. Le strade,
in quel settembre, erano indicibilmente polverose. Durante il
pranzo, offerto dal cavalier Padula
nel castello dei Berlingeri, il Torraca,
definí Zanardelli "il
settentrionale piú meridionale di tutta
l'Italia". Fu il motivo per cui un giornalista,
Vassallo, del "Secolo XIX", prontamente intervenuto, condannó le "irragionevolezze dei sentimenti regionalisti"
e federalisti che stavano minando l'unitá d'Italia. Quindi incitó tutti "alla concordia
ed alla fede nell'avvenire di tutte le province”
Nello
stesso giorno del 23 settembre, alle ore 15.30, ricevute le delegazioni di Sant'Arcangelo, Colobraro, Rotondella, Nova Siri, Tursi, Noepoli e San Giorgio Lucano, ripreso il treno, il
Presidente parti alla volta di Taranto, dove giunse in
serata, dopo una breve sosta alle stazioni ferroviarie di San Basilio e
Metaponto. II giorno dopo, 24 settembre, intorno alle ore 11, seguendo il
tracciato delle ferrovie ofantine volute da Giustino Fortunto, raggiungeva Altamura,
passando per Gioia del Colle e Santeramo. L'ingresso
nella stazione di Altamura
avvenne alle ore 13. Un lungo corteo in tutta tranquillitá,
accompagnó il Presidente prima nella sede municipale,
poi nel palazzo del barone e senatore Melodia, ove lo attendevano "piú che cinquanta signore elegantissime". II pranzo fu
tenuto nel teatro "Mercadante".
Nello stesso giorno il Presidente partí
per Matera. Gli andarono incontro
il Sindaco della cittá, dott. Francesco Manfredi, il
comm. Domenico Ridola, l'assessore cav. Tortorelli, il dott. Raffaele Sarra
e l'avv. Nicola De Ruggieri. Nel pomeriggio, verso le
ore 19.30, il corteo del Presidente, formato da ben 20 carrozze, arrivava a
Matera: dopo aver imboccato via XX Settembre, attraversó largo Plebiscito (l'odierna piazza Vittorio
Veneto), passó per via San Francesco e piazza
Vittorio Emanuele III (oggi del Sedile), e si avvió
per via Duomo.
II
Presidente fu ospitato nello storico palazzo del conte e senatore Giuseppe
Gattini; molti del suo seguito, invece, furono accolti nel palazzo del duca Malvinni Malvezzi. Ben presto, sotto i balconi di palazzo Gattini, cosi come era successo altrove, si radunó una gran folla plaudente; ma poco dopo, inaspettato,
un urlo indefinibile si levó da tutti i lati della
piazza. II popolo domandava la propria redenzione. "Si voleva racconta il giornale "La
scintilla" il lavoro per guadagnare
di che sfamare le famiglie languenti nei tuguri dei due Sassi, donde da lunghi
anni si levavano tanti gemiti, dove senza speranza si moriva". E si reclamava la ferrovia.
II
giorno dopo, 25 settembre, fu per Zanardelli giorno
assai faticoso, impegnato come fu in una lunga serie di incontri
ufficiali e giri per la cittá. Ricevette le
delegazioni dei Comuni di Matera, Montescaglioso, Irsina, Pomarico e Pisticci, oltre che una delegazione della Societá operaia, delle scuole elementari, dei carabinieri,
degli avvocati e altri. Alle ore 12, in piazza della Fontana, scoprí, sulla parete del monastero di Santa Lucia, ancor
oggi visibile, una lapide in onore del re Umberto I,
assassinato due anni prima. L'epigrafe era stata dettata dal materano Nicola Festa, professore di lingua e letteratura
greca presso l'Universitá "La Sapienza" di
Roma.
