Zanardelli in Basilicata   14 - 30 settembre 1902

Cronaca di un viaggio

 

Per una provincia la più vasta, la più impervia, la più derelitta d'Italia

 

 

 

UN UOMO E UN POLITICO AMICO DEL SUD

 

Assolutamente negato ad ogni forma di compromesso, Giuseppe Zanardelli fu uomo della Sinistra storica, schiettamente portato ad un rinnovamento, in senso democratico, dei costumi, della societá, delle leggi e dell'economia sempre e solo nell'unitá dello Stato. Nato a Brescia il 26 dicembre 1826, frequentó la facoltá di giurisprudenza a Pavia. Nel 1848, scoppiati i moti liberali di Lombardia, prese parte alle dieci giornate della sua cittá. Rifugiatosi inToscana, nel 1851 tornava a Brescia, reinserendosi attivamente tra i gruppi liberali e patriottici, e dedicandosi al giornalismo. Nel 1859 fu costretto ad espatriare in Svizzera, fissando dimora a Lugano. Di qui, scoppiata la seconda guerra di indipendenza, tornó in Italia, incon        trandosi con Giuseppe Garibaldi e arruolandosi nei suo "Cacciatori delle Alpi”. Eletto deputato nel 1860, in Parlamento siederá ininterrottamente fino alla morte.

Uomo, come si é detto,   della Sinistra storica, fu ministro dei Lavori Pubblici, degli Interni (1878) e di Grazia e Giustizia (188183 e  188791). Dal 1892 al 1894, durante il Ministero Giolitti, fu per la prima volta Presidente della Camera. Lo sarebbe stato per altre due volte. Nel 1897 tornó ad essere ministro di Grazia e Giustizia durante il Ministero Rudini. Nel 1900, a Monza, sotto il pugnale dell'anarchico Bresci, cadeva il re Umberto I. II nuovo reVittorio Emanuele III, dopo la caduta del governo Saracco, consapevole che alla guida del paese ci voleva un uomo di sicura fede democratica, liberale e di grande prestigio, pensó di chiamare il vecchio Zanardelli, giá settantacinquenne, alla formazione del nuovo governo. Era il febbraio del 1901. Nel settembre 1902 il vecchio Presidente intraprendeva il suo viaggio per la Lucania/Basilicata. Alcuni mesi dopo, nell'ottobre del 1903, a seguito di contrasti interni ed esterni, soprattutto con l'Austria, e anche per le sue non buone condizioni di salute, rassegnava le dimissioni da Primo Ministro, Aveva settantasette anni. Ritiratosi nella sua villa di Maderno, moriva il giorno dopo Natale, il 26 dicembre 1903, compianto da tutti, anche da coloro che l'avevano avversato.

 

Convinto che il Paese avesse bisogno di un grande rinnovamento, pur non essendo socialista, Zanardelli fu attento al grido di dolore che si levava dagli strati sociali piú umili e dalle lande affamate del Paese, disperate e desiderose di giustizia. Perció fu sempre contrario a qualunque forma di politica antioperaria e repressivamente poliziesca. Questo fu il motivo per cui non volle mai collaborare con i governi della Destra storica. E tuttavia, quando gli stessi governi della Sinistra dimostrarono anch'essi intolleranza o forme di immoralitá amministrativa, seppe prendere le distanze anche da essi, rassegnando le dimissioni. Lo fece nel 1882, protestando contro il trasformismo inaugurato da Depretis; la stessa cosa fece sotto il governo Rudini.

Fu naturalmente avverso al Pelloux e alla sua politica reazionaria e autoritaria, contro cui pronunzió forti e   vibranti accuse. Fu lui ad eliminare, dal codice penale, la        pena di morte; fu lui a sancire la libertá di sciopero,     riunione e associazione; e fu ancora lui ad abolire il dazio  sulla farina e a introdurre una      rigorosa normativa sul lavoro     minorile e femminile. Tentò  persino l'introduzione del divorzio, presentando apposito disegno di legge.

É in questo quadro che si inserisce la sua attenzione per il Sud e le popolazioni meridionali. Proprio mentre andavano di moda le pericolose teorie lombrosiane, di chiara significazione razzista, da Montalbano lonico ebbe a pronunziare, in termini assolutamente chiari e inequivocabili, le seguenti parole: «Un'impressione [...] voglio senza ambagi esprimere intiera, ed é che fui veramente edificato della nobile attitudine di queste popolazioni [...]. Ció mostra quanto sia più alto il sentire di queste popolazioni e conferma ció che dissi a Napoli sulla natia bontá delle popolazioni meridionali». Ció spiega la coraggiosa decisione di affrontare, a settantasei anni, il faticoso viaggio di ricognizione per la Provincia di Lucania/Basilicata, a seguito della discussione, in Parlamento, di una interpellanza del socialista Ettore Ciccotti, il 28 aprile 1902, e a seguito di due interventi, sempre in Parlamento, degli onorevoli Pietro Lacava e MicheleTorraca, il 20 giugno 1902.

