Re D'Aragona contro Caldora, conte di Palena

 

RE FERRANTE D'ARAGONA CONTRO ANTONIO CALDORA CONTE DI PALENA

 

L'anno 1443 segnò il solenne ingresso di Alfonso I d'Aragona a Napoli; la lotta per il predominio del Regno si riaccese più violenta che mai, dopo la morte di lui, avvenuta nel 1458. Successe al trono di Napoli il figliolo naturale Ferdinando 1 d'Aragona che fu contrastato dai Baroni del Regno, i quali chiamarono a schierarglisi contro Giovanni d'Angiò, figlio di Renato. Il giovane Ferrante, appellativo che gli fu attribuito per il carattere energico, trovò nel Duca di Milano Francesco Sforza un validissimo alleato, il quale gli inviò suo fratello Alessandro Sforza con nutriti squadroni di cavalleria. Col re aragonese si schierarono il capitano Inigo d'Avalos e il Conte d'Aquino. Giovanni d'Angiò ebbe alleati Nicolò Piccinino e l'intrepido condottiero Antonio Caldora Conte di Palena, al cui seguito si posero poi molti baroni che parteggiavano per l'angioino. La lotta fra i due contendenti divampò presto con inaudita violenza. Il giovane Ferrante, soccorso dagli armati dei suoi alleati, vinse il suo rivale in Puglia; soppresse col tradimento il Piccinino che fu strangolato in carcere per ordine del re, ed iniziò la repressione dei baroni ribelli schierati con l'angioino.

Infuriò una lotta senza quartiere, dura e spietata: iniziata in Calabria continuò a divampare in Puglia, per avere il suo epilogo in Abruzzo, con la totale sconfitta di Antonio Caldora, irriducibile rivale rimasto in lotta, poiché Giovanni d'Angiò, vista la piega sfavorevole degli avvenimenti, preferi ritirarsene. Nell'ottobre dell'anno 1458 il Conte Francesco Sforza, oltre a inviare suo fratello Alessandro in Abruzzo, con le sue milizie, per dare man forte all'esercito di Ferrante, inviò presso il suo alleato tre ambasciatori: Antonio da Trezzo, Tommaso Tebaldo da Rieti e Pietro Beccaria da Bologna i quali, con i loro frequenti rapporti segreti, con tratti cifrati, rendevano edotto il Duca di Milano sullo sviluppo politico-militare degli avvenimenti. Attraverso i frequentissimi rapporti instaurati tramite detti ultimi, inviati quasi quotidianamente al potente Duca di Milano, ci è agevole conoscere l'ampio teatro delle operazioni che avevano come punto focale le quattro fortezze abruzzesi intorno alle quali la lotta per l'espugnazione divampava con estrema violenza: PALENA, PACENTRO, CIVITALUPARELLA e VASTO. Il giorno 15 luglio 1458, dal quartier generale di Forca Palena, l'ambasciatore Tebaldo da Bologna invia al Duca di Milano un particolare e lungo rapporto, esponendo un quadro generale della situazione politico-militare, con riferimento alle relazioni diplomatiche del re aragonese col Vaticano. Come si rileva dal documento, molti tratti di esso risultano cifrati in quanto dovevano rivestire carattere di assoluta segretezza.

IMPONENTE CONCENTRAMENTO ARAGONESE A FORCA PALENA

Le nutrite schiere degli armati aragonesi, con Re Ferrante ed i suoi capitani, si concentrarono sulla pianura del QUARTO DI SANTA CHIARA, tra i due valichi e le pendici di Collefauno, pronte a scendere minacciose e dilagare nella Valle Aventina e in quella Peligna per strappare le terre tenute dai Caldoreschi. Dai rapporti dei tre ambasciatori al Duca di Milano, conosciamo, fra l'altro, i nomi dei condottieri che vi affluirono con i pesanti squadroni di cavalleria e le numerose schiere dei " pedites ". Il Conte D'Avalos con dodici " squadre "; il Duca di Melfi con quattro " squadre "; il Principe di Salerno con tutti i suoi armati; Fabrizio, Caraffa, Carlo di Sangro, Oriolo, il Marchese di Cotrone; il Duca di San Marco; Robertus de Aragonia de Sancto Severino - Comes ac Armorum Doctor ed il Conte Alessandro Sforza, fratello del Duca di. Milano. Un potente spiegamento di condottieri - e di armati che brulicavano sulla collina di COLLEFAUNO e sull'ampia distesa del QUARTO DI SANTA CHIARA. Certamente la TRABACA REALE PER LOGIAMENTO con le altre dello Stato Maggiore vennero collocate sopra una zona dominante della dolce collina di Collefauno, oggi denominata VACCARECCIA.