Dopo
una visita al Palazzo di Giustizia, il lungo corteo del Presidente si diresse
verso l'odierno e vicino palazzo della Prefettura (allora Sottoprefettura), per
il pranzo. Nel frattempo al Presidente erano stati consegnati i quattro
memorandum che la cittá secondo
quanto si legge nella "Scintilla" aveva preparato. In uno,
accennandosi ancora alla situazione dei Sassi, si leggeva che "cinque
sesti della popolazione materana abitano in tuguri
scavati nella nuda roccia, addossati, sovrapposti gli uni agli altri in cui i
contadini non vivono ma a mo' di vermi brulicano, squallidi
avvoltoi nella promiscuitá innominabile di uomini e
bestie, respirando aure pestilenziali".
II
banchetto in Sottoprefettura fu, naturalmente, intessuto di omaggi
e brindisi, come programmato. Ma ci fu ancora un imprevisto, perché, "tra
fragorose ovazioni", ebbe modo di arrivare una delegazione di cinque donne
e un uomo "miseramente vestiti", "parenti degli arrestati pei [...] disordini che qui ebbero
a deplorarsi". Erano i parenti dei 24 contadini incarcerati a Potenza
insieme con il 'Monaco Bianco',
al secolo Luigi Loperfido, a seguito di uno sciopero
generale che, organizzato nel giugno precedente, aveva portato alla morte di un
tal Giuseppe Rondinone, bracciante. Quei sei
delegati, a dire il vero, scrisse la "Tribuna" "piú che
entrare, si precipitarono nell'elegante salotto, nel quale li attendeva l'on. Zanardelli. Una delle donne, appena scortolo, gli si gettó
ai piedi. Zanardelli commosso la rialzó esortandola a non
lamentarsi ma ad esporre i fatti. Allora le cinque donne cominciarono a
parlare tutte insieme, facendo un confuso cicalío nel loro dialetto del quale é impossibile
comprendere una sola parola. «Ma se parlate tutte in
una volta, come faró a capire?» disse l'on. Zanardelli.
Quattro
di quelle sventurate si tacquero, e la quinta, con voce rotta dai singulti, narró i suoi dolorosi casi. Per tutte l'on. Zanardelli ebbe parole di
conforto. «Facitemi grazia» gridavano le donne. II Presidente promise il
suo interessamento per un sollecito processo (che, di fatto, si sarebbe tenuto
il 25 ottobre successivo).
La
mattina dopo, il 26 settembre, alle ore 7, Zanardelli
riprendeva il suo viaggio, dirigendosi in carrozza verso Altamura,
ove lo attendeva il treno speciale per Venosa. Pioveva a dirotto. Dopo una sosta a Spinazzola, il treno arrivó alla stazione di Palazzo San Gervasio. Ci fu
un'altra manifestazione clamorosa, di cui si era avuto qualche presentimento giá nei giorni precedenti. Una folla di circa
ottanta persone, infatti, issó cartelli, su cui si
leggeva: "Malaria Ignoranza
Abbandono Corruzione Camorra
Denutrizione Spese
improduttive Riduzione dell'esercito Abolizione delle spese religiose Diminuzione della lista civile Libertá di stampa Riposo domenicale La libertá a
Calcagno". Tutto avveniva in silenzio e in modo composto. Ad un certo
momento, peró, si udí il
grido di un giovane: "Viva il socialismo". Gli risposero, in coro, i
compagni. I carabinieri allora si misero in stato di allarme
e successe della confusione. Per fortuna il treno riparti
quasi immediatamente, raggiungendo la stazione di Venosa alle ore 11.40. Di
qui, accompagnato da una folla sempre plaudente, il corteo del Presidente salí al paese. Nella prima carrozza, a fianco a lui,
sedevano Giustino Fortunato, il Sindaco e il cav. Ninni. Dopo
un breve giro per il paese, si partí per Melfi, ove
si arrivó alle ore 18 circa, fatta una breve sosta a
Rocchetta Sant'Antonio. Da Melfi si ripartí alle ore 22, alla volta di Rionero.