 

IL VIAGGIO, GIORNO DOPO GIORNO

 

II viaggio, giorno dopo giorno II lungo viaggio cominció in treno speciale, con partenza da Roma alle ore 8,30 del 14 settembre, giorno di domenica. Alle ore 14,30 dello stesso giorno, il convoglio entrava in Napoli. II giorno dopo, 15 settembre, il Presidente partiva per Capri e, quindi, nel pomeriggio, alle ore 19,30, raggiungeva Sorrento, dove passó la notte. II 16 settembre, da Sorrento raggiungeva il Comune di Meta, da cui rientrava verso mezzogiorno, per poi raggiungere, nel pomeriggio, Massa Lubrense e l'Eremitaggio di Sant'Agata. Da Sorrento, la sera stessa, si imbarcava per tornare a Napoli. La popolazione gli dedicó la famosa canzone Torna a Surriento. Da Napoli partiva il giorno dopo, 17 settembre, alle ore 7,55, sempre in treno, per raggiungere, in giornata, la provincia di Lucania/Basilicata. Dopo Eboli, a Sicignano, ad accogliere il Presidente si fecero trovare alcuni parlamentari lucani, tra i quali un ruolo primario svolgeva l'on. Pietro Lacava, certamente il piú autorevole fra tutti. Da Sicignano il treno raggiunse Lagonegro. Era ancora il 17 settembre, ore 17. II giorno dopo, 18 settembre, fu il primo giorno passato nella Provincia di Lucania/Basilicata. II Presidente, inaspettatamente, dichiaró di voler ricevere liberamente quanti avessero voluto presentarsi da lui. "Tale decisione raccontano le cronache  fu simpaticamente e favorevolmente commentata [...]. Tutto il paese fu m festa e straordinariamente animato. II tempo era bello". 1 paesani, quasi increduli, indossarono "il loro caratteristico costume". Di tutti gli incontri il Presidente prese diligente nota per iscritto. Quindi, a piedi, volle fare il giro del paese. Si rese conto che, per avere conoscenza analitica dei fatti e delle situazioni, forse doveva prolungare di qualche giorno il suo viaggio. Lo disse al giornalista Sestini, della "Tribuna". Lo stesso 18 settembre, alle ore 13,50, partiva per Montesano, ritornando per un tratto in Campania. "Al passaggio del lungo corteo di carrozze, chiuso da una grande carrozza carica di bagagli, accorrevano dai campi e dai rari casolari i contadini attoniti, stupiti, salutando. Quasi tutti [...] avevano l'aspetto emaciato, il colore terreo; si vedeva bene, purtroppo, che quella gente si nutriva poco e male".

La permanenza a Montesano duró giusto il tempo necessario per incontrare il Sindaco e la Giunta; quindi, nel pomeriggio, il Presidente parti per Moliterno, ove giunse in serata, "a traverso montagne completamente brulle o assai mal coltivate, segno evidente della grande miseria di quei contadini". Alloggió in casa dell'on. Lovito, un palazzo storicamente importante, ove fu organizzata una cena per venticinque coperti, con concertino di arpe e violini, suonati dai "raminghi suonatori" viggianesi. Sembrava tutta una festa Ma il Sindaco, accogliendo l'illustre ospite, disse una cosa terribile: «Sig. Presidente, ti salutano ottomila moliternesi: tremila sono emigrati in America; gli altri cinquemila si accingono a farlo». II giorno dopo, 19 settembre, intorno alle ore 13, Zanardelli partiva per Corleto Perticara. Durante il tragitto, ancora una volta, "era una malinconia grande vedere una cosí vasta estensione di terreni spogli completamente di rivestimento boschivo, brulli, senza ombra di vegetazione, devastata dall'impeto dei torrenti straripanti per difetto di opere idrauliche. Tranne che in prossimitá di qualche villaggio, mancavano ovunque traccie (sic) di vita umana!".

A Corleto Perticara giungeva nel tardo pomeriggio. II collegio elettorale era dominio

