XIX secolo. La fine dei borboni

 

IL DISGREGARSI ED IL DISSOLVERSI DEL REGNO DELLE DUE SICILIE

Con l'ingresso trionfale di Garibaldi a Napoli, molti comuni si affrettarono a deliberare per l'unità la libertà e l'indipendenza d'Italia sotto la monarchia di Vittorio Emanuele II: fra essi, quello di Palena con a capo il Sindaco PAOLO NAPOLIONE e i Decurioni ORESTE RECCHIONE, (pittore) Notar Avv. Raffaele CAMPANA, Prof. PIO FALCOCCHIO; A. DI BENEDETTO, M. PERTICONE, A. VILLA, G. GALLO; G. PERTICONE. Due Comuni soltanto, in tutta la regione, non avevano ancora aderito: Pescara e Civitella del Tronto, le due principali fortezze borboniche in Abruzzo. Ma nei giorni 2, 3 e 4 ottobre 1860 scoppiò la violenta reazione a Palena e negli altri centri viciniori. La gran massa dei contadini e dei braccianti, fedele al vecchio regime borbonico armata di scuri, roncole. falci, pugnali ed altri arnesi rurali scese tumultuosa in piazza per reclamare l'annullamento della decisione decurionale che già si era espressa per Vittorio Emanuele. Dinanzi a questa sommossa popolare che diventava sempre più minacciosa, il Decurionato di Palena, col Sindaco ed il. Giudice Regio Raffaele Termiscia, unitamente agli aderenti al partito liberale, formato per lo più da professionisti e artigiani, si rinserrarono entro le mura dell'antico Castello Ducale, con armi da sparo. La preponderante massa del popolo tumultuante aggrediva la " Camera Comunale ". Dai più scalmanati fu abbattuto a colpi di scure il portone d'ingresso; fu raggiunta la sala consiliare ove Samuele Salvi, soprannominato " Saporito ", un contadino di Via Valle, baldanzoso reazionario corse a sedersi sulla poltrona riservata al Sindaco, esclamando: " lo, ora, sono il Sindaco! ". I reazionari che erano saliti con lui applaudirono, sventolando i berretti alla forese. Di fronte a questa tragica scena, il Salvi, con voce imperiosa ordinò che subito fosse condotto ivi il Cassiere del Comune: Cesare Campana fu Ferdinando, il quale fu, pertanto, prelevato dalla sua abitazione in Via Valle, obbedendo all'intimazione dell'improvvisato Sindaco, e portando seco al Municipio i sacchetti. contenenti le piastre d'argento. Ma mentre avveniva il controllo del danaro, parti dalla vecchia terra del Castello una fucilata che raggiunse un contadino che si abbatteva al suolo. Altri colpi echeggiarono dalla torre. Incominciò allora un fuggi fuggi caotico. Gli assediati del Castello, sicuri di averla vinta, decisero allora di scendere dalla roccaforte per occupare la piazza. Innanzi a loro era il giovane avvocato Clodomiro Testa, un uomo statuario, altezzoso e superbo, fra due ali di folla muta e attonita egli si diresse verso, il morto. Quando gli fu vicino, fece col piede, toccandolo, un gesto di dispregio,. Il disumano episodio è rammentato dal proverbio popolare: " Col coraggio della razza, calpestò un morto in Piazza! ".

In tanti paesi d'Abruzzo i liberali si adoperarono per costituire un Corpo di Guardia Nazionale: una sorta di forza armata, formata da civili aderenti alle nuove idee e alla loro affermazione con ogni mezzo. Nel pressante messaggio del sindaco Paolo Napoleone al Governatore della Provincia, si riscontra che moti reazionari erano scoppiati anche a Taranta e Lettopalena. Mentre in quest'ultimo centro la sommossa fu presto domata, a Taranta, invece, stava avviandosi verso il peggio. Avendo appreso quanto stava succedendo a Palena, il 3 ottobre, i tarantesi, al grido di Viva Francesco II! - Abbasso i Liberali! ", scesero sulle strade armati di tutti punto con armi varie, e minacciando di morte i Liberali. Erano cosi numerosi che la Guardia Nazionale del luogo fu soverchiata e costretta ad abbandonare il corpo di guardia, lasciando il piccolo paese in balìa dei rivoltosi. Sicché, mentre a Taranta i Liberali furono sopraffatti e messi in fuga, a Palena, paese allora con quasi cinquemila abitanti, la rivolta dei reazionari venne energicamente repressa con qualche vittima. in quanto i Liberali costituivano un nutrito raggruppamento di uomini, decisi ad uscire dalla roccaforte al momento opportuno, per riprendere la piazza. Intanto alcuni Liberali tarantesi vennero arrestati per essere subito giustiziati. I più scalmanati espressero il crudele desiderio di bruciarli vivi ! Durante la notte, al suono delle campane a stormo, approntarono il rogo sulla piazza del paese, ma poi, venuti a più miti consigli, sentenziarono di fucilarli non senza averli fatti prima confessare e comunicare con una messa requiern ... ! Era tutto pronto per l'esecuzione, quando giunse la notizia da Palena che, domata la rivolta, ì Liberali avevano ricevuto rinforzi da Sulmona, attraverso il Valico di Coccia. A questa notizia i focosi reazionari spaventati fuggirono per le campagne, abbandonando i condannati. Il giorno stesso giunse la truppa e i ribelli furono parte arrestati, altri si dileguarono con la fuga.