Qui giunto, il Presidente prese alloggio nello
"splendido palazzo" dei Fortunato, dove si sarebbe fermato per due
giorni, anche per rendere onore ad un amico tanto amato e rispettato. II
tempo, intanto, si era messo al bello. II giorno successivo,
27 settembre, cominció una lunga giornata di
ricevimenti. Ma prima ci fu una passeggiata per
il paese, cui seguì, sotto il palazzo dei Fortunato, la manifestazione di un
centinaio di contadini e piccoli proprietari di Sant'Ilario.
II 28 settembre era domenica e di quasi riposo. II Presidente, ormai, si
preparava all'ultimo trasferimento a Potenza, dove lo attendeva un discorso
ufficiale, assai impegnativo. La partenza per il capoluogo avvenne alle 7.45, lunedi 29 settembre. Vi arrivó
nella prima mattinata. Dalla stazione, fino a via
Pretoria, il trasferimento, in carrozza, avvenne tra manifesti, bandiere e
scritte di elogio ma ce n'erano anche che dicevano: «Non piú
ferrovie! Non piú spese inutili! Vogliamo la
diminuzione delle imposte fondiarie! Abolizione della ricchezza mobile e
sull'industria armentizia! Abolizione del casotto
daziario! Vogliamo pane e lavoro».
In cittá, sfuggendo al rito
e al protocollo delle cerimonie e degli incontri ufficiali, intorno alle 15 il
Presidente riuscí a ficcarsi in qualche "sottano" dei popolani potentini,
con l'intento di chiedere e sapere direttamente. Difficile ricorda il cronista "comprendere ció
che [da quella gente} si rispondeva nel piú
incomprensibile gergo dialettale". Era proprio il caso di dire che c'era
poco da ascoltare e molto da guardare. Le abitazioni erano tutte misere, anche
se "non inferiori a quelle degli altri paesi di Basilicata, dove le culle
dei bambini pendevano da quattro corde settanta centimetri al
di sopra del letto coniugale". Era la stessa immagine che,
trentatré anni dopo, avrebbe impressionato Cario Levi.
Alle ore 20, presso il teatro Stabile, opportunamente addobbato per ospitare
160 invitati, fra i quali tutti i deputati e senatori della Provincia, senza
distinzione alcuna tra amici e avversari, fu fissato l'incontro conclusivo. Risultarono assenti il solo on. Lovito e il sen. Gattini, che tuttavia, per lettera,
avevano fatto pervenire la propria adesione morale.
AL TEATRO STABILE
il 29 settembre DDopo
l'intervento di saluto del Sindaco di Potenza, del senatore Carmine Senise, del cav. Lichinchi, dell'on. Branca e del Sindaco di Montemurro,
che parló a nome di tutti i piccoli Comuni della
regione, l'on. Zanardelli
si alzó e lesse il suo discorso. Parló del suo viaggio come di una
"peregrinazione" per una terra a lui sconosciuta. Era, per la veritá aggiunse , sconosciuta a tutti gli italiani. Anzi incalzó con
efficace gradatio
«puó dirsi [...]sia sconosciuta m gran parte
agli abitanti della provincia stessa: ché quasi
nessuno qui io trovai che avesse visitato, avesse veduto i vari Comuni divisi
fra loro da enormi distanze, non congiunti da vie di comunicazione. Sicché nella impervia regione, quasi stranieri gli uni agli altri e
perció non cospiranti ad unico fine, sembrano gli
abitatori che pur dovrebbero comporre una grande unitá
sociale». Mancava, in definitiva, una regione unita e ben definita nella sua identitá.