assoluto del citato on. Pietro Lacava. Perció l'arrivo del Presidente, ben preparato e ben organizzato, avvenne piú che mai in un clima di festa, tra case imbandierate, carabinieri a cavallo, fuochi pirotecnici, folle di uomini e persino signore a cavallo. A far gli onori di casa c'era la signora Giulia Lacava, che  riferiscono le cronache  "vestiva un bellissimo abito di seta nera e sedeva tra l'on. Zanardelli e l'on. Carmine Senise, eroe delle mitiche giornate lucane del 1860, avendo di fronte l'on. Lacava tra l'on. Tommaso Senise e il Lichinchi".II giorno successivo, 20 settembre, trascorse ascoltando le rappresentanze locali e quelle dei Comuni circostanti, tutti del collegio Lacava. II Presidente, quasi con puntigliositá  stando a quanto si legge nella "Tribuna"  "volle essere informato del numero delle rispettive popolazioni, della proporzione dell'emigrazione, delle condizioni sanitarie, delle acque potabili, dei mezzi di comunicazione, delle condizioni dell'agricoltura, dei prodotti locali, dello stato finanziario delle amministrazioni comunali, e a ciascuno chiese quali fossero le necessitá cui era piú urgente provvedere.Tutti esposero i propri bisogni e partirono gradevolmente meravigliati del grande interessamento strato dal Presidente per queste popolazioni finora quasi considerate come non facenti parte del Regno d'Italia".

Da Corleto si parti il giorno dopo, cioé il 21 settembre. La meta era Stigliano. Tra musiche e mortaretti, lungo il tragitto, si inauguró un nuovo tratto di strada che da Aciniello incrociava, ad un certo punto, la strada provinciale di Stigliano. Alla casa cantoniera "Scorciabuoi", a metá tragitto, fu dato il nome di "casa Zanardelli". A Gorgoglione un vecchio, cui il Presidente chiese quali fossero i bisogni di quelle popolazioni, «Eccellenza  rispose  sono tanti. Ma ció che importa é che anche voi preghiate Iddio per noi!».

A Stigliano il Presidente fu ospitato nel ricco palazzo del barone Formica, in Piazza Castello. Colá ricevette i rappresentanti dei Comuni vicini, cioé Accettura e San Mauro Forte. Tra un brindisi e l'altro, il Sindaco, cav. De Chiara, sottolineó soprattutto i pericoli di dissesto idrogeologico, che mettevano a repentaglio la sopravvivenza del paese; chiese anche un collegamento con la stazione ferroviaria di Grassano. Poi, non contento, durante il pranzo che si tenne nella sala municipale, in piena festa ebbe a dire, piú a sé stesso che agli altri: «Voi [Presidente} non dimenticherete certamente le nostre miserie, i nostri sentieri alpestri, le nostre campagne brulle e deserte, le nostre montagne che franano, i nostri fiumi che straripano e ingoiano vittime e saprete provvedere come sapranno ispirarvi il vostro senno di statista, il vostro cuore di italiano e di patriota». Incalzó, su questo piano, il cav. Nicola Salomone. Ma forse tanta insistenza dette fastidio all'on. Pietro Lacava, vero dio del luogo, che si senti come scavalcato da tanti interventi di uomini a lui subalterni. Volle perció troncare con siffatte lamentationes, sicché, rivolgendosi al Presidente, dichiaró, con una secchezza che non ammetteva repliche: «Dissi nella mia nativa Corleto che non si deve affaticarti con discorsi. Tu nel tuo viaggio hai promesso di vedere, e dove le cose parlano ogni voce dev'esser muta. Un'altra cosa qui non é muta: l'affetto spontaneo».

L'indomani mattina, il 22 settembre, verso le ore 10, il Presidente prendeva la via per Montalbano lonico. Bisognava passare per Craco, ove il corteo fece sosta. Guida e mentore fu, questa volta, l'on. Materi, che aveva preso il posto dell'on. Lacava. Durante la sosta il Presidente ricevette Sindaci e delegazioni di Montalbano lonico, Ferrandina, Pisticci, Grottole, Bernalda e Salandra. Ogni delegazione gli consegnó, al solito, un memorandum di bisogni e cose urgenti da fare. Si ripeté la richiesta di una ferrovia GrumoMateraFerrandinaPadula, giá fatta altrove, e si chiesero provvedimenti per le frane. Dal palazzo, ove ebbe luogo il pranzo (costato mille lire), il Presidente si affacció, constatando i danni che l'ultima frana aveva provocato al paese. "Ne rimase vivamente impressionato". Al momento della partenza, come gli altri del seguito, a mo' di viatico, anche il Presidente si ebbe la sua razione di chinino. Cominciava la pericolosa traversata per il vasto "regno" della malaria.

«La strada  si legge nella "Tribuna"  si svolge fra nude ambe e terreni acquitrinosi assolutamente deserti. [...]. Da ogni parte promontori di terreni alluvionali, con traccie (sic) evidenti di recentissime frane [...]. La pianura é poi anche piú triste. II terreno argilloso, appena superficialmente smosso, é inadatto a qualunque vegetazione; cosí che estensioni immense [...] rimangono completamente inoperose, senza che le rallegri una pianta, un sol filo d'erba [...]. Una vecchia contadina, pallida, estenuata dalle febbri malariche, offri all'on. Zanardelli un canestro di bellissima uva [...] che fu divisa fra tutti i componenti la carovana».