TENTATIVO DI ACCORDO FALLITO

Re Ferrante, considerando il valore di Antonio Caldora e la strenua resistenza che avrebbero opposte le sue agguerrite milizie arroccate sulle quattro poderose fortezze principali: PALENA, PACENTRO, CIVITALUPARELLA e VASTO, poste tutte su posizioni quasi inespugnabili, punto chiave sulle roccheforti minori, sparse nelle terre del Chietino, inviò l'ambasciatore del Duca di Milano - Antonius de Tricius - a parlamentare col suo rivale. L'incontro ebbe esito negativo! Anche questa volta il Caldora fu irremovibile, aggiungendo che " prima voleva morire con honore che vivere cum vergogna ". Le pressanti richieste del re di avere le quattro fortezze furono cosi respinte con sdegno dal Caldora, e si dette luogo così al riaccendersi della lotta che, fu condotta con estrema violenza e grande perdita di combattenti da ambo le parti. Nel rapporto dell'ambasciatore Tebaldo da Bologna al Duca di Milano sono riportate le terre occupate fino allora e le altre tenute dal Caldora Da questo lungo elenco di località, di cui alcune non più esistenti, appare chiaro il dominio di Antonio Caldora su quasi tutte le terre dell'Abruzzo chietino e di alcune della provincia di Campobasso, fornite la maggior parte di castelli. Il re era certamente convinto che la caduta delle quattro poderose fortezze, disposte sopra importantissimi punti strategici tra la Maiella e l'Adriatico: PACENTRO, PALENA, CIVITALUPARELLA e VASTO, avrebbe fatto precipitare in suo favore gli eventi. Il re aragonese, dal suo, quartier generale di FORCA PALENA, dove rimase dal 15 luglio al 13 agosto 1464, come si desume dalle date dei rapporti dei tre ambasciatori al Conte Francesco Sforza, impartiva con i suoi condottieri le direttive belliche, portandosi sovente egli stesso sull'ampio, teatro delle operazioni, come si rileva dai documenti.

ENTRANO IN AZIONE LE BOMBARDE!

Intanto i Caldoreschi opponevano una dura resistenza agli incalzanti assalti degli armati di re Ferrante con sacrificio di vite da ambo le parti contendenti. Occorrevano nuovi mezzi per piegare il nemico,. Ed ecco che dal quartier generale viene escogitato un nuovo piano di lotta: nuovi mezzi micidiali da poco inventati: LE BOMBARDE. Questo nuovo mezzo di distruzione, antenato dei nostri cannoni, avrebbe certamente abbreviato favorevolmente la piega degli avvenimenti. Le bombarde furono presto richieste e giunsero alcune al porto di " Santo Vito " ed altre furono richiesto in prestito dalle Marche.

GLI EVENTI INCALZANO

In data 25 luglio (1464) l'ambasciatore Da Trezzo invia altro rapporto al Conte Sforza informandolo fra l'altro... " La Rocha de Archi quale è fora de la Terra similmente a ad pacti: la quale non havendo soccorso infra tre dì se fornirà; alla obsidione (all'assedio) de la quale so tanta gente da cavallo et da pede che non è da credere se gli dagli soccorso. LA TERRA DE PALENA E' HAVUTA, ET HANNO LI HUOMINI DE QUELLA JURATO HOMAGIO".

Questa è una nota che riveste una grande importanza e dalla quale si desume che i cittadini di Palena, pieni di odio e avviliti, ormai stanche di aver sopportato distruzioni e sofferenze d'ogni sorta, a causa delle angherie a cui erano stati sottoposti dal superbo signore, decidono di ribellarsi al Caldora per agevolare l'ingresso agli assedianti e fare atto di sottomissione al re aragonese.

LE MUNITE FORTEZZE DI PALENA E PACENTRO CAPITOLANO ONOREVOLMENTE

Il 3 agosto 1464 la roccaforte di Palena e quella di Pacentro, vengono alla resa condizionata, come si legge dal rapporto dell'ambasciatore Da Trezzo al Duca Francesco Sforza:

"MO AVISO QUELLA COMO DAL HORA IN QUA LA MAESTA'DEL SERENISSIMO SIGNORE RE HA HAVUTO LA ROCHA D£ PALENA, LA QUALE ERA FORTE ET BEN FORNITA DE QUANTO GLI BISOGNAVA EXCEPTO DE HOMINI; similiter s'è havuta la terra de PACENTRO per acordo. La rocha se tene per el conte Antonio, a la obsidione (assedio) de la quale so deputate tanta gente che bisognarà facia como hanno hacto le altre, maxime che non han speranza de alcuno socorso ". Come si vede, l'assedio posto a queste due fortezze era così stretto e rinforzato di armati assedianti, che ormai non vi era alcuna via di scampo se non la capitolazione.