Con grande acutezza, notó anche come,
purtroppo, non ci fosse, "in si ampio territorio", almeno una grande cittá, che potesse fare da luogo e centro di vita
amministrativa, sociale, culturale e politica. Tutto era frantumato, in una
terra che, pure, aveva avuto i suoi fasti e i suoi uomini illustri, anche se,
per lo piú, affermatisi
lontano dal proprio paese. Ora, purtroppo, c'era il deserto. "Percorsi piú giorni
disse distese di monti, nudi,
brulli, senza qualsiasi produzione, senza quasi un filo d'erba e avvallamenti
altrettanto improduttivi: si correva per ore ed ore senza trovare una casa, ed
al desolato silenzio dei monti e delle valli succedeva
il piano mortifero dove fiumi sconfinati scacciarono le colture e, straripando,
impaludirono. E vidi ad esempio il letto dell'Agri identificarsi con la valle dell'Agri, e l'acqua
vagante non avere quasi corso in quelle sterminate arene".
Dominava, in siffatto
quadro sociale e geografico, la "malaria pestilenziale". 1 paesi, appollaiati sulle montagne per sfuggire a quella
malattia, ogni giorno e ogni ora correvano il rischio di cadere a valle. La
situazione igienicosanitaria era semplicemente
drammatica. In tutta la regione non c'erano "manicomi, né brefotrofi, né
ospizi pei cronici, né case d'industria". C'era
un solo ospedale: quello di Potenza. Se in Lombardia,
su 100.000 abitanti, negli ospedali c'era posto per 2.257 malati, e se in Toscana
i posti erano 2.548, in Basilicata ce n'erano solo 148! Quanto alla situazione
alimentare, era sintomatico il fatto che i giovani lucani non crescevano in
altezza come i loro coetanei. In occasione della leva del triennio 1898, 1899 e
1900, si era verificato che "le riforme per difetto di statura furono [...] piú
numerose del doppio nel complesso del Regno". Né
si poteva sottacere la mancanza di strade, ferrovie, scuole, di cui tanto si
erano lamentate tutte le delegazioni comunali. L'analfabetismo, dopo l'ultimo
censimento del 1901, era risultato del 79. Agli
abitanti della regione, cosí stando le cose, non
restava che fuggire. E l'emigrazione era massiccia,
tanto che la popolazione di Lucania/Basilicata
diminuiva, mentre aumentava m tutto il resto del Regno. Emigravano da 8 a 9.000
lucani all'anno. II fenomeno "salí
a quasi 11.000 ammise Zanardelli nel 1900, ad oltre 17.000 nel 1901".
Insomma, in sintesi, "l'agricoltura periva, il suolo non aveva quasi alcun
reddito, la proprietá immobiliare non aveva quasi
valore, cosi come l'industria era totalmente assente". E
il territorio si spopolava. Che fare, dunque?
II discorso, in tutta la sua pars negativa, fu accompagnato da lunghi e
calorosi applausi di approvazione. Lo stesso accadde quando il Presidente parló dei suoi impegni e dei suoi progetti. Parló di strade
e ferrovie, alleggerimenti fiscali e rimboschimento, cioé
di provvedimenti che peró come avrebbe detto Ettore Ciccotti non intaccavano la struttura economica e
l'organizzazione sociale della comunitá lucana.
Non si parló, infatti, del latifondo e della
persistenza del feudalesimo (come pure aveva fatto il Nitti),
né dello stato di abbandono e incuria in cui i grandi
proprietari, baroni e cavalieri, duchi e conti, quasi sempre parlamentari,
lasciavano i loro immensi possedimenti. Non si parló
delle colpe e responsabilitá dei latifondisti e
onorevoli Lacava e Gattini, Lovito
e Federici, Fortunato e Materi,
che erano li presenti. Non si parló nemmeno di fitti strozzini e di mancati patti agrari,
di creazione di piccola proprietá contadina e
recupero di beni demaniali usurpati. Non si parló
di salari giusti e adeguati o della necessitá di industrializzazione, ma solo di benefici da offrire
all'agricoltura e a chi l'agricoltura, in forma quasi sempre estensiva,
esercitava. Si parló anche di usura
e di mutui agevolati. Da uomo di sottile intelligenza politica, il Presidente
sapeva fin dove poteva impegnarsi, davanti a quegli uomini e con quel
Parlamento, eletto su base censuaria e a suffragio ristretto. «Piuttosto che
espormi a prometter e non eseguire disse , vorrei eseguire il non promesso».