Si arrivava cosí a Montalbano lonico. II Presidente trovó alloggio nel palazzo del barone Giuseppe Federici, cognato dell'on. Donnaperna. All'on. Materi si sostituiva l'on. Michele Torraca, rappresentante del collegio di Matera, che, da uomo di cultura e da informato giornalista residente quasi stabilmente a Napoli, aperto perció alle piú vaste problematiche del tempo, fece, forse, il discorso piú impegnativo, piú intelligente e piú originale che il Presidente avesse ascoltato m quei giorni. In particolare, egli volle osservare che, prima ancora che la sensibilitá personale, a ispirare il viaggio del Presidente era stato "il [suo] sentimento unitario" e patriottico.

Quel viaggio, infatti, altro non era se non una mano stesa ai fratelli piú deboli, per innalzarli al livello delle popolazioni italiche piú ricche, perché  aggiunse con finezza il Torraca  l'unitá economica e civile dev'essere il "cemento" di quella politica. II giorno dopo, 23 settembre, verso le 10, dopo aver ricevuto alcune delegazioni, il Presidente prese la via di Policoro, donde bisognava riprendere il treno, lasciato a Lagonegro, e proseguire per Taranto. Bisognava attraversare l'Agri. II Presidente lo fece, montando su un carro trainato da neri bufali. Le strade, in quel settembre, erano indicibilmente polverose. Durante il pranzo, offerto dal cavalier Padula nel castello dei Berlingeri, il Torraca, definí Zanardelli "il settentrionale piú meridionale di tutta l'Italia". Fu il motivo per cui un giornalista, Vassallo, del "Secolo XIX", prontamente intervenuto, condannó le "irragionevolezze dei sentimenti regionalisti" e federalisti che stavano minando l'unitá d'Italia. Quindi incitó tutti "alla concordia ed alla fede nell'avvenire di tutte le province”

Nello stesso giorno del 23 settembre, alle ore 15.30, ricevute le delegazioni di Sant'Arcangelo, Colobraro, Rotondella, Nova Siri, Tursi, Noepoli e San Giorgio Lucano, ripreso il treno, il Presidente parti alla volta di Taranto, dove giunse in serata, dopo una breve sosta alle stazioni ferroviarie di San Basilio e Metaponto. II giorno dopo, 24 settembre, intorno alle ore 11, seguendo il tracciato delle ferrovie ofantine volute da Giustino Fortunto, raggiungeva Altamura, passando per Gioia del Colle e Santeramo. L'ingresso nella stazione di Altamura avvenne alle ore 13. Un lungo corteo in tutta tranquillitá, accompagnó il Presidente prima nella sede municipale, poi nel palazzo del barone e senatore Melodia, ove lo attendevano "piú che cinquanta signore elegantissime". II pranzo fu tenuto nel teatro "Mercadante".

Nello stesso giorno il Presidente partí per Matera. Gli andarono incontro il Sindaco della cittá, dott. Francesco Manfredi, il comm. Domenico Ridola, l'assessore cav. Tortorelli, il dott. Raffaele Sarra e l'avv. Nicola De Ruggieri. Nel pomeriggio, verso le ore 19.30, il corteo del Presidente, formato da ben 20 carrozze, arrivava a Matera: dopo aver imboccato via XX Settembre, attraversó largo Plebiscito (l'odierna piazza Vittorio Veneto), passó per via San Francesco e piazza Vittorio Emanuele III (oggi del Sedile), e si avvió per via Duomo.

II Presidente fu ospitato nello storico palazzo del conte e senatore Giuseppe Gattini; molti del suo seguito, invece, furono accolti nel palazzo del duca Malvinni Malvezzi. Ben presto, sotto i balconi di palazzo Gattini, cosi come era successo altrove, si radunó una gran folla plaudente; ma poco dopo, inaspettato, un urlo indefinibile si levó da tutti i lati della piazza. II popolo domandava la propria redenzione. "Si voleva  racconta il giornale "La scintilla"  il lavoro per guadagnare di che sfamare le famiglie languenti nei tuguri dei due Sassi, donde da lunghi anni si levavano tanti gemiti, dove senza speranza si moriva". E si reclamava la ferrovia.

II giorno dopo, 25 settembre, fu per Zanardelli giorno assai faticoso, impegnato come fu in una lunga serie di incontri ufficiali e giri per la cittá. Ricevette le delegazioni dei Comuni di Matera, Montescaglioso, Irsina, Pomarico e Pisticci, oltre che una delegazione della Societá operaia, delle scuole elementari, dei carabinieri, degli avvocati e altri. Alle ore 12, in piazza della Fontana, scoprí, sulla parete del monastero di Santa Lucia, ancor oggi visibile, una lapide in onore del re Umberto I, assassinato due anni prima. L'epigrafe era stata dettata dal materano Nicola Festa, professore di lingua e letteratura greca presso l'Universitá "La Sapienza" di Roma.