ARRIVANO I PIEMONTESI!

Vittorio Emanuele II, alla testa del IV e V Corpo d'Armata scendeva intanto dal nord per la conquista ormai certa del Regno di Napoli, quasi completamente disfatto ad opera della leggendaria epopea garibaldina e da una gran parte del popolo, meridionale. Il sovrano piemontese varcava il Tronto il 12 ottobre aggirandovi la Cittadella. Dopo aver fatto tappa a Giulianova, il giorno 17 giunse a Castellammare Adriatico ove pernottò. Intanto l'esercito piemontese non perde tempo per dirigersi lungo la Val Pescara. A Chieti-Scalo si divise in due colonne per aggirare il massiccio della Maiella: il V Corpo d'Armata prosegue la marcia verso sud, attraversando Popoli, Sulmona, per raggiungere l'altipiano delle Cinquemiglia; il IV Corpo d'Armata, formato da 18 mila fanti con alla testa il generale Cialdini, con pari celerità si dirigeva lungo il versante orientale della Maiella, attraversando Guardiagrele, Casoli, Palena attraverso Le Tagliate, per ricongiungersi col V Corpo nei pressi di Roccaraso.

Il generale Cialdini ha molta fretta in quanto vuol subito occupare i passi strategici del Macerone, ultimo baluardo montuoso per aver la via aperta verso la capitale partenopea. Intanto il re sabaudo col suo seguito fa solenne ingresso a Chieti accolto da un'immensa folla delirante. Riceve le delegazioni dei Comuni della Provincia, fra cui quella di Palena, che gli rendono devoto omaggio. La delegazione di Palena era composta da una parte del suo decurionato e cioè dal Sindaco Paolo Napoleone, dal Pittore Oreste Recchione, dal Notaro Avv. Raffaele Campana e dal Prof. Pio Falcocchio. Il 19 mattina, lasciata Chieti, Vittorio Emanuele prosegue per Popoli e Sulmona fra due ali di popolo festante. Ognuno portava sul petto il famoso " SI ". Il giorno 20 il re, dopo, aver ricevuto la lieta notizia della vittoriosa battaglia del Macerone, prosegue il suo viaggio verso l'altipiano abruzzese.

IL PASSAGGIO DELLE TRUPPE PIEMONTESI PER PALENA

Il 18 ottobre il IV Corpo d'Armata piemontese. al comando, del generale Cialdini, dopo aver attraversata la bella strada panoramica delle " Tagliate ", fece tappa a Palena, accolto con caldo entusiasmo dai Liberali palenesi con una vistosa coccarda tricolore al petto. La lunga teoria di armati riprese presto la marcia verso il Quarto di Santa Chiara, per riunirsi alla V Armata nei pressi di Roccaraso, e scender sulla piana di Castel di Sangro, per attaccar i Borboni già schierati sul Macerone. I palenesi nostalgici dell'ultimo loro re borbonico, unitamente al Clero, si mostrarono, silenziosi, freddi e diffidenti al passaggio delle truppe. Li sorprese fra l'altro la semplicità delle divise di quei soldati, al contrario dei borbonici che indossavano quelle abbaglianti con lo svolazzar dei pennacchi e luccicanti corazze. Timorosi di quanto poteva ancora accadere e della Guardia Nazionale cittadina, molti preferivano osservare la lunga teoria di armati restando dietro le persiane oppure osservando dagli spiragli di porte e finestre. Alcuni, nostalgici del regime ormai verso il totale disfacimento, commentavano con accorta circospezione e con certo rimpianto l'interessamento che i Borboni avevano avuto fino a pochi anni addietro per Palena, facendo eseguire la costruzione della bella strada rotabile che tanta comodità e tanto lavoro aveva dato per decenni alla popolazione.

L'amarezza assai poco dissimulata da parte dei reazionari verso il nuovo stato di cose, nei confronti cioè delle vittorie sabaude, fu esasperata di lì a poco dal diffondersi della notizia che Francesco Il sul punto di abbandonare Napoli diretto a Gaeta, aveva così stigmatizzato la sua sorte e con essa anche quella dei suoi antichi e fedeli sudditi: " I napoletani non hanno voluto giudicarmi a ragion veduta; io però ho la coscienza di aver fatto il mio dovere, ma ad essi rimarranno solo gli occhi per piangere ".