La conclusione fu un
invito alla buona volontá, alla solidarietá
e ad uno sforzo comune, stante la grandezza dei problemi da affrontare.
«Combattiamo insieme disse tra calorosi
applausi una grande
battaglia contro le forze della natura e contro le ingiurie degli uomini. Non
aspiro ad alcun bene maggiore che a quello di uscire da questa battaglia,
insieme a voi, vittorioso».
Il RITORNO A ROMA E LA LEGGE SPECIALE
PER LA LUCANIA/BASILICATA
La partenza da
Potenza fu fissata per l'indomani mattina, martedi 30
settembre. Uscito dal palazzo della Prefettura alle ore 9,45, il Presidente fu
accompagnato in carrozza alla stazione. Si formó un corteo di circa sessanta carrozze. Da
Potenza il treno partí alle ore 10. Si fermó alle stazioni di Picerno, Baragiano e BellaMuro. Qui, a salutarlo, mentre abbandonava la
regione di Lucania/Basilicata, intervenne il Sindaco.
Parló quindi l'on. Grippo,
che, discorrendo del Presidente e del suo viaggio, m tono solenne, cosí concluse: «Egli non sará, come disse l'onorevole Branca, il nostro
ambasciatore, ma il nostro rappresentante, egli che torna a Roma piú meridionale di noi».
Dopo una ulteriore sosta a Nocera, il
treno arrivava a Napoli alle ore 14,14. Di qui ripartiva alle ore 15,25, per concludere la sua corsa a Roma, alle ore 20,30. Pochi.giorni dopo, il 3 ottobre, il Consiglio Provinciale di Lucania/Basilicata, riunendosi, approvava un ordine del
giorno che, su proposta dello stiglianese
Nicola Salomone e del consigliere Severini, rendeva
omaggio, con telegramma, al Presidente, impegnandosi ad inviargli una tela del
pittore venosino Andrea Petroni,
"a manifestazione della gratitudine della Provincia [...] per l'opera che Egli era venuto a compiere [...], con gravi
sacrifici e con animo di alta solidarietá
nazionale". A stretto giro di posta, il giorno dopo, in data 4 ottobre, il
Presidente rispondeva con altro telegramma, cosi scrivendo al Presidente
Vincenzo Lichinchi: «La dimostrazione singolare di estrema benevolenza da parte della rappresentanza di
codesta generosa Provincia, dimostrazione annunciatami col Suo odierno
telegramma, mi commuove profondamente. Essa é troppo largo
compenso al dovere da me adempiuto; io terró quel
ricordo di Potenza, il quale mi viene con tanta concordia dal Suo consesso
rappresentativo, fra le mie piú preziose memorie.
Ringrazio poi specialmente gli egregi consiglieri Severini
e Salomone dell'affettuosa iniziativa, e Lei, chiarissimo signor Presidente,
della gentile partecipazione».
Nei
mesi immediatamente successivi, coerente con gli impegni assunti, il Presidente non dimenticó
nulla, ma chiamó presso di sé Ernesto Sanjust, un funzionario del Ministero dei Lavori Pubblici,
cui affidó l'incarico di raccogliere tutti i
documenti accumulatisi durante il viaggio, con petizioni, desideri e
segnalazioni. Ne nacque un "dossier" di grande interesse ancora oggi,
soprattutto perché non si trattava di studio fatto a tavolino, ma proveniente
da verifica diretta, fatta sul territorio e dal vivo. Tutto quel materiale confluí in un disegno di legge, che, presentato il 28
giugno 1903, fu discusso nel febbraio del 1904 e promulgato il 31 marzo 1904. Ma Zanardelli non c'era piú, essendo scomparso tre mesi prima.