Dopo una visita al Palazzo di Giustizia, il lungo corteo del Presidente si diresse verso l'odierno e vicino palazzo della Prefettura (allora Sottoprefettura), per il pranzo. Nel frattempo al Presidente erano stati consegnati i quattro memorandum che la cittá secondo quanto si legge nella "Scintilla" aveva preparato. In uno, accennandosi ancora alla situazione dei Sassi, si leggeva che "cinque sesti della popolazione materana abitano in tuguri scavati nella nuda roccia, addossati, sovrapposti gli uni agli altri in cui i contadini non vivono ma a mo' di vermi brulicano, squallidi avvoltoi nella promiscuitá innominabile di uomini e bestie, respirando aure pestilenziali".

II banchetto in Sottoprefettura fu, naturalmente, intessuto di omaggi e brindisi, come programmato. Ma ci fu ancora un imprevisto, perché, "tra fragorose ovazioni", ebbe modo di arrivare una delegazione di cinque donne e un uomo "miseramente vestiti", "parenti degli arrestati pei [...] disordini che qui ebbero a deplorarsi". Erano i parenti dei 24 contadini incarcerati a Potenza insieme con il 'Monaco Bianco', al secolo Luigi Loperfido, a seguito di uno sciopero generale che, organizzato nel giugno precedente, aveva portato alla morte di un tal Giuseppe Rondinone, bracciante. Quei sei delegati, a dire il vero,  scrisse la "Tribuna"  "piú che entrare, si precipitarono nell'elegante salotto, nel quale li attendeva l'on. Zanardelli. Una delle donne, appena scortolo, gli si gettó ai piedi. Zanardelli commosso la rialzó esortandola a non lamentarsi ma ad esporre i fatti. Allora le cinque donne cominciarono a parlare tutte insieme, facendo un confuso cicalío nel loro dialetto del quale é impossibile comprendere una sola parola. «Ma se parlate tutte in una volta, come faró a capire?» disse l'on. Zanardelli.

Quattro di quelle sventurate si tacquero, e la quinta, con voce rotta dai singulti, narró i suoi dolorosi casi. Per tutte l'on. Zanardelli ebbe parole di conforto. «Facitemi grazia»  gridavano le donne. II Presidente promise il suo interessamento per un sollecito processo (che, di fatto, si sarebbe tenuto il 25 ottobre successivo).

La mattina dopo, il 26 settembre, alle ore 7, Zanardelli riprendeva il suo viaggio, dirigendosi in carrozza verso Altamura, ove lo attendeva il treno speciale per Venosa. Pioveva a dirotto. Dopo una sosta a Spinazzola, il treno arrivó alla stazione di Palazzo San Gervasio. Ci fu un'altra manifestazione clamorosa, di cui si era avuto qualche presentimento giá nei giorni precedenti. Una folla di circa ottanta persone, infatti, issó cartelli, su cui si leggeva: "Malaria  Ignoranza Abbandono  Corruzione  Camorra  Denutrizione  Spese improduttive  Riduzione dell'esercito  Abolizione delle spese religiose  Diminuzione della lista civile  Libertá di stampa  Riposo domenicale  La libertá a Calcagno". Tutto avveniva in silenzio e in modo composto. Ad un certo momento, peró, si udí il grido di un giovane: "Viva il socialismo". Gli risposero, in coro, i compagni. I carabinieri allora si misero in stato di allarme e successe della confusione. Per fortuna il treno riparti quasi immediatamente, raggiungendo la stazione di Venosa alle ore 11.40. Di qui, accompagnato da una folla sempre plaudente, il corteo del Presidente salí al paese. Nella prima carrozza, a fianco a lui, sedevano Giustino Fortunato, il Sindaco e il cav. Ninni. Dopo un breve giro per il paese, si partí per Melfi, ove si arrivó alle ore 18 circa, fatta una breve sosta a Rocchetta Sant'Antonio. Da Melfi si ripartí alle ore 22, alla volta di Rionero. Qui giunto, il Presidente prese alloggio nello "splendido palazzo" dei Fortunato, dove si sarebbe fermato per due giorni, anche per rendere onore ad un amico tanto amato e rispettato. II tempo, intanto, si era messo al bello. II giorno successivo, 27 settembre, cominció una lunga giornata di ricevimenti. Ma prima ci fu una passeggiata per il paese, cui seguì, sotto il palazzo dei Fortunato, la manifestazione di un centinaio di contadini e piccoli proprietari di Sant'Ilario. II 28 settembre era domenica e di quasi riposo. II Presidente, ormai, si preparava all'ultimo trasferimento a Potenza, dove lo attendeva un discorso ufficiale, assai impegnativo. La partenza per il capoluogo avvenne alle 7.45, lunedi 29 settembre. Vi arrivó nella prima mattinata. Dalla stazione, fino a via Pretoria, il trasferimento, in carrozza, avvenne tra manifesti, bandiere e scritte di elogio ma ce n'erano anche che dicevano: «Non piú ferrovie! Non piú spese inutili! Vogliamo la diminuzione delle imposte fondiarie! Abolizione della ricchezza mobile e sull'industria armentizia! Abolizione del casotto daziario! Vogliamo pane e lavoro».