Nella discussione
sulla legge intervenne personalmente il nuovo capo del Governo, Giovanni Giolitti, che cercó di frenare le
ambizioni dei parlamentari settentrionali, interessati ad ottenere, per le loro
regioni, analoghi provvedimenti. La legge, significativamente, fu caldamente
sostenuta dal Torraca e dal Lacava,
ma non dal socialista Ciccotti, anche se questi,
responsabilmente, non mancó di partecipare
attivamente al dibattito, proponendo emendamenti miglio rativi,
quasi sempre respinti. In fondo pensava il battagliero
deputato socialista quella legge era pur sempre meglio di niente. Aveva
ragione.
In fondo, se essa non
produsse cambiamenti strutturali, ebbe almeno il merito di migliorare comunque i servizi, offrendo assistenza tecnica
all'agricoltura, tramite le "cattedre ambulanti", e costruendo
strade, tratturi, acquedotti e, nel tempo, tratti di ferrovie a scartamento
ridotto. Ebbe anche il merito di mettere a fuoco i problemi chiave di una
regione che era emblema del Sud; inoltre, e ancor di piú,
dopo il tragico strappo causato dal brigantaggio, riusci
a ridar fiducia alle popolazioni meridionali nei confronti dello Stato
centrale, sentito meno lontano e meno assente. II Presidente galantuomo, vero
"padre della patria", in defmitiva, aveva assolto ad una nobile funzione e sarebbe stato ricordato
sempre con gratitudine e simpatia, essendo riuscito a mettersi in sintonia sia
con i potenti sia con i deboli. Questi non avrebbero tratto vantaggi
sostanziali, se non in forma indiretta e casuale; ma forse non si aspettavano
di piú. Le lotte e rivendicazioni sociali erano
ancora di lá da venire, mancando una coscienza di
classe. E significativo, perció,
che, a livello popolare, per anni e anni, quando i figli chiesero qualcosa di
troppo ai loro genitori, questi, con bonomia e ironia, risposero: «L'avrete, l'avrete
disse Zanardelli».
Un mese dopo la
morte, il 28 gennaio 1904, il Presidente "galantuomo" fu celebrato
alla Camera. Prese la parola l'on.
Lacava, che parló di lui
come di un "grande italiano" che, giá molto
anziano, facendo un viaggio tanto faticoso e pieno di disagi e pericoli,
"compiva il piú alto ministero di legislatore e
di uomo di Stato" E parló l'on.
Bruno Chimirri, calabrese, che fu sempre avversario
di Zanardelli. A lui si doveva concluse l'on. Chimirri, "se la
questione del Mezzogiorno fece un passo decisivo, e se si impone anche ai
successori". E aveva ragione; né alcuno poteva
minimamente immaginare che, a distanza di 100 anni, tra i
"successori" di quello Zanardelli, e dalla
sua stessa terra lombarda, sarebbero venuti a sedere, nel Parlamento italiano,
rozzi nemici dell'Italia unita e del Mezzogiorno. Avrebbero trovato, purtroppo,
nello stesso Mezzogiorno e nello stesso Parlamento, un incomprensibile sostegno
opportunistico, a dimostrazione del fatto che, in Italia, al trasformismo,
meridionale e non, non ci fu mai limite
Giovanni Caserta
* Devo esprimere
pubblica gratitudine, per il presente saggio, alla Sig.ra
Domenica Malvasi, direttrice della Biblioteca
comunale di Montalbano lonico,
che, ancora in stato di bozze, mi volle fornire la cronaca del viaggio di Zanardelli cosi come registrata sulla "Tribuna"
del settembre 1902, corrispondente il Sestini. La stessa, ora, é consultabile in D. Malvasi
(a cura di), Omaggio a Zanardelli, Montalbano lonico, 2002. Cfr. anche M. Dilio, Zanardelli in Basilicata, Basilicata, fascicoli 1-8, 1969.