In cittá, sfuggendo al rito e al protocollo delle cerimonie e degli incontri ufficiali, intorno alle 15 il Presidente riuscí a ficcarsi in qualche "sottano" dei popolani potentini, con l'intento di chiedere e sapere direttamente. Difficile  ricorda il cronista  "comprendere ció che [da quella gente} si rispondeva nel piú incomprensibile gergo dialettale". Era proprio il caso di dire che c'era poco da ascoltare e molto da guardare. Le abitazioni erano tutte misere, anche se "non inferiori a quelle degli altri paesi di Basilicata, dove le culle dei bambini pendevano da quattro corde settanta centimetri al di sopra del letto coniugale". Era la stessa immagine che, trentatré anni dopo, avrebbe impressionato Cario Levi. Alle ore 20, presso il teatro Stabile, opportunamente addobbato per ospitare 160 invitati, fra i quali tutti i deputati e senatori della Provincia, senza distinzione alcuna tra amici e avversari, fu fissato l'incontro conclusivo. Risultarono assenti il solo on. Lovito e il sen. Gattini, che tuttavia, per lettera, avevano fatto pervenire la propria adesione morale.

 

AL TEATRO STABILE

 

il 29 settembre DDopo l'intervento di saluto del Sindaco di Potenza, del senatore Carmine Senise, del cav. Lichinchi, dell'on. Branca e del Sindaco di Montemurro, che parló a nome di tutti i piccoli Comuni della regione, l'on. Zanardelli si alzó e lesse il suo discorso. Parló del suo viaggio come di una "peregrinazione" per una terra a lui sconosciuta. Era, per la veritá  aggiunse , sconosciuta a tutti gli italiani. Anzi  incalzó con efficace gradatio  «puó dirsi [...]sia sconosciuta m gran parte agli abitanti della provincia stessa: ché quasi nessuno qui io trovai che avesse visitato, avesse veduto i vari Comuni divisi fra loro da enormi distanze, non congiunti da vie di comunicazione. Sicché nella impervia regione, quasi stranieri gli uni agli altri e perció non cospiranti ad unico fine, sembrano gli abitatori che pur dovrebbero comporre una grande unitá sociale». Mancava, in definitiva, una regione unita e ben definita nella sua identitá.

Con grande acutezza, notó anche come, purtroppo, non ci fosse, "in si ampio territorio", almeno una grande cittá, che potesse fare da luogo e centro di vita amministrativa, sociale, culturale e politica. Tutto era frantumato, in una terra che, pure, aveva avuto i suoi fasti e i suoi uomini illustri, anche se, per lo piú, affermatisi lontano dal proprio paese. Ora, purtroppo, c'era il deserto. "Percorsi piú giorni  disse  distese di monti, nudi, brulli, senza qualsiasi produzione, senza quasi un filo d'erba e avvallamenti altrettanto improduttivi: si correva per ore ed ore senza trovare una casa, ed al desolato silenzio dei monti e delle valli succedeva il piano mortifero dove fiumi sconfinati scacciarono le colture e, straripando, impaludirono. E vidi ad esempio il letto dell'Agri identificarsi con la valle dell'Agri, e l'acqua vagante non avere quasi corso in quelle sterminate arene".

Dominava, in siffatto quadro sociale e geografico, la "malaria pestilenziale". 1 paesi, appollaiati sulle montagne per sfuggire a quella malattia, ogni giorno e ogni ora correvano il rischio di cadere a valle. La situazione igienicosanitaria era semplicemente drammatica. In tutta la regione non c'erano "manicomi, né brefotrofi, né ospizi pei cronici, né case d'industria". C'era un solo ospedale: quello di Potenza. Se in Lombardia, su 100.000 abitanti, negli ospedali c'era posto per 2.257 malati, e se in Toscana i posti erano 2.548, in Basilicata ce n'erano solo 148! Quanto alla situazione alimentare, era sintomatico il fatto che i giovani lucani non crescevano in altezza come i loro coetanei. In occasione della leva del triennio 1898, 1899 e 1900, si era verificato che "le riforme per difetto di statura furono [...] piú numerose del doppio nel complesso del Regno". si poteva sottacere la mancanza di strade, ferrovie, scuole, di cui tanto si erano lamentate tutte le delegazioni comunali. L'analfabetismo, dopo l'ultimo censimento del 1901, era risultato del 79. Agli abitanti della regione, cosí stando le cose, non restava che fuggire. E l'emigrazione era massiccia, tanto che la popolazione di Lucania/Basilicata diminuiva, mentre aumentava m tutto il resto del Regno. Emigravano da 8 a 9.000 lucani all'anno. II fenomeno "salí a quasi 11.000 ammise Zanardelli  nel 1900, ad oltre 17.000 nel 1901". Insomma, in sintesi, "l'agricoltura periva, il suolo non aveva quasi alcun reddito, la proprietá immobiliare non aveva quasi valore, cosi come l'industria era totalmente assente". E il territorio si spopolava. Che fare, dunque?

II discorso, in tutta la sua pars negativa, fu accompagnato da lunghi e calorosi applausi di approvazione. Lo stesso accadde quando il Presidente parló dei suoi impegni e dei suoi progetti. Parló di strade e ferrovie, alleggerimenti fiscali e rimboschimento, cioé di provvedimenti che peró  come avrebbe detto Ettore Ciccotti  non intaccavano la struttura economica e l'organizzazione sociale della comunitá lucana. Non si parló, infatti, del latifondo e della persistenza del feudalesimo (come pure aveva fatto il Nitti), né dello stato di abbandono e incuria in cui i grandi proprietari, baroni e cavalieri, duchi e conti, quasi sempre parlamentari, lasciavano i loro immensi possedimenti. Non si parló delle colpe e responsabilitá dei latifondisti e onorevoli Lacava e Gattini, Lovito e Federici, Fortunato e Materi, che erano li presenti. Non si parló nemmeno di fitti strozzini e di mancati patti agrari, di creazione di piccola proprietá contadina e recupero di beni demaniali usurpati. Non si parló di salari giusti e adeguati o della necessitá di industrializzazione, ma solo di benefici da offrire all'agricoltura e a chi l'agricoltura, in forma quasi sempre estensiva, esercitava. Si parló anche di usura e di mutui agevolati. Da uomo di sottile intelligenza politica, il Presidente sapeva fin dove poteva impegnarsi, davanti a quegli uomini e con quel Parlamento, eletto su base censuaria e a suffragio ristretto. «Piuttosto che espormi a prometter e non eseguire  disse , vorrei eseguire il non promesso».

La conclusione fu un invito alla buona volontá, alla solidarietá e ad uno sforzo comune, stante la grandezza dei problemi da affrontare. «Combattiamo insieme  disse tra calorosi applausi  una grande battaglia contro le forze della natura e contro le ingiurie degli uomini. Non aspiro ad alcun bene maggiore che a quello di uscire da questa battaglia, insieme a voi, vittorioso».

 

Il RITORNO A ROMA E LA LEGGE SPECIALE PER LA LUCANIA/BASILICATA

 

La partenza da Potenza fu fissata per l'indomani mattina, martedi 30 settembre. Uscito dal palazzo della Prefettura alle ore 9,45, il Presidente fu accompagnato in carrozza alla stazione. Si formó un corteo di circa sessanta carrozze. Da Potenza il treno partí alle ore 10. Si fermó alle stazioni di Picerno, Baragiano e BellaMuro. Qui, a salutarlo, mentre abbandonava la regione di Lucania/Basilicata, intervenne il Sindaco. Parló quindi l'on. Grippo, che, discorrendo del Presidente e del suo viaggio, m tono solenne, cosí concluse: «Egli non sará, come disse l'onorevole Branca, il nostro ambasciatore, ma il nostro rappresentante, egli che torna a Roma piú meridionale di noi».

Dopo una ulteriore sosta a Nocera, il treno arrivava a Napoli alle ore 14,14. Di qui ripartiva alle ore 15,25, per concludere la sua corsa a Roma, alle ore 20,30. Pochi.giorni dopo, il 3 ottobre, il Consiglio Provinciale di Lucania/Basilicata, riunendosi, approvava un ordine del giorno che, su proposta dello stiglianese Nicola Salomone e del consigliere Severini, rendeva omaggio, con telegramma, al Presidente, impegnandosi ad inviargli una tela del pittore venosino Andrea Petroni, "a manifestazione della gratitudine della Provincia [...] per l'opera che Egli era venuto a compiere [...], con gravi sacrifici e con animo di alta solidarietá nazionale". A stretto giro di posta, il giorno dopo, in data 4 ottobre, il Presidente rispondeva con altro telegramma, cosi scrivendo al Presidente Vincenzo Lichinchi: «La dimostrazione singolare di estrema benevolenza da parte della rappresentanza di codesta generosa Provincia, dimostrazione annunciatami col Suo odierno telegramma, mi commuove profondamente. Essa é troppo largo compenso al dovere da me adempiuto; io terró quel ricordo di Potenza, il quale mi viene con tanta concordia dal Suo consesso rappresentativo, fra le mie piú preziose memorie. Ringrazio poi specialmente gli egregi consiglieri Severini e Salomone dell'affettuosa iniziativa, e Lei, chiarissimo signor Presidente, della gentile partecipazione».

Nei mesi immediatamente successivi, coerente con gli impegni assunti, il Presidente non dimenticó nulla, ma chiamó presso di sé Ernesto Sanjust, un funzionario del Ministero dei Lavori Pubblici, cui affidó l'incarico di raccogliere tutti i documenti accumulatisi durante il viaggio, con petizioni, desideri e segnalazioni. Ne nacque un "dossier" di grande interesse ancora oggi, soprattutto perché non si trattava di studio fatto a tavolino, ma proveniente da verifica diretta, fatta sul territorio e dal vivo. Tutto quel materiale confluí in un disegno di legge, che, presentato il 28 giugno 1903, fu discusso nel febbraio del 1904 e promulgato il 31 marzo 1904. Ma Zanardelli non c'era piú, essendo scomparso tre mesi prima.

Nella discussione sulla legge intervenne personalmente il nuovo capo del Governo, Giovanni Giolitti, che cercó di frenare le ambizioni dei parlamentari settentrionali, interessati ad ottenere, per le loro regioni, analoghi provvedimenti. La legge, significativamente, fu caldamente sostenuta dal Torraca e dal Lacava, ma non dal socialista Ciccotti, anche se questi, responsabilmente, non mancó di partecipare attivamente al dibattito, proponendo emendamenti miglio rativi, quasi sempre respinti. In fondo  pensava il battagliero deputato socialista quella legge era pur sempre meglio di niente. Aveva ragione.

In fondo, se essa non produsse cambiamenti strutturali, ebbe almeno il merito di migliorare comunque i servizi, offrendo assistenza tecnica all'agricoltura, tramite le "cattedre ambulanti", e costruendo strade, tratturi, acquedotti e, nel tempo, tratti di ferrovie a scartamento ridotto. Ebbe anche il merito di mettere a fuoco i problemi chiave di una regione che era emblema del Sud; inoltre, e ancor di piú, dopo il tragico strappo causato dal brigantaggio, riusci a ridar fiducia alle popolazioni meridionali nei confronti dello Stato centrale, sentito meno lontano e meno assente. II Presidente galantuomo, vero "padre della patria", in defmitiva, aveva assolto ad una nobile funzione e sarebbe stato ricordato sempre con gratitudine e simpatia, essendo riuscito a mettersi in sintonia sia con i potenti sia con i deboli. Questi non avrebbero tratto vantaggi sostanziali, se non in forma indiretta e casuale; ma forse non si aspettavano di piú. Le lotte e rivendicazioni sociali erano ancora di da venire, mancando una coscienza di classe. E significativo, perció, che, a livello popolare, per anni e anni, quando i figli chiesero qualcosa di troppo ai loro genitori, questi, con bonomia e ironia, risposero: «L'avrete, l'avrete  disse Zanardelli».

Un mese dopo la morte, il 28 gennaio 1904, il Presidente "galantuomo" fu celebrato alla Camera. Prese la parola l'on. Lacava, che parló di lui come di un "grande italiano" che, giá molto anziano, facendo un viaggio tanto faticoso e pieno di disagi e pericoli, "compiva il piú alto ministero di legislatore e di uomo di Stato" E parló l'on. Bruno Chimirri, calabrese, che fu sempre avversario di Zanardelli. A lui si doveva  concluse l'on. Chimirri, "se la questione del Mezzogiorno fece un passo decisivo, e se si impone anche ai successori". E aveva ragione; né alcuno poteva minimamente immaginare che, a distanza di 100 anni, tra i "successori" di quello Zanardelli, e dalla sua stessa terra lombarda, sarebbero venuti a sedere, nel Parlamento italiano, rozzi nemici dell'Italia unita e del Mezzogiorno. Avrebbero trovato, purtroppo, nello stesso Mezzogiorno e nello stesso Parlamento, un incomprensibile sostegno opportunistico, a dimostrazione del fatto che, in Italia, al trasformismo, meridionale e non, non ci fu mai limite    Giovanni Caserta

* Devo esprimere pubblica gratitudine, per il presente saggio, alla Sig.ra Domenica Malvasi, direttrice della Biblioteca comunale di Montalbano lonico, che, ancora in stato di bozze, mi volle fornire la cronaca del viaggio di Zanardelli cosi come registrata sulla "Tribuna" del settembre 1902, corrispondente il Sestini. La stessa, ora, é consultabile in D. Malvasi (a cura di), Omaggio a Zanardelli, Montalbano lonico, 2002. Cfr. anche M. Dilio, Zanardelli in Basilicata, Basilicata, fascicoli 1-8, 1969.